Insolvenza, ristrutturazione e sgravio dei debiti: la proposta di Direttiva

Beatrice Armeli
16 Maggio 2017

Il 22 novembre 2016 la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva in tema di quadri uniformi di ristrutturazione precoce, seconda opportunità per gli imprenditori falliti e misure di efficienza per le procedure di insolvenza, ristrutturazione e sgravio dei debiti.
Premessa

Il 22 novembre 2016 la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva in tema di quadri uniformi di ristrutturazione precoce, seconda opportunità per gli imprenditori falliti e misure di efficienza per le procedure di insolvenza, ristrutturazione e sgravio dei debiti (Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on preventive restructuring frameworks, second chance and measures to increase the efficiency of restructuring, insolvency and discharge procedures and amending Directive 2012/30/EU, COM(2016) 723 final). L'iniziativa muove dal crescente interesse europeo per il diritto fallimentare nazionale, radicato nella convinzione che i problemi che affliggono il mercato unico non sono limitati alle situazioni di puro carattere transfrontaliero, dato che anche le (ormai poche) insolvenze esclusivamente domestiche possono impattare oltre confine, con effetti negativi sull'unione dei mercati dei capitali. Già nel 2011 il Parlamento europeo aveva adottato una Risoluzione (P7_TA (2011) 0484) con cui invitava all'armonizzazione di alcuni aspetti delle legislazioni nazionali in materia di insolvenza. A questa faceva seguito nel 2012 una Comunicazione della Commissione (COM(2012) 742 final) ove si evidenziavano le relative disparità dei sistemi giuridici dei singoli Stati membri e la loro incidenza pregiudizievole sul corretto funzionamento del mercato unico. Un passo ulteriore si è avuto nel 2014 con la Raccomandazione su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza (2014/135/UE, in GU L 74/65 del 14 marzo 2014), adottata dalla stessa Commissione, con la quale si è inteso promuovere l'adozione di misure comuni in tutta l'Unione allo scopo di: i) garantire alle imprese sane in difficoltà finanziarie, ovunque ubicate, l'accesso a strumenti che permettano la ristrutturazione in una fase precoce in modo da evitare il fallimento; ii) dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti che falliscono. La Raccomandazione, sfornita di natura vincolante, invitava i Paesi membri a uniformarsi alle disposizioni nella stessa contenute, ma per l'inerzia dei legislatori nazionali i risultati attesi non sono stati raggiunti. Persistono quindi tutt'oggi divergenze profonde tra i sistemi fallimentari all'interno dell'UE, le quali – sulla base degli studi condotti dalla Commissione – si traducono in: incertezza del diritto, costi addizionali per gli investitori nella valutazione dei rischi, difficoltà nel recupero dei crediti, mercati dei capitali poco sviluppati e barriere alla ristrutturazione efficiente di imprese sane in difficoltà finanziarie. Non stupisce allora che anche la Relazione dei cinque Presidenti del 22 giugno 2015, sul completamento dell'Unione economica e monetaria europea, ha indicato proprio nel diritto fallimentare uno dei principali nodi da risolvere. Coerentemente, dunque, il Piano di azione per l'Unione dei mercati dei capitali del 2015 (COM(2015) 468 final), in linea con la Strategia per il mercato unico (COM(2015) 550 final), ha annunciato un'iniziativa legislativa europea che, tenendo conto dei migliori regimi nazionali, realizzi un'armonizzazione minima dei diritti fallimentari dei Paesi UE. L'importanza della convergenza auspicata è stata sottolineata anche dal Consiglio nelle sue Conclusioni sul completamento dell'Unione bancaria del 17 giugno 2016, per poi essere ribadita dalla Commissione nella sua Comunicazione sull'Unione dei mercati dei capitali (COM(2016) 601 final).

È su tale background che pertanto si innesta la proposta di Direttiva in commento. Obiettivo chiave è quello di ridurre i principali limiti al libero flusso dei capitali dovuti proprio alle differenze dei sistemi giuridici tra gli Stati membri in materia di insolvenza, ristrutturazione e seconda opportunità, attraverso l'elaborazione di principi comuni che i singoli Paesi sono chiamati a implementare entro due anni dalla entrata in vigore della futura Direttiva, nella discrezionalità loro lasciata dall'impiego di tale strumento. La stessa Commissione ammette comunque l'impossibilità di armonizzare aspetti centrali della disciplina in esame (quali quelli relativi alle condizioni di apertura delle procedure di insolvenza, alla definizione stessa di insolvenza, al grado dei crediti e alle azioni revocatorie), anche alla luce della stretta interconnessione con altre materie. Conseguentemente l'area di intervento si riduce alla risoluzione di quelle problematiche che possono agevolmente essere superate attraverso il rispetto di standard minimi così da avere quadri normativi basati su principi comuni in tutta l'UE. Insomma, una scelta di second best, come si dice, indotta dall'insufficienza dei risultati ottenuti con la precedente Raccomandazione, la quale verrebbe quindi superata da uno strumento legislativo dotato di una certa vincolatività e con oggetto più ampio e dettagliato. Strumento – si badi – che si aggiunge, senza nulla togliere, al già vigente Reg. (UE) 848/2015 sulle procedure di insolvenza (in GU L 141/19 del 5 giugno 2015), che, come noto, ha sostituito il precedente Reg. (CE) 1346/2000 (seppur con applicazione dal 26 giugno 2017). Detto Regolamento, infatti, nel dettare norme uniformi in tema di legge applicabile, giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, nonché coordinamento tra procedure (oggi con riguardo anche ai gruppi multinazionali di imprese), non ha inteso armonizzare il diritto fallimentare sostanziale degli Stati membri, limitando il proprio ambito di applicazione alle sole procedure concorsuali di carattere transfrontaliero. La Direttiva proposta si pone quindi a complemento della normativa esistente (e a tal fine non potranno mancare norme di raccordo), stabilendo un common EU-wide framework in grado di assicurare procedure efficienti non solo cross-border, ma ancor prima a livello nazionale, sulla base dell'evidenza – espressa dalla stessa Commissione – che sistemi ben funzionanti in materia di insolvenza, ristrutturazione ed esdebitazione sono fondamentali per sostenere la crescita economica, attrarre investitori, conservare e creare posti di lavoro, oltre ad aiutare le economie ad assorbire gli shock economici. L'iniziativa legislativa, pertanto, non (poteva e non) può più essere procrastinata, anche guardando ai dati raccolti, che dimostrano come ogni anno in UE falliscono circa 200 mila imprese (quasi 600 al giorno), con una perdita di 1,7 milioni di posti di lavoro, e che un quarto di tali insolvenze ha carattere transfrontaliero, involgendo più di un Paese membro, tra i quali però il tasso di recupero dei crediti varia notevolmente (dal 30% di Croazia e Romania al 90% di Belgio e Finlandia, con l'Italia a metà classifica), così come diverge la durata delle procedure (in Slovacchia, ad esempio, una procedura di insolvenza dura dieci volte di più che in Irlanda e anche in tal caso l'Italia si assesta nella media UE, con procedure che si prolungano per circa due anni).

Pure a livello nazionale, con l'approvazione lo scorso anno da parte del Consiglio dei Ministri dello schema di d.d.l. recante la Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza,è stata ormai percepita come indifferibile una riforma organica dell'intera materia dell'insolvenza e delle procedure concorsuali ad essa relative, in chiave di efficienza del sistema Paese, sulla scia dell'esperienza degli altri Stati europei. All'art. 1 si prevede espressamente che, nell'esercizio della delega, il Governo tenga conto anche della normativa comunitaria e, in specie, del Reg. (UE) 848/2015, nonché della Raccomandazione 2014/135/UE. Diversi principi di delega risultano pertanto in linea con quanto oggi previsto dalla Commissione, innestandosi comunque su un quadro normativo già sotto certi aspetti conforme alle previsioni sovranazionali.

È apparso così utile, in questa sede, guardare in dettaglio al contenuto della proposta Direttiva, ancorché suscettibile di modifiche a seguito del passaggio in Parlamento europeo e Consiglio, così da vagliare la compatibilità delle emanande disposizioni nazionali con le prescrizioni europee.

Quanto al contenuto della proposta Direttiva, dopo i 47 Considerando iniziali, il testo normativo si struttura in sei Titoli, dedicati rispettivamente a: I) General provisions (artt. 1-3); II) Preventive restructuring frameworks, titolo a sua volta suddiviso in cinque capitoli: 1) Availability of preventive restructuring frameworks (art. 4); 2) Facilitating negotiations on preventive restructuring plans (artt. 5-7); 3) Restructuring plans (artt. 8-15); 4) Protection for new financing, interim financing and other restructuring related transactions (artt. 16-17); 5) Duties of directors in connection with negotiations on a preventive restructuring plan (art. 18); III) Second chance for entrepreneurs (artt. 19-23); IV) Measures to increase the efficiency of restructuring, insolvency and second chance (artt. 24-28); V) Monitoring of restructuring, insolvency and discharge procedures (artt. 29-30); VI) Final provisions (artt. 31-35).

La Relazione illustrativa (p. 7, vers. it.) precisa che la Proposta fissa obiettivi comuni sotto forma di principi o, ove necessario, di norme mirate dettagliate. Il suo scopo, tuttavia, non è quello di intervenire su “quello che funziona bene”, lasciando quindi agli Stati membri la flessibilità necessaria per conseguire i predetti obiettivi, applicando i principi e le norme mirate secondo modalità adeguate ai contesti nazionali. Di tale avvertenza si è tenuto conto nella lettura del testo della Proposta.

Per il raffronto con il contesto nazionale, oltre al quadro normativo vigente, si è preso in considerazione il testo della riforma approvato dalla Camera dei deputati il 1° febbraio 2017 (C.3671-bis), così come trasmesso al Senato.

Principi direttivi europei: ambito oggettivo e soggettivo di applicazione

Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione (artt. 1 e 2, nn. 1, 2, 13 e 14).

La direttiva si applica alle:

a) procedure di ristrutturazione preventiva caratteristiche:

  • accessibili dal debitore (imprenditore) che versa in difficoltà finanziarie, per il quale sussiste una probabilità di insolvenza;
  • consistenti nella modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore (tra cui il capitale azionario), o una combinazione di questi elementi, compresa la vendita di attività o parti dell'impresa;
  • aventi l'obiettivo di consentire la continuazione, in tutto o in parte, dell'impresa e quindi ripristinare la sostenibilità economica ed evitare l'insolvenza (art. 4, § 1);

b) procedure di liberazione dai debiti caratteristiche:

  • accessibili dall'imprenditore sovraindebitato, ossia dalla persona fisica che esercita un'attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale, incapace per un periodo di tempo non temporaneo di pagare i debiti in scadenza, con facoltà degli Stati membri di estendere l'applicazione di tali procedure anche alle persone fisiche sovraindebitate che non sono imprenditori;
  • consistenti in una qualunque procedura che preveda la realizzazione dell'attivo e/o un piano di rimborso/regolamento e che conduca alla cancellazione dei debiti insoluti;
  • aventi l'obiettivo di consentire al soggetto sovraindebitato di accedere a una nuova attività;

c) procedure di insolvenza caratteristiche:

  • accessibili dal debitore (imprenditore) che versa in stato di insolvenza;
  • consistenti in una procedura concorsuale che comporta lo spossessamento parziale o totale del debitore e la nomina di un curatore.

Sono escluse dall'ambito applicativo le suddette procedure ove riguardino:

  • persone fisiche non imprenditori (fatta salva la facoltà riconosciuta agli Stati membri con riguardo alle procedure di liberazione dai debiti, v. supra);
  • mprese assicuratrici, enti creditizi, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo, controparti centrali, depositari centrali di titoli e altri istituti finanziari.

In merito al testo della Proposta:

L'ambito soggettivo della direttiva è limitato, di regola, ai soli soggetti imprenditori per tutte e tre le tipologie di procedure prese in considerazione. Tuttavia non viene data una generale definizione di “imprenditore”, ma solo di “imprenditore sovraindebitato” con riferimento alle procedure di liberazione dai debiti (v. infra quanto scritto sulle procedure di liberazione dai debiti).

  • Non risulta pertanto chiaro se nella generica espressione “debitore” impiegata con riferimento alle procedure di ristrutturazione preventiva debbano essere ricomprese, quali soggetti “imprenditori”, le persone fisiche esercenti un'attività, oltre che commerciale, anche eventualmente agricola, artigianale o professionale indipendente, con esclusione quindi dei soli consumatori.
  • Una risposta positiva sembra avvalorata alla luce della precedente Raccomandazione della Commissione 2014/135/UE del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza.

Con specifico riguardo alla figura del “consumatore”, viene sottolineato che, sebbene la direttiva non contenga norme vincolanti in materia di sovraindebitamento del consumatore, gli Stati membri dovrebbero poter applicare le disposizioni sulla liberazione dai debiti anche a tale soggetto (considerando n. 15).

  • Da qui la facoltà riconosciuta agli Stati membri con riguardo alle procedure di liberazione dai debiti.

L'esclusione delle altre categorie di soggetti viene invece giustificata in quanto categorie sottoposte a disposizioni speciali e nei cui confronti le autorità di vigilanza nazionali sono investite di ampi poteri di intervento (considerando n. 14).

Non si chiarisce inoltre cosa debba intendersi per “difficoltà finanziaria” e “probabilità di insolvenza”, rimettendone dunque la definizione alla legislazione nazionale.

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

Quanto all'ambito di applicazione oggettivo della direttiva, a livello nazionale risultano in generale interessati:

a) con riguardo alle procedure di ristrutturazione preventiva:

  • il concordato preventivo;
  • gli accordi di ristrutturazione dei debiti;
  • le convenzioni di moratoria;
  • i piani di risanamento;
  • l'accordo di composizione della crisi

(per dettagli v. infra quanto scritto sui quadri nazionali di ristrutturazione preventiva);

b) con riguardo alle procedure di liberazione dai debiti:

  • il fallimento;
  • la liquidazione del patrimonio;
  • il concordato preventivo;
  • l'accordo di composizione della crisi;
  • il piano del consumatore;

(per dettagli v. infra quanto scritto sulle procedure di liberazione dai debiti);

c) con riguardo alle procedure di insolvenza:

  • il fallimento;
  • la liquidazione del patrimonio;
  • la liquidazione coatta amministrativa (limitatamente agli enti non rientranti nelle categorie escluse);
  • l'amministrazione straordinaria (limitatamente agli enti non rientranti nelle categorie escluse).

Non tutte le tipologie dei procedimenti nazionali menzionati possono per certo rientrare nelle tre categorie di procedure individuate a livello europeo, dovendo vagliarsi, caso per caso, i tratti caratteristici di ciascuno declinati nella fattispecie concreta è la loro inclusione risulta pertanto meramente potenziale.

Allo stato attuale, dovrebbe ad esempio escludersi la possibilità di ricondurre nell'alveo delle procedure di ristrutturazione preventiva un concordato preventivo liquidatorio sfruttato dall'imprenditore già insolvente, senza prospettive di continuazione dell'impresa.

Quanto all'ambito di applicazione soggettivo della direttiva, a livello nazionale sorge la necessità di interrogarsi sull'attuale restringimento dell'operatività di talune procedure a determinati soggetti, con esclusione di altri (es.: concordato preventivo limitato ai soli imprenditori commerciali dotati di certi requisiti dimensionali) e, dunque, sulla compatibilità di tali limitazioni con le previsioni della direttiva.

  • Non si crede tuttavia che l'esclusione da parte del legislatore nazionale di determinati soggetti dall'accesso a talune tipologie di procedimenti riconducibili alle categorie di procedure europee sia in contrasto con la direttiva, nella misura in cui a tali soggetti, comunque rientranti nell'ambito di applicazione soggettivo della direttiva riguardante una data categoria di procedura, venga assicurato l'accesso ad altri procedimenti nazionali riconducibili alla categoria di procedura europea in questione.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Tra i criteri direttivi cui deve attenersi il Governo nell'esercizio della delega, si prevede espressamente di assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un'attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici, delegando il Governo a disciplinarne distintamente i diversi esiti possibili, con riguardo all'apertura di procedure di regolazione concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria, tenendo conto delle relative peculiarità soggettive ed oggettive, ed in particolare assimilando il trattamento dell'imprenditore che dimostri di rivestire un profilo dimensionale inferiore a parametri predeterminati, in linea con il vigente art. 1 l.fall., a quello riservato a debitori civili, professionisti e consumatori (art. 2, lett. e).

  • Ne consegue pertanto che l'ambito soggettivo di applicazione dei procedimenti potenzialmente rientranti nelle categorie di procedure contemplate dalla direttiva, laddove presuppongano un accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, potrebbe essere anche più ampio di quello individuato dalla direttiva medesima.

Con particolare riguardo alle procedure di sovraindebitamento si richiede di ricomprendere anche i soci illimitatamente responsabili (art. 9, lett. a).

  • Non è chiaro se detta specificazione deve riguardare, propriamente, solo l'accordo di composizione della crisi e il piano del consumatore o, come si crede – giocoforza –, anche la liquidazione del patrimonio, quale procedura alternativa a quelle di composizione della crisi da sovraindebitamento.
  • Nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri, nel richiedere al Governo di specificare le categorie di debitori assoggettabili alle procedure di sovraindebitamento, anche in base ad un criterio di prevalenza delle obbligazioni assunte a diverso titolo, si intendevano peraltro ricomprendere anche le persone fisiche e gli enti non assoggettabili alla procedura di concordato preventivo e liquidazione giudiziale è la previsione è stata tuttavia soppressa.

Sempre tra i criteri direttivi si prevede inoltre l'introduzione di una definizione di “stato di crisi” distinta dall'attuale nozione di “insolvenza” che verrà mantenuta (art. 2, lett. c).

  • In particolare si precisa che la “crisi” debba essere intesa come “probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica”.
  • Sembra quindi ragionevole aspettarsi che nella predetta definizione possano confluire anche i concetti di “difficoltà finanziaria” e “probabilità di insolvenza” impiegati nella direttiva europea.

Non sembra invece richiedersi alcun ritocco della definizione attualmente offerta di “sovraindebitamento”, anch'essa comunque inglobante i suddetti concetti.

Strumenti di allerta

Strumenti di allerta (art. 3).

Trattasi di strumenti:

  • accessibili agli imprenditori e ai debitori (diversi dagli imprenditori), ma con facoltà degli Stati membri di limitare l'accesso unicamente alle piccole e medie imprese o ai soli imprenditori;
  • in grado di:

- individuare un andamento degenerativo dell'impresa;

- segnalare all'imprenditore o al debitore la necessità di agire con urgenza;

predisposti dagli Stati membri, con la garanzia che i soggetti interessati possano facilmente consultare la disponibilità degli stessi, mediante accesso a informazioni pertinenti, aggiornate, chiare, concise.

In merito al testo della Proposta:

Salvo i tratti essenziali delineati, gli strumenti di allerta non sono ulteriormente disciplinati dalla direttiva. Gli Stati membri conservano quindi flessibilità nel predisporre i mezzi più adeguati per attuare nel contesto nazionale gli strumenti di allerta previsti. Tuttavia, il considerando n. 16 precisa che:

  • tra i possibili meccanismi di allerta dovrebbero figurare obblighi di contabilità e monitoraggio in capo al debitore o ai dirigenti del debitore e obblighi di segnalazione nell'ambito dei contratti di prestito;
  • si potrebbero incoraggiare od obbligare, a norma del diritto nazionale, i terzi in possesso di informazioni rilevanti, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, a segnalare gli andamenti negativi.

Gli strumenti di allerta sono contemplati a latere delle procedure di ristrutturazione preventiva e di liberazione dai debiti. Non è chiaro però il rispettivo campo di operatività. A tale riguardo, il contestuale riferimento ai soggetti “debitori” e “imprenditori”, può significare che la prima espressione debba:

a) riferirsi a quei soggetti, persone fisiche o giuridiche, esercenti un'attività commerciale, artigianale o professionale, che però, ai fini della direttiva in commento, sono comunque qualificabili come imprenditori è ciò, seppur con una certa incoerenza dal punto di vista lessicale (posto che agli “imprenditori” verrebbero contrapposti altri soggetti imprenditori), sarebbe confermato dalla Relazione illustrativa (p. 22, vers. it.), laddove si intende espressamente riferire la disposizione sulla disponibilità degli strumenti di allerta ai debitori, “siano essi persone giuridiche o persone fisiche che esercitano un'attività commerciale, imprenditoriale o professionale (imprenditori)”;

b) ridursi alle sole persone fisiche diverse dagli imprenditori e, dunque, ai consumatori, il che però acquisterebbe un senso, quantomeno, laddove si opti per l'estensione dell'applicabilità delle disposizioni sulla liberazione dai debiti anche a tali soggetti (v. supra quanto scritto sull'ambito di applicazione soggettivo della direttiva) è ciò potrebbe essere confermato facendo leva sulla possibilità riservata agli Stati membri di restringere l'accesso ai predetti strumenti ai soli soggetti imprenditori, complessivamente intesi o limitatamente alle PMI.

In merito all'eventuale restringimento della possibilità di accesso agli strumenti di allerta, si osserva peraltro che:

  • la limitazione ai soli imprenditori appare ragionevole (ancorché non giustificata) solo laddove, a monte, si opti per l'estensione dell'applicabilità delle disposizioni sulla liberazione dai debiti anche ai consumatori, ché, diversamente, anche gli altri debitori, come visto, sono qualificabili come imprenditori ai fini della direttiva in esame;
  • un'eventuale ulteriore limitazione alle sole PMI non appare ragionevole, a prescindere dalla mancata o prevista estensione dell'ambito di applicazione soggettivo ai consumatori, ma certamente a fortiori in quest'ultimo caso, anche alla luce della giustificazione offerta che sottolinea come “le piccole e medie imprese spesso non hanno, soprattutto in caso di difficoltà finanziarie, le risorse per pagare una consulenza professionale” (considerando n. 13).

È evidente dunque come, a livello europeo, debba essere fatta maggiore chiarezza, ferma, si ritiene, la possibilità per il legislatore nazionale di prevedere l'accesso a strumenti di allerta (non solo a determinate categorie di soggetti in ossequio alle previsioni europee, ma) anche in via generalizzata, laddove venga comunque e di base garantita le categoria degli “imprenditori” prevista dalla direttiva.

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

Nonostante sussistano indici e meccanismi in grado di rivelare anticipatamente, in misura più o meno attendibile, l'avanzare dello stato di crisi, attualmente è assente una disciplina specifica su ben definiti strumenti di allerta a beneficio di imprenditori e (eventualmente) consumatori.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Al fine di incentivare l'emersione anticipata della crisi (in conformità all'obiettivo già promosso dalla Raccomandazione 2014/135/UE), si prevede l'introduzione di procedure di allerta (su cui poi eventualmente innestare una procedura di composizione assistita della crisi, v. infra). In particolare:

- nell'esercizio della delega, il Governo è chiamato a individuare i casi in cui dette procedure non trovano applicazione, escludendo in ogni caso le società quotate e le grandi imprese come definite dalla normativa UE (art. 4, lett. a);

- la competenza in merito a tali procedure è da attribuirsi ad apposito organismo istituito presso ciascuna camera di commercio, il quale, a seguito delle segnalazioni ricevute o su istanza del debitore, è tenuto a convocare immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore medesimo, oltre agli organi di controllo qualora si tratti di società, al fine di individuare nel più breve tempo possibile, previa verifica della situazione patrimoniale, economica e finanziaria in essere, le misure idonee a porre rimedio allo stato di crisi (art. 4, lett. e);

- a tale scopo, è posto un obbligo a carico:

  • degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni, di avvisare immediatamente l'organo amministrativo della società dell'esistenza di fondati indizi della crisi e, in caso di omessa o inadeguata risposta, di informare direttamente il competente organismo di composizione della crisi (art. 4, lett. c);
  • dei creditori pubblici qualificati (come l'agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali):

i) di segnalare immediatamente (a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari o per i quali procedono) agli organi di controllo e comunque all'organismo di composizione assistita della crisi, il perdurare di inadempimenti di importo rilevante (definiti sulla base di criteri relativi rapportati alle dimensioni dell'impresa);

ii) di dare immediato avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato l'importo rilevante e che si procederà ad effettuare la segnalazione ai competenti organi, se entro i successivi tre mesi il debitore medesimo non attivi il procedimento di composizione assistita della crisi o estingua il debito o raggiunga un accordo con il creditore pubblico qualificato o non richieda l'ammissione ad una procedura concorsuale (art. 4, lett. d);

a tale riguardo, si dettano inoltre i criteri al fine di regolare i rapporti tra la procedura di composizione assistita della crisi avviata dal debitore e il procedimento di segnalazione iniziato da un creditore pubblico qualificato (art. 4, lett. i);

- si richiede l'introduzione di misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale (tra cui la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità; un'attenuante ad effetto speciale per gli altri reati; una congrua riduzione degli interessi e delle sanzioni correlati ai debiti fiscali dell'impresa, fino alla conclusione della procedura), in favore dell'imprenditore che ha tempestivamente proposto:

  • l'istanza di composizione assistita della crisi; o
  • l'istanza di omologazione di un accordo di ristrutturazione; o
  • un concordato preventivo; o
  • ricorso per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale (art. 4, lett. h)

il requisito della tempestività ricorre esclusivamente quando il debitore ha proposto una delle predette istanze entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria.

In generale, non si precisa se l'accesso alle procedure di allerta sia riservato ai soli imprenditori o aperto anche ai consumatori in vista dell'apertura di un'eventuale procedura di sovraindebitamento (accordo o piano) o liquidazione del patrimonio, ma sembra possibile ritenere assente alcuna limitazione, anche in ragione del fatto che, tra i già citati criteri direttivi cui deve attenersi il Governo nell'esercizio della delega, si prevede espressamente di assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore (v. supra quanto scritto sull'ambito soggettivo di applicazione) e, pertanto, è ragionevole ritenere che ogni categoria di debitore abbia accesso agli strumenti di allerta. Resta però fermo il riferimento ai soli imprenditori per quanto concerne le misure premiali.

Inoltre, per quanto nella delega non si preveda alcun meccanismo preferenziale a beneficio delle sole PMI, si richiede espressamente l'individuazione dei casi in cui le procedure di allerta, come quelle di composizione assistita della crisi, non trovino applicazione, già predeterminando l'esclusione delle società aperte e di grandi dimensioni.

Alla luce di quanto richiesto dalla direttiva, sarebbe opportuno introdurre, nel quadro normativo nazionale, una previsione che garantisca ai soggetti interessati (eventualmente per il tramite delle stesse camere di commercio) l'accesso a “informazioni pertinenti, aggiornate, chiare, concise e di facile consultazione” sulla disponibilità degli strumenti di allerta previsti.

Quadro di ristrutturazione preventiva

Quadro di ristrutturazione preventiva (art. 4):

  • deve essere accessibile al debitore (imprenditore, sia persona fisica che giuridica) in difficoltà finanziarie qualora sussista una probabilità di insolvenza;
  • deve essere disponibile su richiesta del debitore o dei creditori con l'accordo del debitore è al tal fine, gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a informazioni pertinenti, aggiornate, chiare, concise e di facile consultazione sulla disponibilità di qualsiasi mezzo per ristrutturarsi in una fase precoce (art. 3, § 2);
  • deve essere efficace nel consentire al debitore di:

- ristrutturare i debiti o l'impresa;

- ripristinare la sostenibilità economica;

- evitare l'insolvenza;

  • può consistere in una o più procedure o misure, ma in ogni caso la partecipazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa è limitata ai casi in cui è necessaria e proporzionata alla salvaguardia dei diritti delle parti interessate, ovverosia dei creditori o delle classi di creditori, nonché, eventualmente, dei detentori di strumenti di capitali sui cui crediti o interessi incide il piano di ristrutturazione (art. 2, n. 3).

In merito al testo della Proposta:

Emerge che il quadro di ristrutturazione preventiva:

- può comprendere anche una molteplicità di procedure o misure, purché:

  • le stesse siano flessibili (considerando n. 18) e sostanzialmente privatistiche, dovendo essere l'intervento pubblico necessariamente e proporzionalmente limitato alla tutela dei diritti delle parti interessate;
  • il debitore possa combinarne tutti gli elementi onde negoziare efficacemente un piano di ristrutturazione e adottarlo (cfr. Relazione illustrativa, p. 22, vers. it.)

- dovrebbe massimizzare il valore totale per i creditori, i proprietari e l'economia in generale e prevenire l'accumulo di crediti deteriorati (considerando n. 2);

  • Alla luce dei suddetti motivi, dunque, il concetto di ristrutturazione dovrebbe essere interpretato nel senso più ampio possibile, anche a livello di gruppo, ancorché non espressamente previsto (del resto anche dalla Valutazione d'impatto emerge la possibilità, garantita dal quadro previsto, di migliorare le prospettive di aumento delle ristrutturazioni dei gruppi di imprese transfrontalieri, i cui costi sono attualmente proibitivi).

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

Gli strumenti attualmente a disposizione dell'imprenditore in stato di crisi che consentono (eventualmente anche) una ristrutturazione preventiva e il ripristino della sostenibilità economica, al fine di evitare il fallimento o in alternativa alla liquidazione del patrimonio, sono:

  • il concordato preventivo e, in particolare, il concordato preventivo con continuità aziendale;
  • gli accordi di ristrutturazione;
  • le convenzioni di moratoria;
  • i piani di risanamento;
  • l'accordo di composizione della crisi e, in particolare, l'accordo con continuazione dell'attività d'impresa (non anche il piano, in quanto sfruttabile dal solo consumatore, escluso dal campo di operatività delle procedure di ristrutturazione preventiva, v. supra quanto scritto sull'ambito di applicazione soggettivo).

Tuttavia, come già rilevato (v. supra quanto scritto sull'ambito di applicazione oggettivo), è possibile interrogarsi sulla loro sempre certa riconduzione all'interno dei quadri di ristrutturazione preventiva alla luce dei tratti essenziali delineati dalla direttiva, specie ove non interpretati in modo elastico, riguardanti in particolare (limitandosi alle previsioni della norma in commento):

- l'assenza di uno stato di insolvenza (in quanto il quadro di ristrutturazione dovrebbe essere disponibile prima che il debitore sia insolvente) e, al contempo, la sussistenza di una probabilità di insolvenza (in quanto, onde evitare abusi della procedura, è opportuno che le difficoltà finanziarie del debitore riflettano una probabilità di insolvenza), v. considerando n. 17;

- il limitato intervento dell'autorità pubblica, sia essa giurisdizionale o amministrativa.

  • V. anche infra quanto scritto sulle caratteristiche proprie delle procedure afferenti al quadro di ristrutturazione preventiva, con l'avvertimento che, laddove si riconosca un'incompatibilità tra le previsioni della direttiva e le previsioni nazionali vigenti (ed eventualmente emanande) relative a procedimenti che, per lo scopo a cui sono preordinati, sono potenzialmente riconducibili alle procedure di ristrutturazione preventiva contemplate a livello europeo, il conflitto di incompatibilità potrebbe essere alternativamente risolto:

a) adeguando la normativa interna di tutti i procedimenti in questione a quella europea, scontando in taluni casi anche modifiche sostanziali della disciplina corrente (salvo ricorrere a quella “flessibilità” consentita nel procedere all'implementazione dei principi direttivi europei nel contesto nazionale);

b) restringendo l'area di intervento, ai fini della doverosa implementazione della legislazione europea, a quei procedimenti già maggiormente in linea con le previsioni sovranazionali.

  • In quest'ultimo caso, l'esclusione (per un'incompatibilità non superabile con il quadro europeo) degli altri procedimenti dal novero delle procedure di ristrutturazione preventiva (comunque finalizzati – eventualmente anche non in via esclusiva – alla ristrutturazione dei debiti o dell'impresa, al ripristino della sostenibilità economica e a prevenire l'insolvenza) potrebbe ammettersi nella misura in cui vengano comunque assicurati, alla platea di soggetti rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva, ulteriori e diversi strumenti, nella forma di procedure di ristrutturazione preventiva totalmente conformi al quadro delineato a livello europeo è per fare un esempio, la disciplina dell'odierno concordato preventivo potrebbe differenziarsi a seconda che si tratti di un concordato con continuità aziendale o di altra tipologia di concordato, con conseguente adeguamento della normativa vigente alle previsioni europee solo con riguardo al primo.
  • Resta naturalmente ferma la possibilità di graduare, entro i margini consentiti dalla direttiva europea (anche in virtù di quella “flessibilità” consentita, v. supra), i requisiti e le condizioni richieste a seconda del tipo di procedimento previsto, rifuggendo da una sterile omogeneità di disciplina tra diversi procedimenti spendibili nel quadro di ristrutturazione preventiva è per fare un esempio, la disciplina del concordato preventivo con continuità aziendale e quella degli accordi di ristrutturazione dei debiti dovrebbe poter rimanere differenziata.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Già ispirato a quanto previsto dalla precedente Raccomandazione 2014/135/UE, il d.d.l. introduce:

  • il principio di dare priorità di trattazione, salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale (anche per il tramite di un diverso imprenditore), purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non venga proposta idonea soluzione alternativa (art. 2, lett. g);
  • previsioni integrative dell'attuale disciplina del concordato con continuità aziendale (art. 6, co. 1, lett. l);
  • incentivi per l'utilizzo degli accordi di ristrutturazione dei debiti, delle convenzioni di moratoria e i piani attestati di risanamento (art. 5);
  • il principio dell'ammissibilità di proposte concordatarie che abbiano natura liquidatoria esclusivamente quando è previsto l'apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori, assicurando, in ogni caso, il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare complessivo dei crediti chirografari (art. 6, co. 1, lett. a);
  • criteri direttivi per il riordino e la semplificazione delle procedure di regolazione del sovraindebitamento (art. 9).

Le novità introdotte devono essere vagliate alla luce del testo della direttiva, al fine di verificare:

  • quali procedure (ed eventualmente a quali condizioni) possano essere ricomprese nel quadro di ristrutturazione preventiva delineato a livello europeo;
  • quali correttivi alla disciplina interna dovrebbero essere apportati in vista di una eventuale futura implementazione della direttiva.

Per dettagli v. infra.

Procedura di ristrutturazione preventiva

Procedura di ristrutturazione preventiva - Poteri del debitore (art. 5):

  • il debitore deve mantenere il controllo totale, o almeno parziale, dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa (debitore non spossessato);
  • la nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione (mediatore/supervisore/amministratore) non deve essere obbligatoriamente sempre prevista, ma può essere disposta dall'autorità giudiziaria o amministrativa per svolgere uno o più dei seguenti compiti (art. 2, n. 15):

- assistere il debitore o i creditori nel redigere o negoziare il piano di ristrutturazione;

- vigilare sull'attività del debitore durante le trattative sul piano di ristrutturazione e riferire all'autorità giudiziaria o amministrativa;

- assumere il controllo parziale delle attività o degli affari del debitore durante le trattative.

  • la nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione (mediatore/supervisore/ammini-stratore) può essere obbligatoriamente prevista quando:

- al debitore è concessa la sospensione generale delle azioni esecutive individuali, ossia, la sospensione temporanea dei diritti dei creditori a far valere i propri crediti nei confronti debitore medesimo, su ordine dell'autorità giudiziaria o amministrativa (art. 2, n. 4);

- il piano di ristrutturazione deve essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa mediante ristrutturazione trasversale dei debiti, ossia, nonostante il dissenso di una o più classi interessate di creditori (art. 2, n. 8).

In merito al testo della Proposta:

Non si riscontra alcuna previsione normativa in ordine alla fase di apertura della procedura, così da lasciare agli Stati membri piena autonomia nella relativa disciplina. Si rinviene una sola indicazione nel considerando n. 18, da cui si evince che:

  • non dovrebbe necessariamente occorrere un provvedimento giudiziario per avviare il processo di ristrutturazione (coerentemente a quanto già previsto dalla Raccomandazione 2014/135/UE);
  • l'apertura della procedura può dunque essere anche informale, purché non incida sui diritti dei terzi (precisazione di nuovo conio).

La figura del professionista nel campo della ristrutturazione non viene espressamente declinata nelle qualifiche di mediatore, supervisore e amministratore, ma definita sulla base dei compiti tradizionalmente attribuiti a tali soggetti, trovandosi la relativa corrispondenza, ancorché solo per il mediatore e il supervisore, nella Raccomandazione 2014/135/UE. L'impiego di tali qualifiche si rinviene comunque anche nella Relazione illustrativa (p. 23, vers. it.) e nel considerando n. 18.

A riguardo, nel citato considerando, si precisa altresì che:

  • la nomina dei suddetti soggetti dovrebbe essere decisa caso per caso in funzione delle circostanze o delle esigenze specifiche del debitore;
  • tuttavia, è opportuno garantire un certo grado di vigilanza laddove sia necessario per tutelare i legittimi interessi di uno o più creditori o di terzi.

Si noti, in ogni caso, come l'impiego di tali figure (con i relativi limiti) sia previsto dalla direttiva unicamente nel corso delle trattative.

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

In ordine all'avvio delle procedure sopra menzionate (potenzialmente rientranti nel quadro di ristrutturazione preventiva), sono previste regole differenziate con riguardo alla necessità o meno di un provvedimento giudiziario. Si ritiene comunque che, nei casi in cui questo è previsto (v. concordato preventivo e accordo di composizione della crisi), lo stesso sia giustificato anche alla luce del sopra citato considerando n. 18, posto che si tratta di procedure la cui apertura incide sui diritti dei terzi.

In ordine alla nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione, la cui imposizione negli specifici casi previsti resta comunque lasciata alla discrezionalità degli Stati membri, le previsioni nazionali potrebbero richiedere alcuni adeguamenti.

  • Basti a riguardo rilevare che, in fase di trattativa, si prevede unicamente:

- la possibilità, lasciata alla discrezionalità del debitore per la redazione di una proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, di avvalersi dell'ausilio di un organismo di composizione della crisi, il quale è tenuto ad assumere ogni iniziativa funzionale alla predisposizione dell'accordo medesimo;

- la possibilità, lasciata alla discrezionalità del tribunale, di nominare, ancor prima dell'ammissione a procedura di concordato preventivo e in vista di essa, il commissario giudiziale, al fine di vigilare sull'attività del debitore e di riferire all'autorità giudiziaria.

In ordine alle figure del mediatore, del supervisore e dell'amministratore, si rileva che:

  • le funzioni attribuite al supervisore e all'amministratore sono riconosciute, dopo la conclusione delle trattative e in costanza di procedura, a specifici soggetti, se pur diversamente qualificati;
  • la figura del mediatore risulta attualmente sconosciuta nel nostro ordinamento;
  • restano escluse dai compiti dei suddetti soggetti le funzioni attribuite al professionista abilitato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano o l'attuabilità dell'accordo, con la conseguente estraneazione di quest'ultimo dalle categorie previste dalla direttiva è il che potrebbe anche far pensare a un'eliminazione di tale figura (in aderenza a un'opinione già manifestata che evidenzia la sostanziale duplicazione delle relative funzioni rispetto a compiti attribuiti ad altri soggetti): nessuna controindicazione a riguardo si potrebbe peraltro riscontrare dalla direttiva, ove mai si fa menzione della necessità di attestazioni da parte di terzi.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Si prevede di istituire presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti (costituiti anche in forma associata o societaria), destinati a svolgere, su incarico del tribunale, funzioni di gestione o di controllo nell'ambito delle procedure concorsuali, con indicazione dei requisiti di professionalità, indipendenza ed esperienza necessari per l'iscrizione (art. 2, lett. o).

Si prevede inoltre l'introduzione di procedure di composizione assistita della crisi, di natura non giudiziale e confidenziale, finalizzate ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori. In particolare, il Governo è chiamato a prevedere:

  • l'istituzione presso ciascuna camera di commercio di un apposito organismo che assista il debitore nella procedura di composizione assistita della crisi;
  • che l'organismo nomini un collegio composto da almeno tre esperti, di cui uno designato, tra gli iscritti all'apposito albo, dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente per il luogo in cui l'imprenditore ha sede, uno designato, tra gli iscritti al predetto albo, dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura e uno designato, tra gli iscritti al medesimo albo, da associazioni di categoria;
  • l'attribuzione al predetto organismo, su istanza del debitore, della competenza ad addivenire a una soluzione della crisi concordata tra il debitore e i creditori, entro un congruo termine, prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative e, in ogni caso, non superiore complessivamente a sei mesi;
  • le condizioni in base alle quali gli atti istruttori della procedura possono essere utilizzati nell'eventuale fase giudiziale;
  • che l'organismo dia immediata comunicazione ai creditori pubblici qualificati predeterminati dell'avvenuta presentazione dell'istanza di soluzione concordata della crisi;
  • che il collegio, non oltre la scadenza del termine previsto di sei mesi, verifichi se è stata raggiunta una soluzione concordata tra il debitore e i creditori;
  • che, qualora il collegio non individui misure idonee a superare la crisi e attesti lo stato di insolvenza, l'organismo ne dia notizia al pubblico ministero presso il tribunale del luogo in cui il debitore ha sede, ai fini del tempestivo accertamento dell'insolvenza medesima (art. 4, lett. b);
  • misure premiali, sia di natura patrimoniale sia in termini di responsabilità personale (tra cui la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, quando abbiano cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità; un'attenuante ad effetto speciale per gli altri reati; una congrua riduzione degli interessi e delle sanzioni correlati ai debiti fiscali dell'impresa, fino alla conclusione della procedura), in favore dell'imprenditore che ha tempestivamente proposto:
  1. l'istanza di composizione assistita della crisi; o
  2. l'istanza di omologazione di un accordo di ristrutturazione; o
  3. un concordato preventivo; o
  4. ricorso per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale (art. 4, lett. h)

il requisito della tempestività ricorre esclusivamente quando il debitore ha proposto una delle predette istanze entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria.

Procedura di ristrutturazione preventiva - Sospensione delle azioni esecutive individuali (artt. 2, n. 4, e 6), definita come la sospensione temporanea dei diritti dei creditori a far valere i propri crediti nei confronti debitore medesimo, su ordine dell'autorità giudiziaria o amministrativa:

  • deve essere garantita al debitore che sta negoziando un piano di ristrutturazione con i creditori perché possa beneficiarne se e nella misura in cui tale sospensione è necessaria per agevolare le trattative sul piano;
  • può essere:

- generale, ossia riguardare tutti i creditori (compresi i titolari di garanzia o privilegio, ma ad eccezione dei lavoratori per i diritti non soddisfatti, a meno che il pagamento venga garantito in modo adeguato con altri mezzi);

- limitata, ossia riguardare uno o più singoli creditori;

  • può non essere concessa, su richiesta di un singolo creditore o una singola classe di creditori, nei confronti del soggetto richiedente, quando tale soggetto è o sarebbe ingiustamente pregiudicato dalla sospensione medesima;
  • deve avere una durata massima iniziale non superiore a quattro mesi, salva la possibilità di autorizzare, su richiesta del debitore o dei creditori, una proroga o un rinnovo, a condizione che:

- siano stati compiuti progressi significativi nelle trattative sul piano di ristrutturazione; e

- la continuazione della sospensione non pregiudichi ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate, ovverosia dei creditori o delle classi di creditori, nonché, eventualmente, dei detentori di strumenti di capitali sui cui crediti o interessi incide il piano di ristrutturazione (art. 2, n. 3);

  • può essere ulteriormente prorogata, a condizione che:

- siano stati compiuti progressi significativi nelle trattative sul piano di ristrutturazione; e

- la continuazione della sospensione non pregiudichi ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate, ovverosia dei creditori o delle classi di creditori, nonché, eventualmente, dei detentori di strumenti di capitali sui cui crediti o interessi incide il piano di ristrutturazione (art. 2, n. 3); e

- le circostanze del caso indichino che con molta probabilità il piano di ristrutturazione sarà adottato;

  • deve avere una durata massima totale (incluse proroghe e rinnovi) non superiore a dodici mesi;
  • può essere revocata (dalla stessa autorità disponente):

- (d'ufficio o anche d'ufficio), in tutto o in parte, se risulta evidente che una parte di creditori, che ai sensi del diritto nazionale può bloccare l'adozione del piano di ristrutturazione, non appoggia la continuazione delle trattative; o

- su richiesta del debitore o del professionista nel campo della ristrutturazione, in tutto o in parte; o

- su richiesta di un singolo creditore o una singola classe di creditori, solo in parte (nei confronti del soggetto richiedente), quando tale soggetto è o sarebbe ingiustamente pregiudicato dalla sospensione medesima.

In merito al testo della Proposta:

Poiché il quadro di ristrutturazione dovrebbe essere disponibile prima che il debitore sia insolvente e la sospensione delle azioni esecutive individuali è espressamente subordinata (unicamente) alla sussistenza e al grado di necessità di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione (ossia di evitare che dette azioni possano ripercuotersi negativamente sulle trattative e ostacolare le prospettive di ristrutturazione dell'impresa):

- la sospensione non dovrebbe essere prevista di default, ma dovrebbe essere concessa dall'autorità (giudiziaria o amministrativa) su richiesta dello stesso debitore (considerando n. 19);

- la prova della sostenibilità economica non dovrebbe costituire un prerequisito (non solo per l'avvio delle trattative, ma altresì) per la concessione della sospensione delle azioni di esecuzione (considerando n. 18).

  • Dunque, al fine di ottenere la sospensione richiesta, il debitore dovrà dimostrare:

- di versare in difficoltà finanziaria e che sussiste una probabilità di insolvenza;

- di avere in corso negoziati con tutti o alcuni dei suoi creditori aventi ad oggetto un piano di ristrutturazione volto a prevenire l'insolvenza e a garantire la redditività dell'impresa;

- che le azioni di cui si chiede la sospensione sono idonee a esplicare effetti negativi sui negoziati e sull'attuabilità del piano, così inibendo le prospettive di recupero.

Nonostante venga sempre fatto riferimento alle azioni individuali esecutive, quale oggetto di sospensione, dalla definizione offerta non emergono espressioni tali da limitare a solo tale categoria di azioni la sospensione in commento, lasciando emergere dubbi sulla possibile estensione di detta sospensione anche, quantomeno, alle azioni individuali cautelari (e finanche, potenzialmente, a quelle di mero accertamento).

In ogni caso, in assenza di alcuna precisazione a riguardo, sembra che la sospensione debba riguardare, ferme le possibili limitazioni previste, le azioni riguardanti qualunque credito, sorto sia anteriormente che posteriormente rispetto all'ordine di sospensione.

Con riguardo all'eccezione prevista a beneficio dei lavoratori, nella Relazione illustrativa (p. 3, vers. it.) si precisa che, in base alla proposta, i diritti non pagati dei lavoratori di cui alla Direttiva 2008/94/CE dovrebbero, in linea di principio, essere esclusi dalla sospensione delle azioni di esecuzione, che comporterebbe una sospensione temporanea della capacità dei lavoratori di far valere tali diritti, a prescindere dal fatto che questi siano sorti prima o dopo la concessione della sospensione (il che conferma anche quanto sopra scritto); una sospensione per tali diritti dovrebbe essere possibile solo per gli importi e i periodi in relazione ai quali gli Stati membri garantiscono il pagamento di tali diritti con altri mezzi.

Appare invece piuttosto indefinita la possibilità, riservata a una scelta discrezionale dell'autorità disponente, di non concedere (o di non prorogare) o, eventualmente, di revocare quando già concessa, la sospensione nei confronti di singoli soggetti (creditori o classi di creditori) laddove ingiustamente pregiudicati, anche solo potenzialmente (si noti infatti l'uso del verbo pure al condizionale), dalla sospensione medesima. Nel tentativo di orientare il legislatore nazionale, il considerando n. 20 chiarisce che:

- per stabilire se vi sia ingiusto pregiudizio dei creditori, l'autorità giudiziaria o amministrativa può valutare se:

  • la sospensione preservi il valore complessivo della massa fallimentare;
  • se il debitore agisca in malafede o con l'intento di arrecare pregiudizio o, in generale, se agisca contro le aspettative legittime della massa dei creditori;

- in particolare, una classe di creditori o un singolo creditore è ingiustamente pregiudicato dalla sospensione se, ad esempio, a seguito della medesima:

  • i crediti del soggetto interessato risultano in una situazione sostanzialmente peggiore di quella in cui si troverebbero senza la sospensione;
  • il soggetto interessato risulta svantaggiato rispetto ad altri creditori che si trovano in una posizione simile.

Viene fissata una durata massima iniziale, al fine di garantire il giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori, nonché una durata massima totale nell'interesse della certezza del diritto (considerando n. 19).

Non si esplicita però se le condizioni cui sono subordinati la proroga e il rinnovo (da richiedersi per le ristrutturazioni più complesse che impiegano più tempo) debbono in un qual modo essere attestate o comunque verificate da un soggetto terzo o valutate discrezionalmente dall'autorità disponente.

Mentre viene precisato dal considerando n. 19 che:

- l'eventuale richiesta di proroga del periodo iniziale di sospensione dovrebbe essere presentata entro un termine ragionevole in modo da consentire all'autorità disponente di emettere una decisione entro i termini;

- qualora l'autorità in questione non decida sulla proroga prima della scadenza della sospensione, questa dovrebbe cessare di produrre effetti il giorno della scadenza del termine di sospensione.

Poco chiara appare anche la previsione generale relativa alla revoca della sospensione concessa. Parrebbe che la revoca della sospensione possa essere disposta:

- su istanza di parte (debitore o professionista nel campo della ristrutturazione), per qualunque motivo;

- (anche) d'ufficio, quando una parte qualificata di creditori dissenta dal proseguo delle trattative.

  • Si noti, a riguardo, la mancata esplicitazione dei soggetti legittimati alla richiesta di revoca, che invece dovrebbero essere identificati, quantomeno, negli stessi creditori dissenzienti, lasciando in secondo piano un possibile intervento officioso, in coerenza al principio direttivo di limitare la partecipazione dell'autorità giudiziaria o amministrativa (tuttavia il silenzio normativo non sembra escludere a priori una revoca anche d'ufficio, magari su sollecitazione del professionista nel campo della ristrutturazione). Una conferma in tal senso sembra essere offerta dal considerando n. 23, ove si legge che:

- i creditori dovrebbero avere il diritto di opporsi alla sospensione concessa;

- i creditori dovrebbero poter chiedere la revoca della sospensione qualora la stessa non sia più necessaria per facilitare l'adozione del piano di ristrutturazione, ad esempio perché è chiaro che manca il sostegno della maggioranza dei creditori richiesta dal diritto nazionale.

  • La prevista ipotesi di revoca della sospensione per mancato sostegno della maggioranza dei creditori è declinata dal suddetto considerando n. 23, a dispetto del testo normativo, come ipotesi esemplificativa. Seguendo questa chiave di lettura nell'interpretazione della disposizione in commento, ne risulta che i creditori sarebbero legittimati a chiedere la revoca della sospensione anche per altri motivi (ulteriori rispetto all'ingiustificato pregiudizio, v. supra).

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

La sospensione in commento viene tradizionalmente declinata come divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive, a pena di nullità.

Tale divieto, in fase di trattative, è espressamente disciplinato unicamente in caso di:

a) concordato preventivo:

  • direttamente dalla legge (senza dunque necessità per il debitore di richiedere a tal fine un provvedimento autoritativo), a seguito del deposito di una domanda di concordato c.d. “in bianco” o “con riserva” e relativa documentazione;
  • con una durata che si estende fino alla presentazione della domanda completa entro un termine compreso tra 60 e 120 giorni, eventualmente prorogabile di ulteriori 60 giorni;
  • in via generalizzata, senza eccezioni;
  • senza possibilità per i creditori di fare opposizione;
  • senza possibilità di revoca da parte dell'autorità giudiziaria.

b) accordi di ristrutturazione dei debiti:

  • su richiesta del debitore, a seguito del deposito di una proposta di accordo e relativa documentazione;
  • con una durata che si estende fino al deposito dell'accordo di ristrutturazione entro un termine di 60 giorni, senza che sia espressamente prevista un'eventuale proroga;
  • in via generalizzata, senza eccezioni;
  • con possibilità per i creditori di fare opposizione, attraverso il reclamo contro il decreto del tribunale che dispone il divieto;
  • con revoca da parte dell'autorità giudiziaria a seguito dell'accoglimento del reclamo.

Il medesimo divieto, comunque variamente modulabile sulla base di quanto previsto dalle parti interessati, risulta altresì sotteso alle convenzioni di moratoria (dirette a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi) stipulate tra l'impresa debitrice e una o più banche o intermediari finanziari.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Sul tema si prevede:

- la revisione della disciplina delle misure protettive (tra le quali è da comprendersi proprio la sospensione delle azioni individuali) nella procedura di concordato preventivo, specie con riguardo a durata, effetti e possibilità di revoca, su ricorso degli interessati, ove dette misure non arrechino beneficio al buon esito della procedura (art. 6, co. 1, lett. c), con estensione della stessa disciplina anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti, nei limiti della compatibilità (art. 5, lett. c);

- l'introduzione nelle procedure di sovraindebitamento di misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori, o anche d'ufficio in presenza di atti in frode dei creditori (art. 9, lett. g);

- la possibilità anche per il debitore che abbia presentato istanza di composizione assistita della crisi o che sia stato comunque convocato dall'apposito organismo di chiedere al giudice (della competente sezione specializzata in materia di impresa) l'adozione, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, delle misure protettive necessarie per condurre a termine le trattative in corso, delegando al Governo la disciplina relativa a durata, effetti, regime pubblicitario, competenza e revocabilità, anche d'ufficio:

  • in caso di atti in frode ai creditori;
  • o quando il collegio di esperti, nominato dal predetto organismo, riferisca che non vi è possibilità di addivenire ad una soluzione concordata della crisi;

o quando il collegio di esperti, nominato dal predetto organismo, riferisca che non vi sono significativi progressi nell'attuazione delle misure idonee a superare la stessa (art. 4, lett. g).

Procedura di ristrutturazione preventiva - Effetti (immediati e automatici) della sospensione delle azioni esecutive individuali, per il periodo coperto dalla sospensione medesima (art. 7):

1) sospensione dell'obbligo del debitore di presentare istanza di insolvenza è gli Stati membri:

  • possono introdurre una deroga alla sospensione dell'obbligo del debitore di presentare istanza di insolvenza, qualora quest'ultimo entri in crisi di liquidità e sia pertanto incapace a pagare i debiti in scadenza;
  • non possono imporre al debitore di presentare istanza di insolvenza, qualora il periodo di sospensione scada senza che sia stato raggiunto un accordo sul piano di ristrutturazione (a meno che sussistano altre condizioni per la presentazione dell'istanza a norma del diritto nazionale, v. supra);

2) preclusione all'apertura di procedure di insolvenza (in caso di sospensione generale);

3) in relazione ai contratti ineseguiti (con facoltà per gli Stati membri di limitare la disciplina ai soli contratti essenziali necessari per continuare la gestione corrente dell'impresa) con riguardo ai crediti sorti prima della sospensione, divieto ai creditori, nei cui confronti si applica la sospensione, di:

  • rifiutare l'adempimento;
  • chiedere la risoluzione;
  • anticipare la scadenza;
  • introdurre modifiche a danno del debitore;

è il divieto opera anche qualora le suddette pretese siano fatte valere:

  • in forza di una clausola contrattuale che prevede tali misure;
  • in ragione esclusivamente dell'avvio delle trattative di ristrutturazione da parte del debitore;
  • in ragione della sola richiesta di sospensione delle azioni esecutive individuali;
  • sulla base di qualsiasi analoga circostanza connessa alla sospensione

quando poi la sospensione sia in effetti concessa.

La sospensione delle azioni esecutive individuali non deve impedire al debitore di pagare, nell'ambito dell'attività ordinaria, i crediti eseguibili o esigibili dei creditori non interessati (dal piano di ristrutturazione) e dei creditori interessati (dal piano di ristrutturazione) sorti dopo la concessione della sospensione e nel relativo periodo.

In merito al testo della Proposta:

In relazione al divieto imposto ai creditori riguardante i contratti ineseguiti, si precisa che:

  • questi ultimi devono essere contratti parzialmente già eseguiti da ambo le parti contrattuali, alla luce della definizione offerta di “contratto ineseguito”, quale contratto tra il debitore e uno o più creditori ai sensi del quale entrambe le parti hanno ancora obblighi da adempiere nel momento in cui è ordinata la sospensione delle azioni esecutive individuali (art. 2, n. 5);
  • il divieto deve intendersi operante, purché il debitore continui ad adempiere gli obblighi che gli incombono a norma di tali contratti (considerando n. 21).

Tra i contratti ineseguiti per i quali la sospensione delle azioni esecutive individuali dovrebbe sempre comportare il divieto prescritto, per non compromettere la capacità dell'impresa di continuare a operare durante le trattative di ristrutturazione, sono menzionati, a titolo esemplificativo, i contratti di fornitura di beni o servizi essenziali quali gas, energia elettrica, acqua, telecomunicazioni e servizi di pagamento tramite carta (considerando n. 21).

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

Ai fini qui rilevanti, previsioni espresse sui contratti pendenti sono previste solo con riguardo alla disciplina del concordato preventivo, ma in riferimento a una fase in cui la procedura è già aperta.

Con riguardo invece alla fase di trattative, non è stato chiarito dal legislatore se, e a quali condizioni, sia possibile per il debitore che presenta domanda di concordato c.d. “in bianco” o “con riserva” richiedere la sospensione o l'eventuale risoluzione dei contratti in corso.

In ogni caso, la regola della prosecuzione dei contratti pendenti è corredata della clausola di inefficacia di eventuali patti contrari – nel senso di vietare all'altro contraente di risolvere il contratto (ma solo) per effetto dell'apertura della procedura – unicamente con riguardo al concordato preventivo con continuità aziendale.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Con riguardo alla procedura di concordato preventivo, si richiede un'integrazione della disciplina dei provvedimenti che riguardano i rapporti pendenti (art. 6, co. 1, lett. i), con particolare riferimento:

- ai presupposti della sospensione e, dopo la presentazione del piano, anche dello scioglimento;

- al procedimento e al ruolo del commissario giudiziale;

- agli effetti, in relazione agli esiti possibili della procedura;

- alla decorrenza e durata nell'ipotesi di sospensione;

- alla competenza per la determinazione dell'indennizzo e ai relativi criteri di quantificazione.

  • Non pare che le novità da introdursi si intersechino con le prescrizioni europee, salvo intendere, tra gli eventuali presupposti di una possibile sospensione dei contratti pendenti, anche il mero avvio delle trattative per addivenire a un piano concordatario, come lascerebbe emergere il dato testuale.
  • Sembra quindi necessario prevedere, alla luce della direttiva, ulteriori prescrizioni in merito alle conseguenze di una concessa sospensione delle azioni individuali, già in fase di trattativa, sui contratti ineseguiti, anche con riguardo alle altre procedure potenzialmente rientranti nel quadro di ristrutturazione preventiva.

Nulla inoltre è espressamente previsto in ordine alla preclusione di avvio di una procedura di liquidazione giudiziale quale effetto di una concessa sospensione delle azioni individuali, già in fase di trattativa.

Anche a tale riguardo sembra quindi necessario introdurre specificazioni.

Procedura di ristrutturazione preventiva - Piano di ristrutturazione (art. 8):

  • gli Stati membri devono mettere a disposizione (nella lingua nazionale e possibilmente anche in una o più altre lingue in uso negli affari internazionali) un modello online di piano di ristrutturazione, adattabile alle esigenze e alle circostanze del caso concreto e che il soggetto proponente può facoltativamente impiegare, contenente:

- le informazioni richieste dalla normativa nazionale;

- le informazioni pratiche sulle modalità d'uso;

  • Al fine di poter sottoporre il piano di ristrutturazione all'omologazione, il piano deve contenere almeno le seguenti informazioni (contenuto minimo del piano):

- identità del debitore;

- valore corrente dell'impresa;

- dichiarazione motivata (da parte del proponente) sulle cause e sull'entità delle difficoltà finanziarie;

- identità delle parti interessate (ossia dei creditori ed eventualmente dei detentori di strumenti di capitale sui cui crediti o interessi incide il piano, art. 2, n. 3), nonché i relativi crediti e interessi coperti dal piano;

- le classi in cui le parti interessate sono state suddivise, la logica della suddivisione, nonché le informazioni sui componenti di ciascuna classe e sul valore dei rispettivi crediti o interessi;

- l'identità delle parti non interessate e una dichiarazione motivata (da parte del proponente) per cui non si ritiene di includere dette parti nel piano;

- un parere o una dichiarazione motivata (da parte del proponente) indicante:

  • il motivo per cui l'impresa è economicamente sostenibile;
  • il modo in cui l'attuazione del piano dovrebbe consentire al debitore di evitare l'insolvenza e di ripristinare la sostenibilità economica a lungo termine;
  • e necessarie condizioni preliminari per l'attuazione del piano;

- i termini del piano, come ad esempio:

  • durata;
  • eventuali proposte di rinuncia di crediti o rinegoziazione dei debiti o di conversione in altre forme di obblighi;
  • eventuali nuovi finanziamenti anticipati nell'ambito del piano.

In merito al testo della Proposta:

Il contenuto minimo del piano è prescritto solo in vista di una futura omologazione (necessaria per vincolare il piano anche nei confronti delle parti interessate dissenzienti, v. infra quanto scritto sull'omologazione).

  • Nella Relazione illustrativa (p. 23, vers. it.) viene precisato che gli Stati membri possono richiedere informazioni obbligatorie aggiuntive, purché ciò non costituisca un onere sproporzionato per i debitori.

Dalla previsione normativa in commento sembrerebbe che si debba sempre procedere, nella redazione del piano, alla suddivisione in classi delle parti interessate. Tuttavia, nella definizione di “ristrutturazione dei debiti verso i creditori dissenzienti” (art. 2, n. 7), si prende in considerazione anche il caso in cui i creditori non siano suddivisi in classi, laddove si fa riferimento alla “maggioranza in valore dei creditori” o “maggioranza in valore di ciascuna classe di creditori”, nonché al “dissenso della minoranza dei creditori” o “dissenso della minoranza dei creditori di ciascuna classe”. Di questa distinzione non vi è traccia in altre disposizioni, in particolare quelle riguardanti l'adozione del piano e la sua omologazione (artt. 9, 10 e 11), che invece paiono sempre sottendere una suddivisione in classi. Appare comunque ragionevole ritenere che la previsione della facoltatività o meno della suddivisione in classi, eventualmente a scelta del proponente il piano, sia lasciata alla discrezione del legislatore nazionale, il quale, però, nel disciplinare i relativi criteri di formazione, dovrà tenere conto dei principi direttivi europei.

  • Da quanto esplicitato nella Relazione illustrativa (p. 23, vers. it.), nonché già nella precedente Raccomandazione 2014/135/UE, si evince che la previsione di classi distinte è necessaria (solo) qualora siano coinvolti creditori con interessi diversi.

Da una lettura del testo nel suo complesso, ponendo attenzione alla differente portata del considerando e delle norme qui di seguito richiamati, si desume che:

- le parti interessate dovrebbero essere trattate in classi distinte in funzione dei criteri di formazione delle classi previsti dal diritto nazionale (considerando n. 25);

- gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate siano trattate in classi distinte che rispecchiano i criteri di formazione delle classi (art. 9, § 2);

- la “formazione delle classi” viene espressamente definita come “il raggruppamento all'interno del piano di ristrutturazione dei creditori e dei detentori di strumenti di capitale interessati in funzione dei diritti e del rango dei crediti e degli interessi, tenuto conto degli eventuali diritti, pegni o accordi tra creditori preesistenti, e il loro trattamento nell'ambito del piano di ristrutturazione” (art. 2, n. 6);

- le classi sono formate in modo tale che ciascuna comprenda crediti o interessi con diritti sufficientemente simili da considerarne i membri un gruppo omogeneo con comunanza di interessi (art. 9, § 2);

- come minimo, i creditori garantiti e quelli chirografari sono trattati in classi distinte (art. 9, § 2);

- gli Stati membri possono prevedere che:

  • i detentori di strumenti di capitale siano raggruppati in una o più specifiche classi distinte (art. 12, § 1);
  • i lavoratori siano trattati in una specifica classe distinta (art. 9, § 2);

- il diritto nazionale dovrebbe in ogni caso assicurare che gli aspetti di particolare importanza per la formazione delle classi, come i crediti di parti collegate, ricevano un trattamento adeguato e dovrebbe contemplare norme sui crediti potenziali e sui crediti contestati (considerando n. 25);

- la formazione delle classi è esaminata dall'autorità giudiziaria o amministrativa quando è presentata la domanda di omologazione del piano di ristrutturazione (art. 9, § 3);

- gli Stati membri possono prevedere che la formazione delle classi sia esaminata dall'autorità giudiziaria o amministrativa anche in una fase anteriore rispetto all'omologazione, qualora il proponente chieda prima “la convalida o orientamenti” (considerando n. 25) – si noti tuttavia come di tali ipotesi le disposizioni normative non facciano menzione, dovendo a riguardo probabilmente riferirsi a previsioni nazionali –.

In relazione alla disciplina nazionale vigente:

Il legislatore, con diverso grado di dettaglio, ha provveduto a disciplinare il contenuto e la documentazione di corredo:

  • del piano di concordato preventivo;
  • dell'accordo di ristrutturazione dei debiti;
  • dell'accordo di composizione della crisi.

A tale riguardo, si rileva che:

- in tutti e tre i casi il fine previsto è quello dell'omologazione;

- le informazioni richieste a livello legislativo non coprono completamente il contenuto minimo obbligatorio delineato dalla direttiva, anche se nei singoli casi concreti le stesse ben potrebbero dirsi esplicitate;

- la suddivisione in classi è:

  • facoltativa;
  • lasciata alla scelta del debitore o comunque proponente il piano;
  • espressamente prevista solo nel caso del concordato preventivo e dell'accordo di composizione della crisi;
  • resta possibile anche nell'accordo di ristrutturazione dei debiti (qui il legislatore si riferisce propriamente a “categorie di creditori”);
  • in ogni caso prevista sulla base di “posizione giuridica” e “interessi economici omogenei”;
  • subordinata, ma solo con riguardo al concordato preventivo, al rispetto di taluni limiti legali;
  • sottoposta al vaglio del tribunale, con previsione espressa solo riguardante il concordato preventivo, ancor prima che in sede di omologazione, posto che la correttezza di formazione delle classi è verificata già in sede di ammissione a procedura;

- in tutti e tre i casi, diversamente da quanto previsto dalla direttiva, gioca un ruolo essenziale il soggetto terzo (professionista abilitato od organismo di composizione della crisi, a seconda dei casi) deputato, tra gli altri compiti, ad attestare la fattibilità del piano o l'attuabilità dell'accordo.

In relazione al d.d.l. per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza:

Quale novità, con riguardo al piano attestato, è previsto che lo stesso abbia:

  • forma scritta;
  • data certa;
  • contenuto analitico (art. 5, lett. e);

senza però che tali dettagli siano finalizzati all'ottenimento di un'eventuale omologazione.

Con riguardo al concordato preventivo, si richiede al Governo di individuare i casi in cui la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, è obbligatoria, prevedendo, in ogni caso, che tale obbligo debba sussistere in presenza di creditori assistiti da garanzie esterne (art. 6, co. 1, lett. e).

Con riguardo al piano del consumatore, si prevede che lo stesso possa comprendere anche la ristrutturazione dei crediti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno (art. 9, lett. d).

Per gli altri aspetti, restano dunque ferme le vigenti disposizioni di legge quanto al contenuto e alla documentazione di corredo del piano di concordato preventivo, dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e dell'accordo di composizione della crisi.

In ogni caso, la disciplina relativa dovrà essere integrata con quanto prescritto a livello europeo, con possibilità di mantenere (in assenza di prescrizioni sovranazionali contrarie) previsioni di maggior rigore, eventualmente differenziate a seconda dei casi, a garanzia della serietà del piano proposto (ad esempio, conservando il ruolo di un soggetto terzo nel fornire un'attestazione – non sostituibile da una “dichiarazione del debitore” – in ordine alla “sostenibilità economica dell'impresa” e all'”attitudine del piano ad evitare l'insolvenza”, e quindi in sostanza in ordine alle premesse sostanziali per la “fattibilità del piano”: del resto anche la direttiva, in alternativa alla “dichiarazione motivata”, fa riferimento a un eventuale “parere”).

Tra le novità da inserire dovrà sicuramente contemplarsi la necessaria predisposizione, a livello nazionale, di un modello online di piano di ristrutturazione.

Segue.

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