Il credito del professionista inserito in un’associazione professionale

15 Maggio 2017

Il privilegio generale sui beni mobili del debitore, previsto dall'art. 2751-bis n. 2 cod. civ. per le retribuzioni dei professionisti, trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, a condizione che...
Massima

Il privilegio generale sui beni mobili del debitore, previsto dall'art. 2751-bis n. 2 cod. civ. per le retribuzioni dei professionisti, trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, a condizione che il rapporto di prestazione d'opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un'attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento.

Il caso

Un avvocato depositava istanza di ammissione al passivo del Fallimento di una S.r.l. ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2751-bis n. 2 c.c. per un credito derivante da prestazioni professionali rese in favore della società quando era ancora in bonis. Il Tribunale di Milano ammetteva il credito in via chirografaria e non in privilegio come richiesto, ritenendo che la prestazione fosse stata resa dallo studio associato di cui il ricorrente faceva parte in collaborazione con altri professionisti, senza che fosse pertanto possibile individuare l'attività svolta personalmente dal professionista.

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso ritenendo che (i) il privilegio dovesse essere riconosciuto al creditore-libero professionista anche se inserito in un'associazione professionale e che, in ogni caso, (ii) il giudice di primo grado aveva assunto la propria decisione omettendo di esaminare adeguatamente la struttura lavorativa in cui operava l'istante.

Questioni giuridiche

Con il provvedimento in esame, la Corte di Cassazione ritorna sul tema cruciale del riconoscimento, in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 2 c.c., del credito per prestazione d'opera intellettuale resa da un associato in favore del cliente dell'associazione professionale, individuando caratteristiche e confini dell'istituto.

In termini d'inquadramento generale, occorre brevemente premettere che, in forza dell'art. 2751-bis n. 2 c.c., hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore i crediti derivanti dalle retribuzioni dei professionisti (e di ogni altro prestatore d'opera intellettuale) dovute per gli ultimi due anni di prestazione.

In ordine all'efficacia temporale, il privilegio in esame si conserva su tutti i crediti maturati nell'ultimo biennio di attività professionale ancorché anteriori al biennio precedente l'apertura della procedura concorsuale. (v. Cass. 2 giugno 2000, n. 7309; in dottrina cfr. Villanacci, I crediti nel fallimento, Cedam, 2015).

Sono ricomprese nell'estensione della norma le voci qualificabili come diritti ed onorari, mentre sono escluse le spese anticipate dal professionista (v. Cass. 8 gennaio 1999, n. 92) che verranno ammesse al passivo fallimentare in via chirografaria essendo funzionali all'espletamento dell'incarico, ma non direttamente riconducibili all'attività prestata (cfr. Villanacci, I crediti nel fallimento, Cedam, 2015, 417).

Venendo alle peculiarità che connotano il caso di specie, si rileva che la questione del riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 c.c. al credito del professionista inserito all'interno di uno studio associato (in cui costui opera) è, tutt'oggi, oggetto di ampio dibattito.

Per lungo tempo giurisprudenza e dottrina hanno cercato di definire il campo applicativo dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. in relazione a tali tipologie di credito adottando, inizialmente, soluzioni interpretative rigide, tendenti a negarne la natura privilegiata (ex multis, cfr. Cass. Civ. 18 aprile 2000, n. 5002; Trib. Milano 15 marzo 2001; Trib. Milano 3 marzo 1983).

Secondo tale filone interpretativo, deve infatti intendersi garantito da privilegio solo il credito costituente la remunerazione soggettiva di un'attività riconducibile esclusivamente all'incaricato dell'opera (in proposito si veda, ex multis, Cass. 14 aprile 1992, n. 4549): nel caso di incarico conferito all'associazione professionale sarebbe pertanto da escludersi tout court il carattere soggettivo della prestazione e così l'intuitu personae, mancando la riferibilità della prestazione al singolo professionista.

Il percorso argomentativo sotteso a tale orientamento affonda le proprie radici nel principio per cui lo svolgimento individuale dell'attività da parte del professionista costituisce un presupposto indispensabile del privilegio. L'esercizio di un'attività all'interno di uno studio associato non potrebbe considerarsi alla stregua di una semplice prestazione d'opera, in quanto la struttura lavorativa ed organizzativa caratterizzante l'ente snaturerebbe la prestazione individuale del professionista al quale non potrebbe attagliarsi il contenuto dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. (cfr. D. Di Sabato, I privilegi, Tratt. Di Dir. Civ., III, diretto da Perlingieri, Napoli, 2008). Tali considerazioni avevano dunque orientato la giurisprudenza a limitare il riconoscimento del privilegio solo al professionista che esercitasse la propria attività in forma individuale precludendo conseguentemente ogni possibile estensione analogica dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. nel caso in cui l'incarico professionale fosse conferito all'associazione professionale.

Il filone interpretativo appena illustrato non pare pienamente condiviso dalla più recente giurisprudenza. Il dibattito ha trovato infatti un approdo in alcune recenti pronunce della Suprema Corte - e, da ultimo, nell'ordinanza in commento – che hanno sostanzialmente ritenuto irrilevante che il professionista sia inserito in una associazione professionale stabilendo che “l'inserimento del professionista in uno studio associato non fa perdere al credito il carattere retributivo quando il credito nasce da un'attività direttamente imputabile al singolo” (Cass. 9 settembre 2003 n. 13142; in senso conforme si vedano, in particolare, Cass. 11 luglio 2013, n. 17207).

Anche la giurisprudenza di merito è intervenuta nel solco degli orientamenti espressi dalla Suprema Corte, precisando che l'inserimento del professionista in uno studio associato non è “di per sé sufficiente ad alterare la natura del rapporto tra professionista a cliente, caratterizzato dalla personalità della prestazione e dalla responsabilità diretta del professionista” (Trib. Milano 25 febbraio 2008).

Neppure le caratteristiche strutturali che connotano uno studio associato sono idonee ex se – come invece ritenuto dall'orientamento tradizionale sopra richiamato – ad escludere l'operatività dell'art. 2751-bis c.c. Al riguardo, il Tribunale di Milano ha precisato infatti che “non appare idoneo a fondare una diversa conclusione il rilievo che l'associazione professionale delineerebbe un contesto con peculiari caratteristiche sia di tipo economico che organizzativo offrendo agli associati i vantaggi della collaborazione reciproca, della suddivisione dei rischi, degli oneri e delle spese. In concreto l'associazione professionale può risultare articolata in forme alquanto variegate per quanto riguarda i livelli d'interazione tra i professionisti coinvolti. (...) ma la previsione dell'art. 2751 bis n. 2) non opera alcuna distinzione né sotto il profilo reddituale né sotto quello del modello organizzativo, richiedendo ai fini del riconoscimento del privilegio unicamente che il credito abbia per oggetto la retribuzione spettante ad un professionista o ad altro prestatore d'opera per la prestazione resa al cliente” (Trib. Milano 25 febbraio 2008).

Anche nel caso in cui la prestazione professionale sia conferita allo studio associato, essa rimane riferibile al professionista o ai professionisti che se ne sono occupati, cosicché ciascun componente dello studio è legittimato a chiederne il pagamento, permanendo la natura privilegiata del credito ex art. 2751-bis n. 2 c.c. (in questo senso cfr. Trib. Udine 6 dicembre 2009; negli stessi termini Trib. Udine 30 settembre 2011). Affinché possano essere applicati i principi sopra esposti occorrerà tuttavia dimostrare che le suddette prestazioni siano state svolte in via esclusiva dal singolo professionista (come specificato dal Trib. Milano 22 gennaio 2008).

Attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. si è dunque sancito il principio per il quale tale privilegio generale deve essere altresì accordato ai crediti maturati a seguito di prestazioni professionali espletate dal singolo professionista inserito nell'associazione a condizione che il rapporto di prestazione d'opera si instauri, di fatto, tra il singolo professionista ed il cliente, potendosi così ritenere che il credito riguardi la remunerazione di una attività individualmente prestata.

Invero, secondo recente pronuncia della Suprema Corte, “la stretta correlazione posta dal disposto dell'art. 2751 bis, n. 2 c. tra il privilegio e la causa del credito consente di valorizzare l'interesse specifico perseguito dal creditore e dunque di orientare l'interpretazione della voluntas legis, estendendone l'applicazione oltre il mero dato letterale, sulla base di un percorso esegetico ritenuto in giurisprudenza ammissibile” (Cass. 11 luglio 2013, n. 17207).

La Corte di Cassazione ricorda inoltre che in materia di privilegi "le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi possono essere oggetto di un'interpretazione estensiva che sia diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva in modo da delimitare il loro esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione l'intenzione del legislatore e la causa del credito che, ai sensi dell'art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio" (Cass. Sez. Un. 17 maggio 2010, n. 11930; tale pronuncia, pur riguardando un privilegio generale su beni mobili ex art. 2752 c.c. per crediti per imposte, tasse e tributi dei comuni, sancisce un principio applicabile in via generale anche alle altre tipologie di privilegi sui mobili).

Osservazioni

Per contestualizzare la portata del provvedimento in commento, occorre considerare che la Cassazione ha fondato la propria decisione su due principali elementi. Il primo, di importanza essenziale, attiene al merito della questione sottesa al caso di specie e consiste in una valutazione in punto di diritto: l'errata applicazione dell'art. 2751-bis n. 2 c.c. per mancato riconoscimento di tale privilegio in favore del ricorrente seppure inserito in un'associazione professionale. Il secondo è invece un rilievo in punto di fatto e concerne l'omesso esame da parte del giudice di primae curae del contesto lavorativo in cui operava l'istante. Il primo profilo risulta di importanza dirimente ai fini della presente indagine, in quanto relativo ad una errata applicazione di norme e avente natura assorbente rispetto al secondo aspetto.

Detto ciò, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, nel ricostruire il quadro concettuale della sua decisione si allinea – seppure con argomentazioni succinte - all'orientamento giurisprudenziale e dottrinale più recente precisando che “il privilegio generale sui beni mobili del debitore, previsto dall'art. 2751-bis cod. civ. per le retribuzioni dei professionisti, trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività”.

La Cassazione si premura poi di specificare che tale principio non opera de plano, ma solo in presenza di determinate condizioni.

Specificano infatti i giudici che la soddisfazione prioritaria dei compensi dei professionisti che esercitano la propria attività in seno ad un'associazione professionale può essere riconosciuta “a condizione che il rapporto di prestazione d'opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente”. Solo in tale caso si potrà“ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un'attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento”.

Il provvedimento in commento non precisa tuttavia quali elementi devono essere forniti dall'istante per dimostrare - sul piano probatorio - che la prestazione d'opera sia effettivamente instaurata tra il professionista singolo ed il cliente dello studio associato.

Nella consapevolezza della molteplicità delle fattispecie che possono verificarsi nella prassi, si ritiene utile individuare alcune soluzioni operative sulla base dei principi delineati dalla giurisprudenza, anche di merito.

Particolarmente interessante pare il caso, non infrequente, in cui un cliente incarichi lo studio associato per lo svolgimento di attività di assistenza e consulenza legale. In questa ipotesi, la prova che il rapporto di prestazione d'opera – e conseguentemente il credito – si sia svolto tra l'avvocato singolo e il cliente fallito, potrebbe essere fornita ad esempio attraverso:

  • l'inserimento all'interno della lettera d'incarico di specifica e puntuale clausola in cui venga espressamente indicato che l'attività oggetto dell'incarico sarà eseguita materialmente da un determinato professionista (individuato nei suoi dati anagrafici);
  • il conferimento di specifica procura ad litem da parte del cliente al singolo avvocato in caso di difesa in giudizio;
  • la produzione di documentazione attestante il concreto svolgimento dell'attività resa dal singolo (ad esempio, atti di causa, verbali di udienza, corrispondenza intercorsa ecc.) nonché l'articolazione di istanze istruttorie (quali le prove per testimoni).
Conclusioni

E' circostanza notoria che l'attuale contesto economico-sociale nel quale il libero professionista si trova ad operare lo induca ad esercitare la professione dotandosi di strutture sempre più articolate quali, per l'appunto, le associazioni professionali. Se la mera circostanza di far parte di una tale forma associativa dovesse costituire elemento idoneo e sufficiente a far automaticamente degradare il credito del professionista al rango chirografario, si porrebbero inevitabilmente interrogativi in ordine all'evidente ingiusta disparità di trattamento tra la tutela dei crediti ex art. 2751-bis n. 2 c.c. e quella prevista per altre categorie professionali disciplinate nella medesima norma.

Alla luce dell'analisi condotta, la pronuncia della Cassazione si palesa pertanto del tutto razionale nelle sue conclusioni e conferma la tendenza al consolidamento di un orientamento costituzionalmente orientato.

La giurisprudenza di legittimità – come abbiamo visto - ha mostrato recenti aperture verso un'interpretazione estensiva dell'istituto dei privilegi anche al fine di garantire a tutti i soggetti indicati dall'art. 2751-bis c.c. la medesima tutela. Tuttavia, oggi, è ancora frequente riscontrare provvedimenti fortemente penalizzanti per il professionista, che aderiscono all'orientamento più tradizionale ammettendo il credito dell'avvocato inserito in uno studio associato in via meramente chirografaria.

Attesi i recenti contributi giurisprudenziali, è auspicabile lo sviluppo di un processo di armonizzazione della giurisprudenza con integrale recepimento dei principi dettati dalla Suprema Corte in modo che l'indagine del Giudice sia volta ad accertare puntualmente se il credito di cui si richiede il pagamento, a prescindere dal fatto che il professionista operi in uno studio associato, derivi da una prestazione svolta personalmente da costui in via esclusiva o prevalente.

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