Stalking “condominiale” nei confronti di una coppia omosessuale
22 Settembre 2017
Il reato di atti persecutori è stato introdotto nel nostro ordinamento solo in tempi recenti, con l'innesto nel codice – ad opera dell'art. 7 del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito, con modifiche, con la l. 3 aprile 2009, n. 38) – dell'art. 612-bis c.p. che punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni il fatto di chi con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero di ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero di costringere lo stesso a cambiare le proprie abitudini di vita. Nel linguaggio corrente il delitto in questione viene più spesso etichettato come stalking, locuzione che deriva dal verbo inglese to stalk, termine appartenente al linguaggio tecnico della caccia che letteralmente significa “fare la posta”, “avvicinarsi di soppiatto alla preda”. Nel linguaggio comune, esso è usato come sinonimo di “perseguitare”, “seguire”, “braccare”, “molestare”, “disturbare”. La scelta legislativa di introdurre questa nuova figura criminosa, che segue una linea di tendenza già emersa in altri Stati europei ed extraeuropei, è stata operata dal nostro Legislatore per dare una risposta sanzionatoria autonoma ad un fenomeno purtroppo in costante crescita. Prima del novum normativo introdotto nel 2009, infatti, le ipotesi di stalking erano punite attraverso diverse fattispecie, tipizzate all'interno del codice penale, quali le molestie (art. 660 c.p.), l'ingiuria (art. 594 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), le lesioni (art. 582 c.p.), purché presentassero gli elementi tipici di tali reati. L'introduzione della nuova fattispecie di atti persecutori, tuttavia, appariva quanto mai necessaria sia a causa delle oggettive difficoltà che si avevano nel fronteggiare il fenomeno con le predette norme (le fattispecie applicabili, antecedentemente al 2009, erano di poco conto, quantomeno nei casi in cui lo stalker non avesse ancora trasmodato verso le sequenze più violente della sua condotta), sia per l'obiettiva consistenza del fenomeno stesso, riconosciuta unanimemente dai criminologi. La normativa italiana in materia è poi stata aggiornata con l'emanazione del d.l. 1 luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 94 e, soprattutto, con l'emanazione del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119 (sulla c.d. violenza di genere). Il delitto di atti persecutori è stato introdotto nell'ambito dei delitti contro la persona (Libro II, Titolo XII) e, in particolare, dei delitti contro la libertà morale (Capo III, Sezione III), il cui oggetto di tutela è tradizionalmente individuato nel diritto che ciascun individuo ha di determinarsi in maniera spontanea, in base a processi motivazionali autonomi. La giurisprudenza e la letteratura penalistica maggioritaria ritengono tale reato plurioffensivo; segnatamente, si osserva come tale fattispecie criminosa tuteli non solo la libertà morale della persona ma anche la tranquillità della stessa e, secondo alcuni commentatori, la c.d. serenità psicologica. Si tratta di un reato c.d. comune, potendo essere posto in essere da chiunque; anche il soggetto passivo è indicato con un'espressione priva di carattere selettivo: taluno è il generico destinatario delle condotte tipizzate dal Legislatore. La scelta del Legislatore di non precisare le qualità dei soggetti coinvolti appare pienamente condivisibile; non esiste, infatti, una sola tipologia di autore di atti persecutori ma ne esistono diverse, così come differenti sono le tipologie di vittima, come dimostra anche il fatto che ha occupato il tribunale di Torino nella sentenza che si annota, diverso dai più comuni casi di stalking. Per quanto concerne la struttura oggettiva della fattispecie, il delitto si caratterizza per la reiterazione di condotte di minaccia o di molestia e sulla previsione di correlati effetti psichici quali ansia, paura o timore suscitati nella vittima fatta oggetto degli atti persecutori. Si tratta di un reato di evento, di danno e abituale; il delitto de quo non è, pertanto, configurabile in presenza di un'unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia (in tal senso, ex multis, Cass.pen., Sez. V, 24 settembre 2014, n. 48391), mentre è irrilevante il fatto che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia avuto transitori momenti di “serenità” nei rapporti con lo stalker (recentemente, sul punto, Cass.pen., Sez. V, 16 novembre 2016, n. 48268). Giova evidenziare, inoltre, come non si possa dire a priori quale sia il numero di condotte (minacce o molestie) richieste ai fini della integrazione del reato; esso, infatti, deve essere individuato dal giudicante facendo riferimento al caso concreto che è chiamato a decidere, in base al contesto processualmente configuratosi, fermo restando che, secondo la Corte di legittimità integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (Cass.pen., Sez. V, 10 luglio 2014, n. 48690). La fattispecie di atti persecutori prevede per la sua configurazione, tre eventi alternativi, ovvero: a) un perdurante e grave stato di ansia o di paura; b) un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; c) la costrizione della vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Per quanto concerne il primo dei suddetti eventi, la giurisprudenza prevalente ritiene che non occorra che vi sia uno stato patologico – addirittura clinicamente accertato – ma che sia sufficiente che lo stesso sia posto in relazione a conseguenze sullo stato d'animo della persona offesa, quale il sentimento di esasperazione e di profonda prostrazione, conseguenza di una vessazione continua che abbia sostanzialmente comportato un mutamento nella condizione di normale stabilità psicologica del soggetto. Per quanto attiene al fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, non sorgono grossi problemi ermeneutici: la norma, infatti, appare sufficientemente determinata, dal momento che il timore deve essere “fondato”, e ciò oggettivizza in qualche modo il timore richiesto e lo rende dimostrabile probatoriamente in giudizio. È importante sottolineare, poi, che il reato in analisi non è da escludere nel caso in cui la vittima sia particolarmente impressionabile da un punto di vista psicologico e il soggetto attivo sia consapevole di detta condizione soggettiva del soggetto passivo, aspetti, questi, che, di contro, aggravano la condotta tenuta e non certo la scriminano. Per ciò che riguarda il significato della locuzione persona legata da relazione affettiva, si ritiene che la stessa debba essere intesa nel senso più ampio possibile, senza astratte delimitazioni temporali, sessuali o di “rilevanza” del coinvolgimento sentimentale, dunque anche a prescindere dal rapporto di convivenza o di stabilità del rapporto medesimo che, oltre a non consentire un'adeguata protezione dei beni giuridici che la norma intende tutelare, avrebbero il limite di confinare il rapporto penalmente rilevante in categorie completamente avulse dall'esperienza affettiva, con l'ulteriore effetto negativo di restringere gli ambiti della tutela in modo del tutto arbitrario. Per ciò che concerne, last but not at least, l'evento della costrizione della vittima ad alterare le proprie abitudini di vita non si pongono problemi rilevanti di determinatezza, consistendo esso in fatti oggettivi e dimostrabili (si pensi, ad esempio, alla vittima che venga pedinata frequentemente dal suo stalker e sia perciò costretta a cambiare il proprio tragitto casa-lavoro).
Fonte: ilpenalista.it Il caso recentemente analizzato dal tribunale di Torino
La recente pronunzia del tribunale di Torino (ud. 18 maggio 2016, giudice dott.ssa Cecchelli) desta particolare interesse nell'interprete per due ordini di motivi. In primo luogo, il dictum del giudice torinese si segnala per il fatto di essersi soffermato su una particolare forma di atti persecutori: quella posta in essere nei confronti di una coppia omosessuale. Il secondo profilo che, ad avviso dello scrivente, rende l'arresto in questione di un certo interesse concerne la valutazione della prova nei procedimenti relativi alla fattispecie delineata dall'art. 612-bis c.p. Prendendo le mosse dal primo aspetto, occorre brevemente riepilogare la vicenda analizzata dal recente arresto torinese. Nel caso di specie il giudice ha dovuto soffermarsi sulla rilevanza giuridica di numerose condotte poste in essere da parte di un condomino nei confronti di una coppia omosessuale – recentemente trasferitasi nel suo stesso stabile – che aveva l'unica “colpa” di vivere la relazione “alla luce del sole”. Il giudicante nell'incipit della pronunzia ritiene opportuno sottolineare come oggetto del suo scrutinio non siano le ragioni condominiali del contrasto che si era creato tra imputato e persone offese, né il generale clima intimidatorio creatosi nei confronti dei due conviventi (in particolare, anche altri condomini avevano mostrato la loro ostilità nei confronti dell'orientamento sessuale della coppia) ma unicamente le condotte poste in essere dall'imputato e la loro sussumibilità nell'alveo della previsione contenuta nell'art. 612-bis c.p. L'imputato fin da subito iniziò a tenere un atteggiamento a dir poco ostile nei confronti della coppia, etichettando i due partners con epiteti come “ricchioni”, “froci”, “siete merda” e minacciandoli ripetutamente con frasi quali “voi non sapete contro chi vi state mettendo ... voi non siete niente ... vi faccio trovare un po' di divise girare per casa ... per voi ora cominciano i guai”. In seguito l'atteggiamento del prevenuto si fece sempre più persecutorio: comparvero nell'ascensore scritte offensive nei confronti dei due conviventi, vi furono atti di vandalismo nei confronti della loro vettura e insulti notturni proferiti dall'imputato attraverso il citofono; la coppia iniziò inoltre a trovare immondizia davanti al pianerottolo e nella buca delle lettere. I due, per cercare di “arginare” in qualche modo l'escalation di odio messa in atto nei loro confronti, decisero di porre a protezione del proprio appartamento un'inferriata e installarono altresì una telecamera davanti alla porta di ingresso. Oltre a ciò, alle persone offese fu impedito di frequente di usare l'ascensore – poiché questo veniva deliberatamente bloccato al piano dove viveva l'imputato – e uno dei due conviventi venne anche aggredito da un gruppo di ragazzi (del quale faceva parte – ça va sans dire – la figlia dell'imputato). Particolarmente significativo della gravità della persecuzione posta in essere dal soggetto agente fu inoltre un episodio che vide come protagonista un soggetto terzo – amico ventennale dell'imputato – che si prestò ad andare a minacciare le persone offese di dare fuoco al loro appartamento, fuggendo subito dopo. Il giudice ad esito del dibattimento ha così deciso, alla luce delle gravi e ripetute condotte poste in essere dal prevenuto, di condannarlo a un anno di reclusione, ordinando la sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale di 5000 euro alle parti civili. Nella motivazione della pronunzia si mette in luce come il comportamento dell'imputato abbia provocato in entrambi i componenti della coppia un fortissimo stato di ansia e paura (uno dei due partners tentò addirittura il suicidio) costringendoli, dopo circa due anni, a cambiare casa perché esasperati della persecuzione posta in essere nei loro confronti. Il tribunale torinese ha inoltre ribadito la posizione ermeneutica della Corte della nomofilachia secondo cui lo stato di ansia e paura per la propria incolumità è ravvisabile ogni qual volta il comportamento incriminato abbia avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, a prescindere da eventuali problemi pregressi sul piano psicologico di cui questa abbia sofferto (Cass. pen., Sez. V, 26 giugno 2015, n. 45184). Per quanto concerne, infine, il significato da attribuire alla locuzione persona legata da relazione affettiva, come già evidenziato in precedenza, la sentenza in questione decide correttamente di attribuire ad essa un significato più ampio possibile, senza astratte delimitazioni temporali, sessuali o di “rilevanza” del coinvolgimento sentimentale. La valutazione della prova nei processi per stalking
Il secondo profilo di interesse della pronuncia torinese è quello relativo alla valutazione della prova nei procedimenti relativi a fatti di atti persecutori. In via generale, giova ricordare come il Legislatore del 1988, ben lungi dall'aderire al noto principio nemo idoneus testis in re sua – invalso all'interno dell'assetto processualcivilistico – non abbia introdotto nessuna forma di incompatibilità della persona offesa con l'ufficio di testimone. Tale scelta, fatta salva anche dal giudice delle leggi (Corte cost., ord. n. 115/1992), risponde essenzialmente all'imprescindibilità che il contributo dichiarativo della vittima spesso riveste ai fini dell'accertamento del fatto. La nuova codificazione ha interamente rimesso il vaglio della testimonianza al giudice: con riguardo a questa specifica fonte di prova il Legislatore non ha, infatti, introdotto né gerarchie epistemiche né criteri valutativi. La giurisprudenza, dal canto suo, ha sottolineato la necessità d'effettuare con particolare rigore il vaglio della testimonianza della persona offesa: pur escludendo infatti l'applicazione delle regole dettate in materia di chiamate in correità ed in reità, è stato affermato come questa particolare forma di conoscenza può costituire anche l'unica prova a carico dell'imputato, purché rispetti i requisiti di credibilità oggettiva e soggettiva. Il primo attributo potrà essere evinto dalle caratteristiche personali, morali e intellettive del teste, nonché dall'assenza di motivi di rancore verso l'imputato; il secondo sarà, invece, ricavabile dalla genesi spontanea del racconto, dalla coerenza interna dello stesso e dalla concordanza con altri elementi fattuali acquisiti al processo. Traslando le suddette coordinate interpretative ai procedimenti per fatti di stalking, si può osservare come essi si caratterizzino per la centralità della testimonianza della persona offesa (che nel processo torinese sono due), che spesso risulta antitetica rispetto alla versione resa dall'imputato. La prova di uno dei tre eventi previsti dalla fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. non può che essere ancorata ad elementi sintomatici del turbamento psicologico provocato dallo stalker, atteso che non può scandagliarsi – ai fini della prova – sia le dichiarazioni della stessa vittima del reato, sia i comportamenti conseguenti e successivi alla condotta posta in essere dal soggetto agente, considerando sia l'astratta idoneità di quest'ultima a causare l'evento, sia il suo profilo concreto in riferimento alle condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. pen., Sez. V, 14 luglio 2014, n. 46510). Nel processo torinese il giudice di merito è giunto alla dichiarazione di colpevolezza del prevenuto ritenendo assolutamente inverosimile la versione fornita dall'imputato, dai suoi familiari e da alcune persone a lui “vicine”, valutando invece come veritiere le testimonianze rese dalle due persone offese (e dai medici che le avevano prese in cura) in un con i comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dal prevenuto (in primis, la decisione di cambiare abitazione a causa della persecuzione messa in atto). In conclusione
Il delitto di atti persecutori può essere commesso anche nei confronti di una coppia omosessuale. Per ciò che attiene al significato della locuzione persona legata da relazione affettiva, si ritiene che la stessa debba essere intesa nel senso più ampio possibile, senza astratte delimitazioni temporali, sessuali o di “rilevanza” del coinvolgimento sentimentale. Nei procedimenti per stalking assumono una notevole importanza, ai fini della prova, sia le dichiarazioni della stessa vittima del reato, sia i comportamenti conseguenti e successivi alla condotta posta in essere dal soggetto agente. COCO, La tutela della libertà individuale nel nuovo sistema antistalking, Napoli, 2012; DE SIMONE, Il delitto di atti persecutori, Roma, 2013; MACRÌ, La repressione penale dello stalking prima e dopo l'introduzione del delitto di Atti persecuotori, in Corriere del merito 11-2009, 1128 ss.; PARODI, Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla l. 38/2009, Giuffrè, 2009; STELLIN, Il contributo testimoniale della vittima tra Cassazione e CEDU, in Archivio penale, 1-2015, in archiviopenale.it; VALSECCHI, Il delitto di atti persecutori (il c.d. Stalking), in Riv. it. dir. proc. pen., 3-2009, 1377 ss. |