Insolvenza del comparto di un fondo comune di investimento

Luigi Gaffuri
26 Giugno 2017

E' ammissibile la richiesta di messa in liquidazione giudiziale, ex art. 56, comma 6, del TUF, del singolo comparto di un fondo multicomparto. La circostanza che un comparto non possa contare su linee di finanziamento, né su mezzi propri per far fronte ai debiti scaduti e agli oneri di gestione, lo espone al pericolo di atti preferenziali o all'acquisizione da parte di taluni creditori di titoli di preferenza in danno di altri, con rischio di pregiudizio dalla par condicio creditorum cui è funzionale l'istituto di cui all'art. 57, comma 6-bis, del T.U.F.
Massima

E' ammissibile la richiesta di messa in liquidazione giudiziale, ex art. 56, comma 6, del T.U.F., del singolo comparto di un fondo multicomparto.

La circostanza che un comparto non possa contare su linee di finanziamento, né su mezzi propri per far fronte ai debiti scaduti e agli oneri di gestione, lo espone al pericolo di atti preferenziali o all'acquisizione da parte di taluni creditori di titoli di preferenza in danno di altri, con rischio di pregiudizio dalla par condicio creditorum cui è funzionale l'istituto di cui all'art. 57, comma 6-bis, del T.U.F.

Il caso

Una SGR ha chiesto la messa in liquidazione giudiziale del comparto di un fondo comune di investimento immobiliare “multicomparto” che versava in uno stato di crisi irreversibile.

Il Tribunale di Milano ha ritenuto ammissibile il ricorso rilevando che lo stato di difficoltà riguardava soltanto il patrimonio del singolo comparto e non la situazione economico-patrimoniale degli altri comparti riconducibili al medesimo fondo comune; è stato in proposito richiamato l'art. 36, comma 4, del T.U.F. che afferma l'autonomia patrimoniale di ciascun fondo comune di investimento e di ciascun comparto di uno stesso fondo.

Lo stesso Tribunale ha definito la crisi del comparto quale stato di effettiva insolvenza evidenziando i rischi di pregiudizio della par condicio creditorum.

La questione

Il comma 6-bis del T.U.F. - introdotto dall'art. 1 del d.lgs. n. 47 del 16 aprile 2012 - disciplina lo stato di crisi dei fondi comuni di investimento, prevedendo una specifica procedura volta ad una liquidazione ordinata del patrimonio del fondo.

La norma dispone che, qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la SGR possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.

Il tribunale, sentiti la Banca d'Italia e i rappresentanti legali della SGR, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio.

Sebbene a livello letterale sia contemplata soltanto la liquidazione giudiziale del fondo, deve ritenersi che tale procedura possa essere applicata anche al singolo comparto, dovendosi escludere che la crisi di un comparto possa necessariamente coinvolgere anche il fondo di riferimento.

Come ha correttamente rilevato il Tribunale di Milano, l'art. 36, comma 4, del T.U.F. prevede espressamente che “ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società”.

Nel caso di un fondo “multicomparto” il Tribunale dovrà disporre la liquidazione giudiziale soltanto dei comparti che si trovino in uno stato di crisi irreversibile e, nell'ipotesi di pluralità di comparti insolventi, ogni procedura liquidatoria dovrà essere gestita autonomamente dai rispettivi liquidatori.

Osservazioni

La sentenza del Tribunale di Milano è di particolare interesse in quanto, seppur in modo non esplicito, riconosce la natura concorsuale della procedura giudiziale di liquidazione del fondo.

I giudici milanesi hanno infatti qualificato lo stato di crisi del comparto ricorrendo a nozioni del diritto fallimentare, rilevando in particolare l'impossibilità di far fronte alle obbligazioni correnti e il conseguente “stato di effettiva insolvenza”, ed individuando nella par condicio creditorum il fine a cui deve tendere l'istituto introdotto dall'art. 57, comma 6-bis, del T.U.F..

Sull'applicabilità della disciplina concorsuale alle situazioni di crisi dei fondi è orientata la dottrina prevalente (si veda in proposito, S. Bonfatti, La disciplina particolare della liquidazione coatta amministrativa delle SGR. La liquidazione giudiziale del fondo o del comparto insolvente”, in Rivista di Diritto Bancario, 2013; P. Carrière, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d'impresa, in Fall., 2014); si è infatti ritenuto che il rinvio al comma 3-bis (“la Banca d'Italia nomina uno o più liquidatori che provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis”) non vada inteso nel senso limitativo di indirizzare l'attività dei liquidatori nominati dalla Banca d'Italia, essendo piuttosto finalizzato ad estendere l'applicazione degli articoli del T.U.B., ivi indicati per la liquidazione coatta amministrativa dell'intermediario, anche alla liquidazione del fondo.

Ne consegue che in questa procedura rileverebbero gli artt. 83, 86 (ad eccezione dei commi 6 e 7), 87, commi 2 e 3, 88, 89, 90, 91 (ad eccezione dei commi 1-bis, 2, 3 e 11- bis), 92, 92-bis, 93 e 94 del TUB, nonché i commi 4 e 5 dell'art. 57 del T.U.F..

In particolare, ai sensi dell'art. 83 del T.U.B., dalla data di insediamento dei liquidatori del fondo - e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento del tribunale che dispone la liquidazione del fondo - si determinerebbero la sospensione dei pagamenti delle passività e le restituzioni di beni di terzi.

In virtù del richiamo operato dall'art. 83 del T.U.B. agli artt. 42, 44, 45 e 66 e alle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare, dalle date sopra citate si verificherebbero inoltre: l'indisponibilità e la perdita di amministrazione dei beni del fondo; l'inefficacia, rispetto ai creditori del fondo, degli atti e dei pagamenti; l'inefficacia, rispetto ai creditori del fondo, delle formalità eseguite per rendere opponibili gli atti ai terzi; l'esperibilità dell'azione revocatoria ordinaria; l'applicabilità della disciplina relativa agli effetti della procedura per i creditori (art. 51- 63 l.fall.) e della disciplina relativa agli effetti sui rapporti giuridici preesistenti (art. 72-83-bis l.fall.).

In base a quanto previsto dall'art. 93 del T.U.B., in qualsiasi fase della procedura di liquidazione del fondo i liquidatori avrebbero inoltre la possibilità di proporre un concordato, previa autorizzazione della Banca d'Italia.

Non risulterebbe invece applicabile alla liquidazione del fondo l'istituto della revocatoria fallimentare, non essendo citato nel comma 3-bis l'art. 82 del T.U.B. che richiama, tramite gli artt. 195 e 203 l.fall., gli artt. 67 e ss. l.fall. (ma per una possibile applicazione della disciplina della revocatoria fallimentare v. Paolo Carrière, op. cit., 624 e 625).

L'art. 6-bis prevede che si applica ai liquidatori del fondo, in quanto compatibile, l'art. 84 del T.U.F. (poteri e funzionamento degli organi liquidatori), ad eccezione dei commi 2 e 5; l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori aziendali nei confronti dei componenti cessati degli organi aziendali (consiglio di amministrazione e collegio sindacale) è naturalmente preclusa ai liquidatori giudiziali, in considerazione della natura del fondo comune, che è patrimonio distinto e autonomo rispetto a quello della società di gestione, privo di una minima struttura organizzativa e di organi societari.

Nel caso di mala gestio, se risultano ipotizzabili le azioni risarcitorie promosse dai partecipanti - in virtù degli obblighi e della responsabilità del mandatario che ai sensi dell'art. 36, comma 3, del T.U.F. assume la SGR che ha istituito/gestito il fondo - pare preclusa ai creditori la possibilità di rivalersi nei confronti della società di gestione, qualora i beni del fondo non risultino sufficienti a soddisfare le loro ragioni (in questo senso si veda Cass. 15 luglio 2010, n. 16606).

Non sembrano pertanto esperibili eventuali azioni nei confronti della SGR volte alla reintegrazione del patrimonio del fondo laddove l'incapienza, o comunque l'alterazione delle par condicio creditorum, sia stata provocata dalla ritardata richiesta della procedura di liquidazione giudiziale o dal compimento di atti preferenziali.

Ad una situazione di sostanziale immunità del soggetto gestore sembra aver voluto porre parziale rimedio il legislatore con l'art. 2 del d.lgs. n. 181 del 16 novembre 2015 che ha integrato il comma 6-bis dell'art. 57 del T.U.F. prevedendo che “quando il fondo o il comparto sia privo di risorse liquide o queste siano stimate dai liquidatori insufficienti a soddisfare i crediti in prededuzione fino alla chiusura della liquidazione, i liquidatori pagano, con priorità rispetto a tutti gli altri crediti prededucibili, le spese necessarie per il funzionamento della liquidazione, le indennità e le spese per lo svolgimento dell'incarico dei liquidatori, le spese per l'accertamento del passivo, per la conservazione e il realizzo dell'attivo, per l'esecuzione di riparti e restituzioni e per la chiusura della liquidazione stessa, utilizzando dapprima le risorse liquide eventualmente disponibili della liquidazione, e poi le somme messe a disposizione dalla società di gestione del risparmio che gestisce il fondo o il comparto, somme che restano a carico della società stessa”.

La SGR - a prescindere da ogni responsabilità che possa aver avuto nella determinazione dello stato di incapienza del fondo - è tenuta a mettere a disposizione della procedura di liquidazione giudiziale, se questa è sprovvista di liquidità, le somme necessarie per il pagamento dei crediti in prededuzione; il fatto che, come precisato dalla norma, le somme restino “a carico della società stessa”, lascia intendere che la SGR non possa richiederne la restituzione nell'ambito dei riparti delle attività della procedura.

In conclusione

Si rileva infine che sulla possibilità di utilizzo degli strumenti stragiudiziali di composizione della crisi si è pronunciato in senso favorevole il Tribunale di Milano con decreto del 3 dicembre 2015, il quale, accogliendo l'istanza presentata ai sensi dell'art. 182-bis l.fall., ha ritenuto ammissibile il ricorso da parte di una SGR all'Accordo di ristrutturazione nell'interesse di uno dei fondi dalla stessa gestiti; va tuttavia osservato che nel provvedimento del Tribunale non sono riportate le motivazioni che giustificano l'applicabilità del suddetto istituto anche ad una entità non dotata di soggettività giuridica, non assoggettabile al fallimento, e in assenza di un esplicito richiamo da parte dell'art. 57, comma 6-bis, alla disciplina di riferimento.

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