Il pagamento a mani dell'amministratore libera il condomino
25 Agosto 2017
Il quadro normativo
La l.n. 220/2012 ha radicalmente mutato l'art. 63 disp.att. c.c. che, nella versione attualmente vigente, prevede che l'amministratore sia obbligato a comunicare al terzo creditore del condominio non ancora soddisfatto i dati dei condomini morosi (comma I) e dispone altresì che i creditori non possano agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti, se non abbiano prima proceduto alla escussione infruttuosa degli altri condomini. La norma, ai fini della sua concreta applicazione, va necessariamente coordinata con le previsioni in tema di riparto di spesa, previste dagli artt. 1123/1126 c.c., con quelle che prevedono l'autonomia fra il patrimonio del condominio, nei condomini e dell'amministratore, inserite dal legislatore del 2012 nell'art. 1129 c.c. e, infine, con la necessità di provvedere alla approvazione dei rendiconti e della relativa ripartizione fra i condomini prevista dall'art. 1135 c.c. Molto si è discusso, nell'ultimo decennio, sulla natura della obbligazione condominiale e sulle sue modalità di attuazione, muovendo i passi dall'arresto di Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148; tale pronuncia - sovvertendo un consolidato orientamento - ha affermato la natura parziaria della obbligazione condominiale; ne deriva che, ove il creditore non riesca a soddisfarsi per l'intero nei confronti del condominio, l'esecuzione dovrà essere attuata in via parziaria nei confronti dei singoli condomini, per la quota di loro pertinenza, determinata in forza dei criteri legali (o convenzionali) di riparto. Quella pronuncia assumeva che l'amministratore, contraendo l'obbligazione con il terzo, impegnasse direttamente pro quota i singoli condomini, non sussistendo una soggettività autonoma del condominio ed agendo egli stesso come semplice mandatario con rappresentanza dei singoli componenti del condominio, che pertanto divenivano obbligati diretti del terzo creditore per la quota parte della obbligazione complessiva, rapportata alla loro caratura millesimale. Su tale assetto interpretativo si è inserita la riforma del 2013, che ha evidenziato come sussista in realtà un patrimonio autonomo del condominio, distinto da quello dei singoli condomini (art. 1129, comma 7, n. 4, c.c. e art. 1130-bis c.c.) ma, soprattutto, introducendo un testo del tutto nuovo all'interno dell'art. 63 disp.att. c.c., fonte di non poche perplessità interpretative. Inoltre, la Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663 ha sottolineato la sussistenza di una soggettività autonoma, per quanto imperfetta ed attenuata, del condominio rispetto ai singoli che lo compongono. La tesi della diretta riferibilità dell'obbligazione parziaria al singolo, quale parte diretta di un contratto stipulato dall'amministratore in sua rappresentanza, appare sempre meno sostenibile agli interpreti e sembra vacillare anche nelle ultime letture giurisprudenziali (Cass. civ., sez. VI/II, 9 giugno 2017, n. 14530). Poiché, se si accede a tale tesi, dovrebbe essere direttamente consequenziale affermare che il condomino possa agire direttamente nei confronti del terzo per ottenere l'adempimento, eventualità pacificamente negata, e dunque - per simmetria - si dovrebbe negare che il terzo possa agire direttamente nei confronti del condomino in virtù di una obbligazione diretta che li lega. In realtà il contratto è stipulato dall'amministratore nell'interesse del condominio, e il terzo creditore agisce - anche in via giudiziale - nei confronti del condominio per ottenere condanna all'adempimento di tale obbligazione, titolo che poi potrà eseguire nei confronti del condominio per l'intero o nei confronti del singolo pro quota, secondo le non cristalline dinamiche delineate dall'art. 63 disp.att. c.c. Va tuttavia sottolineato che da ormai qualche tempo la giurisprudenza pare orientata a ritenere che l'obbligazione del singolo condomino sorga in virtù della delibera di approvazione e ripartizione della spesa, che ha valore costitutivo dell'obbligo (Cass. civ., sez. VI/II, 22 giugno 2017, n. 15547; Cass. civ., sez. VI/II, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654); in precedenza si era ritenuto che il momento genetico della obbligazione del singolo fosse riconducibile alla concreta attuazione della attività di manutenzione della cosa comune (Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2009, n. 23686), circostanza che seppur appaia rilevante per i riflessi endo-condominiali, certamente esclude che fatto genetico della obbligazione del singolo sia il contratto stipulato dall'amministratore con il terzo. Alla luce del testo vigente dell'art. 63 disp.att. c.c. appare comunque pacifico che i creditori possano agire direttamente nei confronti dei singoli condomini, aldilà della qualificazione che si intende attribuire alla obbligazione sottostante. La tesi della parziarietà dell'obbligazione condominiale si ritiene dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2017, n. 199) sopravvissuta alla riforma del 2013 e da questa anzi totalmente recepita, anche se non sarà inutile rilevare che l'art. 63, comma 1, disp.att. c.c. impone all'amministratore di comunicare i nomi dei condomini morosi, senza peraltro specificare quali siano i parametri per determinare la loro morosità e a quale scopo la comunicazione sia volta né, tanto meno, detta contorni dogmatici nei quali iscrivere il rapporto terzo creditore/singolo condomino. Risulta pacifico che i condomini debbano versare le loro quote all'amministratore, alle scadenze stabilite in sede di approvazione del riparto (trattandosi pacificamente, in caso di ritardo, di mora ex re) e che ciò costituisca un rapporto meramente interno al condominio, in attuazione dell'obbligo che nasce in capo al singolo dalla approvazione del rendiconto e del relativo riparto. Per l'adempimento coattivo di quell'obbligo l'amministratore può agire in giudizio, senza necessità di alcuna autorizzazione, per richiedere decreto ingiuntivo, iniziativa che - per un corretto svolgimento della gestione condominiale - è tenuto a porre in essere entro sei mesi dalla chiusura della gestione a cui le quote si riferiscono, salvo che ne sia dispensato dalla assemblea (art. 1129, comma 9, c.c.). Ne deriva che i condomini risulteranno adempienti laddove abbiano regolarmente versato le quote, determinate secondo gli ordinari criteri di riparto previsti dagli artt. 1123/1126 c.c. o secondo diversa convenzione, ritualmente deliberate dalla assemblea in sede di approvazione del rendiconto. Il terzo creditore può agire nei confronti del condomino moroso, secondo il meccanismo delineato dall'art. 63 disp.att. c.c., per ottenere il pagamento della quota a costui imputabile, a patto che questa sia ancora inadempiuta; tale inadempimento del singolo nei confronti del condominio costituisce presupposto per l'azione diretta portata dal terzo creditore nei confronti del moroso, inadempimento che dovrà ancora sussistere al momento in cui il giudice emette sentenza di condanna (Cass. n. 14530/2017 cit.). La corte di legittimità ha spesso affermato che l'amministratore è l'unico referente dei pagamenti relativi agli obblighi assunti verso i terzi per la conservazione delle cose comuni (Cass. civ., sez. VI/II, 17 febbraio 2014, n. 3636) e che il pagamento effettuato dal condomino all'amministratore del condominio della propria quota di spese relative alla manutenzione dell'edificio condominiale non può lasciare lo stesso ancora debitore per lo stesso importo verso il terzo creditore della gestione condominiale (Cass. n. 14530/2017 cit. ). Del tutto simmetricamente a quanto esposto circa la necessità che il condominio adempia a mani dell'amministratore, la giurisprudenza ha costantemente negato che costui possa provvedere ad adempiere direttamente a mani del terzo creditore, poiché tale pagamento non lo libererebbe nei confronti del condominio. Si è osservato a tal proposito che Il condomino non può neanche ritardare il pagamento delle rate di spesa in attesa dell'evolvere delle relazioni contrattuali tra condominio e soggetti creditori di quest'ultimo, ove sussista contenzioso in merito. Effettuati regolarmente i pagamenti al condominio, se poi la vicenda contrattuale fra terzo e condominio comporterà benefici per quest'ultimo, il singolo condomino vedrà eventualmente sorgere a suo favore un credito quale risultanza di cassa nel bilancio annuale. Né si può ammettere il pagamento diretto a mani del terzo creditore, poiché ciò comporterebbe squilibrio nella gestione condominiale e sottrazione all'amministratore di uno dei compiti specifici, atteso che la gestione della gestione comune è cosa più complessa del semplice adempimento solitario ed è di pertinenza necessariamente dell'organo amministrativo (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2013, n. 2049). La giurisprudenza ha sottolineato come il condominio si ponga, nei confronti dei terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini - attinenti alle parti comuni - e l'amministratore dello stesso assuma la qualità di necessario rappresentante di quel soggetto collettivo, sia nella fase di assunzione di obblighi verso terzi per la conservazione delle cose comuni sia, all'interno della collettività condominiale, quale unico referente dei pagamenti ad essi relativi, così che non è idoneo ad estinguere il debito pro quota del singolo condomino il pagamento diretto eseguito a mani del creditore del condominio, salvi i casi in cui il creditore non si sia a sua volta munito di titolo esecutivo ed abbia dato corso alla relativa azione nei confronti del singolo (Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2014, n. 3636). La natura parziaria della obbligazione ha condotto anche a ritenere che, ove per avventura il singolo condominio abbia versato al terzo l'intera obbligazione assunta dal condominio, non potrà riconoscersi a costui azione di regresso ex art. 1299 c.c. nei confronti degli latri condomini, neppure nei limiti della quota millesimale di ciascuno, poiché tale azione presuppone un diritto che sorge per la prima volta in capo al condebitore adempiente sulla base del c.d. aspetto interno dell'obbligazione plurisoggettiva, natura che non può essere riconosciuta alla obbligazione condominiale. Per le stesse ragioni non può neanche essere riconosciuta a costui surrogazione ex art. 1203, n. 3), c.c., residuando unicamente al condomino che abbia versato l'intero al terzo creditore, azione nei confronti degli altri condomini per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 2017, n. 199; Cass. civ., sez. un., 29 aprile 2009, n. 9946). In conclusione
La corretta qualificazione dell'obbligazione condominiale nonché delle modalità che ne consentono in maniera legittima la sua estinzione riveste profili di grande complessità teorica, ed appare ancora in corso di elaborazione da parte della giurisprudenza più recente; si tratta, tuttavia, di materia che mantiene anche immediati risvolti pratici di grande rilievo, poiché consente all'amministratore di comprendere e calibrare correttamente la dichiarazione che oggi gli impone l'art. 63, comma 1, disp.att. c.c., (così che dovrà individuare quale condomino moroso il soggetto che ancora non gli abbia versato le quote relative al credito per cui il terzo agisce), mentre per il creditore che procede contro il condominio delinea il discrimine fattuale e temporale che divide i morosi da coloro che sono in regola con i pagamenti, che potranno essere utilmente esecutati solo dopo la preventiva escussione degli inadempienti. |