Convivenza e successione nella locazione abitativa

Massimo Falabella
19 Ottobre 2017

Verrà esaminato il tema della convivenza, quale condizione per la successione nella locazione abitativa, anche alla luce delle novità introdotte dalla l. n. 76/ 2016. Sarà in particolare chiarito cosa si debba intendere per convivenza, se sia sufficiente che essa sia prestata per ragioni di mera assistenza, quale sia il momento rilevante per apprezzarne la sussistenza, come essa debba essere provata e se, ai fini della sua opponibilità al locatore, debba essere conosciuta da questo.
Il quadro normativo

È affermazione corrente, in dottrina, che la convivenza atta a determinare la successione nella locazione di immobile ad uso di abitazione esiga, sul piano oggettivo, l'esistenza di vincoli tali da determinare una comunanza di vita domestica e, su quello soggettivo, l'intenzione del convivente di dimorare stabilmente sotto lo stesso tetto del conduttore; in termini analoghi si è espressa la giurisprudenza (Pret. Milano 17 dicembre 1983).

Sempre in dottrina si è precisato che la convivenza vada tenuta ben distinta dalla mera coabitazione, che ha carattere precario e occasionale, oltre che saltuario: la convivenza, infatti, è qualificata da una permanenza che per la sua continuità e durata esprime la destinazione effettiva e durevole dell'alloggio a soddisfare il bisogno del soggetto in modo esclusivo.

Ciò che rileva - come è stato chiarito dalla Suprema Corte, è la presenza di una situazione complessa, indicativa di una comunanza di vita idonea, per la sua abitualità, a configurare una comunità familiare (o parafamiliare, in quanto l'erede può essere un estraneo), un aggregato stabile di soggetti: osserva il giudice di legittimità che scopo della norma di cui all'art. 6, comma 1,della l. n. 392/1978 è quello di tutelare i componenti della residua comunità familiare (o parafamiliare), onde evitare che restino immediatamente privi di un tetto i superstiti componenti dell'aggregato stabilmente conviventi con il conduttore defunto (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1996, n. 8652).

La convivenza, all'opposto, non si configura se chi dimori col conduttore compensi quest'ultimo per il godimento dell'immobile: e ciò è naturale, perché in tal caso dovrà probabilmente parlarsi di sublocazione. E' stato peraltro opportunamente chiarito che in siffatte ipotesi l'indagine vada compiuta caso per caso, così da verificare l'intento economico, o addirittura speculativo, dei soggetti interessati; un tale scrutinio consentirebbe, difatti, di distinguere l'aiuto o contributo finanziario erogato al conduttore per il pagamento del canone dal vero e proprio corrispettivo della sublocazione.

Non si ha convivenza nemmeno nel caso in cui il dimorare del terzo col conduttore sia finalizzato ad un'attività di mera assistenza.

La Corte di legittimità ha infatti precisato che la convivenza con il conduttore defunto, cui, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 392/1978, è subordinata la successione nel contratto di locazione di immobile adibito ad uso di abitazione, costituisce una situazione complessa caratterizzata da una convivenza «stabile ed abituale», da una «comunanza di vita», preesistente al decesso, non riscontrabile qualora il pretendente successore si sia trasferito nell'abitazione locata soltanto per ragioni transitorie: e nella fattispecie è stato proprio esclusa la convivenza, intesa nei termini appena indicati, tra l'anziana nonna e il nipote, trasferitosi nell'abitazione da questa condotta in locazione, per assisterla (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2008, n. 3251; in senso analogo, v. Cass. civ. sez. III, 27 gennaio 2009, n. 1951; per la giurisprudenza di merito, v., ad esempio, Trib. Milano 15 febbraio 1996, secondo cui perché sia configurabile il diritto a succedere nel contratto di locazione ai sensi dell'art. 6, comma 1, della l. n. 392 del 1978, occorre che vi sia stata con il conduttore defunto una convivenza abituale e stabile, requisiti, questi, che non sussistono qualora il pretendente successore si sia trasferito a convivere con il conduttore soltanto per assisterlo e, quindi, per ragioni transitorie).

Convivenza e decesso del conduttore

La successione nella locazione si attua se la convivenza esisteva al momento del decesso del conduttore. Pertanto, per un verso non si ha subentro nella locazione se il coniuge, il convivente more uxorio, l'erede, il parente o l'affine si trasferiscano nell'alloggio dopo il decesso del locatario e, per altro verso, non rileva che il nominato soggetto, già convivente con il conduttore, dopo la morte di costui si allontani dall'alloggio.

Ha precisato, al riguardo, la Corte di legittimità che, ai fini della disciplina di cui all'art. 6 della l. n. 392/1978, l'abituale convivenza con il conduttore defunto vada accertata alla data del decesso di costui, a nulla rilevando che gli aventi diritto alla successione nel contratto siano o meno rimasti nell'alloggio locato dopo la morte del dante causa, giacché la successione mortis causa nel contratto di locazione è fatto giuridico istantaneo che si realizza (o non si realizza) all'atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi (Cass. civ., sez. III, 1 agosto 2000, n. 10034).

Ci si è chiesti se subentrino nella locazione anche coloro che non facevano parte dell'originario nucleo familiare del conduttore defunto e siano venuti a farvi parte successivamente.

La giurisprudenza di merito ha dato responsi non univoci: così, secondo Pret. Roma 4 luglio 1989, la tutela disposta dall'art. 6, comma 1 della l. n. 392/1978 a favore del nucleo familiare in caso di morte del conduttore presuppone che il nucleo stesso sia quello originario: esattamente quello del momento iniziale del contratto.

Ha ritenuto, in contrario, Pret. Genova 24 settembre 1994 che il familiare che conviva abitualmente col conduttore al momento della sua morte subentra nel contratto indipendentemente dal fatto che facesse parte del suo nucleo familiare fin dall'origine, e quindi anche se sia venuto a farne parte successivamente.

Questa stessa pronuncia ha ritenuto che la successione nel contratto di locazione avvenga, poi, una volta soltanto a favore dei soggetti indicati dall'art. 6, e non anche in favore degli aventi causa di costoro.

Secondo quanto affermato dalla Corte di legittimità, l'art. 6, comma 1, trova invece applicazione anche qualora l'evento della morte riguardi un soggetto che sia in precedenza subentrato, ai sensi della stessa norma, nella posizione di conduttore al conduttore originario, dovendosi escludere che la norma possa operare solo con riguardo alla successione nella posizione di quest'ultimo (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 3548). In tale prospettiva, ciò che rileva, ai fini del subentro, non è la convivenza con l'originario conduttore, che potrebbe anche mancare, ma la convivenza con colui che sia divenuto tale dopo il decesso di quel soggetto. E infatti, la pronuncia di legittimità da ultimo citata muove dall'assunto per cui, verificatosi il fenomeno successorio ex lege per la morte del primo conduttore, la facoltà di godimento si trasferisce al successore nei medesimi termini in cui esisteva a favore del conduttore originario: e ciò sia nel caso in cui al momento della successione già esistesse un rapporto di convivenza tra il nuovo conduttore e il terzo, sia nell'ipotesi in cui tale rapporto di convivenza insorga dopo la successione.

Prova e opponibilità della convivenza

Nel periodo vincolistico l'operatività della proroga del contratto di locazione di immobile abitativo a favore del coniuge, dei figli, dei genitori o dei parenti entro il secondo grado, che era contemplata dall'art. 2-bis del d.l. 236/1974 convertito in l. 12 agosto 1974, n. 351, esigeva espressamente il requisito formale della «convivenza anagrafica» del beneficiario con il defunto al momento del decesso, senza che potesse assumere rilievo la mera situazione di fatto (Cass. 22 agosto 1983, n. 5456).

L'art. 6, comma 1, della l. n. 392/78 (legge sull'equo canone), come già, in passato, l'art. 1, comma 4, della l. 23 maggio 1950, n. 253, impone invece di verificare, in concreto, se esista una situazione di abituale convivenza: situazione che può essere documentata in giudizio attraverso le risultanze anagrafiche, pur dovendosi precisare che queste ultime presentano una valenza solo indiziaria. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ai fini della prova della complessa situazione di comunanza di vita col conduttore non è sufficiente il certificato storico - anagrafico, che ha un valore meramente presuntivo della comune residenza ivi annotata (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1996, n. 8652; in senso conforme: Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9675; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 579).

E' da osservare, tuttavia, che con riferimento alla fattispecie dell'art. 1, comma 44, l. n. 76/2016 - legge che contiene la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze - è la stessa norma giuridica a conferire rilievo a un dato ulteriore. Infatti, secondo il comma 36 del detto art. 1 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile, ma in base al comma 37 per l'accertamento della stabile convivenza «si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223».

Tornando alla più ampia previsione dell'art. 6 della l. n. 392 del 1978, ci si può infine domandare se per il subentro sia necessario che la situazione di convivenza tra il conduttore e il terzo sia nota al locatore. In dottrina si è data al quesito risposta affermativa, traendo spunto dalla norma generale dell'art. 44 c.c., secondo la quale il trasferimento di residenza e domicilio non può essere opposto ai terzi di buona fede se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (ex art. 31 disp. att. c.c.). In tal senso, dunque, l'abituale convivenza sarebbe comprovata da un semplice dato di fatto, ma essa potrebbe essere opposta al locatore soltanto qualora sia stata denunciata anagraficamente, oppure si provi che il locatore medesimo ne era a conoscenza. Un problema di disallineamento tra convivenza e sua opponibilità al locatore non si porrà, invece, nel quadro della previsione dell'art. 1, comma 44, della l. n. 76/2016, in quanto la dichiarazione anagrafica sarà in questo caso comunque necessaria per dar conto della convivenza stessa, secondo quanto previsto dal cit. comma 37, art. 1, l. n. 76/2016.

In conclusione

Nei termini che si sono sopra precisati la convivenza abituale e stabile col conduttore conferisce dunque il diritto a succedere nella locazione ai soggetti di cui all'art. 6 della l. n. 392/1978, oltre che al convivente di fatto di cui al comma 44 dell'art. 1 della l. n. 76/2016 e a chi sia parte di una unione civile.

In assenza della detta condizione, il locatore potrà agire nei confronti del soggetto che continui ad occupare l'immobile per ottenerne il rilascio (con riferimento all'esperibilità dell'azione di occupazione senza titolo nei confronti dell'erede non convivente si veda Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2001, n. 6965).

Quel che preme rilevare, in questa sede, è come l'instaurarsi della convivenza abituale e stabile all'interno dell'immobile locato sia considerata, nell'elaborazione giurisprudenziale che è venuta maturando negli ultimi tempi, con sicuro favore: al punto di far ritenere nulle le clausole che precludano al conduttore di ospitare stabilmente all'interno dell'immobile locato soggetti non facenti parte del suo nucleo familiare originario. Può ricordarsi, in proposito, come, secondo la Corte di legittimità i controlli insiti nell'ordinamento positivo relativi all'esplicazione dell'autonomia negoziale, coincidenti con la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi, ivi compreso quello contemplato dall'art. 2 Cost. (che tutela i diritti involabili dell'uomo e impone l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà); in conseguenza, è stata ritenuta nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico: tale clausola è stata ritenuta infatti confliggente proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti di amicizia (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2009, n. 14343). In tal senso, dunque, la condizione di convivenza non potrà essere preclusa da pattuizioni negoziali dirette a impedire la permanenza nell'insediamento abitativo di soggetti diversi dagli originari occupanti.

Guida all'approfondimento

Mastroberardino, Il diritto di godimento, della casa di comune abitazione locata dall'altro convivente, alla luce della l. n. 76/2016, in Famiglia e diritto, 2017, fasc. 4, 396;

Pizzimenti, Successione mortis causa «di serie» nel contratto di locazione? in Nuova giur. civ. comm., 2013, fasc. 6, I, 561;

Sacchettini, La tutela riconosciuta ai legami more uxorio amplia il numero dei successori nel contratto, in Guida al diritto, 2013, fasc. 12, 24;

Scalettaris, Gli effetti sul contratto di locazione delle nuove norme sulla convivenza di fatto: primi appunti, in Riv. giur. edil, 2016, fasc. 5, 585.

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