Videosorveglianza

07 Febbraio 2023

Nella problematica concernente l'installazione della videosorveglianza sui luoghi comuni, coesistono due contrapposti interessi: da un lato l'esigenza diretta a preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni comuni, e, dall'altro, la preoccupazione che i trattamenti effettuati, siano idonei ad incidere sulla libertà degli interessati di muoversi, non controllati, all'interno delle medesime aree comuni.
Inquadramento

La problematica relativa all'installazione dell'impianto di videosorveglianza all'interno di un edificio in regime di condominio va correttamente impostata sotto un duplice profilo, ossia quello della legislazione speciale, prettamente riguardo al rispetto della privacy, e quello civilistico, segnatamente attinente all'osservanza dei quorum legali da parte dell'assemblea.

Sotto il primo profilo, la questione si presentava alquanto delicata, soprattutto alla luce dei vari (contrapposti e delicati) interessi in gioco; purtroppo, l'autorità preposta non era intervenuta in modo risolutivo al fine di sciogliere i vari dubbi che insorgevano nella pratica applicazione, e solo di recente si registrano precise prese di posizioni che interessano più da vicino la realtà condominiale.

Sotto il secondo profilo, è intervenuta la riforma della normativa condominiale, il cui art. 1122-ter c.c. ora contempla una maggioranza agevolata in ordine alle delibere concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse.

Tale norma avrebbe potuto trovare tranquilla collocazione all'interno dell'art. 1120 c.c., costituendo necessariamente un'innovazione e, in particolare, nell'elenco di cui al novellato comma 2, che oggi menziona quegli interventi strutturali e funzionali dell'edificio condominiale che la l. n. 220/2012 ha considerato meritevoli di incentivazione, tanto più che si contempla lo stesso quorum (500 millesimi).

Afferendo a beni di una particolare rilevanza (financo costituzionale), forse il Legislatore ha ritenuto opportuno dedicarvi un'apposita disposizione, anche se la collocazione sistematica non appare felice, perché posta dopo l'art. 1122 c.c., che si occupa delle «opere su parti di proprietà o uso individuale», e dopo l'art. 1122-bis c.c., che disciplina la realizzazione di «impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili», e, quindi, di iniziative pur sempre da parte del singolo, laddove qui siamo in presenza di delibere adottate dall'assemblea che interessano le parti comuni dell'edificio.

Gli interventi del Garante della privacy

Il dato normativo, dal quale occorreva prendere le mosse per la corretta installazione, anche nel condominio, di un servizio di videosorveglianza, era il provvedimento generale emesso dal Garante della privacy il 29 aprile 2004, che si sviluppava, sostanzialmente, su due grandi direttrici: da una parte, imponeva le prescrizioni valevoli su tutto il territorio nazionale e, dall'altra, richiamava i principi generali del Codice in materia di protezione dei dati personali applicabili al caso de quo; segnatamente, il d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, operativo dal 1° gennaio 2004, all'art. 134, disponeva che «Il Garante promuove, ai sensi dell'articolo 12, la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato con strumenti elettronici di rilevamento di immagini, prevedendo specifiche modalità di trattamento e forme semplificate di informativa all'interessato per garantire la liceità e la correttezza anche in riferimento a quanto previsto dall'articolo 11».

Tale provvedimento generale aggiornava ed integrava il precedente documento della stessa Authority del 29 novembre 2000 sulla stessa materia, volendo realizzare un rafforzamento delle garanzie, nel presupposto del «rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini e della dignità delle persone con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità ed alla protezione dei dati personali», il tutto considerando anche la «libertà di circolazione nei luoghi pubblici o aperti al pubblico», ed evitando che gli interessati siano privati «del diritto di circolare senza subire ingerenze incompatibili con una libera società democratica».

Si trattava di premesse di principio che, aldilà della loro natura astratta, comportavano alcune conseguenze anche di ordine pratico nell'effettuazione delle operazioni materiali di videosorveglianza.

In via preliminare, tale servizio, in quanto comportante un trattamento di dati, doveva essere effettuato nel rispetto della legge (c.d. principio di liceità), non solo settoriale, ossia riguardo al Codice sulla privacy, ma anche con riferimento a qualsiasi norma presente nell'ordinamento e concernente questa materia: il Garante richiamava espressamente «le vigenti norme dell'ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, di tutela della dignità, dell'immagine, del domicilio e degli altri luoghi cui è riconosciuta analoga tutela», oltre alle norme riguardanti la tutela dei lavoratori (l. 20 maggio 1970 n. 300).

Più di recente, la suddetta Authority aveva sentito il bisogno di emettere il provvedimento generale del 29 aprile 2010, a causa del forte aumento di sistemi di videosorveglianza; tale provvedimento, sostituendo quello del 2004, aveva introdotto nuove regole volte alla protezione dei dati personali nel caso di installazione di telecamere - cartelli visibili anche quando il sistema è attivo in orario notturno, cartelli appositi per segnalare il collegamento con le forze di polizia, obbligo di verifica preliminare per sistemi tecnologicamente avanzati, conservazione delle registrazioni per massimo 24 ore tranne alcuni casi, ecc. - tuttavia, per quanto concerne l'approvazione delle decisioni assembleari aventi ad oggetto l'utilizzo di telecamere nelle aree condominiali, non aveva preso ancora una netta posizione.

Rimaneva pacifica l'utilità, all'interno dell'edificio in regime di condominio, soprattutto con riferimento all'incremento della sicurezza, di un sistema di videosorveglianza, grazie al quale la proprietà era costantemente monitorata; peraltro, il valore della «sicurezza» dello stabile era apprezzato dallo stesso codice civile del 1942, che lo individuava tra i criteri di pregiudizio previsti dall'art. 1120, ultimo comma, c.c., con lo scopo di interdire eventuali innovazioni sui beni ed impianti comuni, nel senso che le suddette innovazioni trovavano un limite invalicabile, considerandosi vietate e, quindi, non realizzabili nemmeno con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio, qualora attentassero alla sicurezza, intesa lato sensu, appunto contro terzi (ad esempio, ladri) o cose (si pensi a intemperie, alluvioni, incendi).

I principi sulla tutela della riservatezza

Dal punto di vista della tutela della riservatezza, va evidenziato che, attraverso la videosorveglianza, viene effettuata una vera e propria «raccolta» di informazioni (consistenti nelle immagini riprese dalle apparecchiature), riferibili ai frequentatori del fabbricato (siano essi condomini, conduttori e/o estranei), e che, attraverso detta operazione, si pone in essere un «trattamento» di dati il quale, in quanto tale, deve essere sottoposto alle regole del Codice sulla privacy.

In via preliminare, va ricordato che il concetto di «dato» può essere inteso come sinonimo di informazione, e comprende qualsiasi elemento di scrittura, di suono, di immagine che abbia un contenuto informativo; segnatamente, costituisce un «dato personale» qualsiasi informazione che riguardi persone, società, enti, associazioni identificati o che possano essere identificati anche attraverso altre informazioni (ad esempio, attraverso un numero o un codice identificativo).

In questa prospettiva, sono dati personali il nome, il cognome, la denominazione, l'indirizzo o la sede, il codice fiscale, ma anche la foto, la registrazione della voce di una persona, la sua impronta vocale o digitale; infatti, la persona può essere identificata anche attraverso altre informazioni, ad esempio associando la registrazione della voce della persona alla sua immagine, o alle circostanze in cui la registrazione è stata effettuata (luogo, ora, situazione).

In altri termini, è «dato personale» qualunque informazione attraverso la quale una persona è identificata o identificabile, anche indirettamente e, tra i dati personali, rientrano senz'altro anche le immagini ed i suoni, trattandosi di elementi tramite i quali è possibile identificare una persona; al riguardo, il Garante ha ribadito che la normativa sulla privacy «è senz'altro applicabile anche ai trattamenti di suoni ed immagini effettuati attraverso sistemi di videosorveglianza, a prescindere dalla circostanza che tali informazioni siano eventualmente registrate in un archivio elettronico, o comunicate a terzi, dopo il loro temporaneo monitoraggio in un circuito di controllo».

Premesso quanto sopra, va rilevato che i due valori contrapposti - da una parte, la protezione della proprietà e la sicurezza degli abitanti e, dall'altra, la difesa della riservatezza - devono, pertanto, armonizzarsi (art. 2 Codice della privacy), preservando e contemperando equamente, al massimo grado di tutela, i rispettivi interessi, non sempre naturalmente convergenti.

Analizziamo, dunque, quali sono le possibili conseguenze dei summenzionati principi in materia di privacy.

Va premesso, innanzitutto, che, nella fattispecie, viene posto un vincolo per il cittadino, sicché si impone l'esclusione di qualsiasi uso superfluo od eccessivo del sistema, ad esempio, evitando l'utilizzazione di dati che rendano possibile l'identificazione delle persone quando ciò non sia strettamente «necessario», impedendo l'ingrandimento delle immagini, e predisponendo un automatismo che cancelli periodicamente i dati eventualmente registrati (c.d. principio di necessità).

Inoltre, il sistema di videosorveglianza può essere effettuato solo se è «proporzionato» rispetto al reale rischio presente in determinati luoghi, per esempio, precludendo che vengano effettuate riprese video su aree che non sono soggette a pericoli concreti, o che le telecamere siano installate solo per meri fini di apparenza o di prestigio, ma, soprattutto, gli impianti di videosorveglianza devono essere attivati soltanto «quando altre misure siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili».

Infatti, il Garante puntualizza che, prima di approvare, in sede assembleare, l'installazione del sistema di videosorveglianza, occorre valutare «altri idonei accorgimenti, quali controlli da parte di addetti, sistemi di allarme, misure di protezione rinforzata degli ingressi, cancelli automatici, abilitazioni agli ingressi», evitando di adottare «la scelta semplicemente meno costosa, o meno complicata, o di più rapida attuazione, che potrebbe non tener conto dell'impatto sui diritti degli altri cittadini o di chi abbia diversi legittimi interessi».

Viene prescritto che, al fine del rispetto del c.d. principio di proporzionalità, occorre valutare: se sia necessario identificare le persone o possa essere sufficiente raccogliere immagini non dettagliate; la dislocazione e l'angolo visuale delle apparecchiature; quali dati rilevare e se procedere a registrazione (o, invece, adottare il sistema meno invasivo di riprese a circuito chiuso di sola visione delle immagini); la durata dell'eventuale conservazione (che deve essere sempre temporanea); la necessità della rigorosa delimitazione della ripresa di luoghi privati o di accessi ad edifici.

La ripresa delle immagini deve, poi, avvenire per scopi determinati, espliciti e legittimi, senza che il titolare del trattamento possa porsi finalità che esulano dalla sua pertinenza; ciò avviene, per esempio, quando soggetti privati intendono perseguire finalità di sicurezza pubblica o di prevenzione/accertamento dei reati, che, invece, competono solo alle forze di polizia; in proposito, il Garante afferma che, «in ogni caso, possono essere perseguite solo finalità determinate e rese trasparenti, ossia direttamente conoscibili attraverso adeguate comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico» (c.d. principio di finalità).

Gli adempimenti formali e le prescrizioni tecniche

Una volta approvata l'installazione delle videocamere sui luoghi comuni, nel rispetto dei principi generali di cui sopra, e considerate, soprattutto, le soluzioni pratiche adottate in tale prospettiva, nell'espletamento del relativo servizio, vanno individuate una serie di formalità il cui adempimento si rende necessario affinché il trattamento possa essere qualificato come lecito.

E' necessario che gli interessati siano informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata, e dell'eventuale registrazione; in buona sostanza, si deve fornire alle persone che possono essere riprese indicazioni chiare, anche se sintetiche, che avvertano della presenza di impianti di videosorveglianza, fornendo anche le informazioni necessarie, specie quando le relative apparecchiature non siano immediatamente visibili (soprattutto di notte).

Dunque, in termini generali, la «informativa» ai fini della normativa della privacy, deve contenere le informazioni che il titolare del trattamento deve fornire all'interessato per chiarire se quest'ultimo è obbligato o meno a rilasciare i dati, quali sono gli scopi e le modalità del trattamento, come circolano i dati e in che modo esercitare i diritti riconosciuti dalla legge; esistono, però, modalità semplificate per informare gli interessati sul trattamento dei dati personali, per cui, ad esempio, per segnalare alle persone di passaggio l'esistenza di un sistema di videosorveglianza in un condominio, è sufficiente esporre dei cartelli che segnalino le telecamere e che indichino le finalità della ripresa, nonché il nome del responsabile del trattamento a cui rivolgersi per eventuali informazioni aggiuntive.

Dunque, deve essere rilasciata una «informativa» contenente gli elementi previsti dall'art. 13 del Codice della privacy e, per agevolare tale adempimento, il Garante ha predisposto, nel provvedimento generale del 2004, un modello semplificato (cartello fac-simile allegato), la cui installazione deve tenere conto della natura dei luoghi e delle specifiche modalità di effettuazione delle riprese (per esempio, tale cartello deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, ed avere un formato ed un posizionamento chiaramente visibile).

Allorché vi siano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità degli interessati, è necessario che sia effettuata una verifica preliminare (anche a seguito di istanza del titolare del trattamento); rischi specifici possono, infatti, essere rappresentati dal rilevamento di dati biometrici, dalla digitalizzazione o indicizzazione delle immagini (con possibilità di ricerca automatizzata), e dall'utilizzazione di sistemi che permettono il riconoscimento facciale.

Tra le «misure minime di sicurezza» - rilevanti anche sul piano penale - che devono essere adottate, in generale, si segnalano: locali con accesso protetto da badge, armadi chiusi a chiave per la custodia dei supporti, sistemi di controllo accessi (user id, password) per visionare le registrazioni, diversi profili di autorizzazione per accedere alla visione delle immagini registrate (ad esempio, per manutentore, per responsabile del trattamento, per forze di polizia), sistemi di cifratura delle registrazioni, e quant'altro.

In particolare, in capo all'amministratore di condominio, fanno carico numerosi obblighi, fra i quali si impone che: gli interessati devono essere sempre informati che stanno accedendo in una zona videosorvegliata; qualora sussistano più telecamere, devono essere posizionati più cartelli che segnalino ciascuna presenza; il cartello con l'informativa deve essere posto prima del raggio di azione della telecamera e deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere visibile in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il sistema di videosorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno; il medesimo cartello può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita ed immediata comprensione, eventualmente diversificati al fine di informare se le immagini sono solo visionate o anche registrate.

Il mancato rispetto di queste prescrizioni, a seconda dei casi ai sensi del Codice della privacy, può comportare l'inutilizzabilità dei dati personali trattati (art. 11, comma 2), l'adozione di provvedimenti di blocco o divieto del trattamento disposti dal Garante (art. 143, comma 1, lett. c)), e, infine, l'applicazione delle sanzioni amministrative o penali ed esse collegate (artt. 161 ss.), oltre ovviamente ad eventuali richieste di risarcimento da parte di eventuali soggetti danneggiati.

Sul punto, il Garante della privacy, all'interno del vademecum predisposto il 10 ottobre 2013, rispondendo ai numerosi quesiti posti sorgenti nella vita quotidiana del condominio - peraltro, a sostanziale conferma dei rilievi di cui sopra - ha avuto modo di puntualizzare che:

a) nel caso in cui il sistema di videosorveglianza sia installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate in particolare tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza;

b) tra gli obblighi, che valgono anche in àmbito condominiale, vi è quello di segnalare le telecamere con appositi cartelli, eventualmente, avvalendosi del modello predisposto dal suddetto Garante;

c) le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, anche in relazione a specifiche esigenze (come alla chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio o a periodi di festività);

d) per tempi di conservazione superiori ai sette giorni è comunque necessario presentare una verifica preliminare al Garante;

e) le telecamere devono riprendere solo le aree comuni da controllare (accessi, garage, ecc.), possibilmente evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti (strade, edifici, esercizi commerciali, ecc.);

f) i dati raccolti (riprese, immagini) devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza che ne consentano l'accesso alle sole persone autorizzate (titolare, responsabile o incaricato del trattamento).

In argomento, il Garante della Privacy ha divulgato, in data 5 dicembre 2020, alcune risposte alle domande più frequenti (trattasi del primo documento informativo ufficiale successivo alla riforma europea sulla tutela dei dati personali, Linee guida m. 3/2019 dell'Edpb pubblicate il 29 gennaio 2020, di cui appresso).

In particolare, riguardo alla domanda se l'installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali, atti a monitorare la proprietà privata, la suddetta Autorità ha risposto che è possibile, tuttavia, nel caso di videosorveglianza privata, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, parti comuni delle autorimesse) ovvero a zone di pertinenza di soggetti terzi, mentre è vietato altresì riprendere aree pubbliche o di pubblico passaggio.

Inoltre, il Garante precisa che il trattamento dei dati personali mediante l'uso di telecamere installate nella propria abitazione per finalità esclusivamente personali di controllo e sicurezza, rientra tra quelli esclusi dall'àmbito di applicazione del Regolamento; in questi casi, i dipendenti o collaboratori eventualmente presenti (babysitter, colf, ecc.) devono essere comunque informati dal datore di lavoro.

Sarà comunque necessario evitare il monitoraggio di ambienti che ledano la dignità della persona (come bagni), proteggere adeguatamente i dati acquisiti (o acquisibili) tramite le smart cam con idonee misure di sicurezza, in particolare quando le telecamere sono connesse a Internet, e non diffondere i dati raccolti.

Le attribuzioni dell'assemblea condominiale

Sotto l'aspetto più prettamente civilistico, è indubbio che l'installazione di videocamere sui luoghi comuni, deliberata dall'assemblea dei condomini, trattandosi di impianto prima non esistente - peraltro di una certa rilevanza, non tanto sotto il profilo della consistenza materiale quanto piuttosto dell'importanza giuridica - costituisca un'innovazione ai sensi dell'art. 1120, comma 1, c.c. (testo rimasto invariato).

Al riguardo, si ritiene che l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell'edificio rientri nelle attribuzioni dell'assemblea, che ha il compito di soddisfare l'esigenza diretta a preservare la sicurezza di persone (a fronte di aggressioni, scippi, rapine, ecc.): infatti, deve includersi, tra le prerogative dell'organo gestorio, anche quella di conservare l'integrità lato sensu della collettività condominiale, e non solo dei beni materiali comuni (competenza, quest'ultima, spettante in via conservativa addirittura dell'amministratore ex art. 1130, n. 4, c.c.).

In evidenza

Il nuovo art. 1122-ter c.c. prevede che «Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136.

La new entry nel panorama condominiale interviene a colmare un vuoto normativo, in quanto, relativamente alle riprese nelle aree comuni dell'edificio in condominio - quali portoni d'ingresso, androni, cortili, scale, aree di accesso a parcheggi o dedicate a servizi comuni, ecc. - tale specifica ipotesi era stata già oggetto di una segnalazione da parte del Garante della privacy al Governo ed al Parlamento il 13 maggio 2008, in cui si era notata l'assenza di una puntuale disciplina che risolvesse alcuni problemi operativi.

Segnatamente, l'Authority aveva constatato che la disciplina codicistica dell'istituto condominiale non consentiva, nemmeno per analogia, di individuare quali fossero i soggetti, abitanti in un condominio di edifici, che avessero diritto di voto per la deliberazione assembleare relativa all'installazione di telecamere che riprendessero le aree comuni, potendo in astratto vantare una legittimazione al riguardo sia i titolari di diritti reali, sia i titolari di diritti personali concernenti le porzioni solitarie comprese nel fabbricato, sia ancora coloro che soltanto frequentavano abitualmente l'edificio per vincoli familiari o per motivi di lavoro, né la normativa chiariva se occorresse l'unanimità dei partecipanti al condominio, o se fosse sufficiente una qualche maggioranza dei votanti perché la deliberazione de qua risultasse validamente assunta.

In questa prospettiva, la Riforma del 2013 dà risposte ai suddetti interrogativi che, per quanto possano oggetto di critiche, sicuramente consentiranno di eliminare possibili contenziosi in materia.

In particolare, da un lato, parlando di «deliberazioni», il Legislatore ha inteso escludere indirettamente che, alla relativa decisione, possano partecipare soggetti diversi dai condomini, ossia dai proprietari di unità immobiliari facenti parte il condominio interessato (si pensi ai conduttori, pur interessati alle ripresa da parte dell'impianto di videosorveglianza); dall'altro, lo stesso legislatore, con una soluzione tranchant, ha reputato sufficiente la maggioranza di 500 millesimi, non considerando necessario l'ordinario quorum delle innovazioni, né a fortiori l'unanimità del consenso di tutti i partecipanti al condominio.

Resta inteso che, costituendo pur sempre un'innovazione, sia pur agevolata, le relative spese dovranno essere ripartite secondo i criteri ordinari di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., salva l'esistenza del c.d. condominio parziale, ossia l'ipotesi che l'impianto de quo abbia un angolo di visuale ristretto solo ad una parte dell'edificio (ad esempio, al garage in cui hanno i boxes soltanto alcuni condomini).

Per completezza, va segnalato che la norma de qua si riferisce alla «installazione sulle parti comuni dell'edificio» di impianti volti a permettere la videosorveglianza su di esse, ossia sulle medesime parti comuni: in tal modo, la Riforma ha inteso senz'altro disciplinare la decisione adottata dall'assemblea condominiale, restando esclusa l'iniziativa intrapresa dal singolo, per controllare l'accesso privato anche se la telecamera è apposta sulle parti comuni, ma è ragionevole ritenere che, purché oggetto della ripresa siano solo le parti comuni (« … volti a consentire … »), sia indifferente che il suddetto impianto venga posto su una parte comune (ad esempio, il muro perimetrale) o su una porzione di proprietà esclusiva (si pensi al balcone di un condomino); in altri termini, secondo un'interpretazione meno formalistica, quello che è importante è l'oggetto del controllo a distanza e non l'effettivo posizionamento del dispositivo.

Pertanto, dal 18 giugno 2013, quantomeno sotto l'aspetto civilistico, l'installazione di videocamere sui luoghi comuni, deliberata dall'assemblea dei condomini, costituisce un'innovazione ai sensi dell'art. 1120, comma 1, c.c. ma da approvarsi con le maggioranze qualificate di cui all'attuale art. 1122-ter c.c., in deroga a quelle ordinarie contemplate nel comma 5 dell'art. 1136 c.c., che richiedono i due terzi del valore dell'edificio, ma pur sempre in linea con le innovazioni c.d. incentivate elencate nel comma 2 dell'art. 1120.

Sotto l'aspetto della tutela della riservatezza - v. supra - è necessario che l'installazione di un sistema di videosorveglianza sia conforme ai principi di necessità, proporzionalità e finalità, in violazione dei quali il trattamento dei dati diviene illegittimo: pertanto, in ordine ai profili di eventuale illegittimità della delibera che approva l'installazione del relativo impianto, quest'ultima, pur immune da vizi sul versante civilistico (perché rispettosa dei quorum di cui all'art. 1122-ter c.c.), potrebbe risultare invalida, per violazione di norme imperative, per quanto riguarda la privacy, con possibili interventi caducatori dell'autorità giudiziaria (in sede di impugnazione) per difetto dei presupposti legittimanti, o eventuali statuizioni correttive dello stesso Garante per omessi adempimenti tecnici (ad esempio, prescrivendo un restringimento dell'angolo di visuale).

Infine, una volta approvata l'installazione delle videocamere sui luoghi comuni, nel rispetto dei principi generali di cui sopra, e considerate, soprattutto, le soluzioni pratiche adottate in tale prospettiva, nell'espletamento del relativo servizio, vanno individuate una serie di formalità il cui adempimento si rende necessario affinché il trattamento possa essere qualificato come lecito.

Pertanto, i condomini, per rispettare i due livelli di liceità della deliberazione sopra evidenziati, devono valutare, in via preventiva, l'adozione di tali ultime misure di salvaguardia e, una volta constatata la loro inadeguatezza al fine di adeguatamente «monitorizzare» la proprietà condominiale e l'incolumità degli abitanti, statuire in assemblea l'approvazione di un sistema di videosorveglianza - attualmente con il quorum agevolato di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c., espressamente richiamato dall'art. 1122-ter c.c. - osservando, nella fase attuativa, soprattutto tramite l'amministratore, tutti gli adempimenti prescritti.

Sul punto, alla luce delle FAQ del 5 dicembre 2020 (v. supra), alla domanda volta a conoscere quali sono regole per installare un sistema di videosorveglianza condominiale, il Garante della pryvacy ha risposto nel senso che è necessario, in primo luogo, che l'istallazione avvenga previa assemblea condominiale, con il consenso della maggioranza dei millesimi dei presenti (art. 1136 c.c.); inoltre, è indispensabile che le telecamere siano segnalate con appositi cartelli e che le registrazioni vengano conservate per un periodo limitato; è, comunque, congruo ipotizzare un termine di conservazione delle immagini che non oltrepassi i 7 giorni.

Il Regolamento generale sulla protezione dei dati e le linee guida europee

Per completezza sul versante della privacy in materia di videosorveglianza, va segnalato, in primo luogo, il Regolamento generale sulla protezione dei dati - in inglese General Data Protection Regulation (di seguito indicato con l'acronimo GDPR) - n. 679/2016, operativo a partire dal 25 maggio 2018, oltre che il d.lgs. n. 196/2003 recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”, recentemente novellato dal d.lgs. n. 101/2018, contenente, appunto, “Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del GDPR” (di seguito Codice).

In secondo luogo, si segnala che il tema della videosorveglianza e del GDPR è stato trattato dalle recenti pronunce della Corte di Giustizia UE e dalle Guidelines 3/2019 on processing of personal data through video devices adottatedall'European Data Protection Board (di seguito EDPB) in data 10 luglio 2019 (e in Italia in data 29 gennaio 2020): tali linee guida superano i provvedimenti adottati dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali precedenti.

Sotto il primo profilo, il GDPR disciplina in modo organico a livello europeo la protezione dei dati personali, sostituendosi nel nostro Paese al Codice della privacy (d.lgs. n. 196/2003), allo scopo di garantire il diritto di disporre dei propri dati personali.

Anche il mondo condominiale è interessato alla novità: infatti, sono gli amministratori che devono adeguarsi al fine di garantire ai condomini che le diverse informazioni contenute negli archivi condominiali siano protette e opportunamente trattate, precisando che l'immagine di una persona fisica, sia essa solamente videoripresa in tempo reale, senza alcuna conservazione, oppure anche videoregistrata, con una sua temporanea conservazione, costituisce pacificamente un dato personale (art. 4 Reg. UE n. 2016/679).

Pertanto, l'attività di video-riprendere o di video-registrare (con o senza sonoro), in luoghi dove compaiano persone fisiche identificabili - e cioè con una sufficiente risoluzione dell'immagine che consenta di andare oltre una semplice macchia od ombra - comporta un trattamento di dati personali (art. 4 Reg. UE n. 2016/679).

Secondo gli esperti in materia, l'amministratore, in quanto soggetto che tratta i dati per conto del “proprio” condominio, può rivestire la qualità di responsabile del trattamento (art. 4, lett. 8, 28 e cons. 81 Reg. UE n. 2016/679), in caso di mancata nomina, invece, riveste la figura di titolare autonomo del trattamento. Quanto detto, pertanto, si applica in via generale anche alla peculiare fattispecie del trattamento dati nell'ipotesi di installazione di un sistema di videosorveglianza condominiale.

La particolarità di tale trattamento, però, implica l'adozione di specifiche misure di sicurezza tecniche e di cautele che impongono una conoscenza specialistica e un know how quasi sicuramente non possedute dall'amministratore; di conseguenza, la delibera di installazione di un sistema di videosorveglianza condominiale dovrebbe prevedere la nomina di responsabile del trattamento ad hoc (“esterno”), adeguatamente qualificato.

Secondo alcuni autori, l'amministratore di condominio, seppure rivestisse il ruolo di responsabile “generale” del trattamento dei dati, in quanto così precedentemente nominato dall'assemblea dei condomini, non potrebbe essere considerato responsabile del trattamento dei dati della videosorveglianza, in quanto di fatto, non avendo la possibilità materiale e tecnica di trattarli, non li tratta; nulla vieta, comunque, come ipotesi residuale, che l'amministratore conservi il ruolo di responsabile del trattamento anche in àmbito di videosorveglianza e che a lui si affianchi un sub-responsabile.

In questa evenienza, qualora l'amministratore sia già in possesso dell'autorizzazione generale, una volta che il condominio abbia deliberato l'adozione del sistema, scelto la ditta e approvatone il preventivo, affidatole l'appalto per l'installazione, costui potrà autonomamente nominare il soggetto sub-responsabile della videosorveglianza senza che la delibera debba precisare altro.

Sotto il secondo profilo, mette punto rimarcare che il 29 gennaio 2020 sono state divulgate le Linee guida europee che forniscono indicazioni scrupolose sull'impiego dei sistemi privati ed aziendali di telecontrollo a norma del GDPR e che possono trovare applicazione indiretta anche per la progettazione degli impianti finalizzati al controllo della sicurezza pubblica.

Innanzitutto, le linee guida stabiliscono le regole da rispettare quando i sistemi di videosorveglianza vengono utilizzati per il perseguimento di scopi di monitoraggio che devono essere documentati per iscritto e devono essere specificati per ogni telecamera di sorveglianza in uso.

a) Liceità della videosorveglianza: la videosorveglianza è lecita quando è impiegata per perseguire un interesse legittimo legale, economico e non materiale, che sia reale e attuale, a meno che gli interessi, i diritti e le libertà del soggetto interessato dal trattamento non siano prevalenti (ad esempio, l'esigenza di tutelare la proprietà privata da eventuali furti);

b) Videosorveglianza come extrema ratio: quando si vuole ricorrere ad un sistema di videosorveglianza, occorre verificare che sia idoneo, adeguato e necessario a perseguire gli obiettivi prestabiliti, per cui, nel caso in cui esistano sistemi alternativi e parimenti efficaci, è opportuno valutarli;

c) Bilanciamento degli interessi: gli interessi legittimi di chi decide di utilizzare il sistema di videosorveglianza non possono travalicare gli interessi e le libertà fondamentali dei soggetti ripresi;

d) Interesse pubblico ed esercizio di pubblici poteri: i dati personali possono essere trattati mediante la videosorveglianza se necessario per l'espletamento di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri;

e) Consenso dell'interessato: quando è necessario sottoporre a videosorveglianza determinate aree è obbligatorio acquisire il consenso informato, preciso e puntuale di ogni soggetto sottoposto a controllo, salvi casi eccezionali;

f) Divulgazione dei filmati a terzi: la comunicazione individuale, la pubblicazione online o la messa a disposizione in altro modo di un filmato ad un terzo, comprese le forze dell'ordine, è un processo indipendente, che richiede una giustificazione separata per il soggetto controllore, sicché, in questi casi, il trattamento dei dati non seguirà le regole del GDPR, ma normative specifiche sulle forze dell'ordine;

g) Diritti dell'interessato: il GDPR prevede diritti specifici per i soggetti ripresi da sistemi di videosorveglianza, nel senso di conferma dell'esistenza o meno dei suoi dati personali, accesso e informazioni sui propri dati, cancellazione dei dati se questi vengono monitorati oltre il tempo previsto o quando il trattamento è illecito;

h) Trasparenza e informazione: il soggetto che intende ricorrere ai sistemi di videosorveglianza è tenuto a rispettare precisi obblighi informativi e di trasparenza nel rispetto degli interessati, tra cui un cartello di avvertimento con le relative informazioni;

i) Conservazione e cancellazione: i dati devono essere conservati per il tempo strettamente necessario alle finalità perseguite, conseguendone che, se vengono conservati per più di 72 ore, occorre fornire adeguata motivazione al riguardo.

Viene, altresì, contemplata un'esenzione per le famiglie, atteso che il trattamento di dati personali da parte di una persona fisica nell'àmbito di un'attività puramente personale o domestica, che può comprendere anche un'attività online, non rientra nel campo di applicazione del GDPR.

La c.d. esenzione domestica, nel contesto della videosorveglianza, deve essere interpretata in modo restrittivo; quindi, come considerato dalla citata Corte di Giustizia Europea, il c.d. nucleo familiare esenzione deve “essere interpretato come relativa solo alle attività che si svolgono nell'àmbito della vita privata o familiare delle persone, il che evidentemente non è il caso del trattamento di dati personali che consiste nella pubblicazione su internet affinché tali dati siano resi accessibili a un numero indefinito di persone.

Inoltre, se un sistema di videosorveglianza, nella misura in cui comporta la registrazione e la conservazione costante di dati personali e copre, “anche parzialmente, uno spazio pubblico ed è quindi diretto verso l'esterno dell'ambiente privato della persona che tratta i dati in tal modo, non può essere considerato come un'attività puramente ‘personale o domestica' ai sensi dell'art. 3, n. 2), della direttiva 95/46”.

Per quanto riguarda i dispositivi video azionati all'interno dei locali di un privato, possono rientrare nell'esenzione domestica, e ciò dipenderà da diversi fattori, che dovranno essere tutti presi in considerazione per giungere ad una conclusione; oltre agli elementi sopra citati, identificati dalle sentenze della Corte di giustizia europea, l'utente della videosorveglianza a casa deve valutare se ha un qualche tipo di rapporto personale con l'interessato, se la portata o la frequenza della sorveglianza suggeriscono un qualche tipo di attività professionale da parte sua, e il potenziale impatto negativo della sorveglianza sui soggetti interessati; la presenza di uno solo dei suddetti elementi non suggerisce necessariamente che il trattamento non rientri nell'ambito di applicazione dell'esenzione per nucleo familiare, e per tale determinazione è necessaria una valutazione complessiva.

Casistica

CASISTICA

Necessità di un effettivo pericolo

E' illegittima l'installazione di un sistema di videosorveglianza riprendente parti comuni di un condominio, in quanto, in base alla disciplina di riferimento, costituita dal Codice della privacy e dalla delibera 29 aprile 2004 dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, va evitata la rilevazione di dati in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli o per le quali non ricorre un'effettiva esigenza di deterrenza (Trib. Nola 3 febbraio 2009).

Bilanciamento di contrapposti interessi

L'installazione di telecamera di videosorveglianza è lecita laddove risulti proporzionata a quanto necessario per la tutela dell'incolumità fisica personale e famigliare, purché non violi, nell'àmbito del necessario bilanciamento da operare tra diritti aventi entrambi fondamento costituzionale, il diritto alla riservatezza di soggetti terzi (nel caso di specie, la telecamera era puntata sul vialetto, facente parte di un'area comune, che consentiva di accedere alle abitazioni rispettivamente di proprietà dei ricorrenti e del resistente, ma non era in alcun modo provato che tramite la stessa si potesse riuscire a vedere anche solo in parte all'interno della villetta dei ricorrenti, dunque non risultava violato il diritto alla riservatezza degli stessi e doveva essere rigettata la domanda di tutela cautelare da questi proposta al fine di ottenere la disinstallazione di detta telecamera) (Trib. Avellino 30 ottobre 2017).

Posizionamento dell'angolo visuale della telecamera

Ritenuto che il condominio edilizio è un luogo in cui i singoli condomini non sono obbligati a sopportare, senza il loro consenso, un'ingerenza nella loro riservatezza, seppure per il fine della sicurezza del condomino che videoriprende, e ritenuto, altresì, che nell'ottica del c.d. balancing costituzionale, anche qualora la videoripresa di sorveglianza e tutela non può essere sostituita da altri sistemi di sicurezza e tutela, è pur sempre necessario che la videoripresa non comprometta la riservatezza degli altri condomini, offrendo loro un “baricentro” in cui i contrapposti interessi possano essere salvaguardati; l'installazione di vere e proprie telecamere ad iniziativa di singoli condomini all'interno di edifici in condominio e loro pertinenze (ad esempio, posti-auto, box) richiede, comunque, l'adozione di cautele tecniche adeguate a tutela dei terzi: in particolare, l'angolo visuale prospettico, lineare ed aereo, delle riprese deve essere rigorosamente commisurato agli spazi, alle distanze, alle angolazioni, agli effetti magnetici e sonori, alle immissioni, alle luci, pertinenti al bene goduto dal condomino installatore, escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni o antistanti l'abitazione degli altri condomini, fermo restando che, per legittimare la videosorveglianza, è, comunque, sempre necessaria la preventiva c.d. valutazione di proporzionalità (Trib. Trani 28 maggio 2013)

Rispetto del principio di pertinenza

L'amministratore è responsabile dei dati personali ed identificativi dei singoli condomini, da raccogliere, trattare ed utilizzare ai soli fini necessari alla gestione amministrativa dei beni di proprietà comune; il trattamento di tali dati, in ogni forma compiuto, deve essere improntato al rispetto dei principi (sanciti dall'art. 11 d.lgs. n. 196/2003) di pertinenza e non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi vengono raccolti: con specifico riferimento al condominio, la pertinenza è da intendersi nel senso di rilevanza ed utilità per la comunità condominiale, da cui può derivare anche una giustificata comunicazione di informazioni (tra cui i dati personali) tra condomini purché riguardanti l'amministrazione ed il funzionamento del condominio (Trib. Napoli, sez. dist. Afragola, 27 aprile 2005).

Delibera esulante dalle attribuzioni dell'assemblea

La delibera, presa a maggioranza, con cui si approva l'installazione di un impianto di videosorveglianza relativo al piazzale antistante al fabbricato ed agli androni delle scale, per garantire la sicurezza e la serenità dei partecipanti, è rivolta a perseguire finalità estranee alla conservazione e gestione delle cose comuni e, quindi, non è riconducibile alle attribuzioni dell'assemblea, non essendo peraltro quest'ultima il titolare del trattamento dei dati personali, ex art. 28 del d.lgs. n. 196/2003, cui spetti il potere di decidere le finalità e le modalità del trattamento connesso all'installazione di tale impianto (Trib. Salerno 14 dicembre 2010).

Servizio di vigilanza armata

In tema di condominio degli edifici, la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela dell'incolumità dei partecipanti, è rivolta a perseguire finalità estranee alla conservazione e gestione delle cose comuni, e, quindi, non è riconducibile nell'attribuzione dell'assemblea (art. 1135 c.c.), sicché tale delibera, ancorché presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non può essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico (Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4631).

Conformità al diritto comunitario

L'art. 6, par. 1, lett. c), e l'art. 7, lett. f), della direttiva n. 95/46, letti alla luce degli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a disposizioni nazionali, le quali autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza, installato nelle parti comuni di un immobile ad uso abitativo, al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso delle persone interessate, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante il sistema di videosorveglianza in parola soddisfi le condizioni enunciate nel succitato art. 7, lett. f), della direttiva n. 95/46 (Corte di giustizia, sez. III, 11 dicembre 2019, causa C-708/18).

Reato di violenza privata

L'istallazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non integra il delitto di violenza privata, trattandosi di attività in sé non illecita, suscettibile di causare condizionamenti minimi delle abitudini dei soggetti esposti e comunque tale da conseguire immediatamente il suo effetto, senza determinare un evento di coartazione della libertà di autodeterminazione degli stessi (Cass. pen., sez. V, 7 marzo 2019, n. 20527).

Riferimenti

Tarantino, La videosorveglianza a seguito delle linee guida della Corte di Giustizia Ue e del Comitato europeo per la protezione dei dati, in IUS Condominio e locazione.it., 14 aprile 2021;

Manzelli, Videosorveglianza a norma UE, in Dirittoegiustizia.it, 3 febbraio 2020;

Milizia, Linee guida della CGUE sulla videosorveglianza nei condomini, in Dirittoegiustizia.it, 11 dicembre 2019;

Pikler, La gestione della privacy in ambito condominiale il data protection system - le linee guida, Monopoli, 2019, 140;

Avigliano, Limiti alla videosorveglianza nel condominio, in Ventiquattroreavvocato, 5 giugno 2019;

Monegat, GDPR: gli amministratori di condominio e la tutela dei dati personali dei condomini, in Immobili & proprietà, 2018, fasc. 6, 352;

Celeste - Nicoletti, Tecnologia e informatica nel nuovo condominio, Rimini, 2014, 199;

Policella, La videosorveglianza nei condomini, in Giur. merito, 2010, 2125;

Izzo, La delibera condominiale per l'installazione di un impianto di videosorveglianza può essere sospesa, in

Dirittoegiustizia.it

, 2010;

Ribaldone, L'installazione di telecamere negli edifici condominiali, in Immob. & proprietà, 2009, 227; Tortorici,Tutela della riservatezza e videosorveglianza in condominio, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 2, 12; Nasini, Condominio e videosorveglianza, in Arch. loc. e cond., 2009, 235;

Bordolli, Videosorveglianza in condominio e tutela della privacy, in Immob. & proprietà, 2005, 73.

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