Il condomino posiziona la telecamera fuori dal suo appartamento: limiti all'iniziativa e risvolti penali

Alberto Celeste
02 Ottobre 2017

La riforma della normativa condominiale è intervenuta solo per disciplinare la decisione dell'assemblea di installare gli impianti di videosorveglianza sulle parti comuni e, quindi, per un interesse collettivo della compagine condominiale, sicché esula da tale intervento l'iniziativa del singolo, volta al posizionamento di apparecchiature di ripresa effettuata nei pressi dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva, che, sebbene non disciplinata, va pur sempre realizzata alla luce degli ordinari principi stabiliti dal codice civile nonché dalla legislazione speciale in materia di privacy, non escludendo che la stessa possa comportare riflessi penali, segnatamente riguardo al reato di interferenze illecite nella vita privata.
Il quadro normativo

La legge n. 220/2012 (entrata in vigore il 18 giugno 2013) si è limitata, con l'art. 1122-bis c.c., a delineare il quorum assembleare per l'approvazione della delibera tesa ad installare gli impianti di videosorveglianza sulle parti comuni - segnatamente, richiamando quello agevolato di cui al comma 2 dell'art. 1136 c.c., ossia la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio - e, quindi, per un interesse collettivo della compagine condominiale, sicché la nuova norma non contempla l'installazione di apparecchiature di ripresa effettuata dal singolo condomino nei pressi dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva - appartamento e pertinenze (box o/e cantina) - ma posta all'interno di uno stabile in condominio.

Tale iniziativa richiede, parimenti, l'adozione di analoghe cautele a tutela dei terzi, per cui, ad esempio, l'angolo visuale delle riprese dovrà essere limitato ai soli spazi di propria pertinenza, come quelli antistanti l'accesso all'abitazione, escludendo ogni forma di ripresa relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage, ecc.) o antistanti l'appartamento di altri condomini, il tutto purché le immagini raccolte non vengano rese note a terze persone, e purché sussistano le concrete situazioni di pericolo che costituiscono i presupposti di liceità della stessa installazione.

Il corretto angolo di visuale dell'apparecchio

In quest'ottica, risulta ancora attuale e pienamente condivisibile una (non recente) pronuncia di merito, secondo la quale è da ritenersi lecita l'installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta di ingresso alla singola unità immobiliare, mentre non è ammissibile l'installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò comporta una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza (Trib. Milano 6 aprile 1992).

Nel caso di specie, il manufatto de quo era sistemato in maniera tale da consentire l'osservazione da parte del condomino - non soltanto dell'area immediatamente antistante il portone di ingresso comune e di quella antistante la porta di ingresso ai propri locali, bensì anche - all'andito, della rampa delle scale e del pianerottolo comuni, sicché il magistrato ha ritenuto che un impianto, il quale permetteva la diretta osservazione del portone di ingresso e, soprattutto, dell'area antistante la porta di ingresso alla singola unità immobiliare, fosse consentito e non lesivo del diritto di alcuno (del resto, è abitudine diffusissima quella di collocare sulle porte di ingresso spioncini che consentono di osservare l'area del pianerottolo dall'interno dell'appartamento, al fine di riconoscere le persone che si presentano).

Altra cosa, invece, era installare apparecchiature che consentissero di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò non rispondeva ad un comprensibile interesse del singolo condomino, le cui esigenze di sicurezza erano sufficientemente garantite da accorgimenti di altro tipo, e comportava una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza che, se era comprensibile in locali pubblici o in certi particolari pubblici esercizi (si pensi alle banche) in vista della necessità di garantire peculiari esigenze di sicurezza, non si giustificava, al contrario, in un edificio privato nelle cui parti comuni doveva essere assicurata la riservatezza dei condomini e delle persone che frequentano le loro unità immobiliari (basti pensare ai piccoli gesti, coperti da necessario riserbo, che sogliono compiere gli ospiti nel riassettarsi prima di fare ingresso in un appartamento, per rendersi conto dell'intollerabilità di un'osservazione da parte di terzi mediante un sistema di telecamere).

D'altro canto, il medesimo condomino non aveva in alcun modo indicato alcuna specifica ragione di sicurezza che giustificasse l'installazione dell'apparecchiatura di avvistamento e di registrazione, onde non era stato possibile per il giudice nemmeno procedere ad una ponderata valutazione delle contrapposte esigenze di tutela della privacy e di sicurezza, al fine di realizzare quell'equo contemperamento fra interessi collettivi ed individuali che rappresentava l'elemento saliente dell'assetto dei diritti nel condominio degli edifici.

La tutela di diritti costituzionalmente garantiti

In proposito, vanno segnalate, altresì, alcune recenti decisioni di altri giudici merito, che hanno analizzato la problematica sotto diversi angoli di visuale.

La controversia affrontata da un magistrato lombardo (Trib. Milano 15 maggio 2012) traeva linfa dal fatto che un condomino aveva installato, a proprie cure e spese ma contro la volontà della maggioranza degli altri partecipanti, due telecamere, con annesso impianto di videoregistrazione: una era posizionata sotto la finestra di un suo appartamento al fine di videosorvegliare un box contenente le sue autovetture, e l'altra era situata sopra la porta di ingresso del proprio studio professionale di avvocato ed a presidio di quest'ultimo.

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., alcuni condomini avevano chiesto la condanna del suddetto condomino alla rimozione di tali manufatti, sostenendo l'illegittimità della condotta serbata da quest'ultimo che aveva posizionato le telecamere all'interno degli spazi comuni, in assenza di un'apposita autorizzazione assembleare e, anzi, nonostante l'opinione contraria manifestata sul punto.

Segnatamente, i ricorrenti avevano dedotto la lesione indiscriminata ed ingiustificata della propria privacy, atteso, da un lato, che la telecamera installata sulla parete interna dello stabile che affacciava sul cortile comune, posta al di sopra della finestra della proprietà del condomino, aveva un campo d'azione assai invasivo della sfera privata dei condomini e dei terzi passanti, stante l'ubicazione e la potenziale ampiezza del raggio visivo che si espandeva a tutto il cortile comune, e, dall'altro, che la telecamera posta al primo piano sopra la porta di ingresso dello studio professionale del condomino riprendeva il pianerottolo ove era posizionato lo sbarco dell'ascensore comune nonché la porta di ingresso dell'unità abitativa del dirimpettaio, con grave compromissione della privacy di quest'ultimo.

Resisteva il condomino, ritenendo, da una parte, di non dovere necessitare, ai fini dell'installazione delle due telecamere de quibus, del consenso di nessuno, e, dall'altra, di non avere commesso, con il posizionamento delle stesse, alcuna condotta illecita, stante che la posa delle telecamere:

a) era stata tempestivamente resa nota mediante appositi cartelli che ne attestavano la presenza ai passanti;

b) si era resa necessaria per tutelare le sue proprietà private - di cui una adibita a studio professionale di avvocato, ove si trovavano documenti assai importanti e denaro contante anticipato dai clienti - ubicate all'interno dello stabile condominiale da furti e/o danneggiamenti.

Stante la lacuna normativa sul punto, il giudice meneghino ha fatto uso sia delle norme della Carta costituzionale che riconoscono determinati diritti fondamentali (come il diritto alla riservatezza, il diritto all'integrità del domicilio privato ed il diritto di proprietà), sia dei principi generali in tema di condominio (come emergenti dagli artt. 1117 ss. c.c.), sia dei provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali (nella parte in cui tali provvedimenti hanno affrontato la questione in esame).

Nello specifico, il magistrato ha dovuto rispondere ai seguenti interrogativi:

a) se sia consentito al singolo installare telecamere, con annesso impianto di videoregistrazione, che riprendano porzioni di esclusiva pertinenza dei condomini o spazi comuni;

b) in caso di risposta positiva, quali siano i principi alla stregua dei quali potere installare e posizionare le telecamere;

c) se la posa delle due telecamere oggetto di causa possa ritenersi comportamento legittimo o contrastante con le norme e/o i principi da porre a base della regolamentazione della materia.

Il giudice meneghino ha ritenuto di poter dare risposta affermativa, riconoscendo in astratto il potere in capo al singolo condomino di installare impianti di videoregistrazione a presidio di porzioni di proprietà esclusiva.

Occorre, in primis, porre mente alle norme di rango costituzionale che tutelano il diritto di proprietà, la libertà personale ed il domicilio - questi ultimi definiti dalla Carta inviolabili - nonché l'integrità personale, diritti che sicuramente danno copertura costituzionale all'eventuale posa ed installazione di impianti di videoregistrazione che ne mirino a prevenire atti lesivi.

Inoltre, la possibilità astratta di installare le telecamere, con annessi impianti di videoregistrazione, a favore dei singoli condomini, si evinceva da una serie di norme di rango primario, quale l'art. 1102, comma 1, c.c.; nulla osta, pertanto, a che un singolo faccia uso delle parti comuni dell'edificio installando delle telecamere a presidio delle proprietà esclusive (si pensi ai casi di immobili di proprietà di gioiellieri, antiquari, o banche per i quali vi è l'impellente necessità di tutelarsi al meglio contro la prevenzione di furti o danneggiamenti).

Riconosciuto, dunque, un generale potere in capo al singolo circa la posa ed installazione di impianti di ripresa audiovisiva, occorreva, a questo punto, verificare quali fossero i principi alla stregua dei quali poter installare le telecamere all'interno degli spazi condominiali, dovendosi scongiurare il pericolo di una «giungla di telecamere», a finalità latamente di tutela delle proprietà individuali, che possano ledere, però, il diritto di ciascuno alla propria riservatezza e consentire illecite intromissioni ad opera di terzi nella sfera privata.

La posa delle telecamere deve essere giustificata da concrete esigenze di tutela di diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà, la libertà personale ed il domicilio, quindi, a presidio delle proprietà dei condomini o delle parti comuni quando, per la peculiarità delle attività ivi svolte o per la presenza all'interno dei predetti spazi di beni di un certo valore, sussista la concreta necessità di allestire un coacervo di deterrenti ai fini della prevenzione di eventi delittuosi: tali circostanze possono maggiormente puntellare una decisione in tal senso allorché, all'interno del condominio ove quest'ultimi sono posizionati, si siano già verificati furti o danneggiamenti oppure fatti lesivi dell'incolumità personale di una certa gravità.

L'installazione delle telecamere deve, inoltre, avvenire con l'adozione, da parte del soggetto che ne ha deciso la posa, delle cautele a tutela dei terzi nel rispetto dei principi di necessità, proporzionalità ed adeguatezza: in pratica, occorre che, qualora le telecamere vengano installate ad iniziativa dei singoli condomini, l'angolo visuale delle riprese debba essere rigorosamente limitato ai soli spazi di esclusiva pertinenza del soggetto che ha deciso la posa delle telecamere, ad esempio agli spazi antistanti l'accesso alla propria abitazione, con esclusione di ogni forma di ripresa - anche senza registrazione di immagini - relative ad aree comuni o ad aree antistanti l'abitazione di altri condomini.

Applicando le summenzionate considerazioni al caso di specie, si è affermato che al condomino spettasse, in astratto, il potere di installare le due telecamere di cui sopra anche in assenza del consenso del consesso assembleare, ma - sulla base della documentazione fotografica versata in atti - si è evidenziato che la posa di entrambe non rispettava il principio di proporzionalità e di adeguatezza al fine del perseguimento della minore invasività delle riprese audiovisive nei riguardi degli altri condomini e dei soggetti terzi.

Nello specifico, si è rilevato che la telecamera posta sotto la finestra dell'appartamento del convenuto per videoriprendere il box aveva un raggio di azione molto ampio, che investiva l'intero cortile comune e risultava assai invasivo della privacy di chiunque lo attraversasse, laddove analoghe finalità ed esigenze di tutela potevano essere raggiunte dallo stesso condomino mediante la posa di una telecamera sopra il box di proprietà con l'occhio rivolto a riprenderne l'ingresso e le parti antistanti nei limiti strettamente necessari alla manovra delle vetture; inoltre, la telecamera ubicata al primo piano sopra la porta di ingresso dello studio professionale del convenuto volgeva il proprio occhio - non solo sul pianerottolo ove si trovava il vano ascensore, bensì anche - verso la proprietà esclusiva di un altro condomino, laddove lo stesso condomino poteva prevenire eventi delittuosi mediante la posa di una telecamera sopra la porta di ingresso dello studio con l'occhio rivolto a riprenderne unicamente l'ingresso e le parti antistanti nei limiti strettamente necessari a scrutare l'eventuale presenza di soggetti malintenzionati.

L'ingerenza nella sfera di riservatezza altrui

Un'impostazione parzialmente differente è stata, invece, offerta da un altro magistrato lombardo (Trib. Varese 16 giugno 2011), al quale è stata sottoposta la seguente fattispecie.

Un condomino, avendo subìto alcuni tentativi di effrazione e degli atti vandalici, aveva deciso di installare un impianto di videosorveglianza cui erano collegate tre telecamere: una montata sul pianerottolo del primo piano che inquadrava parzialmente la porta di ingresso, un'altra che riprendeva il portone ed il garage, un'ultima che riprendeva la piccola porzione della vecchia serra; a fronte di tale iniziativa, il dirimpettaio aveva invocato, in via cautelare, la rimozione dell'impianto di videosorveglianza, in quanto destinato a riprendere e prelevare immagini degli spazi comuni e pure dello spazio antistante il suo portone di proprietà esclusiva.

La questione giuridica affrontata dal magistrato lombardo era se il singolo condomino, uti singuli, ossia senza la previa delibera assembleare, potesse installare a propria sicurezza un impianto di videosorveglianza con un fascio di captazione di immagini che si riversava su aree condominiali comuni e, almeno in parte, anche su luoghi di proprietà esclusiva di altri condomini.

La risposta è stata nel senso che il condomino non avesse alcun potere di installare, per sua sola decisione, le telecamere in àmbito condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini: si è osservato, in particolare, che “il condominio è un luogo di incontri e di vite in cui i singoli condomini non possono giammai sopportare, senza il loro consenso, un'ingerenza nella loro riservatezza seppur per il fine di sicurezza di chi videoriprende”.

Peraltro, nell'ottica del balancing costituzionale, la videoripresa di sorveglianza può ben essere sostituita da altri sistemi di protezione e tutela che non compromettono i diritti degli altri condomini, offrendo quindi, un baricentro in cui i contrapposti interessi possono convivere.

Le videoriprese c.d. private del condomino causano, in assenza di base legale, problemi di dimensioni particolarmente rilevanti, ossia:

a) che utilizzo può essere fatto delle videoriprese che vengono acquisite dal singolo proprietario?

b) che garanzie spettano a chi viene ripreso anche occasionalmente dalle telecamere?

c) che limiti incontra la videoripresa rispetto ai soggetti più vulnerabili come minori e incapaci?

Ebbene, sono solo alcuni dei quesiti a cui, nei settori c.d. regolamentati, la normativa offriva puntuale risposta ma, nell'àmbito condominiale, trovavano un imbarazzante e pericolo silenzio; alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si è ritenuto sussistente il fumus boni iuris, mentre il periculum in mora è stato rinvenuto in re ipsa, trattandosi di diritti fondamentali e della personalità che ad ogni lesione si consumano senza possibilità di ripristino dello status quo ante, trovando conferma il largo uso, in questa materia, della c.d. inibitoria, specie per quel che concerne il diritto all'immagine (peraltro, nel caso di specie, l'utilizzo delle telecamere aveva causato un impoverimento delle attività quotidiane della parte ricorrente ed anche stati soggettivi che militavano verso la patologia, concretizzando una situazione che richiedeva urgente e immediata tutela).

Il deterrente per la prevenzione di eventi delittuosi

Merita di essere, inoltre, segnalata la soluzione offerta recentemente dai giudici di Piazza Cavour in una fattispecie molto peculiare (Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2012 n. 14346), da cui, però, possono trarsi utili spunti per la materia di cui trattasi.

Con una domanda presentata al Tribunale, un'assegnataria di un immobile di proprietà del suocero esponeva che costui aveva installato, sia sul cancello, sia sul portone di ingresso del fabbricato, dei dispositivi di videocontrollo, da lei ritenuti lesivi del proprio diritto alla riservatezza, chiedendo, pertanto, che ne fosse ordinata la rimozione; il resistente si era difeso, deducendo di essere ricorso ai sistemi di videosorveglianza per aver subìto intimidazioni e minacce.

Il giudice adìto aveva ritenuto pretestuose le affermazioni di quest'ultimo, ritenendo che il controllo della zona antistante l'abitazione della ricorrente non fosse giustificato da esigenze di tutela tali da consentire una violazione della sua riservatezza, consistente nella possibilità di controllare, essendo prevista la conservazione dei dati registrati, ogni suo movimento in entrata o in uscita.

Il giudizio di cassazione è rimasto incentrato unicamente sulla liceità o meno, ai sensi del d.lgs. n. 169/2003, dell'installazione dell'impianto di videosorveglianza; segnatamente, il suocero ha fondatamente sostenuto:

a) che non vi sarebbe alcuna lesione della riservatezza, riguardando l'impianto di videosorveglianza soltanto l'area cortilizia;

b) che il consenso della nuora non era comunque richiesto, sussistendo fondate ragioni, ai fini della tutela dei propri beni e della propria incolumità, del ricorso al videocontrollo.

In particolare - ad avviso della Suprema Corte - al fine di verificare quale delle ipotesi contemplate dal Codice della privacy ricorresse nel caso in esame, i dati fattuali emergenti dalla decisione impugnata deponevano nel senso che:

a) l'impianto era costituito da telecamere collocate sul cancello che consentiva l'accesso al giardinetto e sul portoncino di ingresso;

b) il sistema non era dotato di bobine a nastro per la registrazione, ma di un hard disc, che registrava e salvava, per soli tre giorni, le immagini, le quali avrebbero potuto essere esaminate unicamente dall'autorità giudiziaria a seguito della denuncia di un fatto illecito penalmente rilevante.

Ad ogni buon conto, si è rilevato che la verifica, sotto il profilo meramente diacronico, del nesso fra l'installazione dell'impianto di videocontrollo da parte del suocero e gli atti di vandalismo subiti e denunciati, per come operata dal giudice del merito, non resisteva al vaglio logico-giuridico, non potendosi dubitare della concorrente funzione preventiva del ricorso ad un sistema di videosorveglianza; in altri termini, la collocazione cronologica degli episodi di furto e di danneggiamento confermava la fondatezza del ricorso ad un impianto che, oltre a consentire l'eventuale individuazione dei responsabili di ulteriori atti di vandalismo, era intrinsecamente dotato di efficacia dissuasiva.

La ripetibilità delle spese per l'installazione

Molto peculiare, infine, la fattispecie affrontata da una recente pronuncia dei giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 2013 n. 71): un condomino, a fronte di azioni di danneggiamento, regolarmente denunciate, e per scoraggiare ulteriori simili atti, aveva provveduto ad installare un sistema di videosorveglianza dell'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso e, a fronte delle spese sostenute, ciascun condomino aveva provveduto a rimborsare quanto dovuto, ad eccezione di uno che si era opposto a tale pagamento.

Quest'ultimo sosteneva che, alla luce della disposizione di cui all'art. 1134 c.c., vige il principio che, in tema di condominio, le spese relative alle parti comuni devono essere autorizzate dall'assemblea o dall'amministratore e, in mancanza di dette autorizzazioni, la spesa sostenuta dal singolo condomino non può essere rimborsata, salvo si tratti di spesa urgente, presupposto non sussistente nel caso specifico.

Secondo i giudici di legittimità, invece, nel caso in esame, sussisteva la necessità e l'urgenza di procedere all'installazione della videocamera, e ciò era confortato anche dal fatto che tutti i restanti condomini avevano provveduto al pagamento della propria quota.

L'intervento del Garante della privacy

Si segnala, da ultimo, l'intervento del Garante della privacy del 10 ottobre 2013 che, nel dettare il vademecum in materia, ha precisato che, «quando l'installazione di sistemi di videosorveglianza viene effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali - e le immagini non vengono né comunicate sistematicamente a terzi, né diffuse (ad esempio attraverso apparati tipo web cam) - non si applicano le norme previste dal Codice della privacy, sicché non è necessario segnalare l'eventuale presenza del sistema di videosorveglianza con un apposito cartello», rimanendo comunque valide le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati.

Tuttavia, anche per non rischiare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata - v. appresso - si prescrive che il sistema di videosorveglianza sia installato in maniera tale che l'obiettivo della telecamera posta di fronte alla porta di casa riprenda esclusivamente lo spazio privato e non tutto il pianerottolo o la strada, oppure il proprio posto auto e non tutto il garage.

Il reato di interferenze illecite nella vita privata

Sul versante penalistico, va, al contempo, preso in adeguata considerazione l'art. 615-bis c.p., il quale sanziona «chiunque mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614», vale a dire nel domicilio - nozione che, secondo la giurisprudenza, è suscettibile di comprendere anche le parti comuni dell'edificio - il che comporterebbe, nel contesto condominiale, la necessaria acquisizione preventiva del consenso di un numero assai ampio di soggetti, non sempre peraltro di agevole identificazione, sì da rendere arduo il legittimo impiego dei sistemi di videosorveglianza.

Sul punto, sono intervenuti gli ermellini, puntualizzando che non sussistono gli estremi atti ad integrare il suddetto delitto di interferenze illecite nella vita privata qualora il soggetto attivo effettui, attraverso l'uso di telecamere installate all'interno della propria abitazione, riprese dell'area condominiale destinata a parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all'uso di un numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all'art. 615-bis c.p., la quale concerne, sia che si tratti di «domicilio», di «privata dimora» o «appartenenze di essi», una particolare relazione del soggetto con l'ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza (Cass. pen., sez. V, 29 ottobre 2008 n. 44701).

Interessante, al riguardo, la quasi coeva pronuncia dei giudici di legittimità, i quali hanno avuto modo di rilevare che il reato di cui al citato art. 615-bis c.p. non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, quando tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur se di pertinenza di una privata abitazione, siano però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Cass. pen., sez. V, 21 ottobre 2008 n. 44156: nella specie, trattavasi di riprese effettuate su spazi condominiali, con telecamere visibili a tutti, da uno dei condomini, in contrasto con la volontà degli altri).

In particolare, si è sottolineato che non commette il reato di sopra il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall'intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell'edificio (come un vialetto e l'ingresso comune dell'edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini, specie questi ultimi siano «a conoscenza dell'esistenza delle telecamere» e possano «visionarne in ogni momento le riprese» - motivo per cui queste ultime non siano neppure idonee a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui possano credere di non essere osservati - precisando che «la ripresa con una telecamera delle parti comuni non può, pertanto, in alcun modo ritenersi indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini, poiché l'esposizione alla vista di terzi di un'area che costituisce pertinenza domiciliare e che non è destinata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela penale della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto, inaspettatamente, realizzate e perciò riprese».

Per sola completezza espositiva, mette punto rammentare che la condotta di un condomino che riprenda con le telecamere (o fotografi) l'abitazione di un altro condomino - ad esempio, nell'atto di compiere abusi edilizi - non costituisce reato, poiché il condomino «ripreso» non può invocare la privacy se non ha adeguatamente «protetto» la sua abitazione dalla possibilità di «vedere» (o riprendere o fotografare) dall'esterno (v. Cass. pen., sez. V, 11 maggio 2012 n. 18035).

In conclusione

Resta inteso che la decisione del magistrato penale si colloca nell'àmbito del diverso tema della tutela della riservatezza nella sfera domiciliare, seguendo la direttrice ermeneutica tracciata dal massimo organo di nomofilachia penale (Cass. pen., sez.un., 28 marzo 2006, n. 26795) e dai giudici della Consulta (Corte Cost. 16 maggio 2008, n. 149): in proposito, appare consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui la mancanza di reato ex art. 615-bis c.p. non rappresenta per ciò solo motivo di liceità della medesima condotta in sede civile, poiché la norma penalistica si occupa del domicilio e dell'art. 14 Cost., mentre il giudice civile, nei rapporti tra condomini, fa riferimento al diritto inviolabile alla riservatezza e, quindi, dell'art. 2 Cost. (beni giuridici alquanto diversi).

E' interessante, però, evidenziare che, secondo i giudici della Consulta, l'art. 14 Cost. tutela il domicilio sotto due distinti aspetti: come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo, e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi; nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell'inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto, ossia non tanto - o non solo - come difesa rispetto ad un'intrusione di tipo fisico, quanto piuttosto come presidio di un'intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa, attraverso l'uso di strumenti tecnici, anche senza la necessità di un'intrusione fisica.

La corte delle leggi osserva, poi, che, in mancanza di una norma che consenta e disciplini il compimento dell'attività di ripresa - soddisfacendo la doppia riserva, di legge (quanto ai «casi» e ai «modi») e di giurisdizione, di cui all'art. 14, comma 2, Cost. - l'attività stessa dovrebbe ritenersi radicalmente vietata, proprio perché lesiva dell'inviolabilità del domicilio, sancita dal comma 1 dello stesso art. 14 Cost.

Di qui l'opportunità di un intervento legislativo in materia condominiale, più volte invocato dal Garante della privacy, in mancanza del quale, ossia difettando una norma ad hoc che offra copertura legale alla videosorveglianza privata, le riprese de quibus violano il precetto normativo di rango costituzionale (intervento, peraltro, realizzato dal Legislatore del 2012 ma solo per quel che concerne le decisioni assembleari, contemplate nel novello art. 1122-ter c.c., e non riguardo alle iniziative del singolo per fini propri non necessariamente coincidenti con quelli della compagine condominiale).

Guida all'approfondimento

Bordolli, Gli impianti di videosorveglianza condominiale dopo la riforma, in Immob. & proprietà, 2014, 92;

Salciarini, La videosorveglianza nel condominio: tra il “codice della privacy” e la recente “riforma” del codice civile, in Giur. merito, 2013, 2338;

Pennisi, Gli impianti di videosorveglianza nel condominio edilizio: il bilanciamento degli opposti interessi alla riservatezza ed alla sicurezza delle persone e della proprietà, in Dir. famiglia, 2014, 205;

Villani, La disciplina relativa agli impianti di videosorveglianza condominiale alla luce della riforma del condominio ovvero il nuovo art. 1122-ter c.c., in Studium iuris, 2013, 1210;

Celeste, Il ruolo dell'assemblea condominiale nell'installazione della videosorveglianza, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 3, 24.

Sommario