La dichiarazione di fallimento senza preventiva risoluzione del concordato

Fernando Platania
04 Maggio 2017

Può essere dichiarato il fallimento di una società, anche senza procedere preventivamente alla risoluzione del concordato preventivo già omologato, se risulta la definitiva impossibilità di adempiere agli obblighi assunti con la proposta.
Massima

Può essere dichiarato il fallimento di una società, anche senza procedere preventivamente alla risoluzione del concordato preventivo già omologato, se risulta la definitiva impossibilità di adempiere agli obblighi assunti con la proposta.

Il caso

Il Tribunale di Torino, su istanza del P.M. (che aveva ricevuto una specifica segnalazione da parte del giudice delegato della procedura), ed il Tribunale di Venezia su istanza del medesimo debitore, hanno dichiarato il fallimento di società le cui proposte di concordato erano state già omologate, in ragione del sopraggiungere di eventi che pregiudicavano definitivamente l'attuabilità delle proposte formulate ai creditori.

Le questioni affrontate

Il Tribunale di Torino, muovendo dall'implicito presupposto che l'omologazione del concordato reintegra l'imprenditore nel pieno delle sue prerogative, assume che l'acquisizione della prova della definitiva impossibilità per il debitore di adempiere alla proposta concordataria (di tipo liquidatorio), può fondare la dichiarazione di fallimento, pur indipendentemente dalla proposizione, da parte dei creditori (soli soggetti legittimati), del ricorso per risoluzione.

Il giudice torinese, richiamando in proposito un precedente della Corte Costituzionale, che con sentenza 2 aprile 2004 n. 106, investita della questione di legittimità costituzionale, aveva escluso che la corretta interpretazione delle disposizioni concorsuali impedisse la dichiarazione di fallimento se non previa risoluzione del concordato, assume l'irrilevanza della pendenza dei termini per l'adempimento del concordato ai fini della dichiarazione di fallimento quando sia acclarata la definitiva impossibilità del rispetto della proposta. Simile decisione assume il Tribunale di Venezia, che prende atto della posizione della stessa società in concordato, la quale dichiarava di non essere più in grado di proseguire proficuamente nel piano originariamente proposto ai creditori per effetto di eventi sopraggiunti.

Concordato ed insolvenza

Appare opportuno premettere che l'omologazione del concordato non esclude di per sé solo il venir meno della situazione di insolvenza che aveva indotto il debitore a richiedere l'ammissione alla procedura, né priva il creditore di strumenti per vedere soddisfatto il suo credito. Le ragioni di credito, infatti, vengono meno solo per effetto dell'adempimento della proposta omologata, ma fino a quel momento l'imprenditore, ancorchè non versi più in istato di insolvenza, in ragione della proroga dei termini di pagamento connessi con la omologazione della proposta, non ha certamente adempiuto ancora alle sue obbligazioni.

L'interpretazione data dalle autorità giudiziarie nei provvedimenti annotati non appare in contrasto con la regola, prevista dall'art. 184 l.fall., dell'obbligatorietà del concordato per tutti i creditori. La (nuova) situazione di insolvenza va, infatti, commisurata, come espressamente assunto dal Tribunale di Torino, alla posizione debitoria così come risultante dall'applicazione della falcidia concordataria (rivivendo il credito nella misura originaria solo a seguito della risoluzione del concordato). Resta inteso, conseguentemente, che il creditore (o il pubblico ministero) che chieda la dichiarazione di fallimento, quando ancora siano aperti i termini per l'adempimento del piano, deve dare compiuta dimostrazione della definitiva impossibilità di adempiere agli obblighi assunti secondo le previsioni della proposta, nonchè della generale sussistenza dei requisiti per la dichiarazione di fallimento indicati nell'art. 1 della legge fallimentare. La dichiarazione di fallimento appare altresì conforme alla disciplina dell'art. 1186 c.c., che fa decadere il debitore dal beneficio del termine qualora divenuto insolvente.

Se, invece, manca la prova della definitiva impossibilità di adempiere alle obbligazioni derivanti dal concordato e risultano ancora pendenti i termini per l'adempimento del piano, non potrà procedersi alla declaratoria di fallimento per mancanza del requisito dell'esigibilità dei crediti.

Accanto alla possibilità di procedere alla dichiarazione di fallimento, rimane ferma la possibilità per i creditori di chiedere la risoluzione del concordato secondo la disciplina dell'art. 186 l.fall., ma alla duplice condizione dell'accertamento della non scarsa importanza dell'inadempimento e del rispetto del termine di un anno dalla scadenza della data prevista per l'ultimo adempimento.

I poteri del debitore dopo l'omologa

E' noto che la disciplina del concordato non dedica molte norme alla fase successiva all'omologazione limitandosi solo a regolare le ipotesi più estreme della risoluzione e dell'annullamento. Ciò deriva in parte dalla circostanza che la procedura di concordato si chiude con il provvedimento di omologa, come espressamente recita l'art. 181 l.f., determinando la fine del regime dello spossessamento attenuato che caratterizza, invece, tutta la fase post ammissione alla procedura, ma anche dal fatto che le disposizioni sono state concepite quasi esclusivamente per le procedure di concordato con liquidazione dei beni, nelle quali il solo compito da svolgere, dopo l'omologazione, è sostanzialmente costituito dall'esecuzione del piano di dismissione degli assets aziendali.

A seguito dell'omologazione cessano, dunque, di operare i diversi istituti previsti, in pendenza di procedura, a tutela dell'integrità del patrimonio sociale e la conservazione dei valori aziendali destinati al soddisfacimento dei creditori. In particolare viene meno il regime autorizzatorio previsto dall'art. 167 l.fall.; cessa il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive; i creditori possono tornare ad acquisire titoli di prelazione; tornano a decorrere le prescrizioni e le decadenze (come previsto dall'art. 169 l.fall.); cessano le eventuali sospensioni dei contratti in corso disposte dal Tribunale ai sensi dell'art. 169-bis l.fall.; riprendono ad operare le disposizioni sul mantenimento del capitale minimo previste dagli artt. 2446 e 2447 c.c. e le altre a queste connesse.

Ovviamente cessa anche il divieto di esaminare l'istanza di fallimento che fosse stata proposta antecedentemente, anche se l'omologazione del concordato finisce per renderla inaccoglibile risultando differito, alla liquidazione dei beni, il pagamento del creditore istante.

Il ritorno ad un regime di piena autonomia non è, però, assoluto.

L'imprenditore è, infatti, tenuto ad adempiere alle prescrizioni del piano omologato dal Tribunale, come puntualmente specificato dall'art. 185 l.fall.; inoltre, nel caso in cui sia stata omologata la proposta concordataria presentata da un creditore (come oggi previsto a seguito della introduzione del nuovo art. 163 l.fall.) il Tribunale, in caso di manifesta inadempienza, può revocare l'organo amministrativo o nominare un amministratore giudiziario per consentire l'esecuzione della proposta ostacolata dal recalcitrante imprenditore.

Nel concordato con liquidazione dei beni i poteri dispositivi vengono affidati al solo liquidatore giudiziario secondo le modalità operative previste dal provvedimento, con esclusione di ogni interferenza dell'imprenditore.

Poco o nulla è, invece, previsto per l'ipotesi di concordato in continuità, nel quale proprio la prosecuzione dell'attività imprenditoriale costituisce lo strumento attraverso il quale si ipotizza l'acquisizione dei mezzi per procedere al pagamento dei creditori; l'effetto della mancata predisposizione di strumenti di controllo sull'attività, finisce per essere assolutamente contraddittorio rispetto alle finalità della procedura, lasciando l'imprenditore libero di agire senza alcun vincolo e controllo, proprio in relazione a fattispecie in cui il corretto e puntuale adempimento del piano rappresenta la sola garanzia per i creditori. Infatti, ancorchè il controllo sull'esecuzione del concordato sia affidato al commissario (secondo modalità che dovrebbero essere attentamente specificate nel provvedimento di omologazione), la concreta possibilità di attivare gli strumenti previsti per la cessazione della procedura rimane affidata ai soli creditori, che possono ricorrere per ottenere la risoluzione del concordato quando si verifichi l'impossibilità di continuare proficuamente nella procedura ovvero quando si scopre che siano stati compiuti dal debitore gli atti di frode indicati nell'art. 138 l.fall.

Le azioni individuali durante il concordato

La decisione del Tribunale di Torino, e l'analoga del Tribunale di Venezia, pur condivisibili, aprono alcuni interrogativi.

Infatti, qualora il creditore concorsuale non intenda promuovere istanza di fallimento, né chiedere la risoluzione del concordato, può ottenere la soddisfazione del suo credito, non già in via concorsuale, ma individuale, pur tenendo conto della falcidia concordataria?

La premessa è rappresentata dal fatto che l'omologazione, così come ripristina i poteri dell'imprenditore, dovrebbe restituire ai creditori libertà di manovra, sia permettendo loro di proseguire nelle azioni esecutive che per effetto della presentazione fossero state sospese, sia di promuovere ogni altra azione diretta alla tutela del loro credito.

Ma l'eventuale azione esecutiva intrapresa dal creditore munito di titolo (ottenuto prima e dopo l'omologa), potrebbe essere efficacemente contrastata dal debitore mediante la proposizione di opposizione all'esecuzione sia in relazione all'ammontare del credito (se l'azione esecutiva fosse stata promossa per l'intero credito) sia in relazione alla sua esigibilità, se ancora non si fosse proceduto alla distribuzione delle somme, secondo le regole proprie delle procedure concorsuali, ai creditori aventi grado anteriore rispetto al creditore agente.

V'è poi da osservare che, sebbene manchi nel sistema del concordato una norma simile a quella prevista nelle procedure di sovraindebitamento (art. 12, comma 3, e art. 12-ter, comma 2, legge 27 gennaio 2012, n. 3), si ritiene che i beni oggetto della liquidazione, nel concordato liquidatorio, non possano essere sottratti alla loro destinazione, come dimostrato dal fatto che il giudice delegato può procedere alla liberazione delle iscrizioni e dei pignoramenti eseguiti sia prima sia dopo l'omologazione (vedasi specificamente l'art. 182, comma 5, l.fall.). E' pertanto da escludere che i creditori aventi causa per fatto anteriore alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, possano agire individualmente sui beni la cui liquidazione sia destinata al soddisfacimento dei creditori stessi e ciò anche quando risulti la definitiva impossibilità di adempiere alla proposta, rimanendo, a seguito dell'omologazione del concordato in liquidazione, i poteri dispositivi dei beni in capo al solo liquidatore nominato dal Tribunale.

Parzialmente su questa linea sembra anche muoversi il Tribunale di Prato con pronuncia 20 luglio 2016, secondo cui l'art. 168 l.fall. consente l'azione esecutiva a soddisfacimento di crediti anteriori al concordato anche nei confronti della procedura definitivamente omologata, nei limiti delle pretese cristallizzate nel piano concordatario e purché sia provata la completa pretermissione delle ragioni di credito dell'esecutante, ossia l'avvenuto pagamento integrale, in data anteriore all'instaurazione della procedura esecutiva, dei creditori appartenenti alla medesima classe. Nella fattispecie decisa dal Tribunale toscano risultava, infatti, che tutti i crediti aventi grado superiore od uguale rispetto a quello azionato erano stati soddisfatti, con l'effetto che l'azione individuale non si poneva in contrasto con le finalità della procedura, ma, al contrario, ne rappresentava di fatto attuazione.

Più netta appare, invece, la posizione del Tribunale di Napoli Nord 29 aprile 2016, che espressamente assume la possibilità per il creditore della procedura di agire anche con esecuzione individuale per tutelare il suo credito.

Le stesse considerazioni possono essere fatte, a maggior ragione, in relazione all'ipotesi di richiesta di provvedimento cautelare che sia diretto a costituire una garanzia per taluno dei creditori; il vincolo apposto ai beni per effetto dell'omologazione del concordato rende superflua ogni azione cautelare di qualsiasi creditore anteriore.

Appare, però, utile ricordare la decisione della Cassazione 17 aprile 2003, n. 6166, che partendo dal condivisibile presupposto secondo cui il divieto di acquisire titoli di prelazione previsto dall'art. 166 l.fall. debba cessare con la omologazione della proposta (e non con l'adempimento della proposta, come era stato invece ipotizzato nel giudizio dal debitore), afferma la possibilità per i creditori di acquisire titoli di prelazione sui beni dell'imprenditore subito dopo l'omologazione anche per crediti sorti anteriormente al deposito della proposta di concordato in mancanza di specifiche norme in senso contrario.

Il principio, però, non comporta, come una frettolosa lettura della citata sentenza potrebbe indurre, la possibilità di proseguire od iniziare azioni esecutive sul patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori dopo l'omologazione, ritenendo analogamente cessato il divieto di azioni esecutive individuali. Una cosa è, infatti, l'acquisizione di titoli di prelazione dopo la omologazione, altra cosa, è l'azione esecutiva individuale sui beni del debitore. Lo ricorda, infatti, la stessa Cassazione citata, per la quale l'omologazione della proposta determina l'attribuzione al liquidatore giudiziario dei poteri dispositivi sul patrimonio messo a disposizione dei creditori. E', poi, appena il caso di osservare che l'acquisizione di titoli di prelazione dopo l'omologazione non potrebbe modificare la natura del credito così come riconosciuto in sede di approvazione del concordato.

Secondo l'opinione prevalente, neppure i creditori, le cui ragioni di credito fossero sorte dopo la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e per i quali la proposta ovviamente non avesse effetto, potrebbero agire esecutivamente sui beni vincolati all'adempimento del concordato a cagione della segregazione del patrimonio conseguente all'omologazione della proposta, ma solo su quelli che eventualmente fossero pervenuti al debitore dopo il deposito della proposta. Va detto, però, che la posizione della Cassazione, almeno relativamente alla questione della possibilità di acquisire un titolo di prelazione, non sembra essere conforme all'indicato orientamento dottrinale, avendo esplicitamente assunto l'irrilevanza della qualifica del creditore (se anteriore o posteriore al deposito della proposta) ai fini della possibilità di acquisire un titolo di prelazione.

Merita anche di essere esaminata l'ipotesi di pagamento parziale del credito da parte della procedura. Accade sovente che nel concordato preventivo le percentuali effettive di soddisfazione siano ben inferiori a quelle ipotizzate nella proposta; in questo caso, la giurisprudenza consolidata esclude la possibilità di richiedere la risoluzione del concordato. Ma il creditore potrebbe, invece, chiedere il fallimento del debitore solo perché il pagamento effettuato è inferiore a quello indicato?

Per dare risposta al quesito occorre fare riferimento alla proposta concordataria, che in genere non garantisce il pagamento di una percentuale predeterminata; ne dovrebbe conseguire che l'importo del credito spettante a seguito della omologazione non è definitivamente accertato in base alla proposta, ma solo genericamente indicato, con l'effetto che risulta, perfino, impossibile procedere all'identificazione della quota effettivamente non soddisfatta.

Il concordato in continuità

Le considerazioni prima effettuate risultano coerenti con le disposizioni dettate per la procedura di concordato in liquidazione. Ma conservano validità anche in relazione al concordato in continuità che si caratterizza, come già accennato, dalla prosecuzione dell'attività senza alcuna limitazione dei poteri dell'imprenditore?

Com'è chiaro, risulta ovviamente impossibile attribuire la qualifica di patrimonio separato ai beni dell'imprenditore esistenti al momento della proposizione della proposta nell'ipotesi di concordato in continuità. Se mantengono validità le disposizioni della legge fallimentare dirette a tutelare il patrimonio del debitore nella fase successiva al deposito della proposta fino alla omologazione, è nell'intrinseca logica del concordato in continuità che il debitore, dopo l'omologazione, riprenda il pieno controllo di tutta le sue attività al fine di proseguire l'esercizio dell'impresa. Ed infatti, a seguito dell'omologa, non viene nominato un liquidatore giudiziario e l'attività, anche eventualmente liquidativa di taluni beni aziendali, rimane affidata al debitore. Tutto ciò evidentemente comporta che il debitore debba poter disporre dei beni strumentali e, in genere, della sua impresa nel modo più libero, senza vincoli di sorta.

Ma ciò, dunque, apre la strada per la proposizione di azioni individuali da parte dei creditori le cui ragioni di credito fossero sorte successivamente all'omologa.

Se, infatti, anche il concordato in continuità omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori, con l'ovvia conseguenza che essi non possono agire né per la risoluzione né per la dichiarazione di fallimento fin quando non si siano scaduti i tempi di adempimento previsti nella proposta (a meno che non sopraggiungano eventi che rendano impossibile l'adempimento del concordato, come in precedenza osservato), nessun vincolo può sussistere per i creditori posteriori (si pensi ai fornitori, lavoratori, all'Erario le cui ragioni di credito siano sorte successivamente al deposito della proposta), ovviamente una volta acquisto un titolo per ottenere coattivamente la soddisfazione del loro credito. E' facile intuire che il successo della proposta concordataria potrebbe essere messo gravemente a repentaglio dall'azione esecutiva di un qualsiasi creditore posteriore, non essendogli opponibile l'omologazione della proposta. E naturalmente nessun limite vi sarebbe alla dichiarazione di fallimento intentata da un creditore non concordatario.

Non è neppure da escludere che anche il creditore concordatario possa agire esecutivamente per ottenere soddisfazione del credito risultante dalla falcidia una volta eventualmente già soddisfatti i creditori con grado superiore, nonché di ottenere titoli di prelazione dopo la cessazione del divieto di cui all'art. 168 l.fall., in applicazione della citata giurisprudenza di merito e di legittimità. Ma l'acquisizione di titoli di prelazione da parte dei creditori anteriori determinerebbe quasi automaticamente la reazione di quelli posteriori (si pensi agli istituti di credito) con effetti facilmente immaginabili sulle sorti della continuità.

Com'è evidente, in mancanza di specifiche disposizioni, la piena aggredibilità dei beni da parte dei creditori per i quali il concordato in continuità non esplica effetti, rende oltremodo incerta la concreta attuabilità del programma proposto ed accettato dai creditori, così grandemente pregiudicando, almeno potenzialmente, le ragioni dei creditori concorsuali; potrebbe, dunque, rendersi opportuna la predisposizione, da parte degli organi della procedura e su indicazioni del Tribunale in sede di omologa (ovvero in accoglimento di una proposta concorrente formulata da un creditore in conformità all'art. 163 l.fall. che mantenendo la stessa proposta del debitore, introducesse elementi ulteriori di garanzia), di un sistema di protezione (quale ad esempio l'iscrizione ipotecaria sui beni strategici destinati a rimanere in proprietà del debitore a favore di tutti i creditori concordatari) al fine di garantire almeno in parte l'adempimento del concordato secondo i termini della proposta senza interferenze dei creditori successivi.

Minimi Riferimenti Giurisprudenziali e Bibliografici

Sulla stessa questione decisa dai Tribunali di Torino e di Venezia vedasi anche, come ricordato nel testo, Tribunale di Napoli Nord, 29 aprile 2016

Sui rapporti tra concordato e fallimento Cass. 15 Luglio 2016, n. 14518; sui rapporti tra azioni esecutive e concordato preventivo, Cass. 17 aprile 2003 n. 6166; indirettamente Cass. 23 giugno 2011 n. 13817; sui rapporti tra concordato preventivo ed esecuzione individuale, Trib. Prato 20 luglio 2016 in Fall.; ma anche Trib. Napoli Nord 29 aprile 2016 cit.; A. Farolfi, Risoluzione e annullamento del concordato, in questo portale, 21 Aprile 2016.

Sull'insufficienza delle norme che regolano la procedura di concordato preventivo dopo l'omologazione, Ambrosini, Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali Torino, 2014.

Sull'attribuzione dei poteri di amministrazione al solo imprenditore nel concordato in continuità App. Roma, 23 maggio 2016 per la quale “L'esecuzione del concordato con continuità aziendale, anche quando abbia ad oggetto la liquidazione di alcuni beni non funzionali alla prosecuzione dell'attività di impresa, non presuppone necessariamente la nomina di un liquidatore, in quanto l'attività prosegue in capo agli amministratori e sotto il controllo del commissario giudiziale anche per quanto riguarda la liquidazione”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario