Atto in corso causa o endoprocessuale (PCT)

Michele Nardelli
10 Gennaio 2015

Il deposito telematico degli atti di causa è disciplinato, da un punto di vista tecnico, dall'art. 11 d.m. 11 febbraio 2011, n. 44, il quale al comma 1 prevede che «l'atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all'art. 34; le informazioni strutturate sono in formato XML, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'art. 34, pubblicate sul portale dei servizi telematici».
Inquadramento

***DOCUMENTO IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE***

A seguito della introduzione, in sede di conversione del d.l. n.179/2012, dell'art. 16-bis (intitolato «obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali»), può dirsi entrato effettivamente in vigore il processo civile telematico.

Tale norma ha infatti previsto che a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite dovesse aver luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo ha previsto che si procedesse per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria (e per i soggetti nominati dalle parti, si è previsto che fossero le parti stesse a depositare gli atti e i documenti provenienti da questi ultimi, con le modalità telematiche).

Sotto il profilo meramente tecnico deve richiamarsi il d.m. 21 febbraio 2011, il cui art. 34 demandava la relativa adozione al responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, sentito DigitPA e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Ciò è stato fatto con il provvedimento 16 aprile 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2014.

Dal 30 giugno 2014, in sostanza, può dirsi concluso il lungo iter che già con l'art. 4 d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, prevedeva che tutti gli atti e i provvedimenti del processo potessero essere compiuti come documenti informatici sottoscritti con firma digitale, come espressamente previsto da quello stesso regolamento (che peraltro all'art. 19 stabiliva che le sue disposizioni si applicassero ai giudizi iscritti a ruolo dopo il 1º gennaio 2002).

La normativa trova origine nella “legge Bassanini” (art. 15, comma 2, l. 15 marzo 1997, n. 59), che conferiva la delega al Governo per la riforma della PA, stabilendo la validità di tutti gli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici e telematici.

Fonti normative principali

l. 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa. GU n. 63 del 17 marzo1997 - Suppl. Ordinario n. 56)

Art. 15, comma 2,

Validità a tutti gli effetti di legge di atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici

d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti. GU n. 89 del 17 aprile 2001)

Art. 4

Tutti gli atti e i provvedimenti del processo possono essere compiuti come documenti informatici sottoscritti con firma digitale come espressamente previsto dal presente regolamento

d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (conv., con modificazioni, in l. n. 221/2012) - Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese. (GU n. 245 del 19 ottobre 2012 - Suppl. Ordinario n. 194)

Artt. da 16-bis a 16-undecies

Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali

d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (conv., con modificazioni, in l. n. 114/2014) -Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari. (GU n. 144 del 24 giugno 2014 )

Art. 44

Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali

d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (GU n. 89 del 18 aprile 2011)

Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

d.P.C.M. 13 novembre 2014 (GU n. 8 del 12 gennaio 2015)

Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni

Provvedimento 16 aprile 2014 (GU n. 99 del 30 aprile 2014)

Specifiche tecniche previste dall'art. 34, comma 1, d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, recante regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione

Circolare del Ministro della Giustizia 23 ottobre 2015

Adempimenti di cancelleria relativi al Processo Civile Telematico

Fascicolo informatico e fascicolo cartaceo

L'art. 12, comma 3, d.P.R. n. 123/2001 prevede tuttora che «la formazione del fascicolo informatico non elimina l'obbligo di formazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo».

Il fascicolo d'ufficio è previsto dall'art. 168, comma 2, c.p.c., e va formato all'atto della costituzione del primo soggetto, parte processuale (l'attore o, se questi non si costituisse, il convenuto). Nel fascicolo d'ufficio (che ai sensi dell'art. 36 disp. att. c.p.c., va formato anche quando non vi sia una specifica prescrizione di legge), il Cancelliere deve inserire la nota di iscrizione a ruolo, gli atti introduttivi del giudizio, le memorie, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze.

Deve pertanto ritenersi che l'obbligo di costituzione del fascicolo cartaceo sia rimasto invariato, e che quindi tuttora il Cancelliere debba provvedere a predisporlo.

Il suo contenuto non è però detto che debba essere sempre e comunque assicurato nella sua composizione tradizionale.

Allo stato, infatti, le norme primarie di riferimento per l'individuazione delle modalità di deposito degli atti di parte sono costituite dai commi 1 e 1-bis, dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 (nella formulazione risultante a seguito del d.l. n. 83/2015, convertito in l. n. 132/2015, art. 19).

Queste norme prevedono rispettivamente che «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche», e che «nell'ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e, a decorrere dal 30 giugno 2015, innanzi alle corti di appello è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1 e dei documenti che si offrono in comunicazione, da parte del difensore o del dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente».

Discende da tanto che allo stato neppure gli atti di costituzione delle parti debbano necessariamente essere depositati in formato cartaceo, potendo essere trasmessi per via telematica.

Il fascicolo cartaceo sarà comunque predisposto dal Cancelliere al momento della costituzione, anche se telematica, della prima delle parti processuali che provvede alla iscrizione a ruolo (fermo restando che l'art. 9 d.m. n. 44/2011 statuisce che «la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo», facendo salvi «gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell'amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente»).

Quanto al suo contenuto, vanno premesse tre specifiche disposizioni contenute sempre nell'art. 16-bis già richiamato. La prima di esse (comma 4), riguarda il procedimento monitorio, e prevede che il Presidente del Tribunale possa autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussiste una indifferibile urgenza. La seconda (comma 8), risponde all'analoga ipotesi di mancato funzionamento dei sistemi informatici del sistema giustizia, con un provvedimento del giudice del singolo fascicolo, che autorizzi le parti al deposito cartaceo. La terza (comma 9), risponde ad una valutazione di opportunità rimessa al singolo giudice titolare del fascicolo, il quale per ragioni specifiche, evidentemente da indicare, può ordinare il deposito di copia cartacea di singolo atti e documenti.

In queste tre eventualità gli atti e i documenti cartacei entrano a far parte del fascicolo d'ufficio a tutti gli effetti, pur se in ipotesi siano comunque stati trasmessi in via telematica (circostanza che certamente si sarebbe verificata in relazione alla disposizione del comma 9).

Di fianco a queste tre possibilità, vi è un'altra previsione (comma 9, secondo periodo) che permette l'inserimento di atti in forma cartacea nel fascicolo d'ufficio. La disposizione normativa primaria rimanda infatti ad un atto di natura non regolamentare da emanarsi da parte del Ministro della Giustizia, con il quale vengono stabilite misure organizzative per l'acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematiche, nonché per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalità, e per la gestione e la conservazione delle predette copie cartacee.

Allo stato, la Circolare che regolamenta la materia è quella emanata il 23 ottobre 2015, ed essa prevede, al punto 4, il regime delle “copie informali”, distinguendole dagli atti che invece entrano a far parte del fascicolo cartaceo pur se già depositate in via telematica.

In questo senso, mentre nei primi tre casi che si sono indicati può affermarsi che i relativi atti dovranno essere oggetto di formale attestazione di deposito da parte della cancelleria, con inserimento nel fascicolo cartaceo del processo, nell'ultima eventualità (che si compone delle copie di “cortesia”, come pure delle stampe degli atti che lo stesso Giudice può richiedere alla Cancelleria) le copie cartacee non entrano a far parte del fascicolo d'ufficio in senso giuridico, ma solo in senso materiale. Ed infatti il punto 4 della Circolare chiarisce che «le copie in questione non devono essere formalmente inserite nel fascicolo processuale», e che «laddove, tuttavia, gli atti e documenti così messi a disposizione del magistrato vengano materialmente inseriti nel fascicolo cartaceo, il cancelliere non dovrà apporvi il timbro di deposito o altro equivalente, onde non ingenerare confusione».

Deposito telematico: requisiti dell'atto (specifiche tecniche; elementi attivi; accettazione; ricevuta di avvenuta consegna)

Il deposito telematico degli atti di causa è disciplinato, da un punto di vista tecnico, dall'art. 11 d.m. 11 febbraio 2011, n. 44, il quale al comma 1 prevede che «l'atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all'art. 34; le informazioni strutturate sono in formato XML, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'art. 34, pubblicate sul portale dei servizi telematici».

L'art. 34 di tale d.m. prevedeva poi che le specifiche tecniche fossero stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, sentito

DigitPA

e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali.

L'art. 12 del provvedimento 16 aprile 2014 (in GU n. 99 del 30 aprile 2014) ha quindi stabilito che l'atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all'ufficio giudiziario, deve rispettare i seguenti requisiti:

a) è in formato PDF;

b) è privo di elementi attivi;

c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;

d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi seguenti;

e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell'Allegato 5; esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata.

Anche i documenti da allegare devono essere privi di elementi attivi, ai sensi del successivo art. 13 del provvedimento richiamato.

Tra le varie caratteristiche dei documenti informatici, e degli allegati, appare di particolare interesse la necessità che essi non contengano elementi attivi.

La giurisprudenza che si è già pronunciata sul tema (Trib. Roma, sez. II lav., 20 aprile 2015) ha avuto modo di stabilire l'inammissibilità di un ricorso per decreto ingiuntivo, in un caso nel quale la documentazione allegata al ricorso presentava uno o più elementi attivi («compare in evidenza da consolle la presenza di uno o più collegamenti ipertestuali negli allegati»), sicché si era ritenuto che la forma prevista dalla legge non fosse stata rispettata.

Quanto al concetto di “elementi attivi”, deve evidenziarsi come gli stessi siano rappresentati da parti del testo suscettibili di essere modificate da una sorgente esterna, ciò che evidentemente impedirebbe di avere certezza in ordine alla persistenza nel tempo dell'identità del contenuto del documento. E tuttavia, è opportuno rilevare come non possano essere intesi alla stregua di elementi attivi, i collegamenti interni (link), siano essi ad altre parti dello stesso documento, ovvero a documenti facenti parte del medesimo deposito, e che rispondono alla esigenza di facilitare la consultazione degli atti, senza comportare alcuna possibilità di modifica. Quanto ai collegamenti esterni, la soluzione non pare che possa essere diversa, nel senso che la verifica deve riguardare la modificabilità del contenuto del collegamento. Qualora questo non fosse modificabile, ed offrisse garanzie di certezza di data, e di identità del contenuto nel tempo, si potrebbe escludere la qualificazione come elemento attivo, e se ne potrebbe ammettere la presenza negli atti informatici.

Ancora, in ordine alla necessità che il documento informatico sia ottenuto dalla trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione di copia di parti (sicché non è ammessa la scansione di immagini), sempre il Tribunale di Roma (Trib. Roma 9 giugno 2014) ha stabilito l'inammissibilità di un ricorso, in un caso nel quale si era constatata la difformità del ricorso per decreto ingiuntivo (si trattava del frutto della scansione di altro documento cartaceo e non già della trasformazione in formato .pdf di un documento testuale). La conseguenza della inammissibilità è stata raggiunta partendo dal dato normativo di cui all'art. 121 c.p.c. secondo cui «gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo». In questo senso il giudice romano ha evidenziato come la norma, che assurge al rango di "principio" del diritto processuale civile, non consenta di valorizzare il criterio del raggiungimento dello scopo per sancire la validità di un atto compiuto senza il rispetto delle forme stabilite. Ancora, si è rimarcato che «"scopo" dell'atto processuale non deve intendersi soltanto quello di significare alle altre parti del processo ed al giudice i propri intendimenti o rappresentazioni», ma «prima d'ogni altro, quello di inserirsi efficacemente in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle regole tecniche che impongono l'adozione di particolari formati in luogo di altri». Ne è stata pertanto tratta la conclusione della inammissibilità, perché l'atto introduttivo in tale contesto risultava privo dei requisiti genetici indispensabili per dar valido corso ad un procedimento telematico (propende invece per la nullità Trib. Livorno, 25 luglio 2014, secondo il quale «Il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei file degli allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo (senza imporre la necessità di ricercare programmi di conversione di formati diversi), così come la norma che impone che l'atto del processo sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, ha lo scopo di rendere l'atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello di consentire l'utilizzo degli elementi dell'atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR (optical character recognition). Ma se così è, la redazione dell'atto processuale in formato .pdf ottenuto mediante scansioni per immagini non è idoneo a raggiungere lo scopo dell'atto e dunque deve essere dichiarato nullo ai sensi dell'art. 156 comma 2 c.p.c.. Nel caso di specie deve dunque essere dichiarata la nullità dell'atto introduttivo del giudizio»).

A conclusioni diverse è giunta altra decisione (Trib. Vercelli 4 agosto 2014), secondo la quale, in un caso nel quale il reclamo era stato inviato in formato PDF immagine (cioè stampato e scansionato), è stato richiamato l'art. 156 comma 1 c.p.c., che «stabilisce che la nullità dell'atto per difetto di requisiti di forma deve essere prevista da una legge», ed è stato osservato che «l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, che ha certamente natura di fonte primaria, non commina alcuna sanzione di nullità in caso di difetto di forme con riguardo ai documenti inviati in via telematica. Né è possibile far discendere la nullità dalle specifiche tecniche disposte dal DGSIA, non aventi certo natura di fonte primaria. Di conseguenza deve ritenersi che l'invio dell'atto in formato PDF immagine costituisca una mera irregolarità». Questa conclusione è stata raggiunta anche da Trib. Verona, 4 dicembre 2015, che ha affermato come «Il decreto ministeriale n. 44 del 2011 non prevede alcuna sanzione di nullità per il caso in cui il ricorso per decreto ingiuntivo telematico venga depositato in forma di "pdf scansione" anziché in formato "pdf testuale", ipotesi nella quale non si potrebbe parlare di inesistenza dell'atto ma semmai di nullità ai sensi dell'art. 156 comma 2 c.p.c. sanabile dalla proposizione dell'opposizione».

È il caso di aggiungere che secondo una certa impostazione di dottrina (Brunelli B., in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2015, 1, 261), se si optasse per l'applicabilità dell'art. 156, comma 2, c.p.c., difficilmente il sistema del PCT potrebbe avrebbe un futuro (e nel merito si è rilevato che «il deposito cartaceo, quando non sia eccezionalmente autorizzato, non raggiunge lo scopo di portare l'atto all'interno di quel luogo virtuale ove sono destinati esclusivamente a vivere gli atti processuali successivi alla costituzione in giudizio», tanto che pure si è affermato che «il sistema del PCT è destinato a trasformarsi, da modalità tecnica di gestione del processo, a vero e proprio nuovo rito processualcivilistico»).

Orientamenti a confronto

INAMMISSIBILITÀ

NULLITÀ

MERA IRREGOLARITÀ

Elementi attivi

Trib. Roma, sez. II lav., 20 aprile 2015

File immagine

Trib. Roma, 9 giugno 2014

Trib. Livorno, 25 luglio 2014

Trib. Vercelli, 4 agosto 2014

Accettazione degli atti

Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. d), d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, per gestore dei servizi telematici si intende il sistema informatico, interno al dominio giustizia, che consente l'interoperabilità tra i sistemi informatici utilizzati dai soggetti abilitati interni, il portale dei servizi telematici e il gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia.

Quanto alla tempestività del deposito con modalità telematiche, l'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 prevede che esso si abbia per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia. La specifica tematica è disciplinata anche nell'art. 13 d.m. n. 44/2011 (Trasmissione dei documenti da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati), che prevede infatti che i documenti informatici vengano trasmessi da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio destinatario (e si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia).

L'atto depositato viene poi sottoposto a controlli.

L'art. 14 del Provvedimento 16 aprile 2014 prevede nello specifico una serie di controlli a carico del gestore dei servizi telematici (previsti dal comma 7 dell'art. 13 d.m. n. 44/2011). In particolare, e dopo aver scaricato il messaggio dal gestore della posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, vengono effettuate le verifiche formali sul messaggio, con la gestione di alcune eccezioni (l'indirizzo del mittente non è censito in

ReGIndE

; il formato del messaggio non è aderente alle specifiche; la dimensione del messaggio eccede la dimensione massima consentita). Vengono anche effettuati i controlli automatici (formali) sulla busta telematica, con l'individuazione di tre diverse tipologie di possibili anomalie:

a) WARN (WARNING): anomalia non bloccante; si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo);

b) ERROR: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto);

c) FATAL: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione).

All'esito dei controlli, il gestore dei servizi telematici invia al depositante un messaggio di posta elettronica certificata riportante eventuali eccezioni riscontrate.

Infine, all'esito dell'intervento dell'ufficio viene inviato al depositante un messaggio di posta elettronica certificata contenente l'esito dell'intervento di accettazione operato dalla cancelleria o dalla segreteria dell'ufficio giudiziario destinatario.

Tempestività e completezza del deposito telematico

In sostanza, il deposito telematico degli atti riceve tre successive attestazioni. La prima è quella generata da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia (art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012).

La seconda e la terza sono quelle successive ai controlli (art. 13, comma 7, d.m. n. 44/2011), da parte del gestore dei servizi telematici e da parte della Cancelleria o della segreteria dell'Ufficio Giudiziario destinatario.

Qualora si verifichi una anomalia, e pur avendo ottenuto la ricevuta da parte del gestore di posta elettronica certificata, l'atto non risulti inserito nel fascicolo informatico, si pone la necessità, per la parte interessata, di dimostrare che tale mancato inserimento non sia a sé imputabile, in vista della rimessione in termini, e in vista quindi del deposito successivo alla scadenza dei termini originariamente previsti.

La problematica è stata già affrontata in giurisprudenza (Trib. Milano 8 ottobre 2015). In quel caso, l'attrice, a dimostrazione della tempestività del deposito telematico, aveva prodotto la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia (comma 7 dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012), ma non le ulteriori ricevute previste dal comma 7 dell'art. 13 d.m. n. 44/2011. Il Tribunale aveva quindi rilevato che in mancanza di produzione di tali ulteriori ricevute, non potesse escludersi una ipotesi di mancata accettazione da parte della Cancelleria, ad esempio perché il file trasmesso in via telematica non avesse recato la firma, o perché fosse stato affetto da errore verificatosi nella compilazione del file DatiAtto in formato XML (art. 12 delle Specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia con decreto 16 aprile 2014), anche in relazione alla indicazione del numero di ruolo generale e delle parti. D'altra parte, era stata ritenuta essenziale la stessa indicazione del numero di RG, perché come osservato dal Tribunale, il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente risulterebbe affetto da nullità (perché mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo, da individuare nella funzione di comunicare la memoria alla controparte, oltre che al giudice, che ne risulterebbe frustrata qualora l'atto non potesse essere reso accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove). E le medesime considerazioni varrebbero per il caso di atto non firmato.

Ed allora, se la funzione dell'art. 16-bis comma 7, d.l. n. 179/2012, è quella di esonerare il depositante dal rischio di tardività del deposito in ragione di ritardi di lavorazione a lui non imputabili – in ipotesi derivanti proprio dai tempi necessari alla esecuzione dei controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e, soprattutto, a quelli manuali degli operatori di cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni -, esso non vale ad eliminare il rischio di nullità del deposito per carenza dei requisiti indispensabili, che non potrebbe legittimare la rimessione in termini.

Le problematiche possibili in ordine alla tempestività del deposito, e alla possibile rimessione in termini, sono comunque varie.

In particolare, è possibile che a fronte di una ricevuta di “controlli automatici deposito terminati con successo”, venga in seguito inviato alla parte un messaggio di “atto rifiutato per deposito fascicolo errato”. In questa eventualità (Trib. Pescara 2 ottobre 2015) si è ritenuto che il ritardo nella segnalazione del problema sia da imputare al sistema dei controlli, dal momento «che qualsiasi operatore addetto ad uno sportello di Cancelleria, all'atto di ricevere una comparsa di risposta sarebbe perfettamente in grado di rilevare immediatamente, semplicemente incrociando i dati relativi ai nominativi delle parti o in causa e al numero della causa, l'indicazione erronea del numero del fascicolo da parte del depositante l'atto e di segnalarglielo, sicché identica capacità si può e si deve pretendere da un sistema telematico», e la decadenza in cui incorra la parte deve essere ritenuta imputabile essenzialmente ad un difetto del predetto sistema. In senso contrario (Trib. Torino 11 giugno 2015), e premessa la differenza tra ricevuta di avvenuta consegna [RdAC] da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia, e ricevuta successiva ai controlli, si è in questo caso rilevato che la prima ha la funzione di esonerare il depositante dal rischio di tardività del deposito, in ragione di ritardi di lavorazione a lui non imputabili – i controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e, soprattutto, i controlli manuali degli operatori di cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni – ma non dal rischio di nullità del deposito per carenza dei requisiti indispensabili, sicché in questo secondo caso è solo possibile la rimessione in termini, quando sia mancato il termine per rifare (validamente) il deposito a causa di un grave ritardo dell'ufficio nell'effettuare i controlli manuali e rifiutare l'atto.

In altra circostanza (Trib. Milano 14 ottobre 2015) si è fatto riferimento al caso fortuito, in presenza di un vizio indubbiamente dovuto ad una imperfezione nell'inserimento dei dati contenuti nell'atto da parte del ricorrente (si è in particolare ritenuto che, non essendovi elementi da cui desumere l'applicabilità dell'art. 164 c.p.c., la fattispecie dovesse essere ricondotta al caso fortuito, ossia ad un evento assolutamente non prevedibile, tale essendo un'imperfezione di compilazione che, se contenuta in un atto cartaceo non avrebbe escluso il raggiungimento degli effetti dell'atto).

Scelta tra deposito cartaceo e deposito telematico

Le modalità di deposito degli atti di causa sono state oggetto di interventi normativi successivi.

In un primo momento, l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 prevedeva semplicemente che il deposito degli atti processuali e dei documenti, da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite, dovesse avere luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa. Il dibattito che ne era seguito era stato serrato, perché tale norma comportava l'insorgenza di due diversi aspetti problematici.

Il primo riguardava l'ammissibilità del deposito telematico degli atti processuali e dei documenti, da parte dei difensori di parti che non fossero precedentemente costituite.

Il secondo riguardava, per converso, l'ammissibilità del deposito degli atti processuali e dei documenti, da parte dei difensori delle parti già costituite, con modalità non telematiche.

La formulazione attualmente vigente (comma 1-bis dell'art. 16-bis, in vigore dal 21 agosto 2015) ha risolto il primo di tali profili problematici, perché ha liberalizzato la possibilità del deposito telematico, anche per i difensori delle parti non precedentemente costituite.

Al riguardo è tuttavia necessario ricordare che nella vigenza della precedente formulazione normativa, la giurisprudenza aveva affermato entrambe le tesi.

Ad esempio, per l'inammissibilità della costituzione telematica, da parte del difensore del soggetto non precedentemente costituito, e tra le altre, Trib. Torino 20 ottobre 2014 (che aveva evidenziato come nessuna «norma dell'ordinamento processuale consente il deposito in forma telematica dell'atto introduttivo del giudizio, con la conseguenza che il relativo ricorso dev'essere dichiarato inammissibile», anche perché «non può trovare applicazione il principio di libertà delle forme stabilito, ex art. 121 c.p.c, soltanto in via residuale ove non sia stato previsto (invece) il rispetto di una determinata forma», e perché «non si può parlare di raggiungimento dello scopo, ex art. 156, comma 3, c.p.c., di fronte ad un vizio genetico dell'atto relativo alla sua stessa costituzione materiale che, comportandone l'inammissibilità, non è, appunto, soggetto a sanatoria per raggiungimento dello scopo»).

Per la tesi contraria, e tra le altre, Trib. Milano 7 ottobre 2014 (quest'ultima decisione ha evidenziato da un lato come il difensore che si costituisca in giudizio telematicamente «soddisfi tutti i requisiti di forma sanciti dal codice di procedura civile in quanto: a) sottoscrive la comparsa con firma digitale; b) effettua il deposito utilizzando le regole tecniche e le specifiche previste dalla normativa regolamentare del PCT; c) supera il controllo della cancelleria la quale certifica il deposito della comparsa e dei documenti allegati; d) l'atto e i documenti sono messi a disposizione del Giudice e delle altre parti processuali, che possono evitare l'accesso in cancelleria potendo visionare la comparsa e i documenti depositati direttamente tramite la consolle dell'avvocato (risultato che, oltretutto, è uno degli obiettivi del legislatore, ossia quello di diminuire gli accessi nelle cancellerie)», e dall'altro lato come «nel nostro ordinamento le sanzioni processuali debbono essere previste specificamente dal legislatore», e come «la sanzione dell'inammissibilità, ad esempio, è prevista nel nostro ordinamento in maniera tassativa, ma nessuna norma sanziona con tale istituto il deposito degli atti introduttivi in via telematica»).

In dottrina, (Comoglio P., Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e suggestioni evolutive, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2015, 3, 953), si era osservato come la tesi secondo la quale il deposito telematico degli atti introduttivi sarebbe stato privo di valore legale (sul presupposto per il quale il codice di procedura civile imponesse necessariamente il deposito scritto degli atti) sarebbe stata non solo contrastante con la ratio del processo telematico, ma anche contraria al dato normativo (e ciò sia per la regola della generale validità degli atti formati con strumenti informatici, ai sensi dell'art. 15, comma 2, l. 15 marzo 1997, n. 59; sia perché quella telematica rappresentava una nuova e generale forma di deposito degli atti processuali, alternativa a quella cartacea, proprio in conformità al principio di congruità della forma sancito dall'art. 121 c.p.c. (salva l'ipotesi di una norma che imponesse obbligatoriamente l'uso dell'una o dell'altra); sia infine perché in ogni caso sarebbe sembrato innegabile che il deposito telematico di un atto introduttivo, una volta acquisito al sistema informatico, avesse raggiunto chiaramente il proprio scopo, con conseguente eventuale sanatoria ai sensi dell'art. 156 comma 3 c.p.c.).

Per gli atti endo-procedimentali la problematica, da un punto di vista giuridico, si pone allo stesso modo di quello appena esaminato. Il primo profilo da esaminare è infatti proprio quello relativo alla ammissibilità, o non, del deposito di atti in corso di causa, da parte di chi sia già costituito, con una forma diversa rispetto a quella prevista dalla norma vigente. In altre parole, si tratta di valutare se l'avverbio “esclusivamente”, previsto dalla norma, rappresenti un vincolo di forma sanzionato con l'inammissibilità di qualunque forma diversa di deposito, ovvero sia una norma priva però di sanzione in caso di sua inosservanza, integrando una mera irregolarità, o al più una ipotesi di nullità sanabile con il raggiungimento dello scopo.

Il secondo profilo da esaminare attiene poi alla materiale individuazione degli atti endo-processuali, posto che anche questo specifico aspetto non vede unanimità di vedute.

Orientamenti a confronto

Deposito telematico o cartaceo degli atti endoprocessuali


Inammissibilità del deposito di atti con forma diversa da quella telematica

Trib. Palermo, sez. specializzata in materia di impresa e proprietà industriale, 4 marzo 2015, pur dando atto della mancanza di una esplicita sanzione di irricevibilità, o ancora d'inammissibilità, ha non di meno escluso la concreta possibilità per le parti di depositare atti in forma diversa da quella telematica, espressamente prevista dal legislatore come forma “esclusiva”, sul rilievo per il quale la specifica finalità cui è preordinata la norma (accelerazione dei processi, efficienza ed efficacia del processo), «in quanto destinata a tutelare interessi sopraordinati a quelli delle parti, non consente la sanatoria dell'atto ex art. 156 c.p.c, posto che la conoscenza acquisita dell'atto ad opera dell'altra parte, mediante la relativa lettura, non vale ad escludere che comunque la finalità pubblicistica della norma resta vanificata».

Trib. Foggia, 15 maggio 2015, che ha rilevato come la previsione della esclusiva modalità telematica per il deposito degli atti endo-processuali, porti a ritenere implicitamente che l'ordinamento giuridico non ammetta per tali atti modalità di deposito alternative («è dal contenuto implicito della stessa disposizione dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 che va ricavato il corollario della inammissibilità dei depositi degli atti endoprocessuali effettuati con modalità diverse da quella telematica»).

Ammissibilità del deposito di atti con forma diversa da quella telematica (vale anche per gli atti endo-processuali)

Trib. Roma, 12 gennaio 2015 ha rilevato come la Suprema Corte (Cass., S.U., n. 5160/2009; ma in senso conforme, da ultimo, Cass. civ., sez. I, 17 giugno 2015, n. 12509), in altra ipotesi di deposito irrituale avvenuto con modalità non previste dalla legge (ossia a mezzo posta), abbia già affermato che «la deviazione dallo schema legale deve essere valutata come una mera irregolarità, in quanto non è prevista dalla legge una nullità in correlazione a tale tipo di vizio (nella fattispecie, si realizza «un deposito dell'atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156 comma 3 c.p.c.: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione», sicché «devono trovare applicazioni il principio della libertà di forma ex art. 121 c.p.c. (per cui ciò che non è previsto non può ritenersi per ciò solo vietato), e il divieto di pronunciare la nullità di un atto del processo se la nullità non è comminata dalla legge, e comunque mai ove risulti accertato che l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (art. 156 c.p.c.)».

Trib. Lecce, 3 agosto 2015 è per la tesi della sanatoria per raggiungimento dello scopo, anche con specifico riferimento ad un atto che in tale decisione era stato ritenuto endo-processuale (si trattava di un reclamo avverso provvedimento cautelare).

Il secondo quesito riguarda l'individuazione degli atti di causa, e la loro qualificazione come atti introduttivi, ovvero endo-procedimentali.

A seconda della qualificazione degli stessi, infatti, si tratterà di decidere se essi debbano essere depositati con le modalità degli atti introduttivi, ovvero degli atti endo-procedimentali.

Reclamo cautelare. Tra le decisioni note, ha qualificato il reclamo cautelare come atto in corso di causa Trib. Foggia, 15 maggio 2015, che ha osservato come il reclamo «non avvia un nuovo ed autonomo giudizio, ma innesta una fase eventuale relativa al medesimo giudizio avviato con il ricorso cautelare. La decisione maturata al suo esito, inoltre, è passibile di ulteriori modifiche in caso di sopravvenienze nel corso del giudizio di merito» (ad analoghe conclusioni, sullo specifico punto, è giunto Trib. Lecce, 3 agosto 2015).

Non di meno, appare utile, in senso contrario, richiamare C. cost., 29 aprile 2015, n. 78, che ha spiegato come il reclamo avverso l'ordinanza, con la quale è stata concessa o denegata la misura cautelare dal giudice monocratico del Tribunale, integri una vera e propria impugnazione che «si propone al collegio» del quale, appunto, «non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato». Ciò appare rilevante, perché la Corte ha anche evidenziato come il principio di imparzialità del giudice si ponga in modo diverso in riferimento, rispettivamente, alla pluralità dei gradi del giudizio ed alla semplice articolazione dell'iter processuale attraverso più fasi sequenziali, necessarie od eventuali, così escludendosi che il suddetto principio risulti violato con riguardo a varie tipologie di procedimenti bifasici.

In sostanza, dovendosi qualificare il reclamo come una vera e propria impugnazione, esso non potrebbe essere inteso come una fase del giudizio già pendente, e questo imporrebbe di qualificare l'atto di proposizione del reclamo, come pure l'atto di costituzione da parte del reclamato, come atti introduttivi della fase della impugnazione, e non come atti endo-procedimentali del giudizio cautelare in corso.

Ricorso ex art. 669-duodecies c.p.c.. Per il ricorso ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c., finalizzato all'attuazione del provvedimento cautelare, Trib. Trani, 24 novembre 2015 ha affermato che esso si inserisce in una fase ulteriore (e meramente eventuale) del medesimo giudizio già intrapreso dai ricorrenti, sicché riveste la natura di atto endo-procedimentale. Ha poi escluso che il deposito cartaceo possa essere ritenuto idoneo alla valida presentazione del ricorso, sia perché non potrebbe invocarsi il principio della libertà delle forme (non potrebbe parlarsi della forma di un atto, ma semmai, delle modalità di trasmissione alla cancelleria di un determinato atto); sia perché è nella specie lo stesso legislatore ad obbligare, specificandone il quomodo con l'avverbio “esclusivamente”, una particolare modalità di trasmissione dell'atto; sia perché il deposito cartaceo non rispetterebbe il principio dell'affidamento e la necessità del rispetto dell'art. 24 Cost. (la controparte, confidando sulla trasmissione dell'atto per via telematica, potrebbe essere indotta a non articolare alcuna difesa in mancanza di deposito telematico); sia infine perché la mancanza di una sanzione espressa di inammissibilità, non osterebbe a che la sanzione, rilevabile d'ufficio, possa essere ricavata dai principi generali dell'ordinamento, insuscettibile di sanatoria per effetto del raggiungimento dello scopo (la sanatoria riguarderebbe la questione dell'impersonalità del deposito, e non il quomodo stesso del deposito).

Istanze di liquidazione del compenso. Analoga problematica si pone con riferimento alle istanze di liquidazione del compenso, per i casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (gratuito patrocinio). In questo caso si tratta di atti endo-procedimentali, tali rimanendo anche qualora vengano depositati dopo la definizione del procedimento al quale accedono, atteso che non integrano comunque atti autonomi, introduttivi di un separato giudizio. E tuttavia vi è da chiedersi se essi possano essere compresi tra gli atti processuali, ai quali fa riferimento l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012. In senso positivo, potrebbe argomentarsi sulla base di alcune considerazioni. In primo luogo, e sia pure indirettamente, la richiesta di liquidazione è comunque formulata nell'interesse della parte difesa, nell'ambito di quello specifico processo (ai sensi dell'art. 78 d.P.R. n. 115/2002 è l'interessato che chiede di essere ammesso al patrocinio, e la liquidazione al difensore esplica effetti sul diritto della parte al beneficio, pur se il difensore stesso è titolare di un diritto soggettivo patrimoniale - Cass., S.U., 3 settembre 2009, n. 19161). In secondo luogo, il provvedimento di liquidazione ha natura decisoria e giurisdizionale e non è suscettibile di revoca (o di modifica) di ufficio, posto che l'autorità giudiziaria che lo emette, salvo i casi espressamente previsti, consuma il proprio potere decisionale (Cass. civ., sez. VI - 2, sent., 2 agosto 2012, n. 13892). È semmai «il procedimento di opposizione, ex art. 170 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, al decreto di liquidazione dei compensi ai custodi e agli ausiliari del giudice (oltre che ai decreti di liquidazione degli onorari dovuti ai difensori nominati nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato), [che] introduce una controversia di natura civile » (Cass., S.U., n. 19161/2009), e come tale comporta che il deposito dei relativi atti di costituzione avvenga con la disciplina prevista per gli atti introduttivi.

Deposito degli atti cartacei direttamente in udienza. Altra questione problematica è quella che attiene alla ammissibilità del deposito degli atti cartacei direttamente in udienza, per la parte già precedentemente costituita.

In questo caso può soccorrere la norma dell'art. 87 disp. att. c.p.c., che prevede come i documenti possano essere prodotti in udienza, facendone menzione nel verbale. Questo non esclude che la parte possa essere invitata a procedere anche al deposito telematico, di quanto prodotto in udienza con la forma cartacea, ma si tratterebbe di un adempimento privo di valore sanante, la cui violazione non sarebbe sanzionabile, e solo utile alla predisposizione di un fascicolo comunque tutto informatico.

Deposito degli atti riassunzione. Ulteriore questione è quella del deposito degli atti di riassunzione, a seguito di precedente interruzione o sospensione del processo.

In questi casi, può ritenersi che gli atti siano provenienti da parti precedentemente costituite, atteso che ai sensi dell'art. 111 c.p.c., quando il trasferimento del diritto controverso avvenga a causa di morte, il processo è “proseguito” dal successore universale, o in suo confronto. E questo porta a dire che in realtà il successore sia semplice prosecutore del giudizio nel quale il proprio dante causa era già costituito, sicché deve essere inteso come parte già costituita.

Infine, quanto alla ricostruzione del fascicolo, e premesso che nel giudizio civile deve farsi applicazione analogica delle norme di cui agli artt. 112 e 113 c.p.c. (Cass., sez. III, ord., 19 aprile 2010, n. 9269), la questione dubbia rimane quella relativa alla individuazione delle modalità, telematiche o cartacee, della ricostruzione, dal momento che la nuova produzione avverrebbe ad opera di parti già costituite (e per questa ragione si ritiene che la disciplina da applicare sia proprio quella che si applica alle parti già costituite).

In evidenza

Ufficio

Tipo atto

Regime del deposito

Tribunale

Atto introduttivo/primo atto difensivo

Telematico o cartaceo a scelta della parte (in caso di deposito telematico, questo è l'unico a perfezionarsi

Corte d'Appello

Atto introduttivo/primo atto difensivo

Telematico o cartaceo a scelta della parte (in caso di deposito telematico, questo è l'unico a perfezionarsi

Tribunale

Atto endoprocessuale

Esclusivamente telematico

Corte d'Appello

Atto endoprocessuale

Esclusivamente telematico

Procedimenti ulteriori (esecutivi e concorsuali)

Il comma 2 dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 prevede che nei processi esecutivi il deposito telematico di atti e documenti, da parte di chi sia già costituito, avvenga successivamente al deposito dell'atto con cui inizia l'esecuzione. Peraltro, a partire dal 31 marzo 2015 il deposito, nei procedimenti di espropriazione forzata, della nota di iscrizione a ruolo, ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Unitamente alla nota di iscrizione a ruolo sono depositati, con le medesime modalità, le copie conformi degli atti indicati dagli artt. 518 comma 6 (oltre alla nota di iscrizione a ruolo, il processo verbale, il titolo esecutivo e il precetto, a seguito del pignoramento), 543 comma 4 (oltre alla nota di iscrizione a ruolo, le copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, nel pignoramento eseguito nella procedura di espropriazione presso terzi) e 557 comma 2 (oltre alla nota di iscrizione a ruolo, le copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione, da depositarsi da parte del creditore pignorante), del codice di procedura civile (e la conformità delle copie agli originali è attestata dal difensore, anche fuori dai casi previsti dal comma 9-bis e dall'art. 16-decies d.l. n. 179/2012).

Il successivo comma 3 prevede che nelle procedure concorsuali il deposito telematico di atti e documenti avvenga esclusivamente da parte del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario.

Sommario