Il principio di continuità in presenza di crisi

19 Luglio 2017

Lo spunto per queste note è dato dal decreto n. 1096 del 19 aprile 2016, con il quale la Sezione delle Imprese del Tribunale di Milano ha esaminato, in chiave civilistica, un principio aziendalistico di rilevante interesse: quello della continuità aziendale.
Premessa

Lo spunto per queste note è dato dal decreto n. 1096 del 19 aprile 2016, con il quale la Sezione delle Imprese del Tribunale di Milano ha esaminato, in chiave civilistica, un principio aziendalistico di rilevante interesse: quello della continuità aziendale.

Nel caso dibattuto, i ricorrenti chiedevano l'accertamento dell'avveramento di una causa di scioglimento di una società ai sensi dell'art. 2484, comma 1, nn. 2 e 4 c.c. (rispettivamente o per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo per la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale) e l'assunzione dei conseguenti provvedimenti ex art. 2485, comma 2, c.c. (omissione di adempimenti degli amministratori).

La richiesta era motivata dall'assunto, collegato all'asserito venir meno della “continuità aziendale”, che sussistessero “sei degli undici indicatori finanziari che il principio di revisione n. 570 menziona quali parametri che possono far sorgere significativi dubbi riguardo al presupposto della continuità aziendale”; in particolare, prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza, senza prospettive verosimili di rinnovo o rimborso; indicazioni di cessazione del sostegno da parte dei finanziatori o di altri creditori; principali indici economico-finanziari negativi; incapacità di saldare i debiti a scadenza; incapacità di rispettare le clausole contrattuali dei prestiti; incapacità di ottenere finanziamenti per lo sviluppo di nuovi prodotti o per investimenti necessari.

Il tema è di grande attualità, perché riguarda la situazione in cui spesso imprese in situazioni di crisi/difficoltà reversibili affrontano piani di risanamento in continuità oggetto di piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall., o di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall., o di concordati preventivi in continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall. o in generale di qualsiasi tipo di accordo con i creditori. E perché la valutazione in ordine al ricorrere o meno del presupposto della continuità aziendale ha conseguenze di rilievo sulle modalità di redazione e valutazione del bilancio.

Il postulato della continuità: normativa e principi di riferimento

In ambito normativo, il predetto postulato forma oggetto:

  • del principio contabile internazionale IAS 1 del 3 novembre 2008, che ai paragrafi 25 e 26 dispone rispettivamente quali valutazioni il management debba effettuare in merito alla capacità dell'impresa di continuare ad operare come una entità in funzionamento; e prevede che il presupposto della continuità sia applicabile quando il management ritenga che la prosecuzione dell'attività si svolgerà per un periodo non inferiore a 12 mesi;
  • dell'art. 2423-bis c.c., che al comma 1, n. 1, recita “la valutazione delle voci dev'essere fatta secondo prudenza nella prospettiva della continuazione dell'attività…..”;
  • del principio contabile 11 “Bilancio d'esercizio – fiscalità e postulati”;
  • del principio di revisione internazionale (ISA Italia) 570, che al paragrafo 2, precisa che "in base al presupposto della continuità aziendale, un'impresa viene considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro";
  • della comunicazione Consob del 6 febbraio 2009, n. DEM 9012559, relativa alle “procedure di revisione e relazione in presenza di problematiche connesse alla continuità aziendale”;
  • del documento congiunto di Banca d'Italia, Consob e Isvap n. 2 del 06 febbraio 2009, relativo alle “informazioni da fornire nelle relazioni finanziarie (bilanci annuali) sulla continuità aziendale....”;
  • del documento “La continuità aziendale nelle crisi d'impresa” a cura della Fondazione Nazionale dei Commercialisti (15 ottobre 2015);
  • dell'OIC 5 (Bilanci di liquidazione) del giugno 2008, nel quale il problema viene esaminato nelle diverse situazioni in cui la società può trovarsi, anche prima di essere posta in liquidazione;
  • dell'OIC 6 (Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio);
  • dell'OIC 29 (Cambiamenti di principi contabili o di stime contabili, correzione di errori, vicende successive alla chiusura dell'esercizio), aggiornato nel dicembre 2016 per recepire le novità del D.Lgs. 139/2015.

Quanto poi alla valenza giuridica dei principi contabili, giova ricordare che l'art. 20 della legge 116/2014, integrando il D.Lgs. 38/2005, ha attribuito riconoscimento giuridico e quindi efficacia normativa ai documenti emessi dall'OIC.

La continuità aziendale nella crisi di impresa

Nelle imprese in crisi l'indagine sulla sussistenza o meno della possibilità della continuità aziendale implica specifici approfondimenti, perché le ricadute sono diverse nell'ambito del bilancio, sia dal punto di vista formale che da quello sostanziale, in difetto di quel requisito.

In ambito formale, ricorrendo quel postulato, la struttura del bilancio non potrà che essere necessariamente quella prevista dagli artt. 2424, 2425 e segg. c.c., mentre invece, nel caso contrario, la mancanza di continuità aziendale rende, ad esempio, non necessaria la distinzione fra le immobilizzazioni e le altre attività, così come non vanno più rappresentate le immobilizzazioni immateriali, qualora non fossero trasferibili contro corrispettivo.

Quanto all'aspetto sostanziale, ben diversi sono invece i criteri di valutazione, perché mentre in presenza di continuità aziendale saranno quelli previsti dall'art. 2426 c.c., in mancanza, per le attività e i crediti, dovrà farsi riferimento al valore di realizzo per stralcio dei beni e al mero valore di realizzo per i crediti, e per le passività il criterio valutativo non potrà essere che il valore di estinzione. La mancanza della continuità può infatti cagionare il venir meno del patrimonio dell'impresa come complesso produttivo destinato alla creazione di reddito per trasformarlo in un coacervo di beni destinati solo al realizzo.

L'accertamento della sussistenza del presupposto della continuità aziendale per un futuro prevedibile non inferiore a 12 mesi è innanzitutto compito dell'organo di governance. Se dovessero sorgere incertezze tali da rendere dubbia la prospettiva della continuità aziendale, gli amministratori dovranno procedere ad un'analisi specifica ed approfondita della situazione. gli stessi principi contabili internazionali (IAS 1) sul tema prescrivono infatti che “nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell'entità di continuare a operare come entità in funzionamento …. Qualora la direzione aziendale sia a conoscenza, nel fare le proprie valutazioni, di significative incertezze per eventi o condizioni che possano comportare l'insorgere di seri dubbi sulla capacità di continuare a operare come un'entità in funzionamento, tali incertezze devono essere evidenziate”.

Il documento Banca d'italia, Consob, Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009, già citato sopra, analizza in dettaglio le diverse situazioni in cui possono trovarsi gli amministratori nell'analisi del principio della continuità e precisamente:

1) una ragionevole aspettativa che la società continuerà a operare in un futuro prevedibile, con la conseguenza che le eventuali incertezze non risulteranno di rilevanza significativa;

2) l'accertamento di fenomeni che possono evidenziare dubbi significativi sulla capacità della società di continuare a operare, ma non escludono comunque l'opportunità della prosecuzione dell'operatività;

3) il convincimento dell'impossibilità che la società possa continuare a operare in un futuro prevedibile e di conseguenza l'inopportunità di redigere il bilancio sul presupposto della continuità.

Le tre ipotesi sono disciplinate diversamente.

Nel primo caso, le eventuali incertezze andranno descritte nella relazione sulla gestione e nella nota integrativa, congiuntamente alle determinazioni che hanno indotto gli amministratori a ritenere superabile la situazione ed a valutare positivamente la ricorrenza della continuità.

Nel secondo caso sarà necessario, nelle note di bilancio (relazione sulla gestione e nota integrativa), evidenziare chiaramente le incertezze riscontrate che inducono a significativi dubbi sulla continuità.

L'esame di tali situazioni dovrà comunque concludersi con articolate motivazioni a sostegno della decisione di redigere ugualmente il bilancio sulla base del principio di continuità.

Nel terzo caso, infine, occorre esporre in modo chiaro ed esaustivo, nella relazione sulla gestione e nella nota integrativa, le motivazioni che inducono a redigere il bilancio nel presupposto dell'inesistenza del principio di continuità.

Coerentemente con le predette considerazioni, l'OIC 29, come aggiornato nel dicembre 2016 alla luce del D.Lgs. 139/2015, dispone espressamente che qualora “Il presupposto della continuità aziendale non risulta essere più appropriato al momento della redazione del bilancio, è necessario che nelle valutazioni di bilancio si tenga conto degli effetti del venir meno della continuità aziendale”.

La continuità alla luce dei principi di revisione

Il principio di revisione ISA Italia 570 analizza in modo puntuale il principio di continuità con evidente specifico riferimento al tema della revisione. In particolare, vi vengono richiamati gli indicatori di natura finanziaria, gestionale, di qualsiasi altra natura, la cui evidenza deve indurre gli amministratori ad approfondire in modo adeguato il problema della continuità, così da consentire al revisore, una volta verificati gli elementi acquisiti, di esprimere un giudizio motivato e consapevole sulla capacità dell'impresa di continuare ad operare come un'entità in funzionamento.

Sempre secondo l'ISA 570, la semplice presenza di tali indicatori di per sé non deve ritenersi determinante per formulare un giudizio sulla permanenza o meno della continuità aziendale, in quanto “non implica necessariamente l'esistenza di un'incertezza significativa”.

Lo stesso orientamento esprime il documento 15 ottobre 2015 della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, che nell'analizzare la continuità aziendale nella crisi di impresa, sottolinea come “gli indicatori rappresentino sintomi presuntivi di una situazione di difficoltà senza dimenticare che l'analisi della crisi si fonda soprattutto su considerazioni prospettiche…..”.

E anche l'OIC 5, al capitolo 7.2 testualmente recita: “in merito alla rilevanza di tali indicatori ai fini della individuazione del momento in cui è necessario abbandonare i criteri di funzionamento, va qui osservato che alcuni di essi non sono idonei a segnare l'esistenza attuale di una situazione di insolvenza o di una situazione di crisi di impresa …… La rilevanza di tali eventi o circostanze, può spesso essere esclusa o sensibilmente attenuata da altri fattori”.

L'accertamento giudiziale della continuità aziendale

Detto quanto sopra per la normativa in tema di continuità, con riferimento alle diverse ipotesi di crisi di impresa e portando l'esame anche sugli aspetti connessi alla revisione, resta da valutare l'orientamento della giurisprudenza. E sul punto presenta grande interesse il decreto ricordato in premessa reso dalla Sez. Imprese del Tribunale di Milano il 19 aprile 2016, vol. n. 1906 - ove, nel valutare la necessità o meno di porre in liquidazione una società in situazione di crisi, i giudici svolgono interessanti considerazioni sul principio di revisione ISA Italia 570.

In concreto, nell'indagare i c.d. segnalatori di crisi previsti dal principio in esame, il tribunale afferma che “la sussistenza o no della continuità aziendale … e in particolare la capacità dell'impresa di realizzare le proprie attività e far fronte alle proprie passività durante il normale svolgimento dell'attività aziendale, suppone anzitutto un giudizio prognostico fondato su due elementi che a loro volta costituiscono giudizi: la rilevazione di uno o più elementi (ad esempio fra quelli indicati al paragrafo A.2 del principio di revisione 570) assunti come potenzialmente indicativi; e l'esistenza e credibilità di un piano approvato dagli amministratori per fronteggiare adeguatamente gli elementi suindicati e risolverli o neutralizzarli definitivamente o per un periodo di tempo significativo, “tendenzialmente almeno 12 mesi”.

Alla stregua del provvedimento in commento, insomma, la valutazione della sussistenza o meno del presupposto della continuità aziendale non può basarsi esclusivamente sulla rilevazione di eventi che la pongano in dubbio, ma deve necessariamente estrinsecarsi in valutazioni sulla capacità della società di dare soluzioni alle problematiche riscontrate, che dipendono dall'atteggiamento “dei terzi fornitori, dei finanziatori, ma anche della governance, i cui comportamenti e decisioni sono in rapporto di causalità con quegli eventi e, in particolare, con la loro neutralizzazione/soluzione/sospensione prolungata”.

Come dire che, per il tribunale, il giudizio prognostico presuppone la valorizzazione di due situazioni di segno diverso, non solo quella negativa delle perplessità sulle prospettive di continuazione, ma anche e soprattutto quella positiva sulla ragionevole possibilità che l'impresa dia soluzione alla situazione di crisi e quindi l'ipotesi della continuazione si prospetti come ragionevole e fondata.

Dunque, per valutare la sussistenza del principio di continuità, non è sufficiente considerare gli indicatori o i c.d. segnali di evidenza dello stato di crisi, ma al management spetterà approfondire l'esame della situazione specifica, secondo le puntuali indicazioni del più volte citato documento Banca d'Italia, Consob, Isvap n. 2 del 6 febbraio 2009.

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