Vizi delle delibere assembleari (nullità/annullabilità)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1137
02 Agosto 2017
Inquadramento
Anche a seguito della riforma intervenuta con la l. 11 dicembre 2012, n. 220, il condominio edilizio, nella definizione normativa del codice civile «condominio negli edifici», si caratterizza come «ente di gestione», privo di personalità giuridica ovvero anche di mera autonoma soggettività che permetta di ravvisare una situazione di alterità tra esso e i singoli condomini. In quanto tale, per il concreto assolvimento degli scopi tipicamente assegnatigli, ossia la conservazione delle parti comuni e la prestazione dei servizi di interesse collettivo, esso opera attraverso l'adozione di atti negoziali posti in essere dai suoi apparati, spesso impropriamente definiti «organi», ossia l'assemblea e l'amministratore e che, una volta legittimamente adottati, divengono vincolanti, quanto ai pertinenti effetti, per tutti i condomini. Da qui la necessità, avvertita già dal legislatore e ancor più valorizzata dalla giurisprudenza, di apprestare meccanismi per far sì che tale attività di governo si attui nel fedele rispetto del dato normativo e nel coordinamento funzionale con il perseguimento di detti risultati, prevedendo, in favore del singolo condomino, la possibilità di reagire avverso i singoli provvedimenti di gestione che, in concreto, divergano dal paradigma di riferimento avendo, però, cura, nel contempo, di evitare che il relativo sindacato possa negativamente intervenire o pregiudicare l'autonomia gestionale. Ne è, così, derivata l'enucleazione della figura della «invalidità» degli atti gestori e che, con riferimento alle delibere assembleari, trova il massimo momento espressivo.
Contesto normativo
Quello di invalidità dei deliberati assembleari è un concetto di genere, direttamente mutuato dalla disciplina del negozio giuridico, che si specifica nelle singole ulteriori forme, di specie, della nullità, della annullabilità e della irregolarità e, in ambito condominiale, assume proprie specificità e peculiarità con riferimento a ciascuna di tali modalità di estrinsecazione, ognuna, delle quali, poi, si diversifica quanto a presupposti ed effetti conseguenziali. Il referente normativo dal quale si trae la nozione è costituito dal comma 2 dell'art. 1137 c.c. che consente, al condomino assente, dissenziente o astenuto, la giudiziale impugnativa delle decisioni dell'assemblea contrarie alla legge o al regolamento di condominio. La norma, così come riformulata dall'art. 15 della l. 11 dicembre 2012, n. 220 e rispetto al testo previgente -che, invece, non operava richiamo alcuno al vizio dell'atto deliberativo fatto oggetto di giudiziale gravame - fa espresso riferimento all'annullamento sia per dettagliare, nel contenuto, la richiesta con cui il singolo condomino esercita il relativo diritto potestativo attribuitogli che l'azione in tal modo esercitata. Ciò ha indotto autorevole ed attenta dottrina a ritenere che, a seguito della novella della disciplina legislativa condominiale, nella categoria dell'annullabilità debbano compendiarsi tutti i vizi della delibera assembleare la cui giudiziale denunzia rimarrebbe così soggetta al rispetto dei termini ivi previsti. Tale soluzione interpretativa, di certo aderente al dato normativo se esaminato in un suo sviluppo diacronico, avrebbe l'indubbio e ineludibile vantaggio di escludere che, nel caso di deliberati nulli, il singolo condomino possa denunciarne giudizialmente il relativo vizio senza il necessario rispetto dei termini di decadenza previsti per il gravame del deliberato annullabile, in tal modo sottraendo, il condominio, a situazione di perdurante incertezza quanto alla sorte dei propri atti di gestione, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1422 c.c., l'azione di nullità non è, di regola, soggetta al rispetto di termine alcuno. Non può, però, non rilevarsi che è indubbia la giuridica qualificazione della delibera assembleare come atto negoziale, poiché espressione della volontà dei condomini, manifestata nella forma maggioritaria a ciò idonea in relazione al pertinente oggetto, per la produzione di conseguenti effetti giuridicamente apprezzabili e rilevanti. Tenuto conto di ciò, in applicazione della clausola di estensione contenuta nell'art. 1324 c.c., deve, quindi, ad essa riferirsi l'intera disciplina della patologia dell'atto contrattuale come tipicamente delineata dagli artt. 1418 ss. c.c., e, quindi, oltre che la mera annullabilità, anche la più radicale nullità. Il richiamo che l'attuale formulazione dell'art. 1137, commi 2 e 3, c.c. opera al solo annullamento per dettagliare il rimedio giustiziale individuale a fronte di determinazioni assembleari lesive delle prerogative proprietarie individuali del singolo condomino non può, pertanto, ritenersi tale da escludere la ricorrenza, in tale tipologia di atto negoziale, della fattispecie invalidante della nullità e del suo connesso peculiare regime di giudiziale denuncia. Deve, invece, preferibilmente sostenersi che, nella riscrittura di tale norma, l'intentio legislatoris sia stata volta proprio a evidenziare che, laddove venga fatto valere un vizio della delibera assembleare che ne possa importare annullabilità, debba trovare applicazione il più ristretto termine decadenziale di trenta giorni dalla sua adozione e/o dalla sua comunicazione, a seconda che il condomino impugnante sia stato o meno presente alla relativa seduta, e ciò in luogo del più ampio termine quinquennale che dovrebbe, invece, applicarsi ai sensi dell'art. 1142 c.c. La stessa novella legislativa, peraltro, ha introdotto ex novo, nella sistematica normativa codicistica del condominio, espresse fattispecie atte ad importare la nullità della delibera assembleare; ciò è stato previsto con riferimento al caso in cui, nell'avviso di convocazione della seduta al cui ordine del giorno venga iscritta la modifica delle destinazioni d'uso delle parti comuni, venga omessa l'indicazione sia delle parti interessate che delle modifiche loro inerenti (art. 1117-ter, comma 3, c.c.) ovvero per il deliberato di nomina o di conferma dell'amministratore che non contenga indicazione dell'importo convenuto quale compenso (art. 1129, comma 13,c.c.). Ritenere che anche il gravame di tali deliberati debba rispettare il termine decadenziale di giorni trenta che, invece, come detto, l'art. 1137, comma 2,c.c. prevede espressamente per la sola azione di annullamento, importerebbe una applicazione di esso termine ben oltre i limiti di un'esegesi analogica che, peraltro, nel caso di specie, non potrebbe ammettersi, tenuto conto della natura di previsioni eccezionali quali devono considerarsi quelle che stabiliscono limiti temporali alle facoltà d'azione in giudizio, a ciò ostando quanto stabilito dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. Deve, per altro, verso rilevarsi che, nel diritto vivente espresso dalla Corte di Cassazione il tema delle nullità negoziali è stato recentemente oggetto di particolare attenzione, volta a valorizzarne la portata applicativa e la possibilità di giudiziale accertamento e dichiarazione anche nei casi in cui non vi fosse stata relativa denuncia da alcuna delle parti, purché esse rilevino per la definizione del giudizio, sulla scorta di elementi ritualmente allegati e previa sottoposizione, del tema, al contraddittorio delle parti (in tal senso, v. Cass. civ.,Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242; Cass.civ., sez. I, 26 luglio 2016, n. 15408), e ciò proprio in considerazione degli effetti negativi connessi alla loro ricorrenza rispetto a quelli che potrebbero essere prodotti dalla sussistenza di concorrente causa di annullamento e/o di risoluzione negoziale. Alla luce di tali nova nomofilattici non pare, pertanto, sostenibile che, nella materia condominiale, il gravame del deliberato nullo, in difetto di relativa espressa previsione normativa, debba essere assoggettato ad una disciplina di impugnativa espressamente prevista per la differente, e meno grave, situazione di sua annullabilità.
Anche nel novellato sistema di disciplina, pertanto, con riferimento ai deliberati assembleari, devono ritenersi riscontrabili entrambe le tradizionali species di invalidità della nullità e dell'annullabilità. Tale dicotomia, come anticipato, rileva per l'individuazione dei soggetti legittimati alla presentazione del gravame oltre che per i tempi di sua tempestiva proposizione. La delibera nulla può essere impugnata da ciascun interessato -e quindi anche dal condomino che abbia votato favorevolmente per la sua adozione- senza preclusioni temporali (Cass.civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814); quella annullabile solamente nelle forme previste dal richiamato art. 1137, comma 2 e 3, c.c. e dal solo condomino dissenziente o astenuto qualora presente alla seduta, ovvero ad essa assente, sempre, però, purché titolare di relativo interesse, che deve, in concreto, riscontrarsi in riferimento alla sua sfera giuridico patrimoniale negativamente incisa (Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2017, n. 6128; Cass.civ., sez. II, 10 maggio 2013, n. 11214). La tematica relativa alle forme di invalidità delle decisioni gestorie dell'assemblea condominiale è oggetto di costante attenzione da parte della Corte di Cassazione che nell'esercizio della propria funzione nomofilattica non ha mancato di individuare i criteri di cui fare utilizzo per l'esatta delimitazione di ognuna di tali categorie classificatorie. Con la sentenza resa a Sezioni Unite del 7 marzo 2005, n. 4806 il giudice di legittimità aveva enunciato i parametri utili a differenziare le deliberazioni assembleari nulle da quelle meramente annullabili e tale dicotomia era stata incentrata sulla sussistenza nelle prime di “vizi di sostanza”, nelle seconde di “vizi di forma”, giungendo, cosi, a ritenere nulle, avuto riguardo al loro contenuto, le decisioni con oggetto impossibile e/o illecito, annullabili quelle assunte senza il rispetto delle regole procedimentali dettate per la loro adozione. Tale orientamento, che ha registrato una tenuta applicativa per oltre tre lustri, ha trovato ulteriore puntualizzazione nella successiva pronuncia del 14 aprile 2021, n. 9839. L'occasione è stata data per risolvere altra, e connessa, questione relativa alla possibilità di far valere nel corso del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. l'invalidità del deliberato assembleare sulla scorta del quale sia stata emessa ingiunzione giudiziale di pagamento ai sensi dell'art. 63, comma 1, disp. att. c.c. per la riscossione degli oneri condominiali e quale vizio possa riscontrarsi in quello che, in difetto di unanime consenso di tutti i componenti la collettività condominiale, abbia ripartito e quantificato l'esborso individuale in violazione dei criteri di fonte legislativa (art. 1123 c.c.) ovvero regolamentare convenzionale all'uopo apprestati. La Corte Regolatrice, muovendo dalla previsione dell'art. 1137 c.c. ha rilevato che nel contesto condominiale l'annullabilità costituisce la “regola generale” delle decisioni assembleari affette da vizi ma ciò non può condurre ad escludere cittadinanza all'ulteriore forma patologica della nullità, poichè espressione reattiva a carenze strutturali dell'atto negoziale ovvero a sua funzionalizzazione al perseguimento di interessi non compatibili con quelli fondamentali dell'ordinamento. Da qui la possibilità che determinazioni dell'assemblea, sebbene rispettose del relativo iter procedimentale di formazione, possano comunque avere contenuto difforme da quello stabilito dalla fonte legislativa o regolamentare di riferimento - come nel caso di attribuzione della singola spesa senza osservare i pertinenti parametri di suddivisione in carenza di unanime consenso di tutti i condomini - ma cionostante non possono ritenersi affette da nullità ma solamente annullabili poiché non pervase da vizi di gravità tale da determinarne, quanto ai pertinenti effetti, espunzione dal mondo giuridico. L'annullabilità dovrebbe, quindi, riscontrarsi laddove l'assemblea faccia un non corretto esercizio di funzioni di cui è istituzionalmente attributaria e il relativo atto decisionale possa comunque giuridicamente apprezzarsi come negozio giuridico rispondente ai pertinenti requisiti strutturali e volto a risultati effettuali meritevoli di tutela, situazioni, queste ultime, la cui carenza ne determinerebbe, invece la nullità. In tal modo, viene a delinearsi lo statuto delle invalidità delle deliberazioni assembleari del condominio edilizio, ossia il catalogo delle situazioni che possono darne causa alla nullità ovvero all'annullamento, potendosi predicare la sussistenza di nullità qualora l'atto sia carente di elementi essenziali ovvero abbia un oggetto materialmente o giuridicamente impossibile - quale riflesso del relativo difetto di competenza dell'assemblea deliberante - ovvero illecito; nelle residue situazioni di difformità rispetto al pertinente paradigma di disciplina, di fonte legislativa o di regolamento, potrà dirsi ricorrente la sola annullabilità, la cui giudiziale denuncia soggiace al rispetto delle forme e dei tempi previsti dall'art. 1137 c.c. In sintesi, e sia pure con non perfetto tecnicismo, può sostenersi che, al di fuori delle ipotesi incentrate sulla carenza di elementi essenziali, la delibera è nulla laddove l'assemblea non poteva pronunciarsi; è annullabile laddove poteva ma non lo ha fatto in modo corretto.
Sulla base del tracciato discrimen risulta, quindi, agevole comprendere il senso e la portata di singoli arresti di legittimità che si sono occupati ex professo del tema della nullità del deliberato assembleare. E' stata ritenuta affetta da nullità:
Trattasi, quelle indicate, di situazioni nelle quali l'attività decisionale assembleare si è, in concreto, esplicata al di fuori delle proprie istituzionali attribuzioni, non potendosi revocare in dubbio che l'assegnazione, ad un singolo condomino, in via esclusiva, di uno spazio comune da utilizzare quale posto auto, in tal modo ponendo, peraltro, i presupposti per l'acquisto della relativa proprietà per usucapione, così come l'esatta delimitazione degli spazi comuni con possibile detrimento delle contigue proprietà immobiliari esclusive, esula dalle attività di mera disciplina del loro godimento e conservazione, rimessa in prima battuta all'amministratore e, quindi, all'assemblea; analogamente, l'individuazione di criteri di ripartizione delle spese di interesse comune alternativi a quelli di legge e/o di regolamento di natura contrattuale, in difetto di espresso consenso dei condomini tutti, non rientra tra le attribuzioni dell'assemblea che, ai sensi dell'art. 1135 c.c., laddove non si riscontri la «diversa convenzione» espressamente richiesta dall'art. 1123, comma 1,c.c., deve limitarsi all'approvazione dei rendiconti, di natura preventiva e/o consuntiva, e alla suddivisione delle relative somme in applicazione dei preesistenti parametri tabellari e/o di regolamento- e che giustifica la sanzione di nullità al relativo dictum.
Posso dar luogo a mero annullamento del deliberato, a titolo meramente esemplificativo:
Trattasi, quelle indicate, di situazioni nelle quali si riscontra la legittimazione dell'assise assembleare ad esercitare la relativa attività gestoria che, però, viene in concreto estrinsecata con modalità difformi dal pertinente paradigma di disciplina.
Oggetto della valutazione giudiziale
In ogni caso, sia che si tratti di nullità, sia che si versi nella differente ipotesi della annullabilità, il sindacato dell'autorità giudiziaria, per espresso dettato normativo, è limitato al riscontro della sola legittimità della deliberazione assembleare e con esclusione di apprezzamento alcuno del merito della scelta gestoria patrocinata, ossia della sua opportunità, della sua convenienza, della sua effettiva rispondenza e idoneità a soddisfare le contingenti esigenze condominiali. L'art. 1137, comma 2, c.c., nell'attribuire, al singolo condomino, il diritto potestativo di impugnazione ne limita espressamente il correlativo esercizio verso le sole «deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio», in tal modo escludendo il gravame per la denuncia, ed eventuale giudiziale repressione, di opzioni che chi impugna, di regola espressione della minoranza dissenziente, ritenga inopportune o non in linea con i bisogni attuali della compagine interna. In tal senso, e nel fedele rispetto del dato legislativo di disciplina, è intervenuta l'opera esegetica della Corte di Cassazione (Cass.civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass.civ., sez. II, 20 giugno 2012, n. 10199). che, inoltre, di recente, operando riferimento alla previsione dell'art. 1109 c.c., ha ritenuto proponibile il gravame giudiziale anche nel caso di decisione che determini grave pregiudizio alla cosa comune (Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2020 n. 5061). In tal modo viene, così, a comporsi una situazione di equilibrio e di compromesso tra le, potenzialmente contrapposte esigenze, quelle giustiziali individuali e le ulteriori rapportabili all'autonomia delle scelte di governo degli apparati gestori, evitando che l'intervento censoreo dell'organo giurisdizionale possa espandersi sino ad apprezzare l'adeguatezza ed appropriatezza dell'atto in relazione alle necessità della compagine, profilo, questo, che residua quale patrimonio esclusivo della maggioranza dei condomini.
Nel novero delle mere irregolarità, inidonee ad inficiare la validità ed efficacia della delibera assembleare, devono, invece, ricondursi tutte le violazioni dal pertinente modulo legislativo o regolamentare di riferimento, che non siano espressione di una carenza di potestà di intervento o di un suo esercizio non conforme alle pertinenti puntuali prescrizioni o, in ogni caso, non finalizzato al perseguimento di finalità ed interessi non corrispondenti agli scopi istituzionali di conservazione delle parti comuni o di prestazione dei servizi di interesse collettivo. Può pensarsi al caso del verbale assembleare sottoscritto dal solo presidente dell'assemblea e non anche da chi abbia assolto alle funzioni di segretario della relativa seduta o, ancora, al deliberato che sebbene non riproduca, al suo interno, in modo analitico il nominativo dei condomini presenti all'assise, in uno alle relative quote millesimali in rispettiva titolarità, permetta, comunque, attraverso il riferimento ai fogli presenze ad esso allegati, di poter postumamente rinvenire tali dati e, quindi, verificare la legittimità delle decisioni assunte in punto di riscontro della relativa maggioranza necessaria. Trattasi, pertanto, di trasgressioni che non incidono l'efficacia della delibera e, pertanto, deve escludersi che il loro gravame possa negativamente attingere gli effetti della determinazione gestoria assembleare.
Applicazioni estensive ed analogiche degli istituti
Gli istituti relativi alle invalidità delle delibere assembleari, e la sottesa disciplina di riferimento, trovano applicazione, in via estensiva, anche con riferimento alla giudiziale impugnativa dei provvedimenti adottati dall'amministratore nell'esercizio delle proprie incombenze. Depone in tal senso la previsione dell'art. 1133 c.c. che, nel sancire l'obbligatorietà, per i condomini, delle decisioni gestorie legittimamente assunte dall'amministratore, salvaguarda, nel contempo, le loro esigenze giustiziali, consentendo una doppia strada di tutela che può articolarsi o nel ricorso all'assemblea o, in via radicalmente alternativa, nell'interpello dell'autorità giudiziaria con il rispetto delle forme previste dall'art. 1137 c.c. L'integrale richiamo di detto disposto consente, pertanto, di poter pacificamente riferire anche a tali decisioni il medesimo ordine di disciplina valevole per le deliberazioni assembleari quanto a tempi, modi e forme di impugnativa. In via analogica, poi, le stesse regole si applicano a situazioni differenti da quella reale condominiale, strictu sensu intesa, ma pur sempre connotate dalle necessità di garantire la conservazione di porzioni immobiliari in necessaria comproprietà a più soggetti o consentire, agli stessi, la fruizione di servizi di interesse comune. E' questo il caso, a titolo esemplificativo, dei consorzi di urbanizzazione, definibili quali «enti di diritto privato, costituiti da una pluralità di persone che, avendo in comune determinati bisogni o interessi, si aggregano tra loro allo scopo di soddisfarli mediante un'organizzazione sovraordinata». Trattasi di situazioni che ricorrono frequentemente ogni qualvolta più soggetti, ognuno proprietario di relativo immobile, si accordino per un relativo sfruttamento a fini edificatori, dando così origine a comprensori nell'ambito dei quali ciascun componente, titolare dominicale esclusivo di relativa unità immobiliare, beneficia dei servizi, delle opere e delle infrastrutture che vengono realizzate collettivamente e la cui onerosità non consentirebbe un loro individuale apprestamento. Spesso, peraltro, come nel caso delle c.d. convenzioni di lottizzazione, già previste dalla l. 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica) trattasi di moduli organizzatori pressoché necessitati attraverso i quali i privati raggiungono espresse intese con le singole amministrazioni comunali a fronte delle quali il rilascio dei titoli autorizzatori abilitativi all'edificazione viene subordinato all'esecuzione, da parte dei richiedenti, delle opere di urbanizzazione di cui le relative costruzioni beneficeranno. Come evidenziato in sede di legittimità, trattasi di enti «preordinati (…) alla sistemazione ed al miglior godimento di uno specifico comprensorio attraverso la realizzazione e fornitura di opere e servizi assai complessi e onerosi». Vengono, quindi, qualificati come «figure atipiche» perché «caratterizzate dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo» proprio delle associazioni non riconosciute. A tale profilo se ne correla, però, un ulteriore di natura e contenuto reale, posto che «il singolo associato, inserendosi, al momento dell'acquisto dell'immobile, nel sodalizio, onde beneficiare dei vantaggi offertigli, assume una serie di obblighi ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli cespiti e di quelli eventualmente comuni, legittimamente qualificabili in termini di obligationes propter rem con riferimento non solo alla gestione delle cose e dei servizi consortili, ma anche della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria». Pertanto, per quel che concerne la disciplina ad essi applicabile, tenuto conto della concorrenza di aspetti prettamente associativi e ulteriori di carattere reale, si ritiene necessario avere primario riferimento a quanto riportato nello statuto dell'ente e, in sua mancanza ovvero per i profili non considerati, ‘passare all'individuazione della normativa più confacente alla regolamentazione degli interessi implicati dalla controversia' e, quindi, in ragione della eadem ratio delle esigenze da comporre e disciplinare, fare applicazione della disposizioni in tema di comunione e condominio (in tali sensi, v. Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 2020, n. 22957; Cass.civ., sez. II, 22 dicembre 2005, n. 28492; Cass.civ., sez. II, 21 marzo 2003, n. 4125). Pertanto, anche le delibere assembleari consortili potranno incorrere nelle medesime situazioni di invalidità proprie delle deliberazioni assembleari condominiali, con la precisazione, però, che, oltre il dato legislativo, l'ulteriore parametro di riferimento per vagliarne la legittimità sarà costituito dalle disposizioni statutarie in luogo delle previsioni del regolamento di condominio.
Casistica
Amendolagine, L'impugnazione della delibera condominiale tra giurisdizione privata e pubblica, in Condominioelocazione.it, 25 marzo 2021; Frivoli, E' annullabile la delibera viziata da un errato criterio di ripartizione di spese per lavori straordinari, in Condominioelocazione.it, 7 ottobre 2020; Morello, Per impugnare la delibera assembleare ci vuole interesse, in Dir. & giust., 2017, fasc. 46; Gallucci, Le nuove norme in materia di assemblea e di amministratore nella riforma del condominio, in Giur. merito, 2013, fasc. 6, 1249; Celeste, Interesse del condomino non pretermesso e correttezza della dialettica assembleare, in Giur. merito, 2013, fasc. 9, 1774; Musolino, Diritti reali, condominio e principio dell'apparenza, in Riv. notar., 2012, fasc. 2, 416. |