Class actions
30 Marzo 2016
Inquadramento L'art. 140-bis del d.lgs. 206/2005 (Codice del consumo) è stato inserito per la prima volta all'interno della legislazione di settore destinata alla tutela dei consumatori e degli utenti con l. n. 244/2007 (finanziaria per il 2008), al fine di potenziare gli strumenti di tutela nei confronti dei professionisti, anche sotto la spinta delle istanze di derivazione comunitaria. La norma in esame ha introdotto per la prima volta all'interno dell'ordinamento giuridico italiano un'azione collettiva o “di classe” che consente a singoli soggetti, i consumatori e appunto gli utenti, individualmente o mediante le associazioni cui danno mandato o i comitati cui partecipano, di agire a protezione di interessi che fanno capo ad un'intera categoria di riferimento, quali esponenti della stessa. La class-action o “azione di classe” consumeristica mira a facilitare la tutela in sede giudiziaria dei consumatori e degli utenti, che potranno aderire ad iniziative intraprese da altri soggetti mediante il meccanismo dell'”opt-in” o dell'atto di adesione, così potendo risparmiare sulle spese processuali, spesso limitative dell'esperimento di azioni a fronte del risarcimento di danni di poco rilievo economico, i cd. “microdanni”. Al contempo la class-action è volta a dissuadere le imprese quali contraenti forti dal tenere comportamenti scorretti ed abusivi, svolgendo così una funzione di “private enforcement”, che produce così indirettamente anche effetti virtuosi per la concorrenza. In altri termini l'azione di classe contenuta nel Codice del consumo è volta a realizzare esigenze di economia processuale e di uniformità delle decisioni giudiziarie. Tuttavia un simile strumento di tutela a carattere collettivo, già nato e diffuso da molto tempo negli Stati Uniti, ha incontrato più di una difficoltà nel sistema italiano, conformato sul tradizionale schema di azione a carattere strettamente individuale. Non è un caso, dunque, che il legislatore sia intervenuto più volte sull'art. 140-bis del Codice del consumo, prima con l. n. 99/2009 e poi con la l. n. 27 del 2012, al fine di agevolare il ricorso allo strumento di classe e di renderlo uno strumento di tutela realmente efficace ed efficiente, senza svuotarlo di ogni contenuto. Va rilevato, ad ogni modo, che è al vaglio del Parlamento un'importante riforma dell'azione di classe consumeristica, che potrebbe modificare ulteriormente ed in modo significativo l'istituto, consegnando così nelle mani dei consumatori uno strumento di tutela realmente effettivo. Presupposti: il requisito dell'omogeneità dei diritti La l. n. 27/2012 ha innovato significativamente l'art. 140-bis del d.lgs. 206/2005 ampliando le ipotesi in cui è possibile esperire l'azione di classe e rimuovendo il requisito dell'identità delle posizioni giuridiche azionate in giudizio, che tanti problemi aveva destato in giurisprudenza. Prima della suddetta riforma, infatti, potevano esperire l'azione di classe in esame soltanto quei consumatori e quegli utenti che vantassero diritti identici rispetto a quelli di altri soggetti della medesima categoria. Secondo una prima ricostruzione i diritti azionati in giudizio dovevano essere completamente identici tra loro (ex multis App. Torino, 17 ottobre 2010, Trib. Roma, 11 aprile 2011, App. Roma, 17 gennaio 2012, Trib. Napoli 18 febbraio 2013). Vale a dire che le posizioni giuridiche azionate in giudizio per superare il vaglio dell'ammissibilità dell'azione, dovevano essere assolutamente identiche fra loro sia per causa petendi che per petitum, nonché per le circostanze in cui il danno si era verificato. Non doveva essere invece identico il danno fatto valere nel suo ammontare. Per un'altra impostazione interpretativa, maggiormente elastica, i diritti, per essere tutelati con la class-action, dovevano essere soltanto omogenei e non identici (così App. Torino, 23 settembre 2011, Trib. Roma, 25 marzo 2011, Trib. Napoli, 9 dicembre 2011,Trib. Roma, 27 aprile 2012). Questa questione interpretativa è stata risolta dalla l. 27/2012 nel senso della soluzione più elastica, quella dell'omogeneità dei diritti, così ampliando il novero delle situazioni legittimanti azionabili in giudizio ai sensi dell' art. 140-bis d.lgs. 206/2005. È stato eliminato con la novella del 2012 il requisito dell'identità dei diritti, per abbracciare, dunque, quello più ampio e generico dell'omogeneità. Si ha omogeneità dei diritti in presenza dei seguenti presupposti:
Perché vi sia omogeneità di diritti la giurisprudenza più recente ritiene necessario e sufficiente che le situazioni giuridiche soggettive azionate abbiano in comune il solo fatto causativo del danno, cioè il titolo o la causa petendi(ex multis Trib. Roma, 27 aprile 2012, App. Milano, 9 novembre 2013). Viene accolto così un criterio elastico che agevola la proposizione e il giudizio di ammissibilità per l'esperimento della class-action consumeristica. La l. 27/2012 ha anche ampliato il novero delle posizioni giuridiche soggettive attivabili in giudizio, che comprende ora anche gli interessi collettivi. Si discute sul significato di questa nuova previsione normativa.
Ambito applicativo oggettivo L'art. 140-bis d.lgs. 206/2005 sancisce che l'azione di classe ha ad oggetto l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore di utenti e consumatori. Tali rimedi possono essere azionati soltanto in presenza di determinate condizioni legittimanti, individuate dal comma primo dell'art. 140-bis d.lgs. 206/2005. Innanzitutto possono essere tutelati ex art. 140-bis comma 2 lett. a) mediante l'azione di classe i diritti contrattuali omogenei di consumatori o utenti nei confronti di una stessa impresa, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341- 1342 c.c., ovvero quelli predisposti unilateralmente o mediante moduli o formulari. Si tratta, dunque, di diritti che devono scaturire da un contratto intercorrente tra consumatori ed utenti da una parte e impresa dall'altra. Secondo parte della dottrina dovrebbero rientrare nell'ambito dei diritti contrattuali omogenei anche quelle situazioni scaturenti da contatto sociale tra contraente debole ed imprenditore. La lettera b dell'art. 140-bis Cod. cons. fa ricadere nel fuoco dell'azione di classe anche i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, a prescindere da un rapporto contrattuale. Si tratta dell'ipotesi di danni patiti dal consumatore a causa di prodotti difettosi ex artt. 114 e ss. d.lgs. 206/2005, per cui la responsabilità del produttore ha carattere oggettivo a meno che non vi sia una delle cause tassative di esclusione della responsabilità di cui all' art. 118 Cod. cons. L'inciso «a prescindere da un rapporto contrattuale» tende poi ad ampliare le ipotesi in cui il consumatore può azionare la tutela di classe, comprendendo anche il caso di responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.), svincolata da un pregresso rapporto contrattuale tra consumatore e produttore. Infine la lett. c) del comma 2 l'art. 140-bis d.lgs. 206/2005 consente la protezione mediante azione di classe anche dei diritti omogenei al risarcimento del danno derivante agli stessi consumatori o utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Quest'ultima disposizione si pone in perfetta linea di continuità con la più recente giurisprudenza della Cassazione (su tutti Cass. civ., sez. un., 2 febbraio 2005, n. 2207) che ha stabilito che la tutela della concorrenza non è appannaggio esclusivo degli imprenditori, ma anche dei consumatori, in quanto su di loro si riverberano gli effetti dei comportamenti anticoncorrenziali. Per individuare la nozione di questi ultimi occorre guardare necessariamente alla l. 287/1990 ed alle intese restrittive della concorrenza (art. 2) e all'abuso di posizione dominante (art. 3). Quanto invece alle pratiche commerciali scorrette, queste sono definite dall' art. 20 d.lgs. 206/2005. Ambito applicativo soggettivo Legittimati attivi all'esperimento della class-action consumeristica sono soltanto coloro che abbiano la qualifica giuridica di utenti o consumatori: l'art. 3, lett. a), d.lgs. 206/2005 definisce questi ultimi come «la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta». Possono attivare il rimedio dell'azione di classe, dunque, soltanto persone fisiche cha agiscano per finalità estranee alle loro attività. Tuttavia la giurisprudenza offre da tempo un'interpretazione ampia della nozione di consumatore, onde ampliare le maglie di applicazione delle tutele offerte dal d.lgs. n. 206/2005. In tal senso deve riconoscersi la qualifica di consumatore anche in caso di operazioni contrattuali miste o promiscue, cioè connotate da una commistione di finalità, purché l'attività professionale risulti marginale (ex multis Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2007, n.13377; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4208).
Per quanto riguarda le associazioni dei consumatori, invece, l'art. 3 lett. b) Cod. Cons. considera tali quelle formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti. È opportuno evidenziare comunque che la verifica della qualifica soggettiva di consumatore o utente di chi intenta l'azione – unitamente alla sussistenza delle condizioni legittimanti quanto alle posizioni giuridiche soggettive – sono soggette al vaglio di ammissibilità ex art. 140-bis comma 6 d.lgs. n, 206/2005. Quanto invece ai legittimati passivi, l'azione di classe può essere esperita soltanto avverso imprese private e professionisti, per la cui definizione occorre rifarsi all'art. 3 lett. c) d.lgs. n. 206/2005, secondo cui è professionista la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario». Non possono essere legittimate passive le pubbliche amministrazioni che, al più, possono essere soggette alla class-action pubblica di cui al d.lgs. n. 198/2009. I soggetti dell'azione L'azione di classe può essere avanzata da ciascun componente della classe ex art. 140-bis comma 1 d.lgs. n. 206/2005, mentre il comma 6 della suddetta norma richiede che il proponente sia in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe e che non sussista in capo a lui un conflitto di interessi. Proponente è quindi chi propone la domanda di classe ed agisce per la categoria, tant'è che la giurisprudenza (ex multis Trib. Torino, 27 maggio 2010, Trib. Roma 25 marzo 2011, App. Milano 3 maggio 2011) ritiene che non possa validamente proporre la domanda, in quanto carente di legittimazione, chi non rientra nella classe dei consumatori o degli utenti o chi, pur facendovi parte, sia privo del requisito della posizione legittimante omogenea. La legittimazione ad agire è dunque individuale; tuttavia si discute se anche l'azione sia individuale. Secondo parte della giurisprudenza (così Trib. Torino, 7 aprile 2011, Trib. Torino, 4 giugno 2011) l'azione esperita da un singolo consumatore o utente è individuale, in quanto è pur sempre un singolo soggetto a proporla. Per questa ricostruzione la domanda può essere dichiarata inammissibile ove non ci sia il conferimento del potere sostanziale di conciliare e transigere la causa in capo al proponente. Secondo altra parte della giurisprudenza (così App. Torino, 23 settembre 2011, Trib. Torino 28 aprile 2011, Trib. Napoli 9 dicembre 2011) invece, la legittimazione è individuale, mentre l'azione è collettiva collettiva, costituendo l'art. 140-bis, d.lgs. 206/2005 una deroga all' art. 77 c.p.c. in forza del quale la rappresentanza processuale volontaria non può essere disgiunta da quella sostanziale. In base a quest'ultima impostazione, dunque, la domanda non può essere dichiarata inammissibile qualora manchi il conferimento del potere sostanziale di conciliare e transigere la controversia. Diverso dal proponente è invece l'aderente che in base all'art. 140-bis comma 3 Cod. cons. è il consumatore o l'utente che aderisce all'azione di classe, senza ministero di difensore anche mediante pec e fax. Particolarmente controversa è la qualificazione in base alle categorie tradizionali degli aderenti.
Per queste ragioni la prevalente dottrina e giurisprudenza ritengono che l'aderente non acquisti la qualità di parte processuale (così ad es. Trib. Torino, 27 maggio 2010, App. Torino, 27 ottobre 2010, Trib. Torino, 4 giugno 2011), con la conseguenza che non potrà neppure essere eventualmente condannato alle spese ex art. 91 c.p.c. Di contrario avviso è altro filone giurisprudenziale (Trib. Milano, 13 marzo 2012, Trib. Napoli, 18 febbraio 2013), che considera ad ogni modo possibile la condanna alle spese anche nei confronti degli aderenti all'azione di classe. Il filtro di ammissibilità dell'azione Il giudizio sull'azione di classe si struttura in diverse fasi: introduttiva, di ammissibilità, istruttoria e decisoria, nonché una eventuale, liquidativa. La fase introduttiva principia ai sensi dell'art. 140-bis, comma 5, d.lgs. 206/2005 similmente a quanto accade nell'ordinario processo civile ex artt. 163 e ss. c.p.c. Particolarmente importante e pregna di questioni si dimostra invece la fase del giudizio di ammissibilità. Si tratta di una fase nevralgica del processo in cui è intrapresa l'azione di classe, in quanto è qui che il Tribunale verifica la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per il corretto esperimento della class-action consumeristica. Tale sindacato di ammissibilità ex art. 140-bis, comma 6, Cod. cons. è svolto dal Tribunale in composizione collegiale nella prima udienza, con la partecipazione del p.m. Pur trattandosi di fase preliminare, la sua importanza nevralgica per la corretta instaurazione e sviluppo del processo impone secondo la giurisprudenza pacifica che essa possa anche articolarsi in più di un'udienza (ex pluribus Trib. Milano, 20 dicembre 2010, App. Milano, 3 maggio 2011, Trib. Roma, 17 aprile 2012). Sempre per lo stesso motivo la prevalente giurisprudenza ritiene che non possano bastare soltanto le affermazioni delle parti per valutare le condizioni di ammissibilità, occorrendo svolgere anche l'attività istruttoria che si renda necessaria (di contrario avviso è invece App Milano, 3 maggio 2011). Altro problema riguarda i rapporti che intercorrono tra la prima udienza per il vaglio dell'ammissibilità della domanda e l'udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. Sul punto la giurisprudenza è unanime (così ad es. Trib. Milano 20 dicembre 2010, App. Milano, 3 maggio 2011) nel ritenere che il potere di modificare, precisare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate spetti alle parti nell'udienza di ammissibilità, per esigenze di concentrazione e celerità, nonché per consentire al Tribunale di decidere correttamente sull'ammissibilità dell'azione di classe. In base all'art. 140-bis comma 6 Cod. cons. il Tribunale decide sull'ammissibilità con ordinanza. Se questa è di rigetto, con il provvedimento il giudice regola le spese – anche ex art. 96 c.p.c.- ed ordina la più opportuna pubblicità a cura ed a spese del soccombente (art. 140-bis comma 8 Cod. cons.). Se l'ordinanza dichiara invece l'ammissibilità dell'azione, con la medesima (art. 140-bis comma 9 Cod. cons.) il Tribunale fissa i termini e le modalità della più opportuna pubblicità al fine di consentire l'adesione degli appartenenti alla classe; definisce i caratteri dei diritti individuati oggetto del giudizio, specificando anche i criteri che in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi; fissa infine un termine perentorio di massimo 120 giorni dalla scadenza di quello della pubblicità (che è condizione di procedibilità) entro cui gli atti di adesione degli aderenti sono depositati in cancelleria. Il comma 10 dell'art. 140-bis d.lgs. 206/2005 prevede poi che l'ordinanza di ammissibilità possa occuparsi anche di ulteriori aspetti (regolare il corso della procedura ecc.). L'art. 140-bis, comma 8, d.lgs. 206/2005 stabilisce che l'ordinanza che decide sull'ammissibilità è reclamabile davanti alla Corte d'Appello entro 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione, se anteriore. Il reclamo è deciso dalla Corte d'Appello in camera di consiglio non oltre 40 giorni dal deposito del ricorso con ordinanza. La Suprema Corte (ex multis Cass. civ. sez. I, 14 luglio 2012, n. 9772) ritiene che avverso l'ordinanza di inammissibilità della Corte d'Appello non è ammesso il ricorso per cassazione, neanche di quello straordinario ex art. 111, comma 7, Cost.. A sostegno di questa soluzione secondo la Cassazione depongono molteplici argomentazioni. Innanzitutto l'ordinanza di inammissibilità ex art. 140-bis Cod. cons. non preclude la proposizione dell'azione risarcitoria in sede ordinaria; ciò che è precluso è la tutela del diritto nella modalità dell'azione di classe, e non la riproposizione della domanda in via ordinaria (come accade in caso di rigetto della domanda d'ingiunzione). Anche se l'azione collettiva venga rigettata per manifesta infondatezza, ciò non impedirebbe comunque la presentazione di una nuova istanza, fondata su una migliore esposizione in diritto della propria pretesa. Inoltre l'ordinanza di inammissibilità si fonda su una delibazione sommaria, e dunque non può assumere la stabilità del giudicato sostanziale. Infine fa propendere per una tale soluzione il dato letterale dell'art. 140-bis, comma 14, d.lgs. 206/2005 che, escludendo la possibilità di riproporre la stessa azione di classe per gli stessi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'intervento in adesione, per cui l'ordinanza di inammissibilità, a contrario, non ne precluderebbe invece la riproponibilità. Tuttavia di recente l'ordinanza della Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2015, n. 8433 ritiene di non poter aderire a tale orientamento, rimettendo così la questione al vaglio delle Sezioni Unite. Per la Terza sezione, infatti, il combinato disposto dei commi 3 e 5 dell'art. 140-bis Cod. cons. consente solo la riproponibilità dell'azione individuale, ma non di quella di classe. Non sembra poi, ad avviso della Corte, sostenibile che l'azione di classe costituisca una mera forma processuale di tutela dei diritti, alternativa ed equivalente rispetto all'azione individuale. L'azione di classe, infatti, è ben diversa da quella individuale: la prima consente di esercitare una migliore pressione economica e psicologica sul professionista o sul produttore, offrendo così un “valore aggiunto” rispetto all'azione ordinaria in termini di maggiore persuasività, più efficacia forza compulsoria e minori costi per chi intraprende il giudizio. Da ciò deriva che la declaratoria d'inammissibilità dell'azione collettiva assumerebbe carattere definitivo, poiché questa ha contenuto. scopi ed effetti diversi da quella individuale. La prima, infatti, contenutisticamente è volta a proteggere posizioni individuali, mentre la seconda collettive; al contempo, sotto il profilo dello scopo, l'azione individuale lascia inalterato un evidente squilibrio tra attore e convenuto, là dove invece l'azione di classe mira proprio a riequilibrare tale rapporto sperequato. Quanto agli effetti, poi, soltanto nella class-action il debitore è esonerato da ogni diritto ed incremento sulle somme pagate entro 18 giorni dal deposito della sentenza ai sensi dell'art. 140-bis, comma 12, d.lgs. 206/05. In terza battuta non pare convincente ritenere che l'ordinanza di inammissibilità dell'azione di classe si fondi su una delibazione sommarie e, quindi, non può assumere la stabilità di giudicato sostanziale. Il giudizio di manifesta infondatezza di cui all' art. 140, comma 6, Cod. cons., infatti, non è un presupposto indefettibile di una cognizione sommaria, considerato che anche una cognizione piena può ben condurre ad un giudizio di manifesta infondatezza. Il dato letterale dell' art. 140-bis comma 6 d.lgs. n. 206/2005, poi, è del tutto identico a quello dell' art. 360 c.p.c., rispetto al quale nessuno ha mai dubitato che la cognizione della Cassazione non sia a carattere sommario. Infine alla Terza sezione della Cassazione non sembra soddisfacente l'argomento “a contrario” secondo cui se la declaratoria di ammissibilità impedisce l'azione di classe per gli stessi fatti, non vale lo stesso meccanismo in caso di dichiarazione di inammissibilità. Per queste ragioni l'ordinanza n. 8843/2015 accoglie la tesi che consente la proponibilità del ricorso per cassazione avverso la suddetta ordinanza di inammissibilità, chiedendo al contempo un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Riferimenti dottrinali
Per la tesi secondo cui anche i consumatori possono agire per la tutela di interessi collettivi: M. GORGONI, L'ammissibilità dell'azione di classe tra punti fermi ed ambiguità, in Resp. civ. e prev., 2011, 5, p. 1099 ss; S. MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, in Giusto proc. civ., 2008, par. 1
Per la tesi secondo cui soltanto gli enti esponenziali possono agire per la tutela di interessi collettivi: R. CAPONI, Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela, in Riv. Dir. Proc., 2008, p. 1216;R. D'ANGIOLELLA in Azione collettiva risarcitoria (class action) di F. Bocchini- E. Cestaro, Milano, Giuffrè Editore, 2008, p. 29 e ss.;
Per la soluzione secondo cui tra le posizioni soggettive azionabili con la class-action rientrano anche quelle derivanti da contatto sociale: B. ZUFFI, Omessa vigilanza sui mercati finanziari: è davvero da eescludersi la possibilità di una condanna della Consob per responsabilità contrattuale (magari, in futuro, con class action)? In Il Corriere giuridico, 2011, p. 1278 ss.
Per la tesi dell'aderente quale interventore: M. GUERNELLI, La nuova azione di classe: profili processuali, in Riv. Trim. di dir. E proc. civ., 2010, 3, p. 919-920.
Per la tesi contraria alla natura di interventore dell'aderente: R. CAPONI, 2009, p. 385; Il nuovo volto della class action, ne Il foro italianoC. CONSOLO- B. ZUFFI, L'azione di classe ex art. 140-bis cod. cons., Padova 2012, p. 135; R. DONZELLI, L'azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2011, p. 285; F. PORCARI, Le continue oscillazioni dell'azione di classe (ancora alla ricerca della sua vera fisionomia), in Responsabilità civile e previdenza, 2013, 5, p. 1612. |