Ricorso abusivo al credito e concorso esterno della banca nell’illecito contrattuale degli amministratori

Ivan Fossati
28 Agosto 2017

Il curatore fallimentare è legittimato ad agire ai sensi dell'art. 146 l.fall. in correlazione con l'art. 2393 cc nei confronti della banca, ove la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell'abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori della società stessa. Alla responsabilità delle banche a titolo di concorso in atti di mala gestio degli amministratori è applicabile...
Massima

Il curatore fallimentare è legittimato ad agire ai sensi dell'art. 146 l.fall. in correlazione con l'art. 2393 cc nei confronti della banca, ove la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell'abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori della società stessa. Alla responsabilità delle banche a titolo di concorso in atti di mala gestio degli amministratori è applicabile la disciplina di cui all'art. 1310 cc in materia di obbligazioni solidali, in virtù della quale gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto riguardo agli altri condebitori.

Il caso

Il curatore di un fallimento citava in giudizio alcuni istituti di credito ai sensi degli artt. 2043 e 2055 cc, per avere concorso, con gli amministratori ed i sindaci della fallita, nella causazione e nell'aggravamento del danno patrimoniale della società, attraverso la concessione abusiva di credito. Le banche convenute eccepivano, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva della curatela fallimentare a proporre l'azione e, in ogni caso, la sua intervenuta prescrizione, risalendo il dissesto della società in tesi occultato dalle erogazioni di credito al mese di ottobre 2007, ed essendo state convenute in giudizio le banche finanziatrici solo con atto di citazione del luglio 2014.

Il Tribunale di Milano, nella sentenza (parziale) in commento, ha rigettato entrambe le eccezioni, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio nel merito.

Quanto alla prima eccezione (difetto di legittimazione attiva del curatore) il Tribunale, rilevato che il curatore aveva chiesto, nella specie, alle banche convenute il ristoro del danno diretto patito dalla società a seguito della prosecuzione dell'attività sociale anche successivamente all'integrale perdita del capitale sociale, ne ha riconosciuto la legittimazione attiva. Ciò, in linea con la sentenza della Cassazione n. 13413 del 2010 e le più recenti pronunce della Suprema Corte 20 aprile 2017, n. 9983 e 11 aprile -2 maggio 2017 n. 11798, le quali hanno affermato il principio secondo il quale “la responsabilità della Banca si basa sul medesimo titolo della responsabilità dell'amministratore, sicché la banca, per opera della condotta del suo funzionario, concorre nell'abusivo ricorso al credito da parte dell'amministratore. Il titolo di responsabilità dedotto deve quindi essere quello della mala gestio di quest'ultimo.”

Applicando il suddetto principio, il Tribunale di Milano ha, quindi, inquadrato la domanda della curatela nell'ambito dell'azione di responsabilità delle banche a titolo di concorso in atti di mala gestio dell'amministratore.

Quanto alla seconda eccezione (prescrizione dell'azione) il Tribunale ha ritenuto applicabile la disciplina di cui all'art. 1310 cc in materia di obbligazioni solidali, in virtù della quale gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto riguardo agli altri condebitori. Nel caso di specie, infatti, la curatela fallimentare, prima di convenire in giudizio le banche, aveva (nel 2012) separatamente agito contro gli amministratori e i sindaci della fallita in relazione ai danni sofferti dalla stessa società per il ricorso abusivo al credito. Il Tribunale ha, quindi, ritenuto che la notificazione della citazione nei confronti degli amministratori e sindaci della fallita (nel 2012) avesse interrotto la prescrizione anche nei confronti delle banche citate in giudizio (solo) nel 2014.

La questione: il dies a quo della prescrizione - riflessioni

La sentenza in commento offre lo spunto per una riflessione sulla prescrizione dell'azione contro la banca (in tesi) concorrente nella mala gestio dell'amministratore con particolare riferimento all'individuazione del dies a quo del relativo termine; tema sul quale il Tribunale di Milano non si è particolarmente soffermato, ma che è di sicuro interesse pratico per le curatele attrici da una parte, e le banche dall'altra, visto il via libera della Cassazione a tale tipo di azioni. La questione ruota attorno alla natura della responsabilità concorrente della banca: contrattuale o extracontrattuale. Sul punto, una recente pronuncia del Tribunale di Perugia (sentenza 2 maggio 2017, n. 752) che, al pari di quella di Milano qui in commento, ha riconosciuto la legittimazione della curatela fallimentare all'azione contro la banca concorrente nell'illecito contrattuale dell'amministratore, ha ritenuto che la “la cooperazione del banchiere nell'altrui inadempimento resta pur sempre un illecito extracontrattuale”.

L'illecito extracontrattuale si prescrive, a norma dell'art. 2947 cc, in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

L'orientamento prevalente in dottrina ritene che per «fatto» ai sensi del citato art. 2947 cc debba intendersi il fatto giuridico, ossia l'illecito nel suo complesso articolato in condotta, evento, nesso causale e danno, con la conseguenza che il termine prescrizionale inizia a decorrere dalla manifestazione del danno (in tal senso: Del Signore, “Contributo alla teoria della prescrizione”, Padova, 2004, il quale rileva che la prescrizione del diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c. inizia sempre a decorrere dal momento del prodursi del danno e non dal compiersi del fatto materiale; Ottolenghi, “Prescrizione dell'azione per danni”, Milano, 1982, 85, secondo il quale «...l'adozione da parte del legislatore del termine fatto anziché atto, implica di per sé una dimensione dell'accadimento preso in considerazione tale da comprendere le conseguenze del comportamento»; Salvi, La responsabilità civile, in Dir. Priv., a cura di Iudica, Zatti, Milano, 1998, «...presupposto della responsabilità è l'esistenza di un danno risarcibile»).

In tema di decorrenza del predetto termine di prescrizione, la giurisprudenza civile, mutuando alcuni concetti dal diritto penale, distingue poi tra illecito con carattere istantaneo e illecito con carattere permanente con riferimento non tanto al danno, ma piuttosto al rapporto eziologico tra questo ed il comportamento contra jus dell'agente, qualificato dal dolo o dalla colpa. Si ritiene, in particolare, che, mentre nel fatto illecito istantaneo tale comportamento è mero elemento genetico dell'evento dannoso e si esaurisce col verificarsi di esso, pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente (si tratta allora di fatto illecito istantaneo con effetti permanenti), nel fatto illecito permanente il comportamento, oltre a produrre l'evento dannoso, lo continua ad alimentare per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell'uno e dell'altro. Sulla distinzione in esame tra illecito istantaneo e permanente particolarmente chiarificatrice è una pronuncia della Suprema Corte che richiama anche precedenti a Sez. Un., in base alla quale: “in materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, qualora si tratti di un illecito che, dopo un primo evento lesivo, determina ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente a tali ulteriori conseguenze decorre dal verificarsi delle medesime solo se queste ultime non costituiscono un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto, bensì la manifestazione di una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento dell'azione del responsabile. Ciò posto, si deve rilevare che, per orientamento consolidato (e vedi la pronuncia delle S.U. 23763/2011, seguita da successive pronunce delle sezioni semplici, 9711/2013 e 13201/2013) in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un'azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica” (Cass. Civ., sentenza 15 marzo 2016, n. 5081).

Nello stesso senso del Supremo Collegio si è, peraltro, espressa anche autorevole dottrina (Azzariti-Scarpello, Della prescrizione, in Comm. C. C., a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1977), secondo la quale “quanto all'inizio della decorrenza del termine, la legge applica il principio d'ordine generale, stabilendo che il quinquennio o il biennio si computa dal giorno in cui il fatto si è verificato. È ovvio che per fatto non deve intendersi la semplice azione od omissione del soggetto colpevole, ma tutto l'evento lesivo considerato nel suo complesso, e cioè comprensivo non solo del comportamento doloso o colposo dell'agente, ma anche del verificarsi del danno, il che, dal punto di vista pratico, presenta una notevole importanza ai fini della decorrenza del termine, poiché il comportamento illecito e il verificarsi del danno non sempre coincidono cronologicamente”. Ed ancora, Grasso, voce «Prescrizione (diritto privato), in Enc. Dir., XXXV, Milano, 1986, 66: “si ritiene unanimemente che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo perfetto e quindi potendo essere esercitato, non è di fatto, esercitato dal suo titolare”).

In conclusione

Sulla base dei predetti principi condivisi da giurisprudenza e dottrina, al fine di individuare il dies a quo della prescrizione dell'azione nei confronti delle banche finanziatrici occorre stabilire se l'illecito della banca (in tesi) concorrente con l'amministratore infedele che abbia fatto ricorso abusivo al credito, abbia carattere istantaneo o permanente. Il Tribunale di Perugia, nella sentenza sopra citata, ha ritenuto che si tratti di un illecito “con carattere istantaneo (…) che si perfeziona cioè nel momento in cui la banca, tramite i propri organi, stipula il contratto che eroga le risorse finanziarie”: se una banca ha concesso abusivamente credito ad una società decotta, con il finanziamento concorre ad occultarne l'insolvenza e il danno consiste nel ritardo nell'emersione del dissesto. L'aggravamento del deficit è il mero sviluppo e l'aggravamento del danno già prodotto e manifesto alla società (in vece della quale la curatela è legittimata all'azione di cui trattasi).

Sulla base di tale premessa, lo stesso Tribunale di Perugia ha dichiarato, nel caso sottoposto alla sua attenzione, l'intervenuta prescrizione dell'azione, respingendo la tesi della curatela attrice sul punto, ed evidenziando che: “delle due l'una: o il danno era percepibile già a gennaio 2008 e quindi, allorché sono stati stipulati i contratti, l'insolvenza era percepibile (nel qual caso però l'azione è prescritta) oppure, se l'insufficienza patrimoniale non era oggettivamente riconoscibile e percepibile, verrebbe meno lo stesso fondamento della responsabilità e la domanda dovrebbe essere rigettata nel merito, in quanto la banca non avrebbe contravvenuto alle regole del bonus argentarius e non potrebbe essere chiamata a rispondere di conseguenze dannose verificatesi a distanza di tempo e non oggettivamente prevedibili all'epoca dell'erogazione dei finanziamenti”.

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