Alberto Celeste
08 Settembre 2017

Oltre alle note funzioni di difesa dagli agenti atmosferici ed elemento strutturale che determina ed individua la consistenza volumetrica di tutto lo stabile, i «muri maestri», facenti parte del patrimonio condominiale ai sensi dell'art. 1117, n. 1), c.c., prestano, a favore dei condomini, utilità varie, atteso che non assolvono solo all'esigenza primaria di sostegno dello stabile, ma anche quella, accessoria e secondaria, di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe, insegne reclamistiche, ecc., purché tale ultima utilizzazione sia contenuta entro i limiti di cui all'art 1102 c.c., ossia non alteri la destinazione del bene (considerando, altresì, il rispetto della statica/sicurezza/estetica dell'edificio) e non pregiudichi il pari uso degli altri partecipanti.
Inquadramento

La locuzione «muri maestri», utilizzata dall'art. 1117, n. 1), c.c., va intesa come sinonimo di «muro portante», e si individua, pertanto, nella struttura architettonica avente la funzione di sorreggere l'edificio, allo stesso modo delle «fondazioni», nonché dei «pilastri» e delle «travi portanti» che seguono nell'elencazione del n. 1) di tale norma, manufatti, questi ultimi, inseriti appositamente ad opera della l. n. 220/2012.

Più nel dettaglio, al n. 1), sono menzionate tutte «le parti dell'edificio necessarie all'uso comune», ossia alla stessa costruzione, di solito trattandosi di parti costitutive essenziali del fabbricato, indispensabili e non suscettibili di separazione materiale o funzionale: nello specifico, si riportano il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti ed i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici e i cortili, inserendo, altresì, oltre che le facciate, «i pilastri e le travi portanti».

Per quanto questi ultimi, l'aggiunta sembra superflua, non sussistendo dubbi in ordine alla condominialità di tali elementi edilizi, non fosse altro per l'assimilazione ai muri maestri ed alle fondazioni, anche se, in precedenza, si era propensi a circoscrivere la funzione portante alle sole strutture «verticali» (colonne, piedritti), laddove invece, nelle moderne costruzioni di cemento armato, fanno parte integrante di tale struttura anche i solai (architravi), incluse le parti aggettanti.

La funzione portante e delimitatrice

Le modalità costruttive dei suddetti muri maestri sono del tutto ininfluenti al fine di stabilirne la natura condominiale, poiché ciò che conta è la loro specifica funzione (portante) dalla quale deriva, o meno, la natura comune; parimenti ininfluente è la posizione dei muri (interna o esterna) nella struttura dell'edificio, nel senso che sono da considerarsi condominiali anche qualora le caratteristiche costruttive del fabbricato - che, si badi, rispondono ad esigenze architettoniche e non giuridiche - prevedano una loro eterogenea collocazione nell'àmbito della struttura edilizia.

In considerazione di ciò, pertanto, la circostanza che la dizione «muro maestro» sia relativa a tipologie costruttive ormai non più in uso non comporta alcuna difficoltà interpretativa.

Coerentemente, nel regime codicistico, era stata ritenuta rientrante in tale categoria anche la struttura di «ritti e architravi» la quale, nelle moderne costruzioni in cemento armato, svolge quella funzione portante che, una volta, era dei muri maestri (in mattoni).

In tale circostanza - la quale, tra l'altro, risulta essere attualmente quella costruttivamente più diffusa - si considerano comuni anche i pannelli perimetrali (vale a dire, le quattro facciate del parallelepipedo costituito dall'edificio), i quali svolgono la funzione di delimitare volumetricamente l'edificio nonché di proteggerlo dagli agenti atmosferici esterni.

In quest'ordine di concetti, si è affermato (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776) che, in tema di parti comuni dell'edificio condominiale, nella nozione di «muri maestri» di cui all'art. 1117, n. 1), c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali, ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi, sono anch'essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell'edificio.

Più recentemente, il concetto è stato ribadito nel senso che i muri perimetrali dell'edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione contemplata nel citato art. 1117, in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, lo proteggono dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso; pertanto, nell'àmbito dei muri comuni dell'edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007, n. 4978; Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867).

E ancora, i muri perimetrali degli edifici in cemento armato (c.d. pannelli di rivestimento o di riempimento) delimitanti un edificio in condominio rispetto ad altro edificio condominiale costruito in aderenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 934 e 1117 c.c., pur non avendo funzione portante, la quale negli edifici anzidetti è assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica ed essenziale dell'intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata, sarebbe uno «scheletro vuoto» privo di qualsiasi utilità, ed appartengono a tutti i comproprietari del suolo, in quanto costruiti su suolo comune, costituendo un elemento strutturale dell'immobile di cui beneficiano tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2004, n. 23453; Cass. civ. sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773).

L'estensione del regime condominiale

Inoltre, tali muri sono comuni in tutta la loro estensione: in proposito, i giudici di legittimità hanno precisato che, fra i beni dichiarati comuni dall'art. 1117, n. 1), c.c., rientrano espressamente i muri maestri, per tutta la loro estensione, dalle fondamenta alla copertura dell'edificio, comprese le eventuali sopraelevazioni (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839).

Identici effetti di attribuzione del bene in comproprietà si producono tra tutti i condomini nel caso di muri maestri (o pannelli perimetrali) edificati in un momento successivo alla costruzione originaria del fabbricato: è il caso dei pannelli perimetrali eretti in sede di sopraelevazione di un piano dell'edificio, in cui il bene (cioè, il muro), nonostante sia costruito a cura e spese del condomino che sopraeleva il nuovo piano, è da ritenersi condominiale poiché svolge una funzione a servizio e/o utilità di tutto lo stabile.

L'effetto di attribuzione al patrimonio condominiale può dirsi ex lege e si produce automaticamente all'atto della costruzione dei nuovi pannelli.

Si afferma, infatti, che, se dai titoli non risulta alcuna contraria pattuizione, per la presunzione nascente dall'art. 1117 c.c. devono ritenersi di proprietà comune dei diversi piani o porzioni dell'edificio le fondazioni, i muri maestri e, quindi, anche i muri perimetrali esterni; la citata norma si riferisce a tutta l'estensione dei muri, e cioè dalle fondamenta alla copertura dell'edificio nella sua struttura unitaria, e poiché la stessa non pone alcuna distinzione, riguarda tanto gli edifici i cui piani siano stati costruiti tutti in origine, quanto quelli che hanno subìto successivi ampliamenti e sopraelevazioni, ad opera del proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare (Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1971, n. 3133).

Negli stessi termini, ma con maggiore specificazione in ordine alla funzione del bene, si è pronunciata la Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1978, n. 2475), esplicitando che i muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di proprietà comune anche nelle parti in cui delimitano un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perché anche in quelle parti essi adempiono strutturalmente ad una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio.

Ugualmente può affermarsi nel caso di muri delimitanti il piano attico: la giurisprudenza ha preso in esame tale ipotesi, precisando che i muri che limitano verso l'esterno gli appartamenti del piano attico - anche nei casi in cui non abbiano funzione di sostegno della copertura dell'edificio - non possono essere considerati come avulsi dalla struttura unitaria del fabbricato condominiale, del quale contribuiscono a formare la complessa struttura architettonica, sicché essi rientrano tra le parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117, n. 1), c.c. (Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 1978, n. 5732).

Pertanto, anche in questo caso, si applica il principio in base al quale è irrilevante la posizione concreta del bene all'interno delle strutture dello stabile, per cui la cosa può ben essere condominiale anche se posta in prossimità di una parte dell'edificio; se applicata ai muri maestri (o ai pannelli perimetrali), tale rilievo comporta che la contiguità delle pareti ad alcune soltanto delle unità immobiliari in proprietà esclusiva è del tutto irrilevante rispetto al riconoscimento della loro natura condominiale.

In accordo a tale impostazione, il supremo consesso decidente, analizzando la fattispecie dei pannelli perimetrali costituenti il perimetro di una «chiostrina», ha avuto modo di sottolineare che i muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei condomini, sono comuni a tutti i proprietari delle unità immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo l'ossatura della costruzione, svolgono una funzione di utilità comune, anche se, ovviamente, più intensa per coloro che hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402, con la conseguenza che, alle assemblee che deliberano su argomenti interessanti i muri perimetrali, devono partecipare tutti i condomini dello stabile e non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unità immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio particolare rispetto al vantaggio generale).

Del pari, non può affermarsi la proprietà esclusiva dei pannelli perimetrali nella parte di essi adiacente alle singole porzioni di piano private, in quanto la valutazione giuridica del bene non consente parcellizzazioni dello stesso - come, peraltro, già visto per le fondazioni - e lo considera come un tutt'uno unitario in collegamento con la sua specifica funzione che è, appunto, unica ed inscindibile.

In evidenza

È per tale motivo che si afferma che i muri perimetrali dell'edificio in condominio sono comuni a tutti i condomini, anche nelle parti poste in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva, sicché ciascun condomino può servirsene, per quelle utilità che ineriscono al godimento della sua proprietà esclusiva, non soltanto nella parte che delimita il proprio piano ma anche nelle parti corrispondenti ai piani degli altri proprietari.

In quest'ordine di concetti, il singolo può servirsi del muro comune come di qualsiasi altro bene condominiale ai sensi dell'art. 1102 c.c., nel rispetto, quindi, della destinazione e del pari uso degli altri condomini (nonché a condizione che non determini un pregiudizio alla sicurezza/stabilità/decoro dell'intero edificio).

Nell'illustrare le modalità di utilizzo dei muri comuni riconosciute legittime dalla giurisprudenza, va, preliminarmente, precisato come il diritto dei condomini abbia ad oggetto l'intero bene (muri comuni) per tutta la sua estensione, essendo irrilevante la posizione della proprietà esclusiva all'interno della struttura (ad esempio, il proprietario dell'appartamento posto sull'ala nord del fabbricato ben può utilizzare la porzione di muro perimetrale posta al lato opposto dell'edificio).

Il principio è pacifico, e corrisponde all'affermazione giurisprudenziale secondo la quale, sul presupposto che i muri perimetrali dell'edificio in condominio costituiscono, per tutta la loro estensione, oggetto di comunione pro indiviso, si afferma che il proprietario di ciascun piano, o porzione di piano, può utilizzare, per proprie esigenze, i detti muri, anche nella parte corrispondente all'appartamento di altro condomino, purché tale utilizzazione risulti contenuta entro i limiti fissati dall'art. 1102 c.c., sì da non pregiudicare il decoro o l'estetica dell'edificio e da non frapporre ostacoli all'esercizio del diritto concorrente di altri condomini (v., ex plurimis, Cass. 12 giugno 1963, n. 1578).

Il principio è stato precisato dalla Suprema Corte, nel senso che i muri perimetrali di un fabbricato in condominio hanno la duplice funzione di sorreggere le strutture dello stabile ed anche di recingerlo, delimitandone il perimetro e la disponibilità; sono comuni a tutti i condomini anche nelle parti poste in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1970, n. 76).

Gli usi consentiti

Una frequente fattispecie di utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino di frequente verificazione è rappresentata dalla realizzazione di aperture.

La prassi in merito, peraltro assai nutrita, registra un alto grado di eterogeneità delle fattispecie, le quali, tuttavia, possono essere tutte ricondotte nell'àmbito dell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 1102 c.c.

In tale ordine di idee, si è pronunciata la Suprema Corte, secondo la quale, negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l'esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2002, n. 4314: nella specie, si era considerata legittima l'apertura di una porta eseguita da un condomino nel muro condominiale, dopo avere incensurabilmente accertato che da essa non era derivata alcuna sostanziale modifica dell'entità materiale del bene né il mutamento di destinazione dell'androne comune, di cui il ricorrente poteva continuare a fare uso secondo il suo diritto, incontestata essendo ulteriormente rimasta l'insussistenza di alterazione del decoro architettonico del bene medesimo in conseguenza di detta apertura).

Le aperture che il condomino, nel rispetto dei suddetti limiti, può legittimamente praticare nei muri maestri (o nei muri perimetrali), possono, anche, avere la funzione di vetrine.

Con riferimento a tale fattispecie, si sostiene che è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato anche all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva; all'eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554).

Parimenti, al condomino è consentito realizzare una nuova apertura con funzione di (ulteriore) ingresso alla sua proprietà esclusiva.

La Suprema Corte riconosce tale possibilità, precisando che l'apertura di varchi e l'installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell'edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all'unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima, non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102, comma 1, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad un'interclusione dell'unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all'intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. civ. sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155).

Il principio è stato ulteriormente ribadito dalla Suprema Corte, la quale ha precisato che, in applicazione del principio secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso - e senza che tale uso più intenso sconfini nell'esercizio di una vera e propria servitù - deve ritenersi che l'apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l'unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell'àmbito del concetto di uso (più intenso) del bene comune, e non esige, per l'effetto, l'approvazione dell'assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte ragione, alcuna costituzione di servitù (Cass. civ., sez. II,3 giugno 2003, n. 8830).

Si riconosce, altresì, la legittimità dell'apertura di nuove finestre.

Per la Suprema Corte, infatti, l'apertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti sul muro comune verso gli spazi condominiali - nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare ed illuminare i locali interni che vi prospettano - in corrispondenza della proprietà del singolo, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900 e 907 c.c.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz'altro limite che l'obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità ed il decoro architettonico dell'edificio nonché di non ledere i diritti degli altri condomini ex artt. 1102 e 1139 c.c. (Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929).

Anche l'installazione sul muro comune di tubazione posta a servizio della proprietà esclusiva deve ritenersi consentita.

In riferimento a tal fattispecie, viene precisato che. per la funzione sussidiaria che hanno i muri perimetrali e non perimetrali di sostenere tubi, fili e condutture a servizio dei vari appartamenti, il condomino può impiantare tubatura ed usufruirne a vantaggio del proprio appartamento, purché esegua i lavori a regola d'arte, non comprometta la stabilità e l'estetica del fabbricato e non dia origine ad immissioni che, per la loro intensità, frequenza ed idoneità a cagionare danno, si traducono in un illecito facere in alieno (App. Firenze 15 aprile 1955).

Nella medesima ottica, un giudice di merito ha puntualizzato che costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c., l'utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas, nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori (Trib. Trani 19 gennaio 1991).

Del pari legittima è l'installazione di una canna fumaria in appoggio al muro comune.

Sul punto, infatti, è stato precisato che il condomino può servirsi del muro comune anche per appoggiare od incastrare una canna fumaria, a condizione che non ne derivi pregiudizio all'egual diritto degli altri condomini di servirsi della cosa comune o danno alla stabilità o sicurezza del muro (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1963, n. 400).

Il principio è stato ribadito, più recentemente, dalla giurisprudenza di merito, per la quale l'installazione di una canna fumaria in aderenza al muro perimetrale di un fabbricato in condominio rientra nell'uso legittimo della cosa comune e non richiede né interpello, né consenso degli altri condomini, quando non lede diritti esclusivi di questi ultimi e non alteri il decoro architettonico dell'edificio (Trib. Napoli 17 marzo 1990).

Gli usi vietati

Gli usi dei muri comuni ritenuti non considerati dalla giurisprudenza riguardano ipotesi che possono essere ricondotte a due grandi categorie: da una parte, le fattispecie di utilizzazione che violano i limiti previsti dall'art. 1102 c.c. (determinando un'alterazione della destinazione del bene o un pregiudizio del pari diritto degli altri comproprietari) e, d'altra parte, le ipotesi che possono dar luogo ad una (illegittima) costituzione di un diritto di servitù (a carico del condominio ed a favore dell'utilizzatore particolare).

Appartengono alla prima categoria - a titolo meramente esemplificativo, passando in rassegna alcune decisioni della magistratura di vertice - l'ipotesi di abbattimento di muro comune, l'ipotesi di installazione di bacheche con eccessiva occupazione della superficie di muro comune nonché l'installazione di un'antenna parabolica di notevoli dimensioni.

In quest'ottica, si è puntualizzato che l'art. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura; ne consegue che l'abbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non può farsi rientrare nell'àmbito delle facoltà concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102, ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall'art. 1120 c.c. (Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497).

Il giudice del merito, per accertare se l'uso più intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perciò ritenersi non consentito ex art. 1102 c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107: nella specie, è stata ritenuta corretta la decisione la quale aveva affermato che la collocazione da parte di un condomino sul muro perimetrale comune di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di quadri in vendita, era illegittima, perché tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire essi avessero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali).

L'installazione di una antenna parabolica di notevoli dimensioni sulla facciata di un condominio, essendo lesiva del decoro dell'edificio, è contraria ai canoni di utilizzo della cosa comune fissati dagli artt. 1102 e 1120 c.c. (Trib. Milano 25 ottobre 2001).

Alla seconda categoria - che ricomprende quelle utilizzazioni che possono dar luogo ad una (illegittima) costituzione di un diritto servitù a carico del condominio ed a favore del singolo utilizzatore - appartengono sia l'ipotesi di realizzazione di aperture per collegare proprietà esclusive non facenti parte del condominio sia l'ipotesi di appoggio al muro comune di una costruzione realizzata su di un fondo contiguo al condominio (ma non facente parte di esso).

Anche in questo caso, la giurisprudenza ha reiteratamente puntualizzando che, in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell'edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all'acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale (Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1995, n. 360; Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780).

I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell'edificio stesso di cui costituiscono parte organica; per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere utilizzati, senza il consenso di tutti i condomini, per l'utilità di altro immobile di sua esclusiva proprietà non facente parte del condominio, in quanto ciò implicherebbe la costituzione di una servitù in favore di un bene estraneo al condominio, sicché il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione realizzata su suolo contiguo di sua proprietà esclusiva non può farlo senza il consenso degli altri condomini, non essendo applicabile la disciplina dell'art. 884 c.c. che disciplina la costruzione in appoggio al muro comune (Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1994, n. 2953).

Casistica

CASISTICA

Apertura di un varco di collegamento con il cortile

In tema di condominio di edifici l'apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprietà esclusiva di un singolo condomino con quello comune non dà luogo alla costituzione di una servitù (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene già usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l'opera realizzata non pregiudichi l'eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio (Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8591).

Sostituzione con porte scorrevoli

Poiché le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri perimetrali, che non è più quella di assicurare la stabilità dell'edificio bensì soltanto quella di delimitarlo esternamente, mentre la funzione portante è esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio, l'abbattimento da parte di un condomino di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con porte scorrevoli non comporta, di regola, un'alterazione della sua normale destinazione, vietata dall'art. 1102 c.c., ma costituisce uso normalmente lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in volta può assumere aspetti lesivi dell'integrità dell'edificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche (Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008).

Installazione di impianto citofonico

L'installazione di un impianto di campanello e citofono, per consentire il collegamento con l'esterno di un appartamento in edificio condominiale e l'apertura del portone di quest'ultimo, non integra imposizione di servitù a carico della proprietà condominiale, ma configura un uso del bene comune, legittimo nei limiti in cui non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso (Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1982, n. 3795).

Locazione delle parti comuni

Al singolo condomino non è consentito procedere - autonomamente, al di fuori di una delibera assembleare - alla locazione di porzioni del muro comune; in quest'ordine di concetti, sicché il condomino non può locare il muro maestro disgiuntamente dal piano del fabbricato per l'apposizione di cartelli pubblicitari, mostre, insegne e simili (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1962, n. 3146).

Guida all'approfondimento

Manassero, L'apposizione delle canne fumarie sulla facciata degli stabili in condominio, in Immob. & diritto, 2014, 567;

Annunziata, Uso abnorme del muro perimetrale e tutela del condomino, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 808;

Pugliese, Proprietà dei muri negli edifici in condominio: vale il principio dell'accessione?, in Arch. loc. e cond., 2006, 294;

Spagnuolo, Un condomino non può modificare il muro perimetrale, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 4, 37;

Scarpa, La condominialità dei muri perimetrali, in Riv. giur. edil., 2005, I, 1179;

Pironti, Un uso legittimo delle mura perimetrali: l'installazione della tubazione di gas a servizio di un appartamento sui muri maestri di un edificio in condominio, in Giur. merito, 1999, 993;

De Tilla, Sull'apposizione di una vetrina sul muro perimetrale, in Riv. giur. edil., 1998, I, 847;

Colonna, Esclusività e partecipazione nel godimento dei beni: il caso del muro maestro in proprietà esclusiva, in Giur. it., 1998, 677;

Maglia, I muri condominiali, in Arch. loc. e cond., 1994, 429;

Alvino, Installazione della canna fumaria sul muro comune, in Giust. civ., 1977, I, 1159.

Sommario