Assemblea (discussione e votazione)

25 Luglio 2017

Il funzionamento dell'assemblea è principalmente preordinato allo scopo di produrre deliberazioni - le quali altro non sono che l'atto con cui i condomini manifestano la loro volontà - ma, al contempo, l'assemblea stessa consiste in un vero e proprio procedimento, ossia un susseguirsi preordinato di determinati atti o dichiarazioni; nell'àmbito di tale iter, rivestono particolare importanza le fasi della discussione e della votazione, i cui eventuali vizi o irregolarità potrebbero riverberarsi sulla delibera adottata.
Inquadramento

Il codice civile non ha prescritto una particolare forma dell'iter assembleare - salvo espresse disposizioni specifiche eventualmente contenute nel regolamento condominiale - ma la prassi ne ha fissato, quasi in modo definitivo, le caratteristiche: al riguardo, si è soliti distinguere gli adempimenti relativi allo svolgimento dell'assemblea in tre momenti, relativi alle formalità, rispettivamente, preliminari all'adozione della deliberazione, necessarie per l'adozione della stessa e successive all'adozione della decisione.

In realtà, si tratta di distinzioni che rivestono un valore meramente classificatorio, nel senso che possono risultare utili solo come metodo pratico-operativo o per agevolare l'analisi, in quanto è importante soltanto che siano rispettati i requisiti previsti dalla legge (al limite, può considerarsi valida anche una deliberazione presa in applicazione a diverse procedure ed in base ad un diverso ordine cronologico).

Orbene, una volta conclusi i controlli preliminari, riguardanti la verifica se i presenti abbiano diritto di intervenire all'assemblea, quale sia il loro numero e quanti millesimi rappresentino, una volta acclarata la rituale convocazione (invito a tutti i soggetti legittimati, informazione preventiva sulle materie da discutere, osservanza del termine di preavviso), una volta accertata la regolare costituzione (in prima o seconda convocazione) dell'assemblea stessa ed una volta nominato il presidente ed il segretario, si passa al momento, per così dire, dinamico della riunione, quello che attiene allo svolgimento dell'assemblea, che registra come sue fasi imprescindibili quelle della discussione, della votazione e della decisione.

I poteri di direzione del presidente dell'assemblea

In particolare, tra i compiti principali del presidente dell'assemblea, vi è la direzione e la disciplina dell'adunanza, attività questa difficile, considerando che, nella riunione condominiale, spesso si parla troppo, a sproposito, inutilmente, si dà vita ad interventi estemporanei, si dà sfogo a rancori personali o a ripicche, si trae spunto per trattare altri argomenti anche esulanti l'edificio e la sua convivenza all'interno di esso; appare preferibile seguire la discussione delle materie così come enumerate nell'ordine del giorno contenuto nell'avviso di convocazione, previa necessaria illustrazione dell'argomento in esso contenuto, ma nulla esclude la possibilità di cambiare, trattando prima alcuni argomenti e dopo altri, stabilendo sempre il modo ed i tempi della discussione.

Tra le formalità preliminari alla discussione ed alla votazione degli argomenti posti all'ordine del giorno, non risulta, di regola, la lettura, da parte del presidente, del verbale della precedente assemblea: invero, nessuna norma di legge - a meno che non vi siano prescrizioni ad hoc contenute nel regolamento di condominio - impone tale incombente su iniziativa del medesimo presidente o a seguito di richiesta di qualche condomino, rispondendo questa attività ad esigenze di mera opportunità, secondo l'oggetto delle decisioni da adottare, la cui mancata ottemperanza, quindi, non è idonea, di per sé, a provocare l'invalidità della deliberazione presa senza il previo esame delle anteriori statuizioni e discussioni risultanti dai relativi verbali, anche se su argomenti connessi a quelli trattati nella successiva riunione.

In sede di discussione, ogni condomino ha diritto di esprimere il proprio punto di vista, invocando la parola al presidente e chiedendo che il suo parere sia messo a verbale, tuttavia il presidente ha il potere di riassumere le dichiarazioni di ognuno per evitare un appesantimento della verbalizzazione ed evitare eventuali manovre dilatorie ed ostruzionistiche; il verbale deve essere, infatti, redatto con precisione, dettato dal presidente e compilato dal segretario: si deve registrare fedelmente quanto accaduto in assemblea, ma sovente le esternazioni dei presenti si rivelano prive di senso o di consistenza, oppure conferenti ma prolisse, sicché è rimesso all'abilità e professionalità del presidente il compito di condensarle in proposte concrete ed in rilievi pertinenti.

Il diritto dei partecipanti di esprimere le proprie opinioni

Dunque, gli argomenti posti all'ordine del giorno devono essere discussi e va riportato a verbale, in maniera sintetica, l'esito di tale discussione (oltre alla decisione eventualmente adottata).

Al riguardo, non sembrava che sussistesse, in capo ai singoli partecipanti all'adunanza, il diritto a veder riprodotta nel verbale ogni loro osservazione, richiesta o dichiarazione che esulasse dai predetti contenuti, dovendosi dare conto nel medesimo verbale soltanto delle operazioni espletate in assemblea, in forma sintetica, in modo tale da permettere la ricostruzione dei fatti, delle motivazioni delle decisioni e dei possibili dissensi (l'art. 2375 c.c., per le assemblee delle società, prevede che, «nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni»).

In evidenza

Attualmente, invece, e in senso innovativo rispetto al passato, il registro delle assemblee, contemplato nell'art. 1130, n. 6), c.c., stabilisce espressamente che, in tale registro, sono anche annotate «le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta».

Va, altresì, ricordato che, a ciascun partecipante all'assemblea di un condominio, deve riconoscersi il diritto di manifestare la propria volontà non soltanto mediante l'espressione conclusiva del voto, con assenso o dissenso sulla proposta contenuta nell'ordine del giorno, ma anche mediante l'intervento nella discussione, al fine di portare a conoscenza degli altri partecipanti le ragioni del proprio voto (perché, ad esempio, rifiuta una data proposta, approva quel rendiconto, è favorevole alla nomina di quell'amministratore, e via dicendo).

La votazione, infatti, costituisce il momento essenziale dell'adunanza, finalizzata alla formazione della volontà condominiale sulle singole questioni all'ordine del giorno, tuttavia, l'assemblea dei condomini non esaurisce la sua funzione nell'espressione del voto, perché i partecipanti non sono assoggettati ad un sistema, per così dire, bloccato, che consenta di manifestare soltanto il parere favorevole o sfavorevole sui punti da decidere, ma fanno parte di un collegio, nel quale la discussione, o almeno la possibilità di dibattito delle questioni, si pone come primaria.

In altri termini, l'iter deliberativo culmina nella votazione, ma questa non può andare disgiunta dall'esigenza di mettere a punto, prima, le varie questioni, per adottare, poi, le determinazioni più opportune nell'interesse del condominio, nel quale il diritto di comproprietà concorre con quello di proprietà esclusiva dei singoli, in una posizione di equilibrio non sempre lineare nelle sue attuazioni concrete.

D'altronde, la deliberazione dell'assemblea rappresenta un atto collettivo - cioè il risultato del concorso di più volontà, espresso da ciascuno dei partecipanti e la cui somma rappresenta la maggioranza (semplice o qualificata a seconda delle materie che ne costituiscono l'oggetto) delle quote di comproprietà rispetto al totale - conclusivo di un procedimento di formazione svolto con l'osservanza di alcune regole fissate dalla legge ed insite nella natura stessa dell'atto.

Una di queste regole, non previste espressamente dalla legge, ma derivante da un principio generale secondo cui la volontà di ciascun partecipante confluente nell'atto collettivo deve essere liberamente manifestata, è che tale libera manifestazione deve essere possibile non solo nell'espressione conclusiva, ma anche nelle premesse del voto.

In quest'ordine di concetti, il presidente non può mai impedire ai condomini di esprimere, nel corso del dibattito, la loro opinione su argomenti indicati nell'avviso di convocazione, in quanto il condomino ha il diritto di rendere noto agli altri partecipanti le ragioni per cui ritiene di approvare o di rifiutare la proposta di deliberazione contenuta all'ordine del giorno (Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1984, n. 2893, che aveva ritenuto annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c. la deliberazione adottata in cui fosse stato menomato l'esercizio di tale potere, mentre appare eccessiva Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1999, n. 1510, secondo cui l'aver impedito al condomino la discussione di alcuni punti all'ordine del giorno comportava la nullità radicale della deliberazione assembleare, assimilabile a quella derivante dall'omessa convocazione, che poteva essere fatta valere, senza limiti di tempo, da ogni condomino, anche se presente e consenziente).

Le decisioni da adottare sugli argomenti all'ordine del giorno

Terminata la discussione esauriente su un punto dell'ordine del giorno, il presidente apre la votazione tra i presenti sullo stesso.

Il voto del condomino non è altro che la manifestazione di volontà su un determinato argomento, e la caratteristica del condominio è che le volontà individuali confluiscono in quella collegiale dell'assemblea e si fondono in essa.

In questo àmbito, opera il metodo collegiale ed il principio maggioritario: da un lato, la volontà espressa con la deliberazione assembleare è svincolata da quella delle persone fisiche che l'hanno formata, ed assume carattere unitario, nel senso che la volontà è ormai collettiva, non è più la semplice somma delle singole dichiarazioni di voto, in quanto le assorbe (tale autonomia giustifica il fatto che l'invalidità di un voto non intacca l'intera deliberazione, a meno che non incida sulle maggioranze prescritte); dall'altro, la maggioranza si impone sulla minoranza, e ciò al fine pratico di assicurare il funzionamento dell'istituto del condominio e di adeguare lo stesso alle mutevoli esigenze, prossime o future, della vita condominiale (se fosse necessario il consenso unanime per la validità delle deliberazioni, si verificherebbe la paralisi, rimanendo condizionati all'arbitrio o al capriccio del singolo che, con il suo veto, imporrebbe il mantenimento dello status quo a fronte della necessità di un cambiamento).

Modalità di votazione

La votazione avviene, di regola, per alzata di mano, ma nulla esclude che sia fatta anche a scrutinio segreto, ossia con le schede (per la negativa, si è espresso Trib. Milano 9 novembre 1992).

La questione si ripropone soprattutto per le decisioni riguardanti persone, in ordine alle quali spesso è opportuna una certa riservatezza, al fine di preservare il voto da condizionamenti di vario genere, come nel caso, ad esempio, della nomina/revoca dell'amministratore o del licenziamento del portiere; tuttavia, il sistema misto adottato dal nostro codice, ossia per teste e per valore, preclude di fatto l'adozione di un voto segreto, nel senso che, dal verbale, devono emergere il nome dei votanti con il valore dei millesimi a ciascuno attribuito, e ciò per una serie di motivi: a) il principio della doppia maggioranza contiene in sé l'impossibilità di rendere la «testa», cioè il condomino, del tutto autonomo (salvo il caso in cui le quote siano eguali per tutti); b) l'individuazione dei consenzienti, degli astenuti e dei dissenzienti rileva per la legittimazione all'impugnativa e per la diversa decorrenza del relativo termine di cui all'art. 1137 c.c. (ovviamente, per le deliberazioni annullabili); c) la stessa identificazione, per quanto concerne in particolare coloro che non hanno votato a favore della deliberazione, è condizione per l'esercizio del diritto di dissentire dalla lite ai sensi dell'art. 1132 c.c.; d) la votazione segreta impedisce di verificare eventuali posizioni di conflitto di interessi del condomino votante con quelli generali del condominio.

Quindi, si può ritenere che la procedura corretta richiede che l'espressione del voto debba essere:

  • per voto palese (per quanto sopra esposto);

  • per appello nominale (per evidenziare il numero dei condomini votanti ed il valore millesimale dei valori espressi, al fine di individuare, tra l'altro, i condomini in potenziale conflitto di interessi);

  • in base alla presenza in assemblea (escludendo, ad esempio, il voto per corrispondenza);

  • per espressa dichiarazione verbale (non potendo trovare ingresso il c.d. voto in bianco e, al contempo, non essendo necessaria la sottoscrizione confermativa del voto);

  • univoco (in relazione a ciascun argomento posto all'ordine del giorno è consentita una manifestazione del voto che sia o di approvazione o di disapprovazione, anche allo scopo di verificare la legittimazione all'impugnazione della deliberazione, mentre la posizione dell'astenuto è stata risolta positivamente dal novellato comma 2 dell'art. 1137 c.c.).

Plurime proprietà

Se un condomino è proprietario di più unità immobiliari nello stabile condominiale, non gli spetta un voto plurimo, perché, altrimenti, potrebbe diventare il padrone dispotico dell'edificio, soffocando la voce e le esigenze della minoranza: egli avrà, invece, diritto ad un solo voto, ma la sua maggiore influenza si esplicherà nella formazione del quorum, rappresentando, ovviamente, un maggior valore espresso in millesimi.

Ciò ha trovato conferma in una sentenza del Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6671), secondo la quale l'art. 1136 c.c., facendo riferimento, per l'approvazione delle deliberazioni assembleari, ad un determinato numero dei partecipanti al condominio e ad un determinato valore dell'edificio rappresentato dalle rispettive quote, comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto - ed analogamente va considerata la posizione degli astenuti e degli assenti - qualunque sia l'entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l'autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condomino.

Immobile in comproprietà

Sempre sotto il profilo numerico, qualora un'unità immobiliare sia in proprietà di più persone - si pensi ad un appartamento in comunione tra due coniugi o tra quattro fratelli (che possono, d'altronde, avere un solo rappresentante in assemblea, ex art. 67, comma 1, disp. att. c.c.) - esse tutte insieme valgono per uno, in quanto ciascuno dei condomini conta solo per un voto anche se è proprietario di una pluralità di unità immobiliari dello stabile condominiale; se si opina diversamente, non si spiegherebbe la ragione per cui il codice ha accoppiato, e, nello stesso tempo, contrapposto, il criterio dei valori (desumibile, di regola, dalle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio) a quello numerico.

Un solo voto spetta, inoltre, all'usufruttuario o al nudo proprietario, con riferimento alle singole votazioni a cui sono chiamati a partecipare, anche se entrambi sono intervenuti in assemblea (art. 67, commi 6 e 7, disp. att. c.c.); in caso di locazione, potranno intervenire sia il conduttore, per le deliberazioni relative al servizio di riscaldamento, sia il locatore, per gli altri punti posti all'ordine del giorno: qui, due persone rappresentano la stessa unità immobiliare, ma il campo di rappresentanza è ben distinto, perché é specifico quello dell'inquilino e più ampio quello del proprietario (art. 10 l. 27 luglio 1978, n. 392).

Condominio parziale

Per completezza, vale la pena accennareall'ipotesi di condominio parziale, ossia qualora si è in presenza di dati beni/servizi/impianti goduti ed utilizzati solo da alcuni condomini, perché in queste ipotesi la formazione della maggioranza, per la validità delle relative deliberazioni, deve essere calcolata con riferimento ai soli proprietari interessati (Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7885, ad avviso della quale, nell'ipotesi di cui sopra, «la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto» (sul versante della giurisprudenza di merito, Trib. Piacenza 22 maggio 2001).

D'altronde, anche se la legge non ha previsto la questione inerente alla costituzione dell'assemblea ed alla formazione delle maggioranze per i provvedimenti da prendersi su parti comuni ad un numero limitato di condomini, il principio secondo cui, per le deliberazioni concernenti le parti dell'edificio per le quali sussista una comunione di proprietà o di godimento soltanto tra alcuni dei condomini, alla formazione della maggioranza potranno partecipare soltanto i proprietari interessati ai predetti provvedimenti, è giustificato anche dal fatto che sarebbe difficile costituire in pratica l'assemblea per deliberazioni che riguardano soltanto una parte dei condomini, nonché dal fatto che sarebbe illogico attribuire ai condomini privi di interesse il potere di contribuire alla formazione di maggioranze su problemi che non li riguardano (Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2000, n. 697).

Ne consegue che, quando si è in presenza di gruppi diversi di elementi condominiali serviti da parti e servizi comuni differenti, si devono formare le maggioranze ristrette al gruppo interessato - il caso classico è quello dell'edificio diviso in un corpo di fabbrica centrale e due ali, in cui si abbiano tre scale e tre ascensori, con netta separazione degli appartamenti serviti dalle singole scale e dai singoli ascensori - anche se, spesso, le adunanze dell'assemblea sono generali, con la convocazione cioè di tutti i condomini, per cui sarà, poi, nella discussione dei particolari affari inerenti le comunioni parziali, che si porrà il problema della partecipazione al voto soltanto dei diretti interessati, senza contare, talvolta, le estreme difficoltà per determinare l'effettivo interesse che ciascun condomino può avere sulle parti comuni.

Si pensi all'ipotesi - molto frequente nella pratica - dell'impianto di ascensore, che costituisce un'innovazione comportante una spesa gravosa e suscettibile di utilizzazione separata: in tal caso, la maggioranza per deliberare l'istituzione del nuovo servizio dovrebbe essere formata avuto riguardo ai soli condomini interessati, ossia coloro al servizio delle cui cose (piani, appartamenti, locali) l'impianto è destinato, e, in definitiva, coloro che ne diventeranno soli condomini contribuendo a loro spese alla realizzazione, miglioramento ed eventuale ricostruzione.

In questa prospettiva, i proprietari delle cantine, o di unità immobiliari siti nel piano interrato, o di negozi posti al piano terra, o di appartamenti in altra ala dell'edificio serviti da altro distinto impianto di ascensore, non dovrebbero avere alcun diritto di intervenire all'assemblea chiamata a deliberare su tale innovazione, che, appunto, è destinata ad un'utilizzazione separata, non interessa le cose di cui sono proprietari esclusivi e non li ostacola nel godimento delle cose comuni (diverso, ovviamente, il caso in cui l'innovazione, pur interessando solo alcuni condomini, alteri le strutture generali dell'edificio).

Sarebbe, infatti, contrastante con il combinato disposto degli artt. 1121 e 1123, comma 3, c.c., il consentire ad un gruppo di condomini, che nessuna utilità o interesse abbiano all'installazione di un nuovo servizio o impianto di ascensore, di riscaldamento, di aria condizionata - e lo stesso dicasi per qualsiasi intervento volto alla conservazione del bene, come, ad esempio, rispettivamente, la sostituzione della cabina, della caldaia, del motore - il diritto di impedire ad altro gruppo di condomini di minoranza l'introduzione di nuovi impianti o servizi che solo a questi ultimi possono essere di grande vantaggio o utilità.

Dunque, alle deliberazioni di cui sopra non dovranno essere chiamati a partecipare «tutti» i proprietari delle unità immobiliari dell'edificio condominiale, ma solo coloro al servizio dei cui appartamenti il servizio o impianto è destinato, ossia coloro che sono tenuti a contribuire alle spese necessarie, mentre gli altri partecipanti al condominio, non avendo alcun interesse alla decisione, non avranno diritto di essere convocati per la riunione indetta per queste statuizioni e, se convocati per altra ragione, non potranno essere calcolati per il raggiungimento delle maggioranze richieste dalla norma in esame.

Il corretto computo dei voti

A questo punto, non resta che richiamare alcuni principi fondamentali elaborati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del calcolo dei voti in sede deliberativa (principi validi per il raggiungimento di qualsiasi maggioranza, ordinaria o speciale che sia).

La deliberazione assembleare può, ovviamente, articolarsi in diversi capi, oggetto di distinti argomenti all'ordine del giorno, sicché vengono a cumularsi più atti deliberativi per ciascuno dei quali il quorum va autonomamente accertato; pertanto, per la validità delle deliberazioni, il profilo della maggioranza necessaria per l'approvazione delle stesse deve essere valutato sempre con riferimento al loro specifico oggetto, essendo irrilevante la circostanza, estrinseca ed accidentale, che essa sia stata presa nella stessa adunanza in cui sia venuto in discussione anche un argomento che richieda una maggioranza più elevata; e, d'altronde, non avrebbe alcuna giustificazione logica il ritenere che un oggetto, per la cui approvazione non sia richiesta dalla legge una maggioranza qualificata, debba essere approvato con tale maggioranza solo perché nell'ordine del giorno si accompagna ad un altro argomento, per la cui approvazione tale maggioranza è, invece, richiesta (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 1995, n. 3680; Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1966, n. 1435).

L'applicazione, per la validità delle deliberazioni assembleari, del metodo collegiale e del principio maggioritario comporta che il voto del singolo tende alla formazione della volontà del condominio, con la conseguenza che le volontà individuali confluiscono in quella collettiva ed in essa si fondono, e che la volontà manifestata con la deliberazione assembleare assume carattere unitario e risulta svincolata dalla volontà delle persone che l'hanno formata.

Casistica

CASISTICA

Delibera meramente programmatica

La delibera assembleare che abbia ad oggetto un contenuto generico e programmatico - quale, nella specie, la ricognizione del riparto dei poteri tra singoli condomini, amministratore ed assemblea - non necessita, ai fini della sua validità, che il relativo argomento sia tra quelli posti all'ordine del giorno nell'avviso di convocazione, trattandosi di contenuti non suscettibili di preventiva specifica informativa ai condomini e, comunque, costituenti possibile sviluppo della discussione e dell'esame di ogni altro punto all'ordine del giorno (Cass. civ., sez. VI/II, 25 maggio 2016 n. 10865).

Ordine del giorno sintetico

In tema di condominio negli edifici, affinché la delibera assembleare sia valida, non occorre che l'avviso di convocazione prefiguri lo sviluppo della discussione e il risultato dell'esame dei singoli punti all'ordine del giorno(Cass. civ., sez. II, 10 giugno 2014, n. 13047).

Durata di ciascun intervento

In tema di assemblea condominiale, la funzione del presidente dell'assemblea è quella di garantire l'ordinato svolgimento della riunione e, a tal fine, egli ha il potere di dirigere la discussione, assicurando, da un lato, la possibilità a tutti i partecipanti di esprimere, nel corso del dibattito, la loro opinione sugli argomenti indicati nell'avviso di convocazione e curando, dall'altro, che gli interventi siano contenuti entro i limiti ragionevoli; ne consegue che il presidente, pur in mancanza di una espressa disposizione del regolamento condominiale che lo abiliti in tal senso, può stabilire la durata di ciascun intervento - nella specie, dieci minuti - purché la relativa misura sia tale da assicurare ad ogni condomino la possibilità di esprimere le proprie ragioni su tutti i punti della discussione (Cass., sez. II, 13 novembre 2009, n. 24132).

Argomento estraneo ad alcuni condomini

Nell'ipotesi di convocazione di un'unica assemblea condominiale allo scopo di decidere su di una serie di questioni, alcune delle quali riguardanti solo singoli condomini - convocazione sicuramente valida, in quanto non vietata da alcuna norma - i condomini eventualmente non legittimati a votare su di un determinato argomento che non li riguardi non possono, attraverso la partecipazione alla discussione che precede quella votazione, influire sull'esito della stessa (Cass., sez. II, 22 gennaio 2000, n. 697).

Partecipazione di soggetti non legittimati

La partecipazione ad un'assemblea di un soggetto estraneo ovvero privo di legittimazione non si riflette sulla validità della costituzione dell'assemblea e delle decisioni in tale sede assunte, qualora risulti che quella partecipazione non ha influito sulla maggioranza richiesta e sul quorum prescritto, ne' sullo svolgimento della discussione e sull'esito della votazione (Cass., sez. II, 8 agosto 2003, n. 11943).

Votazione irregolare

In tema di assemblee condominiali, è valida la delibera adottata con votazione svoltasi in maniera anche irregolare o atipica qualora risultino essere stati comunque osservati i quorum richiesti per la costituzione dell'assemblea e per il tipo di deliberazione approvata (nella specie, si è ritenuta legittima l'approvazione del bilancio consuntivo complessivo da parte delle assemblee di due distinti condominii, anziché dell'assemblea dell'unico condominio tra di essi costituendo, poiché in base alla somma del valore dei millesimi, risultavano essere stati rispettati i due quorum nel caso richiesti) (Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4531).

Intervento tardivo alla riunione

In tema di assemblee condominiali, il legislatore non ha imposto particolari formalità in ordine alle modalità della votazione, sicché, ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c., deve tenersi conto del voto espresso dal condominio intervenuto tardivamente, purché non oltre la chiusura del processo verbale di cui all'art. 1136 c.c. (Cass., sez. II, 28 agosto 1993, n. 9130).

Guida all'approfondimento

S. Rezzonico - M. Rezzonico, Manuale del condominio. La nuova disciplina dopo la riforma, Milano, 2013, 566.

Scarpa, Diritto di voto in assemblea ed obbligo di pagamento dei contributi nel condominio, in Immob. & proprietà, 2013, 430.

Gallucci, Condominio e approvazione del rendiconto di gestione iscritta all'ordine del giorno: sul punto la discussione può essere estesa fin nei minimi dettagli connessi, in www.dirittoegiustizia.it, 2010;

Batà, Il condominio parziale, in Corr. giur., 1995, 232;

Terzago, L'assemblea condominiale: doppia o tripla maggioranza, maggioranze e minoranze, votazione, quorum, in Arch. loc. e cond., 1995, 513.

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