Utilizzazione del credito fondiario per il ripianamento di passività pregresse

Fabio Fiorucci
28 Giugno 2017

La circostanza che il credito fondiario non sia un credito di scopo legittima, secondo alcuni, l'utilizzazione delle somme rivenienti da un mutuo fondiario per l'estinzione di un debito preesistente, di regola in essere presso la stessa banca erogante. Secondo altri, pur non essendo il credito fondiario un mutuo di scopo, questo però non esclude..
Premessa

La circostanza che il credito fondiario non sia un credito di scopo legittima, secondo alcuni, l'utilizzazione delle somme rivenienti da un mutuo fondiario per l'estinzione di un debito preesistente, di regola in essere presso la stessa banca erogante.

Secondo altri, pur non essendo il credito fondiario un mutuo di scopo, questo però non esclude la possibilità di sindacare l'effettiva funzione assolta dall'operazione di mutuo, per accertare se essa sia assistita da un'autonoma causa di finanziamento, o se invece non vada inserita in una fattispecie complessa, eventualmente volta a perseguire una finalità lesiva della par condicio creditorum, nel contesto di un procedimento indiretto caratterizzato da collegamento negoziale.

Il ripianamento di passività pregresse nella prassi bancaria

Nella prassi bancaria è abbastanza diffuso il ricorso all'utilizzazione di un finanziamento ipotecario - ancor più se di credito fondiario ex artt. 38 e segg. del testo unico bancario (d.lgs. 385/1993) - per l'estinzione di passività pregresse del medesimo cliente, di regola chirografarie, in essere presso la stessa banca erogante.

La circostanza, infatti, che il credito fondiario non sia un credito di scopo (Cass. 12.9.2014, n. 19282; Cass. 12.11.2014, n. 24038), ossia un finanziamento in cui assume rilevanza la destinazione delle somme mutuate (in assenza di esplicite pattuizioni contrattuali), ha indotto a ritenere che uno dei possibili usi di una operazione di credito fondiario possa essere l'utilizzazione delle somme erogate per l'estinzione di un debito precedente, abitualmente in essere presso la stessa banca concedente il finanziamento fondiario.

Sostanzialmente conforme parte (minoritaria) della giurisprudenza di merito (Trib. Catania 10.4.2003; Trib. Nola 18.6.2008; Trib. Taranto 16.11.2012), secondo cui il finanziamento fondiario non è caratterizzato da una specifica destinazione, con la conseguenza che l'accordo di destinare il ricavato di un finanziamento siffatto all'estinzione di un debito pregresso non è in quanto tale affetto da nullità e non vale ad alterare la causa del contratto. In argomento, occorre anche dare il giusto risalto ad un significativo orientamento maturato nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità che, nel rimarcare l'assenza di scopo legale del credito fondiario, ha sancito la sua possibile utilizzazione per la “mobilizzazione della proprietà immobiliare” e, soprattutto, per “il superamento di situazioni di crisi dell'imprenditore” (così Cass. 9.5.2008, n. 11559 e Corte cost. 22.6.2004, n. 17; riguardo all'utilizzazione del credito fondiario per il ripianamento di perdite pregresse v. anche Cass. 27.12.2013, n. 28663 e Cass. 12.9.2014, n. 19282).

L'unico limite di siffatta operatività sono ritenuti i concreti rischi di un'utilizzazione delle operazioni di credito fondiario - notoriamente ben tutelate in ambito esecutivo e fallimentare (art. 41 testo unico bancario) -esclusivamente finalizzata alla sistemazione di situazioni debitorie pregresse, di fatto realizzando, in presenza di più creditori, l'aggiramento della par condicio creditorum nonché, in ambito fallimentare, la violazione dell'art. 67 l. fall.

L'elaborazione giurisprudenziale

Occorre dire che la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito ha reiteratamente censurato in ambito fallimentare tali condotte - non senza peraltro sollevare critiche nella parte della dottrina possibilista riguardo ad una utilizzazione del credito fondiario anche in chiave di sistemazione di passività pregresse - chiamando in causa diverse fattispecie, di seguito succintamente descritte:

a) la simulazione relativa del mutuo fondiario con dissimulazione di una garanzia ipotecaria per un debito preesistente scaduto o no, revocabile ex art. 67, comma 1, n. 3 o 4, l. fall. (Cass. 22.3.1994, n. 2742; Cass. 19.11.1997, n. 11495; Cass. 20.3.2003, n. 4069; in arg. anche Cass. 24.10.1967, n. 2621).

La tesi della simulazione è fondata talvolta sulla circostanza che il sovvenuto non ha mai effettivamente avuto la disponibilità della somma; talora sul motivo elusivo della disciplina della revocatoria fallimentare che avrebbe spinto le parti a concludere il contratto di mutuo fondiario; talaltra in considerazione della pattuizione delle parti non già nella previsione di restituzione delle somme secondo le clausole esteriormente pattuite, bensì nella consapevolezza che la banca mutuante avrebbe recuperato capitale ed interessi mediante esecuzione immobiliare sul bene ipotecato. La Cassazione ha infatti stabilito che l'ipoteca, che sia iscritta dalla banca in sede di apertura di credito concessa al cliente già debitore per saldo passivo relativo ad altro contratto regolato in conto corrente, è qualificabile come garanzia di detta preesistente obbligazione, e come tale ricade nelle previsioni dell'art. 67, primo comma, della legge fall., in presenza di simulazione parziale, quando cioè le parti abbiano voluto soltanto tutelare quell'obbligazione anteriore, senza creare ulteriore disponibilità, ovvero in presenza di collegamento negoziale, che evidenzi l'intento dei contraenti di considerare la nuova provvista come già utilizzata dall'accreditato per l'importo corrispondente al precorso debito (Cass. 22.3.1994, n. 2742);

b) una forma di pagamento con mezzi anomali(poiché rivenienti dal mutuo fondiario)di debiti preesistenti, pagamenti anch'essi revocabili ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall.

Analizzando la giurisprudenza (Cass. 22.11.1996, n. 10347; Cass. 20.3.2003, n. 4069; Cass. 6.11.2006, n. 23669; App. Milano 2.2.1990; Trib. Catania, 29.2.1992; Trib. Padova 1.3.2002; Trib. Mantova 9.10.2003; Trib. Terni 17.2.2008) si verifica che, in generale, è considerato anormale quel pagamento in cui il denaro entri in funzione non come strumento di immediata e diretta soluzione, ma in via mediata ed indiretta, quale effetto terminale di altre forme negoziali; è altresì reputato anormale il pagamento allorquando venga ravvisato che, constatata l'impossibilità del mutuatario di ripianare la stagnante scopertura del proprio debito con mezzi normali, tra quest'ultimo e la banca siano state poste in essere una serie di pattuizioni volte a sostituire un'obbligazione chirografaria scaduta e non più tollerata dall'istituto creditizio, con altra di pari importo, ma munita di solido diritto di prelazione;

c) un procedimento negoziale indiretto: "il mutuo fondiario diretto a realizzare l'estinzione di un pregresso rapporto obbligatorio chirografario, intercorrente tra la banca mutuante ed il mutuatario, lungi dal costituire un negozio simulato, integra un vero e proprio procedimento indiretto, realmente voluto dalle parti, al fine di garantire il mutuante - attraverso la sostituzione del precedente credito chirografario con un credito munito di causa di prelazione - dal rischio della dichiarazione di fallimento del mutuatario. La descritta sequenza di atti, provocando un'alterazione della ‘par condicio creditorum', è quindi suscettibile di revocatoria, ai sensi dell'art. 67, comma 1, l. fall., in quanto atto solutorio anormale ove intervenuto nel periodo sospetto” (Trib. Bari 18.2.2008; conf. Cass. 11.10.2007, n. 20622; Cass. 20.3.2003, n. 4069; Trib. Nola 18.6.2008; Trib. Catania 10.4.2006; Trib. Padova 9.3.2006; Trib. Genova 16.1.2002).

In definitiva, il mutuo utilizzato per estinguere una preesistente passività (ad es. mediante giroconto) è un negozio indiretto che ha per scopo ulteriore non l'estinzione di passività pregresse (configurerebbe un pagamento anomalo) ma la sua trasformazione in un credito privilegiato, esclusa la simulazione, trattandosi di operazione consapevolmente voluta dalle parti contraenti (Trib. Vicenza 5.10.2010).

d) la frode alla legge ex art. 1344 c.c. (App. Milano 25.5.1993; App. Brescia 9.2.1994; Trib. Milano 2.9.2014). Recita testualmente l'articolo in questione: "Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa”. Nella fattispecie è censurato il collegamento tra il finanziamento fondiario, lecito e voluto, e i preesistenti rapporti obbligatori intercorrenti con la banca, in quanto finalizzato ad eludere il sistema delle revocatorie fallimentari predisposto a tutela dei creditori;

e) la nullità per difetto di causa del mutuo fondiario, contratto al solo fine di ripianare una situazione debitoria preesistente o ripristinare una disponibilità su un conto affidato avente un saldo passivo (c.d. rientro): alla stregua dei principi normativi che regolano il profilo causale, non può che ritenersi estraneo alla nozione di mutuo fondiario, per carenza di causa, un mutuo finalizzato esclusivamente ad estinguere pregresse esposizioni debitorie nei confronti dello stesso istituto mutuante, realizzandosi, in tal modo, la sostituzione di un credito non garantito o parzialmente garantito con un altro garantito interamente.

In altri termini, ove un mutuo sia erogato non per finanziare il richiedente mettendo a disposizione del medesimo la somma oggetto del contratto, bensì per estinguere debiti del mutuatario verso la banca mutuante, tale contratto è affetto da nullità siccome carente di causa in concreto (Trib. Taranto 7.3.2014; Trib. Lecce 1.2.2013; Trib. Nola 24.2.2009; Trib. Terracina 16.12.2009; Trib. Latina 11.8.2008; App. Milano 17.10.2006). Dal punto di vista della causa concreta, appare evidente che, nella fattispecie, l'intento perseguito dall'istituto bancario è la costituzione di garanzie reali mediante l'erogazione di una somma di denaro a titolo di mutuo finalizzata alla immediata estinzione di posizioni debitorie pregresse (di regola non garantite).

Menzione a parte, infine, merita l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, ove risulti che un contratto di mutuo fondiario sia stato stipulato al fine di destinare pressoché integralmente le somme erogate all'estinzione di rapporti di conto corrente bancari, i cui saldi negativi erano frutto della capitalizzazione trimestrale degli interessi addebitati al cliente e dell'applicazione della commissione di massimo scoperto, si configura un collegamento negoziale, in virtù del quale va dichiarata la nullità parziale del primo contratto, operante nella misura in cui le somme concesse a mutuo siano state concretamente destinate all'estinzione dei debiti illegittimi, ferme restando le condizioni del prestito (Trib. Lecce 1.2.2013; Trib. Santa Maria Capua Vetere 14.10.2011 e 29.5.2009; Trib. Brindisi 4.12.2006).

In altri termini, è stato affermato il principio secondo cui tra il contratto di mutuo stipulato per ripianare il saldo debitore di un c/c ed il contratto di c/c vi è un collegamento negoziale che li rende interdipendenti, con la conseguenza che, laddove il saldo debitore derivi dall'applicazione di clausole nulle o da addebiti illegittimi, i relativi vizi si ripercuotono anche sul contratto di mutuo, ravvisandosi in tal caso un difetto di causa concreta, essendo il mutuo volto a ripianare un passivo in realtà inesistente ed apparente (App. Torino 15.6.2015).

A completamento del quadro di sintesi suesposto occorre comunque ribadire, come già detto, che talora l'utilizzazione del credito fondiario per ripianare passività pregresse ha ricevuto l'avallo della giurisprudenza, anche di legittimità. È stato così sostenuto che non essendo il mutuo fondiario un mutuo di scopo ed in mancanza di espressi divieti legislativi che ne sanciscano la nullità, la stipula di un mutuo diretto all'estinzione di uno scoperto di conto corrente non può implicare assenza di causa e quindi la sua nullità, da estendere poi al negozio accessorio di concessione di ipoteca.

In sostanza, la causa in concreto perseguita dalle parti può anche essere quella di garantire la prosecuzione del rapporto di conto corrente, in luogo della sua risoluzione, in cambio però del rilascio di una garanzia reale per la banca (nei termini Trib. Taranto 16.11.2012). Allo stesso modo, l'utilizzazione del mutuo fondiario finalizzato all'estinzione di debiti preesistenti è stata giustificata sul presupposto che il finanziamento si realizza in tal caso nella forma del dilazionamento di un debito altrimenti immediatamente esigibile (Trib. Santa Maria Capua Vetere 29.10.2013; Trib. Ravenna 21.1.2014; Trib. Napoli 23.9.2014; hanno ammesso l'utilizzazione del credito fondiario anche per il ripianamento di perdite pregresse Cass. 27.12.2013, n. 28663 e Cass. 12.9.2014, n. 19282).

Uso "distorto" del credito fondiario: criticità

Invero, se è innegabile che il credito fondiario non sia un credito di scopo, appare altresì indubbio che la irrilevanza dello scopo non può condurre ad ignorare la rilevanza della causa del contratto e, quindi, del credito (Trib. Taranto 7.3.2014; Trib. Lecce 1.2.2013; App. Milano 17.6.2006; v. anche Trib. Latina, sez. distaccata di Terracina, 11.8.2008). Secondo l'insegnamento di autorevole dottrina (Clarizia), nel caso in cui, in tema di causa di finanziamento, non sia riscontrabile una perfetta identità della fattispecie concreta con quella astratta fissata dal legislatore, si dovrà valutare se la funzione economico-individuale, perseguita dalle parti nel contratto, corrisponda alla funzione economico-sociale propria della categoria dei contratti di finanziamento (nella fattispecie, finanziamento ipotecario). Condivisibili sono dunque i rilievi (Costantino) secondo cui, nonostante l'apparente veste formale del finanziamento fondiario, quando esso è destinato ad estinguere una obbligazione pregressa, attribuendo una causa di prelazione non riconducibile alla causa di un contratto di finanziamento, potrà dichiararsene l'invalidità.

Dello stesso tenore sono le conclusioni della Suprema Corte, secondo cui, pur non essendo il credito fondiario un mutuo di scopo, "questo però non esclude la possibilità di sindacare l'effettiva funzione assolta dall'operazione di mutuo, per accertare se essa sia assistita da un'autonoma causa di finanziamento, o se invece non vada inserita in una fattispecie complessa, eventualmente volta a perseguire una finalità lesiva della par condicio, nel contesto di un procedimento indiretto caratterizzato da collegamento negoziale" (così Cass. 13.9.2013, n. 21020; la Cassazione puntualizza, altresì, che resta ammissibile, in linea di principio, la revoca dell'ipoteca nell'ambito di un negozio indiretto, anormalmente solutorio, [Cass. 1.10.2007, n. 20622], o di un negozio affetto da simulazione relativa, o produttivo della mera novazione di un'obbligazione preesistente [Cass., 15.10.2012 n. 17650; Cass. 20.3.2003, n. 4069]).

Nell'ambito della loro autonomia contrattuale, le parti, come noto, devono conformarsi all'art. 1322, comma 2, c.c., ossia perseguire la realizzazione di “interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”, e non paiono tali le condotte che possono risultare finalizzate alla alterazione della par condicio creditorum ed alla lesione della garanzia patrimoniale del debitore, che all'opposto il legislatore mira a tutelare (l'art. 41, comma 2, t.u.b., nel disciplinare i rapporti tra esecuzione singolare per credito fondiario e fallimento manifesta espressa attenzione alle prerogative della procedura fallimentare, ossia la tutela degli altri creditori, accordando al creditore fondiario privilegi meramente procedurali, non sostanziali).

Appare, dunque, in linea di principio dubbia una utilizzazione delle operazioni di credito fondiario quale mera aggiunta di garanzia ad un debito chirografario problematico o 'giroconto' finalizzato all'estinzione di passività a breve, anche alla luce dei privilegi che il legislatore accorda al creditore fondiario e che appare problematico giustificare a fronte di operazioni di mero ripianamento/consolidamento di somme già concesse (poiché evidentemente detti benefici non sono stati concepiti a puntello di siffatte tipologie di operazioni).

In conclusione

Nel dibattito sopra riferito si innesta una abbastanza recente decisione della Cassazione (Cass. 15.3.2016, n. 5087; in arg. v. anche Cass. 3955/2016 e 7321/2016) che opera una esaustiva ricognizione dell'attuale 'stato dell'arte' in tema di ripianamento di pregresse esposizioni debitorie. Secondo i giudici di legittimità, l'erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare un'effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integra necessariamente né le fattispecie della simulazione del mutuo (con dissimulazione della concessione di una garanzia per un debito preesistente) né quella della novazione (con la sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito): essa normalmente integra una fattispecie di procedimento negoziale indiretto, nel cui ambito il mutuo ipotecario viene erogato realmente e viene utilizzato per l'estinzione del precedente debito chirografario.

In questo caso, ove il mutuo ipotecario risulti stipulato a copertura di un'esposizione debitoria pregressa, il fallimento, sussistendone i presupposti, ha la possibilità di impugnare l'intera operazione, ai sensi dell'art. 67 l.fall., in quanto diretta ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, e pure le rimesse effettuate con la provvista in quanto abbiano avuto carattere solutorio.

Il ricorso al credito come strumento di ristrutturazione del debito - cui del resto si rivolge l'attuale normativa a mezzo degli istituti di cui agli artt. 182-bis, 182-quater, 182-quinquies l.fall. - consente invero di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi di debiti scaduti, condizione che in sé, involgendo ambiti di diffusa economia reale e meritevolezza causale ormai tipicizzata, non può assumere alcuna riprovevolezza ordinamentale, nemmeno sul piano concorsuale. L'elemento caratteristico di siffatto tipo di ricorso al credito consiste, tuttavia, "in un'operazione di effettiva erogazione di nuova liquidità da parte della banca, funzionale non solo (e non tanto), quindi, all'azzeramento o consistente diminuzione della preesistente esposizione debitoria, con tutela rafforzata della banca mediante ipoteca configurabile come garanzia non contestuale, ma alla rimodulazione, per il tramite di nuove condizioni negoziali - per esempio afferenti il tasso di interesse - o rinnovate tempistiche dei pagamenti, dell'assetto complessivo del debito nel contesto di una nuova veste giuridico-economica degli anteriori rapporti" (Cass. 15.3.2016, n. 5087).

In ciò, evidenzia la Cassazione, può concretamente stabilirsi il discrimine tra le due tipologie di operazioni utilizzate nella prassi, costituito dalla preesistenza o meno del rischio di credito effettivamente assunto dalla banca: laddove essa eroghi effettivamente nuova liquidità al debitore, nel contesto di un'operazione non piegata all'unico obiettivo del rientro né dunque preordinata ad estinguere semplicemente l'obbligazione pregressa ripianando, con l'ipoteca, il rischio di credito già mal apprezzato al momento della sua insorgenza, si conforma alla sua funzione economica istituzionale, munendo l'impresa di nuove risorse suscettibili di rifinanziarla. Si tratta di funzione in tal caso connaturata all'essere il finanziamento, cui accede l'ipoteca, destinato per l'appunto ad assicurare ulteriori disponibilità al debitore in conformità alle regole di corretta gestione di un rischio contestualmente assunto e, per questo, nuovo.

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