Risoluzione del contratto di locazione per fatto del conduttore

Roberto Masoni
28 Agosto 2017

La risoluzione per grave inadempimento è uno degli strumenti di tutela con cui la parte non inadempiente può sciogliersi dal contratto e con ciò liberarsi dalle connesse obbligazioni. L'istituto della risoluzione per grave inadempimento, nella materia delle locazioni, ha un'importanza cruciale dato che assai frequenti sono gli inadempimenti riscontrabili a carico del conduttore, soprattutto sub specie di morosità. Relativamente alla morosità, il locatore può valersi del procedimento speciale per convalida di sfratto per morosità. Il conduttore, a sua volta, può evitare la convalida, avanzando domanda di sanatoria ex art. 55 della l. n. 392/1978.
Inquadramento

A fronte di inadempimento di una delle parti del rapporto, colui che non è inadempiente ha facoltà di scegliere il rimedio più consono ai propri interessi, potendo richiedere la manutenzione del contratto e così insistendo per l'adempimento; ovvero, esercitare l'azione di risoluzione del contratto, con l'obiettivo di sciogliersi dal vincolo.

E' in ogni caso fatto salvo, in entrambe le ipotesi, il diritto a conseguire il risarcimento dei danni subiti.

Il fondamento della risoluzione per inadempimento viene tradizionalmente individuato in un difetto funzionale della causa; dato che «la causa, pur esistendo originariamente, può poi non realizzarsi in conformità alla volontà negoziale per circostanze sopravvenute» (Santoro Passarelli).

Il contratto a prestazione corrispettive, fra cui rientra anche la locazione, può essere risolto per grave inadempimento del debitore (art. 1453 c.c.). Si precisa poi che dalla domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere (comma 3). Il codice esige peraltro che l'inadempienza non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altro contraente (art. 1455 c.c.).

Oltre alla gravità dell'inadempienza, la giurisprudenza esige che sussista l'imputabilità dell'inadempienza al debitore (Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1986, n. 3408). Per quanto poi tale requisito sia presunto fino a prova del contrario (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 1985, n. 1741; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2853).

In materia locativa subentrano poi talune regole speciali, derogatorie rispetto ai testè esposti principi generali dettati in tema di risoluzione del contratto.

In particolare, quella dettata in tema di predeterminazione legale della gravità dell'inadempienza (art. 5 della l. n. 392/1978) e quella sulla possibilità di procedere a sanatoria della morosità, tardivamente, banco iudicis, ovvero nel concedendo temine di grazia (art. 55 l. cit.) (su cui infra).

Gravità dell'inadempimento

Dispone l'art. 1455 c.c. che: «il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra».

Oltre ad essere imputabile, l'inadempimento deve essere grave per condurre allo scioglimento del rapporto.

In ogni caso, la giurisprudenza considera superfluo valutare la gravità dell'inadempimento se questo si concreta nella totale e definitiva inesecuzione di una prestazione principale (Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1999, n. 4688).

Nel tentativo di individuare la gravità dell'inadempimento, la nomofilachia da tempo ha richiesto un'indagine composita coinvolgente un giudizio sulla condotta delle parti del rapporto.

Si utilizza così un criterio di natura obiettiva, riferito alla rilevanza della prestazione nel quadro dell'economia generale del rapporto, unito ad un criterio soggettivo, fondato sull'interesse della vittima all'adempimento, riguardante l'interesse di questa all'esatto e tempestivo adempimento.

Il principio è scolpito nella seguente massima consolidata: «in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo - avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), così da comportare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale - nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, dati dal comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta intolleranza dell'altra), che possano in relazione alla particolarità del caso attenuarne l'intensità» (ex multis, di recente, Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2015, n. 24206.

Locazioni abitative

I principi generali dettati in materia di risoluzione del contratto per inadempimento subiscono non secondarie deviazione in materia locatizia, con riguardo, ad es., al parametro della gravità dell'inadempimento.

In modo particolare, quale criterio fondante, per le locazioni ad uso abitativo vale la regola della predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento, ai sensi dell'art. 5 della l. n. 392/1978.

In particolare, la legge considera grave l'inadempimento del conduttore che si sia concretato nell'omesso versamento del canone dovuto una volta decorsi venti giorni dalla scadenza, ovvero il mancato pagamento nel termine previsto degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.

E' pacifico che tale criterio di predeterminazione legale è tipico delle locazioni ad uso abitativo, essendo inestensibile al tipo delle locazioni non abitative (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1985, n. 4057; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1998, n. 1448; Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2005, n. 12321; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2006, n. 24207), per quanto il criterio possa essere tenuto in considerazione quale parametro di orientamento per valutare in concreto, a norma dell'art. 1455 c.c., se l'inadempimento del conduttore sia stato oppure no di scarsa importanza (Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2006, n. 5902; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1428).

Locazioni non abitative

Il testè richiamato art. 5 della l. n. 392/1978 non è applicabile, come abbiamo visto, alle locazioni non abitative. La norma è infatti topograficamente inserita nel capo della legge sull'equo canone, intitolata alle «locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione», mentre il capo successivo della legge riguarda appunto le locazioni non abitative.

Alle locazioni di tale tipologia sono pacificamente applicabili i criteri generali per la valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c., la cui individuazione viene sostanzialmente rimessa alla concretizzazione ed individuazione giurisprudenziale.

Le Sezioni Unite hanno limitato l'applicabilità dell'istituto alle sole locazioni abitative affermando un principio di diritto confermato dalla successiva elaborazione: «in tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, pure ammessa l'operatività dei meccanismi di sanatoria previsti dall'art. 55 legge n. 392/1978, per la valutazione della gravità dell'inadempimento del conduttore nel pagamento del canone e degli oneri accessori non trova applicazione il principio della predeterminazione legale, stabilito dall'art. 5 della stessa legge con riferimento alle locazioni abitative, ma continuano a valere i comuni criteri di cui all'art. 1455 c.c., senza che ciò, peraltro, precluda al giudice l'utilizzazione anche del principio posto dal citato art. 5 come criterio orientativo del proprio giudizio circa l'importanza dell'inadempimento, ove le particolarità del caso concreto lo giustifichino» (Cass. civ., sez. un., 20 dicembre 1990, n. 12210).

Autoriduzione del canone

Strettamente connessa alla tematica della gravità dell'inadempimento nel versamento del canone locativo si colloca quella della c.d. autoriduzione dello stesso. Configurabile nella condotta con la quale il conduttore, ritenendo esorbitante tale importo, continui a corrisponderlo nella misura ritenuta corretta, riducendone peraltro l'importo.

Ormai tralaticiamente la nomofilachia afferma il seguente principio: «in tema di locazione di immobili urbani, la cosiddetta autoriduzione del canone, cioè il suo pagamento in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita, in relazione alla dedotta esorbitanza di tale ultima misura rispetto all'importo inderogabilmente fissato dalla legge (nella specie, alla stregua della disciplina vincolistica anteriore alla l. 27 luglio 1978, n. 392), costituisce un fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore provocando il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice, ai fini dell'accertamento di un inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione del rapporto, la valutazione dell'importanza dello squilibrio sinallagmatico avuto riguardo all'interesse del locatore in relazione al suo diritto di ricevere il canone in misura legale» (Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1984, n. 5384; Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6403; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2004, n. 14234; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2012, n. 10639; cui adde, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2016, n. 7636).

Questo significa che la c.d. autoriduzione del canone è in sé vietata, in quanto la parte non può farsi giustizia da sola, dovendo sempre attendere il provvedimento giudiziale di riduzione del canone; e poi, se l'importo omesso assurge ad un livello di gravità valutabile a norma dell'art. 1455 c.c., secondo il prudente apprezzamento del giudice, la morosità può condurre alla risoluzione del rapporto.

Sanatoria della morosità

Ci siamo riferiti in esordio a talune deviazioni o eccezioni rispetto ai canoni generali. Ebbene, una di queste eccezione si rinviene nella possibilità di escludere la risoluzione della locazione laddove il conduttore abbia sanato la morosità, seppur dopo la notifica della citazione per intimazione di sfratto per morosità, ovvero, tardivamente, in udienza o in un concedendo termine (c.d. di grazia). In tal caso, in deroga al principio codificato dall'art. 1453, comma 3, c.c., che dichiara inammissibile ed irrilevante il pagamento effettuato dopo la proposizione della domanda giudiziale, la sanatoria, laddove completa e tempestiva, impedisce la risoluzione della locazione.

Dispone l'art. 55 della l. n. 392/1978 che: «la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'art. 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice. Ove il pagamento non avvenga in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l'udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. La morosità può essere sanata, per non più di quattro volte complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi per non oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi, comprovate condizioni di difficoltà. Il pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto».

Va peraltro avvertito che la tardiva sanatoria in oggetto è ammessa unicamente per le locazioni ad uso abitativo, come da consolidato orientamentointerpretativo(Cass. civ., sez. un., 28 aprile 1999, n. 272; di recente, v. Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22903; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1428).

CASISTICA

Ammissibilità della richiesta di sanatoria nel giudizio ordinario

Non è fondata la q.l.c. dell'art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), nel senso che la sanatoria in giudizio della morosità sia ammessa non solo nel procedimento per convalida di sfratto, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento (Corte Cost. 21 gennaio 1999, n. 3).

Ammissibilità della richiesta di sanatoria nel giudizio di opposizione tardiva

È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell'art. 668 c.p.c., dedotta rilevando che al conduttore che non abbia avuto conoscenza della notifica dell'intimazione per caso fortuito o forza maggiore, è riservato un trattamento deteriore rispetto a colui che, tempestivamente presentatosi all'udienza, ha facoltà di chiedere di poter sanare la morosità. Il primo, intimato, infatti, a parere del giudice rimettente, non può avvalersi, in sede di opposizione tardiva, dell'art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392. Ma tale opinione non è condivisibile. L'opposizione dopo la convalida, di cui all'art. 668 c.p.c., è rimedio dato a tutela di chi, per irregolarità della notifica, caso fortuito o forza maggiore non abbia avuto conoscenza dell'intimazione, ovvero (secondo quanto sancito dalla Corte Cost. con la sent. n. 89/1972) di chi, per gli ultimi due motivi, non sia potuto comparire all'udienza di convalida pur avendo avuto conoscenza dell'intimazione stessa. Una volta accertati i presupposti di ammissibilità dell'opposizione tardiva e venuta meno l'ordinanza di convalida, si dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione nel quale il conduttore ben può in limine litis avvalersi della facoltà di sanare la morosità (Corte Cost. 18 dicembre 1987, n. 572)

Guida all'approfondimento

Bianca, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 2012;

Masoni, L'estinzione del rapporto di locazione, Milano, 2011;

Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1983.

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