La nuova disciplina della compensazione nella l.c.a. bancaria

Luca Andretto
02 Agosto 2017

Il nuovo regime della compensazione nella l.c.a. bancaria, connesso alla coeva disciplina sulla gestione della crisi degli enti creditizi, disvela la volontà del legislatore di limitare la concreta operatività delle norme, di fonte europea, poste a tutela dei diritti patrimoniali di azionisti e creditori delle banche sottoposte a risoluzione. Se ne traggono profili di possibile illegittimità costituzionale.
Premessa

Il nuovo regime della compensazione nella l.c.a. bancaria, connesso alla coeva disciplina sulla gestione della crisi degli enti creditizi, disvela la volontà del legislatore di limitare la concreta operatività delle norme, di fonte europea, poste a tutela dei diritti patrimoniali di azionisti e creditori delle banche sottoposte a risoluzione. Se ne traggono profili di possibile illegittimità costituzionale.

La disciplina

La disciplina della compensazione ha cessato di rispondere a un regime uniforme e trasversale in tutte le procedure concorsuali: nella liquidazione coatta amministrativa degli istituti bancari vige oggi una disciplina che espressamente deroga al regime generale di cui all'art. 56 l.fall., cui pur continua a fare formale richiamo l'art. 83, comma 2, t.u.b.

In base al comma 1 dell'art. 56, l.fall., era in passato consentito ai creditori per titolo o causa anteriore di soddisfare le proprie ragioni mediante compensazione con i rispettivi debiti verso la banca in l.c.a. Non si poneva distinzione tra crediti scaduti e non scaduti, ma tutti concorrevano alla compensazione purché la situazione estintiva, quand'anche sopravvenuta al termine indicato dall'art. 83, comma 2, t.u.b. (data d'insediamento degli organi liquidatori o, se anteriore, sesto giorno lavorativo successivo all'adozione del provvedimento che dispone la l.c.a.), traesse a sua volta titolo o causa da fatti intervenuti nel corso della passata gestione bancaria. La ratio dell'art. 56, comma 1, l.fall. consiste nell'evitare che il debitore dell'impresa sottoposta a procedura concorsuale, chiamato al pagamento integrale di quanto dovuto, venga invece tacitato nel suo controcredito secondo le regole della concorsualità (Cfr. da ultimo Cass. 15 luglio 2016, n. 14615): l'iniquità cui tale situazione darebbe luogo stava a base dell'estensione di questo regime alla generalità delle procedure concorsuali.

Un discrimine tra crediti scaduti e non scaduti già discendeva, peraltro, dal comma 2 dello stesso art. 56: la compensazionenon poteva aver luogo rispetto a crediti a scadere acquistati per atto tra vivi dopo il termine indicato dall'art. 83, comma 2, t.u.b. o nell'anno anteriore. La Corte Costituzionale ha ritenuto che tale disparità di trattamento trovi «plausibile spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai [crediti scaduti] l'effetto estintivo proprio della compensazione […] deve intendersi realizzato anteriormente» all'avvio della procedura (Corte cost., sent. 20 ottobre 2000, n. 431).

In questo quadro si colloca il nuovo comma 3-bis dell'art. 83 t.u.b., introdotto dall'art. 1, comma 26, lett. b, D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 181, emanato in base alla Legge delega n. 114/2015. In espressa deroga a quanto disposto dall'art. 56, comma 1, l.fall., la compensazione tra crediti e debiti verso una banca insolvente – in linea generale e salvo eccezioni – può oggi aver luogo «solo se i relativi effetti siano stati fatti valere da una delle parti prima che sia disposta la l.c.a.». La nuova norma introduce una ben più profonda discrasia tra crediti non ancora scaduti e crediti già venuti a scadenza, essendo solo per questi ultimi predicabile il requisito dell'esigibilità richiesto per la compensazione legale. Il legislatore della novella, peraltro, non s'è limitato a derogare per la l.c.a. bancaria al generale regime di maggior favore per i creditori-debitori dell'impresa sottoposta a procedura concorsuale, ma ha finanche inasprito la disciplina ordinaria codicistica, escludendo l'operatività della compensazione legale in tutti i casi in cui il creditore-debitore non l'abbia fatta valere entro un termine persino anteriore a quello che il comma 2 dello stesso art. 83 t.u.b. equipara ad altri effetti al momento della dichiarazione di fallimento.

La ratio di questo speciale regime non può che ricollegarsi alla peculiarità della crisi bancaria che, come l'ultimo scorcio dello scorso decennio ha plasticamente dimostrato, produce un elevato rischio di “contagio sistemico” in ragione della fisiologica pervasività di un mercato interbancario ove gl'istituti con transitori eccessi di liquidità offrono prestiti a quelli che, all'opposto, presentano impellente necessità di risorse liquide: l'improvvisa insolvibilità di uno di essi è in grado di destabilizzare con reazioni a catena l'intero sistema finanziario. La speciale disciplina sulla compensazione dettata per le banche in l.c.a., allora, potrebbe forse trovare giustificazione nell'ambito delle innovative misure, di coeva introduzione, volte a prevenire e governare la crisi degli enti creditizi.

Contestualmente all'introduzione dell'art. 83, comma 3-bis, t.u.b. e in base alla medesima Legge delega, il D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180, ha recepito la Direttiva UE n. 2014/59, “Bank Recovery and Resolution Directive” (BRRD), istitutiva di un quadro uniforme per la regolamentazione della crisi degli enti creditizi. L'obiettivo è garantire la continuità nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalle banche, governandone la crisi incipiente o ripristinando condizioni di sostenibilità economica della loro gestione: nell'un caso mediante misure volte a prevenire l'irreparabile deterioramento dell'azienda; nell'altro mediante risoluzione dell'ente creditizio con segregazione della parte aziendale sana da quella deteriorata, destinando la prima ad essere ceduta sul mercato, la seconda alla liquidazione.

Qualora per ristabilizzare l'azienda bancaria o la sua parte sana si renda necessario ripristinarne la consistenza patrimoniale, la BRRD esclude che ciò possa farsi ricorrendo a fondi pubblici (bail-out), ma impone di recuperare le risorse necessarie a spese di taluni stakeholders ritenuti meritevoli di minor protezione (bail-in), secondo un preciso ordine: azionisti; detentori di altri titoli di capitale; detentori di obbligazioni subordinate; altri obbligazionisti; titolari di depositi per oltre € 100.000. Viene, tra l'altro, prevista la possibilità di “ridurre” (leggasi sopprimere) in via integrale o parziale i diritti patrimoniali degli azionisti e delle anzidette categorie di creditori: di tale misura Banca d'Italia, quale autorità di risoluzione nazionale, ha già fatto applicazione nel novembre 2015 in riferimento a quattro noti istituti di credito.

Gli artt. 76 e 77 BRRD prevedono che, nel segregare la parte sana dell'azienda bancaria da quella deteriorata, debba prestarsi «tutela adeguata» a determinate convenzioni (contratti di garanzia finanziaria con clausole di close-out netting, altri accordi di netting ed accordi di compensazione volontaria già definiti) che consentono alla controparte d'invocare un effetto compensativo pur in assenza dei requisiti previsti per la compensazione legale. Questa tutela ha trovato implementazione negli artt. 90 e 91, D.Lgs. n. 180/2015, che precludono la riduzione dei diritti patrimoniali di azionisti e creditori e impongono di mantenerli nella stessa parte (sana o deteriorata) dell'azienda bancaria sottoposta a segregazione, ove possano formare oggetto di compensazione con i controcrediti della banca in forza degli anzidetti titoli convenzionali.

Alla stessa tutela rispondono, per identità d'oggetto, le eccezionali ipotesi in cui il nuovo art. 83, comma 3-bis, t.u.b. consente che la compensazione tra crediti e debiti verso la banca sottoposta a l.c.a. sia fatta valere pur dopo l'apertura della procedura: il legislatore ha tenuto conto della possibilità di mantenere i contrapposti crediti nella parte deteriorata della banca destinata a liquidazione e, anche qui, ha doverosamente prestato alle anzidette convenzioni la «tutela adeguata» richiesta dalla normativa europea. La previsione di queste eccezioni è, tuttavia, resa necessaria proprio dall'introduzione per la l.c.a. bancaria di più stringenti limiti alla compensazione che, a ben vedere, non sono affatto richiesti dalla BRRD, la quale non incide in alcun modo sulle ordinarie procedure d'insolvenza nazionali.

La BRRD, in effetti, si occupa delle procedure ordinarie d'insolvenza solo per introdurre il principio noto come “no creditor worse off”: tra le norme generali sulla risoluzione delle banche, l'art. 34, par. 1, lett. g, stabilisce che «nessun creditore sostiene perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se l'ente […] fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza». Tale principio trova riscontro nei successivi artt. 73, lett. b, 74 e 75 della Direttiva, nonché nel D.Lgs. n. 180/2015 che lo ha recepito con l'art. 22, co. 1, lett. c, l'art. 52, co. 2, lett. b, l'art. 87, co. 1, e gli artt. 88 e 89. Quest'ultimo, in particolare, accorda a ciascun azionista o creditore, che «risulti aver subito perdite maggiori di quelle che avrebbe subito in una l.c.a.», il «diritto a ricevere, a titolo di indennizzo, esclusivamente una somma equivalente alla differenza» di trattamento subita, posta a carico del fondo di risoluzione istituito presso Banca d'Italia.

Si disvela, così, la volontà normativa sottesa al nuovo art. 83, comma 3-bis, t.u.b.: limitare per via indiretta, incidendo sul tertium comparationis, la concreta operatività del principio “no creditor worse off” allorché vengano ridotti i diritti patrimoniali di azionisti e creditori della banca sottoposta a risoluzione, o allorché essi vengano segregati rispetto ai controcrediti con cui avrebbe operato la compensazione legale. Se così è, possono ipotizzarsi diversi profili d'illegittimità costituzionale della nuova disciplina della compensazione nella l.c.a. bancaria.

Profili di possibile illegittimità costituzionale

In primo luogo, può ipotizzarsi una violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza ad esso sotteso, per difetto di plausibili ragioni che giustifichino il deteriore trattamento del creditore-debitore di una banca sottoposta a l.c.a.: sia rispetto a quelli delle imprese soggette ad altre procedure, dovendosi ritenere egualmente iniquo che chi sia chiamato all'integrale pagamento del proprio debito venga invece tacitato nel controcredito in moneta concorsuale; sia rispetto a quelli delle banche in bonis, ove la successiva apertura di una procedura concorsuale impedirebbe un effetto estintivo delle contrapposte obbligazioni operante ex lege, che solo a fini processuali l'art. 1242 c.c. rimette all'iniziativa di parte.

Neppure pare razionalmente giustificabile il discrimine tra creditori-debitori che abbiano fatto valere la compensazione prima o dopo l'apertura della l.c.a., soprattutto ove ciò dipenda da un dato casuale quale il momento in cui i relativi presupposti si manifestino concretamente, pur traendo titolo o causa da fatti intervenuti nel corso della passata gestione bancaria. Parimenti, non si vede perché il termine dell'apertura della procedura debba valere solo per chi invochi la compensazione legale e non anche in presenza degli accordi di cui s'è detto, che consentono di prescindere dalla sussistenza dei requisiti per essa ordinariamente richiesti.

In secondo luogo, può ipotizzarsi una violazione degli artt. 11 e 117, co. 1, Cost.: pur non essendo qui invocabile l'efficacia diretta della BRRD nelle norme che attuano il principio “no creditor worse off”, le quali non incidono sulla disciplina delle procedure ordinarie d'insolvenza, un contrasto può nondimeno ravvisarsi nel fatto che il nostro legislatore ha inteso limitare per via indiretta e, quindi, eludere di fatto l'operatività di tale principio, posto dalla normativa europea a tutela dei diritti patrimoniali di azionisti e creditori delle banche sottoposte a risoluzione.

Non da ultimo, può infine ipotizzarsi una violazione degli artt. 76 e 77 Cost.: gli artt. 1 e 8, L. n. 114/2015, delegavano il Governo ad attuare la BRRD introducendo alcuni criteri direttivi, tra cui quello di «coordinare la disciplina nazionale di recepimento della direttiva con il quadro normativo nazionale in materia di gestione delle crisi previsto dal t.u.b.», anche apportando «le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento». Orbene, come già detto, la BRRD non prevede affatto limitazioni alla facoltà di compensare crediti e debiti nei confronti delle banche sottoposte ad ordinaria procedura d'insolvenza, né – per le ragioni già viste – tale limitazione pare necessaria onde coordinarne il contenuto con le disposizioni sulla l.c.a. bancaria. Può, dunque, ritenersi che il legislatore delegato sia incorso in un vizio d'eccesso di delega.

In conclusione

In conclusione, l'azionista o creditore della banca sottoposta a risoluzione che veda pregiudicati i propri diritti patrimoniali da un provvedimento di riduzione, ovvero da una segregazione che li separi dai rispettivi controcrediti, potrebbe chiedere al T.A.R. del Lazio – che in materia ha giurisdizione esclusiva e competenza funzionale inderogabile (L'art. 95, D.Lgs. n. 180/2015, infatti, dichiara applicabili gli artt. 133 e 135 c.p.a.) – di essere indennizzato da Banca d'Italia ex artt. 88 e 89, D.Lgs. n. 180/2015, in misura pari al debito che avrebbe potuto estinguere per compensazione ove la banca fosse stata sottoposta a l.c.a. in assenza del limite illegittimamente posto dal nuovo art. 83, comma 3-bis, t.u.b. Il T.A.R. potrà, a quel punto, sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 11 e 117, comma 1 (Sull'obbligo di sollevare q.l.c. in caso d'insuperabile contrasto tra norma di legge e norma comunitaria priva d'efficacia diretta, cfr. da ultimo Corte Cost., ord. 18 luglio 2013, n. 207), 76 e 77 Cost.

Qualora la Corte Costituzionale ritenesse fondata la questione e dichiarasse l'illegittimità costituzionale della norma, verrebbe ripristinata l'uniformità della disciplina della compensazione nelle varie procedure concorsuali; ma si tratterebbe, all'evidenza, di una decisione dagli effetti economici potenzialmente dirompenti (Nel rendiconto del fondo di risoluzione depositato da Banca d'Italia il 28 aprile 2016, il fondo rischi in cui dovrebbero collocarsi gl'indennizzi previsti è pari a zero).

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