Amministratore di condominio e responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni derivanti da parti comuni

Paolo Nasini
17 Ottobre 2017

La Corte di Cassazione ha statuito che il condominio risponde, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell'edificio, mentre l'amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c.c., solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati; in tal modo, si è negata la configurabilità della custodia ex art. 2051 c.c. in capo all'amministratore di condominio.
Il quadro normativo

L'evoluzione giurisprudenziale e normativa, quest'ultima culminata con la l. n. 220/2012, ha ampliato e specificato gli obblighi a carico dell'amministratore di condominio, rendendo sempre più professionale l'operare dello stesso.

Ai fini che qui interessano, peraltro, vengono in esame due importanti obblighi che l'art. 1130 c.c. prevede a carico dell'amministratore del condominio: quello di eseguire le deliberazioni dell'assemblea e quello di compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni.

Ci si chiede, quindi, se a carico dell'amministratore di condominio sia configurabile una situazione di custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c.

La nozione di custode e il condominio

In via generale, per custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c. deve intendersi quel rapporto che postula l'effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa che comporti il potere - dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore del bene.

Con riferimento al contesto condominiale, si può rilevare come vi possono essere astrattamente varie situazioni di custodia diversificate: quella che lega il condominio ai beni comuni; la custodia del condomino sui suoi beni di proprietà esclusiva; la particolare posizione dell'inquilino-conduttore di immobile in locazione all'interno dell'edificio condominiale, che deve ritenersi custode dei beni a sua disposizione.

Infine, si è posto il problema della configurabilità di una posizione di custodia dei beni comuni in capo all'amministratore di condominio.

Iniziando dal condominio, inteso, ovviamente, come l'insieme dei condomini, esso è certamente custode dei beni «comuni» esemplificativamente indicati dall'art 1117 c.c. (ad esempio, tetto, fondamenta, muri maestri, suolo, impianti comuni).

Tra i beni comuni, dei quali il condominio è custode, rientrano gli impianti ed i servizi comuni. Al riguardo, l'art 1117, n. 3), c.c. prevede che le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

In ordine a tali beni, pertanto, qualora si verifichi un danno a terzi, il condominio ne risponde ai sensi dell'art 2051 c.c.

Si consideri, poi, che la nozione di condominio, a seguito della riforma introdotta dalla l. 11 dicembre 2012, n. 220, sulla scorta degli insegnamenti dottrinari e giurisprudenziali che hanno inteso ampliare la stessa (si pensi al concetto di condominio «orizzontale»), è stata ampliata, rispetto alla tipica concezione «verticale» dell'istituto, in quanto ai sensi del nuovo art. 1117-bis c.c. le disposizioni di cui al capo II in materia di condominio si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'art 1117 c.c.

In ogni caso, i soggetti che risultano certamente custodi, secondo la definizione più sopra ricordata, nell'ambito del condominio, attesa la mancanza di personalità nonché vera e propria soggettività giuridica in capo all' «ente condominiale», sono i singoli condomini, i quali risponderanno ai sensi del combinato disposto degli artt. 2051 e 2055 c.c., come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità recente.

L'amministratore quale custode

Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, nell'espletamento delle attribuzioni di cui all'art. 1130 c.c. l'amministratore è un rappresentante dei partecipanti al condominio, alla tutela dei cui interessi di gruppo egli deve indirizzare la propria attività.

La violazione di tale suo dovere, pertanto, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei rapporti interni con il condominio, e non esclude o diminuisce l'eventuale responsabilità del condominio medesimo nei confronti di altri soggetti, compreso tra questi il singolo condomino, distinto dal gruppo e come tale rimasto danneggiato per la difettosità di parti comuni dell'edificio, da considerarsi nella custodia del condominio agli effetti dell'art. 2051 c.c. (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1981, n. 859).

La Suprema Corte, per vero, ha anche affermato che la condotta omissiva in tanto può essere assunta come causa di un evento dannoso, in quanto l'omittente abbia violato un obbligo giuridico di impedire l'evento. Per l'individuazione di tale obbligo non può farsi riferimento al principio del neminem laedere - in quanto tale principio, mentre importa il dovere di improntare le proprie azioni alla cautela necessaria ad evitare che le modificazioni del mondo esterno da esse prodotte abbiano risultati pregiudizievoli per i diritti assoluti dei terzi, non implica, di per se, anche un generico dovere di attivarsi a protezione di quegli stessi diritti, con l'interrompere serie causali originate e sviluppantisi al di fuori della propria sfera - ma deve accertarsi, caso per caso, l'esistenza di un vincolo giuridico derivante direttamente dalla legge o da uno specifico rapporto intercorrente tra il danneggiato ed il soggetto, chiamato a rispondere della omissione per non avere impedito il danno. Pertanto, secondo la Cassazione, ben può configurarsi una responsabilità aquiliana dell'amministratore di un condominio, in relazione ai danni derivati dall'avere egli omesso di far riparare il tetto dell'edificio condominiale, in esecuzione di una delibera assembleare (Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1976, n. 2219).

In tal senso, quindi, la giurisprudenza di legittimità non ha sempre e comunque escluso una rilevanza «esterna» degli obblighi posti in capo all'amministratore di condominio, ma nel configurarla, non ha fatto riferimento all'art. 2051 c.c., quanto evidentemente alla generale responsabilità per omissione ex art. 2043 c.c.

Un'apertura verso la possibile configurabilità di una responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo all'amministratore è stata offerta da una decisione della Corte di Cassazione la quale ha affermato che l'amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, con il conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condòmini. Quest'obbligo non viene meno neanche nell'ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall'amministratore. Ne consegue che l'amministratore stesso è responsabile del danno alla persona patito da uno dei condòmini, in conseguenza dell'inciampo in una insidia (nella specie, buca nel cortile condominiale) creata dall'impresa cui erano stati appaltati lavori di manutenzione dell'immobile condominiale (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2008, n. 25251).

La questione originava da un'azione esercitata da un condomino caduto in una buca sita nel cortile condominiale, non segnalata e non percettibile, creatasi a seguito di lavori di manutenzione e la Corte nell'affermare la responsabilità dell'amministratore in prima persona nei confronti dei terzi è partita dal presupposto che la figura dell'amministratore nell'ordinamento non si esaurisce nell'aspetto contrattuale delle prerogative dell'ufficio.

Infatti, secondo la Cassazione, a tale figura il codice civile, e le leggi speciali imputano doveri ed obblighi finalizzati ad impedire che il modo d'essere dei beni condominiali provochi danno di terzi. In relazione a tali beni l'amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di influire sul loro modo d'essere, si troverebbe nella posizione di custode.

Ciò si verificherebbe, in particolare, quando l'assemblea decide di appaltare lavori a terzi: in tal caso il controllo dei beni comuni nell'interesse del condominio deve infatti considerarsi attribuito all'amministratore quante volte, da un lato, l'appaltatore non è posto in una condizione di esclusivo custode delle cose sulle quali si effettuano i lavori e dall'altro l'assemblea non affida l'anzidetto compito ad una figura professionale diversa dallo stesso amministratore. Questi allora deve curare che i beni comuni non arrechino danni agli stessi condomini od a terzi, come del resto ha già riconosciuto la giurisprudenza allorché ha considerato l'amministratore del condominio responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei suoi poteri e, in genere, di qualsiasi inadempimento degli suoi obblighi legali o regolamentari: si pensi in specie ai danni derivanti dalla negligente omissione delle necessarie riparazioni al lastrico solare od al tetto, decise da una delibera assembleare e non attuate dall'amministratore.

Trattasi, quindi, di indirizzo tendenzialmente più rigoroso rispetto al passato ed espressione dell'evoluzione della figura dell'amministratore di condominio, i cui compiti vanno vieppiù incrementandosi sì da far ritenere che gli stessi possano venire assolti in modo più efficace dalle società di servizi, all'interno delle quali operano specialisti in settori diversi, in grado di assolvere alle numerose e gravi responsabilità ascritte allo stesso amministratore dalle leggi speciali.

Questa decisione è significativa perché va in senso opposto a quanto fino a quel momento ritenuto sia dalla giurisprudenza di legittimità, che, pur rilevando la sussistenza in capo all'amministratore della serie di adempimenti previsti dall'art 1130 c.c., aveva escluso che tra questi vi rientrasse l'obbligo di custodia ex art 2051 c.c., obbligo riconosciuto esclusivamente in capo al condominio (Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1995, n. 12606; Cass. civ., sez. II., 18 aprile 1992, n. 4759; Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1981, n. 859; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 27 marzo 2000).

La decisione, peraltro, non ha trovato, successivamente conferme nella giurisprudenza di legittimità.

Del resto, va sottolineata, in primo luogo, la difficoltà di individuare in capo all'amministratore un'effettiva posizione di custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., e ciò per mancanza della disponibilità sia materiale che giuridica delle cose comuni nel senso precisato dalla giurisprudenza.

Peraltro, un altro problema è quello di ritenere che sussista, in capo all'amministratore di condominio, un obbligo giuridico avente effetti protettivi verso l'esterno, cioè, nei confronti di terzi che non sia la compagine condominiale.

Sotto questo profilo, però, va dato conto di una pronuncia (Cass. pen., sez. IV, 23 settembre 2009, n. 39959) la quale ha affermato come la responsabilità penale dell'amministratore di condominio va ricondotta nell'ambito della disposizione (art. 40, comma 2, c.p.) per la quale «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo». Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l'esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo: detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto, e quindi anche dal diritto privato, e specificamente da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata com'e nel rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l'amministratore (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell'amministratore di condominio di un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava parti comuni dell'edificio).

Più recentemente, peraltro, in netto contrasto con l'arresto del 2008, è intervenuta pronuncia della Corte di Cassazione del 14 agosto 2014, n. 17983 ha statuito che il condominio risponde, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell'edificio, mentre l'amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c.c., solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati; in tal modo, la Suprema Corte ha negato la configurabilità della custodia ex art. 2051 c.c. in capo all'amministratore di condominio.

In conclusione

Non può ritenersi, alla luce di quanto sopra detto, che l'orientamento della Suprema Corte sia chiaramente definito.

Peraltro, in attesa di un risolutivo pronunciamento delle Sezioni Unite, occorre sottolineare come il riconoscimento di una posizione di vera e propria custodia ai sensi dell'art 2051 c.c. in capo all'amministratore di condominio non sia configurabile, e ciò in considerazione del fatto che lo stesso è un mero mandatario con rappresentanza dei condomini i quali soltanto sono titolari di quel potere di disposizione materiale e giuridica richiesto dalla giurisprudenza come più sopra detto.

Sono i condomini, infatti, ad avere il diritto di uso delle parti comuni e ad avere, conseguentemente, l'obbligo di controllare e sopportare, quindi, i rischi che dalle stesse possono derivarne: l'amministratore, in questo senso, agisce semplicemente in nome e per conto dei condomini al fine di gestire nel loro interesse le parti comuni.

Ciò che è configurabile a carico dell'amministratore, quindi, è un obbligo di protezione e di garanzia nei confronti dei certamente dei condomini: egli infatti deve curare che le parti comuni non subiscano danni e ciò costituisce un'ipotesi di responsabilità contrattuale.

L'aspetto più problematico della questione qui in esame è se sia effettivamente configurabile una responsabilità di natura omissiva in capo all'amministratore avente rilevanza esterna, e se, quindi, gli obblighi di conservazione e garanzia siano rivolti anche ad evitare che le parti comuni rechino danni ai terzi.

Certamente quest'obbligo sussiste nel lato interno ovvero nei rapporti con i condomini e ciò in conseguenza del rapporto contrattuale di mandato che intercorre tra gli stessi soggetti; quello che rimane da definire in modo certo è se l'obbligo sussiste anche nei confronti dei terzi sì che l'amministratore può essere chiamato a rispondere eventualmente in concorso con i condomini.

A parere di chi scrive gli obblighi dell'amministratore di cui agli artt. 1130 ss. c.c. sono rivolti esclusivamente nell'interesse dei condomini e delle parti comuni, sicché l'obbligo di vigilanza e di custodia generalizzato, se violato, può sì comportare responsabilità a carico dell'amministratore di condominio, ma solo nei confronti dei condomini e a titolo contrattuale.

In tal senso, quindi, la pur valorizzata, dal legislatore, maggior professionalità dell'amministratore e l'accrescimento degli obblighi sullo stesso gravanti non sono elementi sufficienti a far ritenere sussistente una posizione di garanzia avente rilevanza esterna in capo al predetto soggetto, con conseguente diversa allocazione dei rischi derivanti dalla corretta gestione dei beni condominiali.

Guida all'approfondimento

De Tilla, Vizi del lastrico solare di proprietà esclusiva e risarcimento del danno, in Riv. giur. edil., 2013, I, 1024;

Balucani, Ponteggi per la ristrutturazione della facciata condominiale: inapplicabilità dell'art. 2051 c.c. In caso di danno, in Resp. civ. e prev., 2013, fasc. 4, 1304;

Coscetti, La responsabilità per i danni da cose in custodia e l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. al condominio: profili generali e casistica giurisprudenziale, con particolare riferimento all'eventuale concorso di colpa del danneggiato, in Riv. giur. edil., 2010, I, 346.

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