Nullità della sentenza

Rosaria Giordano
30 Marzo 2016

La disciplina della nullità della sentenza è dettata dall'art. 161 c.p.c. che sancisce, a riguardo, il principio della conversione dei vizi della stessa in motivi di impugnazione. Ciò comporta che detti vizi – anche quello afferente alla costituzione del giudice, sebbene costituisca una nullità c.d. assoluta – si sanano se non fatti valere con il mezzo di gravame previsto per la sentenza. Il richiamato principio c.d. di assorbimento comporta, quindi, che la nullità della sentenza non possa essere dedotta in una sede differente da quella dell'impugnazione della decisione. Ne deriva che, ad esempio, gli stessi non possono essere fatti valere mediante opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Inquadramento

La disciplina della nullità della sentenza è dettata dall'

art. 161 c.p.c.

che sancisce, a riguardo, il principio della conversione dei vizi della stessa in motivi di impugnazione.

Ciò comporta che detti vizi – anche quello afferente alla costituzione del giudice, sebbene costituisca una nullità c.d. assoluta – si sanano se non fatti valere con il mezzo di gravame previsto per la sentenza.

Il richiamato principio c.d. di assorbimento comporta, quindi, che la nullità della sentenza non possa essere dedotta in una sede differente da quella dell'impugnazione della decisione. Ne deriva che, ad esempio, gli stessi non possono essere fatti valere mediante opposizione all'esecuzione

ex

art. 615 c.p.c.

Un'interpretazione ampia del principio espresso dal primo comma dell'

art. 161 c.p.c.

rende lo stesso applicabile anche nei rapporti tra fasi distinte di un medesimo procedimento: in altre e più chiare parole, ad esempio, i vizi del decreto ingiuntivo, compresa l'insussistenza dei presupposti della pretesa creditoria, possono essere dedotti esclusivamente in sede di opposizione avverso lo stesso (e, nuovamente, non mediante le opposizioni esecutive o con altri strumenti).

Portata ed ambito applicativo del principio c.d. di assorbimento o conversione

L'

art. 161 c.p.c.

codifica il generale principio c.d. di assorbimento, comunemente applicato nella prassi, sebbene non espressamente previsto anche nella vigenza dell'abrogato codice di procedura civile del 1865, per il quale i vizi che inficiano direttamente o indirettamente la sentenza devono essere di regola fatti valere in sede di impugnazione, restando in difetto sanati.

In evidenza

La nullità del giudizio di primo grado che non sia stata fatta valere in appello, non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità a causa dell'intervenuta preclusione derivante dal principio di cui all'

art. 161 c.p.c.

, secondo il quale tutti i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione, a meno che la gravità del vizio dedotto non sia tale da impedire che lo stesso atto che ne è inficiato possa essere assunto nel modello legale della figura, configurandosi così una inesistenza giuridica dell'intero giudizio, rilevabile d'ufficio

ex

art. 161, comma

2

,

c.p.c.

(

Cass. civ.,

sez. lav., 30 maggio 2003, n. 8762

).

E' dominante, comunque sia, in dottrina come in giurisprudenza, la tesi secondo la quale, nonostante l'

art. 161 c.p.c.

faccia espresso riferimento, tra i mezzi di gravame, soltanto all'appello ed al ricorso per cassazione, in realtà la norma ha vocazione generale con la conseguenza che, ove anche altro mezzo di impugnazione, pure in senso lato (v., ad esempio, l'opposizione a decreto ingiuntivo), sia prevista avverso un determinato provvedimento, qualora lo stesso non venga esperito, il relativo vizio della decisione non potrà più essere fatto valere.

Inoltre, sebbene il comma 1 dell'

art. 161 c.p.c.

si riferisca espressamente soltanto alle “sentenze”, si ritiene che lo stesso trovi applicazione anche con riguardo ai provvedimenti aventi una forma differente, purché a contenuto decisorio su diritti soggettivi in quanto assoggettati, in mancanza di altri rimedi, al ricorso straordinario per cassazione

ex

art. 111,

comma 7,

Cost.

.

Sempre in termini generali, non possono trascurarsi i rapporti tra il principio espresso dal comma 1 dell'

art. 161 c.p.c.

e l'opposizione all'esecuzione. È noto, in particolare, che mediante l'opposizione all'esecuzione, anche in via preventiva, ossia prima del pignoramento a seguito della notifica dell'atto di precetto, il debitore ai sensi dell'

art. 615 c.p.c.

può contestare l'an dell'esecuzione forzata, cioè a dire la sussistenza del diritto del creditore procedente. Orbene, quanto al novero dei motivi di opposizione all'esecuzione esperibili, proprio per l'operare del generale principio di conversione o assorbimento dei vizi delle decisioni giudiziarie in motivi di impugnazione delle stesse, occorre evidenziare che – fatta salva l'ipotesi limite dell'inesistenza della decisione – in linea di principio se il titolo posto a fondamento dell'esecuzione ha natura giudiziaria il debitore non potrà dedurre in sede di opposizione alcun vizio del titolo preesistente alla formazione dello stesso, dovendo e potendo essere formulate le relative doglianze esclusivamente in sede di gravame e potendosi, in sostanza, far invece valere con l'opposizione all'esecuzione soltanto fatti successivi alla decisione (cfr.

Cass. civ.,

sez. III,

26 aprile 2004, n. 7922

).

Sotto un distinto profilo, quanto all'ambito applicativo del principio sancito dal primo co. dell'

art. 161 c.p.c.

, in giurisprudenza si è anche precisato che detto principio opera anche nell'ipotesi di nullità dipendente da vizi non formali. In particolare, invero, si è a riguardo precisato, anche in sede di legittimità, che il vizio non formale di attività, discendente dalla mancata osservanza delle sequenze procedimentali in cui è normativamente scandita la trattazione della causa di primo grado, può essere rilevato d'ufficio dal giudice del grado al più tardi prima di pronunciarsi sulla res controversa e dal medesimo rimediato attraverso l'adozione di misure sananti, espressione della capacità di auto rettificazione del processo, con la rimessione in termini delle parti per l'esercizio delle attività non potute esercitare in precedenza. La mancata rilevazione di detto vizio in procedendo, inficiante in via derivata la validità della sentenza, impone alla parte di dedurre la ragione di nullità con il motivo di impugnazione

ex

art. 161, comma

1

, c.p.c.

, restando, a seguito della emanazione della sentenza di primo grado, sottratta al giudice del gravame la disponibilità di questa nullità verificatasi nel grado precedente, da ritenersi ormai sanata perché non fatta valere nei limiti e secondo le regole proprie dell'appello, non rientrando essa tra quelle, insanabili, rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche al di fuori della prospettazione della parte (

Cass. civ.,

sez. I,

2 aprile 2008, n. 8493

; conf.

App. Torino, sez. II, 17 marzo 2004

, in Giur. Merito, 2004, 1079).

Ipotesi di nullità della sentenza

La sentenza può essere nulla in ragione di un vizio proprio, ad esempio se carente di motivazione ovvero corredata di una motivazione assolutamente apodittica o, ancora, perché priva di una delle indicazioni

previste dall'

art. 132 c.p.c.

, oppure nell'ipotesi in cui tale nullità derivi alla stessa da un vizio del procedimento non sanato nel corso del giudizio.

La giurisprudenza, specie nell'evoluzione più recente, appare peraltro incline a ridurre il novero dei vizi propri della sentenza ed, in particolare, di quelli che riguardano l'insufficienza della motivazione della decisione ritenendo, in sostanza, valida, anche in conformità alle indicazioni che si traggono dagli

artt. 132 c.p.c.

e

art.

118 disp. att. c.p.c.

nella formulazione novellata dalla

l. 18 giugno 2009 n. 69

,

una motivazione concisa se logica.
Emblematica di quanto evidenziato è, sebbene l'

art. 132 c.p.c.

indichi tra i requisiti della sentenza quelli di riportare le conclusioni rassegnate dalle parti, la consolidata giurisprudenza per la quale la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perché siffatta omissione od incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l'omissione abbia in concreto inciso sull'attività del giudice, nel senso di averne comportato o un'omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati dalle parti medesime (v., tra le tante,

Cass. civ.,

sez. III, 22 settembre 2015, n. 18609

;

Cass. civ.,

sez. II,

5 maggio 2010, n. 10853

).

Sotto un distinto ma concorrente profilo, quanto all'irrilevanza di alcuni apparenti vizi formali per la nullità della sentenza, è consolidato in sede pretoria l'orientamento per il quale l'omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell'intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli

art. 287

e

288 c.p.c.

, quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l'esatta identità di tutte le parti (cfr.

Cass. civ.,

sez. II,

24 marzo 2005, n. 6399

;

Cass. civ.,

sez. III,

24 maggio 2003, n. 8242

), dovendo pervenirsi ad analoghe conclusioni nell'ipotesi di omessa indicazione nell'epigrafe della sentenza del nome del difensore di una delle parti, nonostante la sua rituale costituzione in giudizio risultante dal contesto della decisione medesima (

Cass. civ.,

sez. III,

3 luglio 2008, n. 18202

).

Analogamente, l'indicazione, nell'intestazione della sentenza, del nome di un magistrato diverso da quelli componenti il collegio dinanzi al quale la causa è stata discussa e che ha trattenuto la causa in decisione, va ascritta ad un mero errore materiale, come tale non comportante la nullità della sentenza, ma suscettibile di correzione ai sensi dell'

art. 287 c.p.c.

, considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale di udienza, e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati in tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza stessa (

Cass. civ.,

sez. lav.,

14 dicembre 2007, n. 26372

).

Tuttavia, è stato chiarito che la sentenza che, regolarmente sottoscritta dal Presidente, anche in qualità di estensore, non rechi i nominativi dei giudici costituenti il collegio deliberante, con conseguente impossibilità di desumerne l'identità, è nulla per vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell'

art. 158 c.p.c.

, e non per difetto assoluto di sottoscrizione

ex

art. 161 c.p.c.

, sicché la Corte d'appello, rilevata anche d'ufficio tale nullità, è tenuta a trattenere la causa e a deciderla nel merito, senza rimetterla al primo giudice, non ricorrendo nella specie alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dall'

art. 354 c.p.c.

(

Cass. civ.,

sez. III, 29 settembre 2015, n. 19214

).

Sempre in ordine ai vizi propri della sentenza, se si è precisato che in tema di deposito della sentenza completa di motivazione nella cancelleria del giudice che la ha pronunciata, l'inosservanza dei termini per il deposito, pur se può essere fonte di responsabilità disciplinare per il magistrato incaricato della redazione del provvedimento, non è causa di nullità della sentenza tardivamente depositata (

Cass. civ.,

Sez. Un., 5 marzo 2008, n. 5912

), per converso l'omessa assicurazione alle parti del potere di depositare le conclusionali, conseguente al deposito della sentenza prima della scadenza del relativo termine, deve ritenersi in ogni caso causa di nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, senza che ai fini della deduzione della nullità con il mezzo di impugnazione la parte sia onerata di indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere ove le fosse stato consentito il deposito della conclusionale. In particolare, si è osservato, a riguardo che la funzionalizzazione alla garanzia del diritto di difesa delle conclusionali, nel senso della spendita delle argomentazioni in fatto ed in diritto volte a convincere il giudice ad adottare una decisione favorevole sulla base delle emergenze di causa, nel caso di deposito della sentenza prima dello scadere del termine per il loro deposito, al di là della mancanza di un'espressa previsione di nullità della sentenza ai sensi dell'

art. 156, comma

1

, c.p.c.

, rende automaticamente la sentenza - quale atto processuale immediatamente successivo compiuto prima della scadenza del termine per l'esercizio di quell'ultima facoltà del diritto di difesa - inidonea al raggiungimento del suo scopo

ex

art. 156, comma secondo, c.p.c.

che è quello della pronuncia della decisione che nella sentenza si esprime anche sulla base dell'illustrazione definitiva delle difese che le parti possono fare nelle conclusionali e, quindi, del loro esame. D'altro canto, esigere che nell'esercitare il diritto di impugnazione la parte che deduce la detta nullità debba in concreto indicare come avrebbe esercitato quella capacità di convincimento, comporterebbe l'impropria attribuzione della funzione di elemento costitutivo della nullità ad un comportamento inerente il modo in cui, per il tramite del noto principio della conversione delle nullità in motivo di impugnazione della decisione di cui all'

art. 161, comma

1

, c.p.c.

, la parte può far valere la nullità stessa, cioè al veicolo necessario per darle rilievo nel processo (

Cass. civ.,

sez. III,

18 ottobre 2005, n. 20142

, in Giur. it., 2006, n. 12, 2350, con nota di BERTOLINO; conf.

Cass. civ.,

sez. III,

18 maggio 2001, n. 6817

, in Giust. Civ., 2002, I, 461, con nota di ASPRELLA;

Trib. Roma, sez. XIII, 4 febbraio 2006

, in dejure.giuffre.it). Tuttavia, in senso difforme, nella giurisprudenza più recente, si è invece evidenziato che la sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini

ex

art. 190 c.p.c.

, nella specie quelli per il deposito delle memorie di replica, non è automaticamente affetta da nullità, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive - contenute nello scritto non esaminato dal giudice - la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta (

Cass. civ.,

sez. III, 9 aprile 2015, n. 7086

).

E' importante tener presente che anche la nullità derivante da vizio di costituzione del giudice, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'

art. 158 c.p.c.

, che fa espressamente salvo la disposizione del successivo

art. 161 c.p.c.

, al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che la mancata, tempestiva denuncia del vizio de quo comporta la necessità di farlo valere attraverso lo strumento (e secondo le regole, i limiti e le preclusioni) dell'impugnazione, così che la mancata denuncia di detta multa in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria (cfr.

Cass. civ.,

sez. III,

7 ottobre 2004, n. 19992

): fattispecie tipica è quella della mancata partecipazione, in quanto non edotto mediante comunicazione di cancelleria, del Pubblico Ministero, alle cause nelle quali deve necessariamente intervenire

ex

art. 70 c.p.c.

(

Cass. civ.,

sez. II,

22 luglio 2009, n. 17161

).

Ipotesi tradizionalmente ricorrenti nella prassi di nullità della sentenza per vizi propri della stessa – almeno prima della recente riforma dell'

art. 429 c.p.c.

,

ad opera dell'

art. 53,

comma 2

, decreto legge 25 giugno 2008 n. 112

, convertito nella

l. 6 agosto 2008 n. 133

, nel senso di rendere almeno di regola contestuali nel processo del lavoro la pronuncia del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione – sono quelle, note all'esperienza applicativa del processo del lavoro, costituite dal contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione (

Cass. civ.,

sez. lav.,

10 agosto 2006, n. 18143

, in Orient. giur. lav., 2006, n. 3, 723) e dall'omessa lettura del dispositivo in udienza (v., tra le molte,

Cass. civ.,

sez. III,

9 marzo 2010, n. 5659

;

Cass. civ.,

sez. lav.,

11 maggio 2006, n. 10869

). A quest'ultimo riguardo,

non appare tuttavia superfluo ricordare che l'attestazione contenuta nella narrativa della sentenza in ordine alla avvenuta lettura del dispositivo in udienza può essere contrastata soltanto con la querela di falso, trattandosi di affermazione contenuta in atto pubblico, né l'apposizione del deposito recante una data diversa appare di per sé idonea a porre in dubbio o ad ascrivere ad errore materiale la riferita attestazione, atteso che il deposito attiene alla motivazione della decisione e non esclude la lettura immediata del dispositivo (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2005, n. 15366;

Cass. civ.,

sez. III,

6 agosto 2002, n. 11778

). Sempre in tema di vizio della sentenza derivante dall'omessa lettura del dispositivo in udienza, sebbene con riguardo al rito c.d. locatizio, in parte qua

ex

art. 447-

bis

c.p.c.

comunque del tutto analogo al rito del lavoro, è stato precisato che

non sussiste logica incompatibilità tra la riserva di decidere, risultante dal verbale di udienza, e la successiva attestazione, contenuta nella sentenza in pari data, di lettura del dispositivo in udienza, ben potendo il giudice riservarsi la decisione, ritirarsi in camera di consiglio, rientrare in udienza e dare lettura del dispositivo della decisione assunta e chiarito, inoltre, che la lettura del dispositivo della sentenza non deve necessariamente risultare da esplicita menzione nella sentenza medesima o nel verbale di udienza, ben potendo essere documentata da un qualsiasi atto processuale, o desumersi per implicito da determinate circostanze (

Cass. civ.,

sez. III,

8 settembre 2006, n. 19299

).

CASISTICA

In mancanza di un'espressa comminatoria, non è configurabile alcuna nullità della sentenza nel caso in cui il testo originale, anziché formato dal cancelliere, in caratteri chiari e facilmente leggibili, mediante copiatura dalla minuta redatta dal giudice, risulti pubblicato direttamente nell'originale minuta scritta di pugno del giudice, ancorché con grafia non facilmente leggibile: l'inosservanza delle disposizioni concernenti la formazione, ad opera del cancelliere, del testo originale della sentenza e la redazione della minuta in caratteri chiari e facilmente leggibili danno infatti luogo a semplici irregolarità, a meno che il testo autografo del giudice non sia assolutamente inidoneo ad assolvere la sua funzione essenziale, consistente nell'esteriorizzazione del contenuto della decisione.

Cass. civ., sez. trib., 29 settembre 2006, n. 21231; Cass. civ., sez. I, 2 luglio 2004, n. 12114

Nel caso in cui risulti, in calce alla sentenza, che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un uditore giudiziario, non può considerarsi la sentenza stessa affetta da nullità né tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d'ufficio in sede di impugnazione, in quanto con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato senza funzioni, ma solo che, nell'espletamento del tirocinio, il magistrato senza funzioni abbia collaborato col giudice all'esame della controversia e alla stesura della minuta della motivazione, di cui il secondo, con la sottoscrizione, ha assunto la paternità.

Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2003, n. 12214

La violazione delle norme concernenti la ripartizione degli affari tra il giudice monocratico ed il giudice collegiale del tribunale comporta la nullità della sentenza impugnata, che può e deve essere fatta valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28040

Il dispositivo redatto in camera di consiglio ex art. 276, ultimo comma, c.p.c., non ha rilevanza giuridica esterna ma solo valore interno poiché l'esistenza della sentenza civile è determinata - salvo che nelle controversie assoggettate al rito del lavoro ovvero a riti ad esso legislativamente equiparati o specialmente disciplinati - dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, sicché è valida la sentenza ancorché agli atti non risulti la presenza di un dispositivo, sottoscritto dal presidente, mancando, tanto più, la previsione di un corrispondente vizio nella citata norma.

Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2015, n. 22113

La sentenza pronunciata a norma dell'art. 281-sexies c.p.c., con la lettura del dispositivo in udienza ma senza il contestuale deposito della motivazione, è nulla in quanto non conforme al modello previsto dalla norma, dovendosi altresì escludere la sua conversione in una valida sentenza ordinaria poiché la pubblicazione del dispositivo consuma il potere decisorio del giudice, sicché la successiva motivazione è irrilevante in quanto estranea alla struttura dell'atto processuale ormai compiuto.

Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2015, n. 6394

Poteri del giudice dell'impugnazione

In applicazione dei principi della tassatività delle ipotesi di rimessione di cui agli

art. 353

e

354 c.p.c.

e della conversione nei motivi di nullità in motivi di impugnazione il giudice di appello, accertata la nullità della sentenza gravata, non deve rimettere la causa al giudice di primo grado, né limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza, ma deve decidere la causa nel merito (

Cass. civ.,

sez. III,

25 febbraio 2009, n. 4488

). Di conseguenza è inammissibile il ricorso per cassazione per carenza d'interesse qualora detto giudice, pur non avendo dichiarato la nullità della sentenza di primo grado prospettata in sede di gravame, abbia pronunciato nel merito (

Cass. civ.,

sez. lav.,

5 aprile 2011, n. 7744

).

L'affermato dovere del giudice d'appello pur a fronte del riscontro di un vizio dal quale derivi la nullità, anche per ragioni di carattere processuale, della pronuncia impugnata di decidere sul merito della lite senza possibilità di rimettere la controversia al primo giudice, salve le ipotesi tassativamente previste dagli

artt. 353

e

354 c.p.c.

ha determinato in dottrina come in giurisprudenza un dibattito in ordine alla possibilità della parte appellante, ad es. se rimasta contumace nel giudizio di primo grado in ragione della nullità della notificazione dell'atto introduttivo, di formulare conclusioni esclusivamente sul piano rescindente, non anche, quindi, sul merito della controversia. A riguardo, giova ricordare che, invero, secondo la tesi dominante in giurisprudenza la deduzione con l'atto di appello, da parte del convenuto in primo grado dichiarato contumace, della nullità della citazione introduttiva di quel giudizio per un vizio afferente alla vocatio in ius, non dà luogo, ove ne sia riscontrata la fondatezza dal giudice dell'impugnazione, alla rimessione della causa al primo giudice, atteso che tale ipotesi non è riconducibile ad uno dei casi tassativamente indicati negli

ar

t

t. 353

e

354 c.p.c.

, ma impone al giudice di appello di rilevare che il vizio si è comunicato agli atti successivi dipendenti, compresa la sentenza, e di decidere la causa nel merito, previa rinnovazione degli atti nulli, senza che, tuttavia, sia necessario disporre la rinnovazione dell'atto di evocazione in giudizio, giacché l'effetto sanante, in relazione a tale atto, deve considerarsi prodottosi, ai sensi dell'

art. 156, comma

3

, c.p.c.

, dalla proposizione dell'appello della parte illegittimamente dichiarata contumace in primo grado, ancorché operante ex nunc, poiché, diversamente opinando, si verrebbe a configurare una grave violazione del principio di effettività del contraddittorio, di rilevanza costituzionale (

Cass. civ.,

sez. III,

15 maggio 2009, n. 11317

).

In omaggio a tale impostazione la S.C. è incline quindi a ritenere che è ammissibile l'impugnazione con la quale l'appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, la rimessione al primo giudice, mentre nelle ipotesi in cui il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli

ar

t

t. 353

e

354 c.p.c.

, è necessario che l'appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l'appello fondato esclusivamente su vizi di rito, inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (cfr., tra le altre,

Cass. civ.,

sez. III,

19 gennaio 2007, n. 1199

; Cass. 29 settembre 2005,

n. 19149, in Riv. dir. proc., 2006, 1413, con nota di PANZAROLA;

Cass. civ.,

sez. lav.,

14 dicembre 1998, n. 12541

, in Giur. it., 1999, 1805, con nota di RONCO).

Peraltro, non si può trascurare che nella stessa giurisprudenza di legittimità è stato affermato anche l'opposto principio secondo cui è ammissibile l'appello del convenuto contumace fondato esclusivamente sulla nullità dell'atto introduttivo, senza censure di merito, fermo restando che il giudice d'appello, accertato il vizio denunciato, deve sempre decidere il merito della causa, previa rinnovazione, su istanza di parte, degli atti cui la nullità si estende e fatte salve le eventuali decadenze, nel frattempo maturate (

Cass. civ.,

sez. III,

27 maggio 2005, n. 11292

, in Foro it., 2006, I, 3223, con nota di BALENA).

Riferimenti

AULETTA, Nullità e “inesistenza” degli atti processuali civili, Padova 1999;

CONSO, Il concetto e le specie di invalidità, Milano 1955;

DENTI, Nullità degli atti processuali civili, NNDI, XI, Torino 1965, 467 ss.;

LIPARI G., Sottoscrizione del giudice, inesistenza della sentenza e collocamento a riposto del presidente del collegio, in Giust. Civ., 2004, I, 131;

LORENZETTO PESERICO, Inesistenza della sentenza e rimessione al giudice di primo grado, in Riv. dir. proc., 1977, 517;

MANDRIOLI, L'assorbimento dell'azione civile di nullità e l'

art. 111 della Costituzione

, Milano 1967; ORIANI, Nullità degli atti processuali, EGI, XXI, Roma 1988;

PANZAROLA,

L'appello per soli motivi di rito e la sanatoria in appello della nullità della citazione introduttiva di primo grado per mancata indicazione della udienza di comparizione

, in Riv. dir. proc., 2006, 1413;

SALVATO, La controversa validità dei provvedimenti depositati dal giudice trasferito ad altro ufficio giudiziario o cessato dalle funzioni, in Giust. Civ., 2002, 1341.

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