Ricorso avverso gli atti dell'amministratoreFonte: Cod. Civ. Articolo 1133
25 Settembre 2017
Inquadramento
L'art. 1133 c.c. - la cui rubrica reca il titolo “provvedimenti presi dall'amministratore” ed il cui testo è rimasto invariato anche a seguito della Riforma del 2013 - recita: “I provvedimenti presi dall'amministratore nell'àmbito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell'amministratore è ammesso ricorso all'assemblea, senza pregiudizio del ricorso all'autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall'art. 1137”. La norma citata merita un'attenta analisi sia per la genericità del contenuto, sia per le problematiche che la stessa può suscitare. In particolare, se è pacifica la possibilità di riesame, da parte dell'assemblea e del giudice, dei provvedimenti adottati dall'amministratore, lo stesso disposto che contempla tale possibilità, ossia l'art. 1133 c.c., pone sul tappeto diverse questioni, tra le quali: a) si dovrà precisare per quali tipi di provvedimenti sia ammessa l'impugnativa, accertando se sussista una stretta connessione tra i provvedimenti soggetti a reclamo ed i poteri consistenti nell'oggetto del mandato, e se la disciplina riguardi anche quegli atti di mero arbitrio, cioè presi al di fuori dei suoi poteri; b) esternando due vie da percorrere, si dovrà vedere se l'una, la prima, sia o meno presupposto dell'altra, in quanto la norma non permette di individuare con assoluta certezza se il passaggio della doglianza all'assemblea sia comunque pregiudiziale al ricorso all'autorità giudiziaria; c) si dovrà individuare quale sia il controllo dell'assemblea sul provvedimento, cioè se di merito o di mera legittimità; d) si dovrà accertare se il reclamo o il ricorso all'art. 1137 c.c. sospendano o meno l'obbligatorietà del provvedimento; e) si dovranno ricostruire dal punto di vista procedurale le modalità per il reclamo all'assemblea, in ordine alla forma da adottare ed ai termini da rispettare; e f) si dovrà esaminare il ricorso all'autorità giudiziaria, le possibilità di adire il magistrato ed i limiti del suo sindacato. Si premette, innanzitutto, che, nel corso del presente commento, si adotterà il termine “reclamo” quando il condomino coinvolge l'assemblea ed il termine “ricorso” qualora lo stesso condomino opti per la via giudiziaria, e ciò soltanto per mera comodità espositiva ed al fine di non creare confusione, perché la disposizione codicistica utilizza la stessa terminologia (“ricorso”) per entrambi i tipi di riesame. Il Legislatore non ha stabilito quali siano i provvedimenti dell'amministratore che possano essere oggetto di impugnativa, ovvero quando la parola dell'amministratore è “legge” all'interno del condominio e, conseguentemente, riesaminabile dinanzi all'assemblea o/e all'autorità giudiziaria. Ripercorrendo, però, la lettera dell'art. 1133 c.c. emerge una costruzione a gradi: in particolare, la scala gerarchica prevede l'assemblea al vertice, in un gradino inferiore l'amministratore con i suoi atti e, in ultima posizione, i singoli condomini; stando così le cose, in primo luogo, i provvedimenti che si pongono tra l'assemblea che può giudicarli ed i condomini che devono osservarli, non possono essere altro che decisioni proprie dell'amministratore, non indotte in alcun modo dall'assemblea. In buona sostanza, non si potrà ridurre tutto alla mera affermazione che i provvedimenti ex art. 1133 c.c. siano quelli rientranti nell'àmbito delle attribuzioni dell'amministratore di cui all'art. 1130 c.c., la cui vasta portata comprende anche i provvedimenti necessariamente dovuti - si pensi all'esecuzione delle delibere assembleari - nei quali vi è stata in precedenza una certa determinazione del volere di un altro soggetto (l'assemblea), rispetto alla quale l'adozione del provvedimento esplica una funzione meramente attuativa. Solo se e quando l'amministratore risponde di un certo potere discrezionale in ordine all'adozione del provvedimento e delle sue modalità, potrà dirsi che, alla base dell'atto, vi sia effettivamente una libertà di determinazione dello stesso, nel senso che lo può o meno emettere e che il contenuto del provvedimento risale alla sua personale scelta (discrezionalità, quindi, in ordine all'an, al quando ed al quomodo). Si consideri, poi, che l'art. 1133 c.c. definisce i provvedimenti presi dall'amministratore, “nell'àmbito dei suoi poteri”, obbligatori per tutti i condomini, e prosegue nel dire che contro (tali) provvedimenti è ammesso il reclamo all'assemblea. Orbene, l'àmbito dei suoi poteri è circoscritto nell'art. 1130 c.c. (peraltro, notevolmente arricchito nei contenuti dalla Riforma del 2013), o nel regolamento di condominio oppure, ancora, delineato dall'assemblea con apposita delibera; perciò, se i provvedimenti presi dall'amministratore “nell'àmbito dei suoi poteri“ sono obbligatori per tutti i condomini, significa che tali provvedimenti sono stati assunti nell'àmbito della legge, del regolamento o delle disposizioni date dall'assemblea, e non quando il provvedimento è stato preso al di fuori dei suoi poteri. Il rapporto tra i due rimedi
Una volta stabilito l'àmbito di operatività dell'art. 1133 c.c., ovvero quali siano i provvedimenti in esso menzionati, ci si interroga su come si atteggino i due rimedi - reclamo all'assemblea e ricorso all'autorità giudiziaria - contro gli abusi che l'amministratore perpetri attraverso gli stessi. Una prima riflessione conduce a ritenere che il diritto del condomino di rivolgersi all'autorità giudiziaria non risulta subordinato al preventivo reclamo all'assemblea: pertanto, in tema di provvedimenti dell'amministratore che rientrano nell'orbita dei suoi poteri, non è necessario che gli stessi ricevano il crisma e l'approvazione preventiva dell'assemblea e si traducano in regolari delibere di questo organo sovrano del condominio (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1960, n. 2745; tra le pronunce di merito che hanno affrontato tale problematica, si segnala Trib. Ariano Irpino 16 giugno 2011). E' chiaro, dunque, che la legge ha lasciato alla libera determinazione del singolo la scelta di ricorrere all'assemblea piuttosto che all'autorità giudiziaria, scelta che sarà legata al contesto condominiale ed alla possibilità di contare su una certa solidarietà da parte degli altri condomini che, laddove fosse inesistente, renderebbe inutile obbligare il ricorrente a passare prima attraverso l'assemblea. Ne discende che il Legislatore ha inteso lasciare alla discrezionale valutazione del condomino la scelta, e naturalmente quest'ultima sarà determinata dalla preventiva considerazione della manifesta o prevedibile opinione dei condomini e, ove tale considerazione sia volta ad escludere l'eventualità di un annullamento del provvedimento dell'amministratore, il condomino propenderà per l'autorità giudiziaria; d'altronde, costringere in questi casi il condomino a proporre il previo ricorso all'assemblea rappresenterebbe un espediente puramente dilatorio, informato a principi di vieto formalismo. Pertanto, da un lato, si ritiene che il reclamo all'assemblea sia meramentefacoltativo, in quanto il Legislatore non ha imposto alcuna “pregiudizialità” in ordine all'espletamento di tale rimedio rispetto al successivo ricorso al magistrato, contemplando, al contrario, un rapporto di “alternatività”; del resto, l'art. 1133 c.c. ci dice che l'impugnazione da parte del condomino davanti all'assemblea deve avvenire “senza pregiudizio” della tutela giudiziaria, il che depone per l'autonomia del secondo mezzo di gravame rispetto al primo, nel senso che il ricorso al giudice può essere immediato e non è subordinato al previo esperimento del reclamo all'assemblea (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 1977, n. 960, riguardo alla ripartizione delle spese di manutenzione; Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1974, n. 804); dall'altro, si è dell'avviso che lo stesso ricorso all'autorità giudiziaria abbia carattere “assorbente”, escludendo il reclamo assembleare, poiché il condomino dissenziente, ricorrendo direttamente al magistrato, ha dimostrato la volontà di non richiedere il dibattito in sede assembleare (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1950, n. 2353).
La lettera della legge ci anticipa che il reclamo all'assemblea ha una finalità simile al ricorso gerarchico che troviamo in diritto amministrativo, mentre il ricorso all'autorità giudiziaria ha finalità del tutto diverse: il primo non è subordinato a limiti e condizioni, il secondo è ammesso solo “nei casi” (oltre che nel termine) previsti dall'art. 1137 c.c., il che vuol dire soltanto qualora il provvedimento sia “contrario alla legge o al regolamento di condominio”. Sull'àmbito del sindacato dell'assemblea investita del reclamo avverso il provvedimento adottato dall'amministratore, si registra una diversità di opinioni in dottrina. Alcuni (Salis) ritengono che il condomino ha tutto l'interesse a provocare il giudizio dell'assemblea; d'altra parte, nei confronti della decisione di quest'ultima, ove confermi il provvedimento dell'amministratore, il condomino - come vedremo - potrà nuovamente adire il magistrato a sensi dell'art. 1137 c.c.; la legge non pone limiti all'assemblea né di legittimità né di merito, e ciò in relazione a quanto imposto dallo stesso articolo per il ricorso all'autorità giudiziaria. Altri (Amagliani) sono dell'avviso che il controllo dell'assemblea sia di mera legittimità; in primo luogo, in quanto l'articolo in esame impone identità di presupposti; in secondo luogo, perché compete all'amministratore la predisposizione di una serie di atti, che rientrano ovviamente nelle sue attribuzioni, con competenza predeterminata e non comprimibile, con la conseguenza che l'assemblea sarebbe priva di potere discrezionale sugli atti stessi. Altri ancora (Peretti Griva) osservano che l'assemblea possa indagare anche sull'opportunità e convenienza dell'atto, pure se l'obbligatorietà ex lege dello stesso potrebbe indurre al contrario; si dice, poi, che l'eventuale e prospettata limitazione del potere dell'assemblea conduce questa ad accettare un provvedimento posto in essere dal suo mandante, ma contrario ai suoi principi. Appare preferibile quella tesi (Terzago) volta a evidenziare l'ampiezza del giudizio in capo all'organo sovrano a seguito del reclamo da parte del singolo. Invero, nel nostro caso, occorre considerare pur sempre il rapporto che intercorre inter partes, cioè il mandato (come, peraltro, ribadito espressamente dall'art. 1129, comma 15, c.c.): ora, se è vero che l'assemblea, tramite l'adozione di una delibera o l'approvazione di una disposizione regolamentare, possa conferire all'amministratore minori poteri rispetto all'oggetto del mandato (art. 1131 c.c.), è altrettanto vero che la stessa assemblea possa intervenire, confermando o revocando o modificando, il provvedimento del suo mandatario; l'oggetto del mandato, nell'àmbito condominiale, è determinato dal contenuto dell'art. 1130 c.c., ma ciò non toglie che competa al mandante, nel nostro caso all'assemblea, il potere di indirizzare l'attività del mandatario con dichiarazioni determinative che possono assolvere la funzione di specificare il contenuto di tale obbligo. D'altra parte, i poteri del mandatario possono subire modifiche ad opera del mandante, per cui, a maggior ragione, quest'ultimo può valutare di volta in volta il comportamento del primo (ad esempio, se inopportuno, iniquo o poco conveniente).
A ciò si aggiungeva, in tema di violazioni del regolamento condominiale, che un sindacato di merito avrebbe potuto operare nei casi in cui il provvedimento sanzionatorio avesse tutti i crismi della legalità, cioè preso nella sfera dei suoi poteri e nell'esatta applicazione del regolamento, ma fosse oltremodo oneroso in relazione all'infrazione, in quanto su ciò il magistrato non avrebbe potuto intervenire, mentre l'assemblea, invece, aveva il diritto di procedere ad una valutazione di congruità fra infrazione e sanzione; tali considerazioni trovano oggi indiretta conferma nell'aggiunta disposta all'art. 70 disp. att. c.c. dal d.l. n. 145/2013 (convertito nella l. n. 9/2014), laddove si è contemplato che il potere di irrogazione delle suddette sanzioni spetti solo in capo all'assemblea. Di recente, si tende ad evidenziare il carattere “aperto” dell'elencazione legislativa delle attribuzioni riconosciute all'assemblea condominiale (art. 1135 c.c.); in quanto organo destinato ad esprimere la volontà collettiva dei partecipanti, si sostiene che l'assemblea possa adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, incontrando (a differenza dell'amministratore, i cui maggiori poteri sono regolati dall'art. 1131 c.c.) il solo limite del perseguimento di finalità extracondominiali; limite peraltro soltanto apparente, a fronte della tendenza al progressivo ampliamento degli “interessi comuni dei condomini”, in nome delle esigenze di soddisfacimento dei rispettivi bisogni abitativi dei singoli. Logica conseguenza di questa interpretazione, diciamo così, evolutiva dell'organizzazione condominiale potrebbe essere la valorizzazione del ruolo dell'assemblea quale “giudice” dei ricorsi presentati dai condomini contro gli atti di gestione; si ritiene, comunque, che la rivendicazione della potestà di sindacato dell'assemblea sui compiti dell'amministratore non si riduca all'affermazione del primato dell'organo superiore rispetto alle decisioni dell'inferiore: essa si spiega, piuttosto, con la preferenza per l'assetto democratico del gruppo, regolato dal metodo collegiale e dal principio maggioritario, ed ispirato dall'idea della collaborazione tra i condomini nella gestione dei beni comuni. Il provvedimento dell'amministratore - ci si augura in forma scritta, al fine di agevolarne l'impugnabilità - dovrà essere da quest'ultimo portato a conoscenza del condomino; la conoscenza potrà essere data con qualunque mezzo (lettera, raccomandata, telegramma, mail, fax, orale, ecc.), restando pur sempre la prova, a carico dell'amministratore, dell'avvenuta comunicazione ai fini dell'eccezione di decadenza - operativa riguardo al ricorso all'autorità giudiziaria, v. appresso - per il trascorrere del tempo di cui al citato articolo. Nessun termine di decadenza è, invece, previsto per il reclamo all'assemblea, sicché l'assemblea potrebbe intervenire in ogni momento a seguito dell'iniziativa del condomino, a meno che l'atto di cui si chiede il riesame non abbia dispiegato oramai i propri effetti. Parimenti nessun formalismo è previsto per il reclamo, salva la prova da parte del condomino di aver “ricorso all'assemblea”; l'articolo in parola ammette il ricorso all'assemblea, ma non richiede il ricorso nel senso tecnico della dizione, sicché il ricorrere sta qui a significare la possibilità per il condomino di fare in modo che l'assemblea intervenga con una sua decisione, cioè con una delibera, positiva o negativa. Il reclamo (senza particolari formalità) va presentato per iscritto all'amministratore, il quale è tenuto a convocare, entro un termine congruo a seconda delle esigenze del caso, un'assemblea ad hoc per decidere al riguardo, salvo che già sia stata convocata un'assemblea ordinaria o straordinaria, potendo tale argomento essere discusso tra le “varie ed eventuali” del relativo ordine del giorno. Qualora l'amministratore si renda inottemperante o nulla possa fare al riguardo (ad esempio, in caso di revoca o di rinuncia al mandato), si ritiene che alla fattispecie non sia applicabile il disposto dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c., in quanto sarebbe illogico, nell'inerzia dell'amministratore nel convocare l'assemblea, pretendere il reperimento di altri condomini, titolari del previsto valore millesimale (un sesto del valore dell'edificio), al fine di convocare l'assemblea per l'esame del provvedimento oggetto del reclamo; d'altra parte, a tale inerzia può supplire lo stesso condomino, che resta comunque soggetto al limite temporale di cui all'art. 1137 c.c., sicché può provocare con sollecitudine la pronuncia del magistrato. La questione di cui sopra potrebbe ora trovare una soluzione nel novellato art. 1129 c.c. che, al comma 12, n. 1), contempla, tra le cause di revoca giudiziaria dell'amministratore, la “grave irregolarità” consistita nella “omessa convocazione dell'assemblea … negli altri casi stabiliti dalla legge”, tra i quali può senz'altro annoverarsi l'ipotesi prevista dall'art. 1133 c.c. Legittimato a proporre il ricorso è, senza dubbio, il singolo condomino, ma si è affermato che, per analogia, anche l'amministratore possa adire l'assemblea; questa conclusione, peraltro, trova giustificazione nella qualifica di organismo “superiore” in capo all'assemblea, vedendo così ribaditi i propri ampi poteri (oltre che di indirizzo) di controllo sulle condotte dell'amministratore (si pensi al sindacato sull'operato in occasione del rendiconto a fine gestione). E' stato, infatti, rilevato che, a norma dell'art. 1133 c.c., i singoli condomini possono ricorrere all'assemblea condominiale contro i provvedimenti presi dall'amministratore nell'àmbito dei suoi poteri, ma ciò consente di affermare che anche l'amministratore può rivolgersi all'assemblea condominiale per provocarne una delibera che sancisca la disciplina da lui adottata per l'uso delle cose comuni, al fine di vincere l'asserita resistenza di uno dei condomini (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1975, n. 3024: nella specie, era stata impugnata per illegittimità, in quanto incidente sui poteri dell'amministratore, la delibera assembleare provocata dallo stesso amministratore, sull'asserito diritto di un condomino di parcheggiare la propria autovettura nell'androne carraio dell'edificio, in forza di una clausola del suo contratto di acquisto). Non appare, tuttavia, corretto il ricorso all'analogia, in quanto mancherebbe sia la lacuna da colmare che l'identità di ratio: il reclamo del condomino all'assemblea tende, infatti, a togliere efficacia ad un provvedimento dell'amministratore, mentre il ricorso di quest'ultimo è volto solo ad una conferma del proprio operato da parte dell'organismo superiore, ma l'amministratore è già in grado di sollecitare una delibera di conferma del provvedimento adottato potendo convocare l'assemblea, più semplicemente, ai sensi dell'art. 66, comma 1, disp. att. c.c. ogni qual volta “lo ritiene necessario”. Nell'indetta riunione condominiale, l'amministratore illustrerà i motivi del provvedimento che ha adottato, sicché l'assemblea deciderà a maggioranza semplice, non rientrando tale materia tra quelle che necessitano di un quorum qualificato, trattandosi di materia (potenzialmente) rientrante tra le attribuzioni dell'amministratore (argomentando a contrario dall'art. 1136, comma 4, c.c.), sempre che la stessa, nel modificare il provvedimento dell'amministratore, non adotti contestualmente un atto di straordinaria amministrazione, di per sé richiedente la maggioranza più elevata (prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c.). In ordine ai possibili esiti del reclamo, l'assemblea potrà o rigettare il reclamo, confermando sostanzialmente il provvedimento dell'amministratore, oppure accogliere lo stesso, revocando o modificando il provvedimento in oggetto, e ciò sia per ristabilire il disposto legislativo o regolamentare che era stato violato sia sulla base di una diversa valutazione di opportunità in ordine alla decisione presa dall'amministratore. Nell'ipotesi di accoglimento del reclamo, è preferibile distinguere, da un lato, se il provvedimento dell'amministratore riguardava un solo condomino - si pensi al di parcheggio della moto nel cortile - nel qual caso è consequenziale che il condomino impugnante viene ad essere, per così dire, reintegrato nel suo diritto e potrà compiere quanto l'amministratore gli aveva interdetto; dall'altro, se lo stesso provvedimento interessava un aspetto generale della vita condominiale - si pensi all'orario dei giochi dei bambini nel giardino comune - per cui la decisione dell'amministratore risulta caducata nei confronti di tutti i condomini, dovendo essere la materia nuovamente regolamentata dalla stessa assemblea, nel qual caso si registra l'affidamento all'organo collegiale di entrambe le fasi dell'impugnazione: quella “rescindente”, con la revoca del provvedimento dell'amministratore viziato, ma anche quella “rescissoria”, con l'adozione di un nuovo atto di gestione destinato a sostituire il primo. Il ricorso all'autorità giudiziaria segue quanto previsto dall'art. 1137 c.c.: il libello introduttivo sarà depositato presso la cancelleria del magistrato competente; potrà contenere l'istanza di sospensione del provvedimento, anche ai sensi dell'art. 700 c.p.c. con la fissazione anticipata dell'udienza di discussione sul punto; ricorso, istanza e pedissequo provvedimento andranno, poi, notificati all'amministratore. Quindi, l'impugnazione va proposta, pena la decadenza, entro 30 giorni decorrenti dalla comunicazione del provvedimento dell'amministratore al condomino o dalla conoscenza da parte di quest'ultimo. Al riguardo, si è precisato che, di decadenza, si può parlare soltanto se si tratta di provvedimento dell'amministratore annullabile per inosservanza di regole formali, mentre qualora si verifichi l'ipotesi di lesione di diritti dei singoli condomini (oggetto impossibile o illecito), si è in presenza di nullità radicale del provvedimento, con la conseguenza che, essendo un'azione di accertamento, il ricorso è proponibile oltre l'anzidetto termine di 30 giorni (Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1976, n. 472, circa il diritto di transitare con veicoli sul cortile comune per accedere alle aree di rispettiva pertinenza previsto dal regolamento condominiale); inoltre, per superare la decadenza per inosservanza del termine, non può essere invocata l'illiceità della condotta dell'amministratore, né la mancata approvazione del suo operato da parte dell'assemblea, in quanto non è la delibera di quest'ultima, ma l'operato dell'amministratore che viene impugnato secondo le disposizioni degli artt. 1133 e 1137 c.c. (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1991, n. 12851; Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 1960, n. 2745). Pertanto, scelta la via del ricorso all'autorità giudiziaria, il condomino non può ricorrere contemporaneamente all'assemblea, né il giudice può rimettere le parti davanti all'assemblea per cui dovrà decidere sul ricorso; qualora, invece, sia stata adita l'assemblea, il condomino potrà ricorrere avverso la delibera di conferma e/o ratifica, impugnando la stessa. Restano, infine, da delineare i limiti del sindacato dell'autorità giudiziaria, nel senso che se esso sia di sola legittimità o esteso anche al merito del provvedimento dell'amministratore. Per giurisprudenza costante - v., tra le altre, Cass. civ.,sez. II, 11 febbraio 1999, n. 1165; Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1971, n. 2217; Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1968, n. 2767 - il sindacato giudiziario opera solo sulla legittimità dell'atto: il giudice non può sostituire la delibera assembleare con la sentenza, in quanto deve limitarsi alla declaratoria di illegittimità della stessa; la situazione non muta nella fattispecie in esame, in quanto la norma in parola fa espresso riferimento ai “casi …. previsti dall'art. 1137” c.c., cioè all'ipotesi inerente l'accertamento se la delibera, nella nostra ipotesi il provvedimento dell'amministratore, è contrario alla legge o al regolamento, precludendo, al contempo, ogni sindacato di merito, sicché, ad esempio, non potrebbe essere lamentato al magistrato l'incongruo utilizzo del potere discrezionale dell'amministratore nel disciplinare l'uso delle cose comuni. Casistica
Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, Milano, 2015, 387; Girino, Il concetto di provvedimento dell'amministratore (1133 c.c.), in Contr. e impr., 2004, 519; Amagliani, L'amministratore e la rappresentanza degli interessi condominiali, Milano, 1992, 169; Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960, 418; Salis, Il condominio negli edifici, in Tratt. dir. priv. diretto da Vassalli, Torino, 1959, 232. |