14 Luglio 2017

A norma dell'art. 50-ter c.p.c., al di fuori dei casi previsti dall'art. 50-bis c.p.c., il tribunale giudica in composizione monocratica.
Inquadramento

A norma dell'art. 50-bis c.p.c. sono riservate alla decisione collegiale tutte le cause che già erano comprese nell'art. 48 ord. giud., ad esclusione dei giudizi di appello, dei giudizi divisori e di ogni altra controversia che sia relativa ai rapporti sociali nelle società, nelle mutue assicuratrici e società cooperative, nelle associazioni in partecipazione e nei consorzi. Alla decisione collegiale vengono, invece, ascritte le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione della lesione di legittima oltre che le cause relative alle impugnazioni delle delibere assembleari e del consiglio di amministrazione e le cause di ricusazione dei componenti del Tribunale o della Corte d'Appello.

A norma del successivo art. 50-ter c.p.c., al di fuori dei casi previsti dall'art. 50-bis c.p.c., il tribunale giudica in composizione monocratica. Pertanto il rapporto tra la decisione collegiale e quella monocratica è un rapporto di regola ad eccezione. La regola è data dalla decisione monocratica, mentre le eccezioni sono quelle specificamente previste dalla legge (e sulle quali, per approfondimenti, rinvio alla Bussola su Giudice collegiale).

In evidenza

Il rapporto tra la decisione collegiale e quella monocratica è un rapporto di regola ad eccezione. La regola è data dalla decisione monocratica, mentre le eccezioni sono quelle specificamente previste dalla legge

Inosservanza relativa alla composizione collegiale o monocratica del tribunale

La giurisprudenza delle Sezioni Unite, componendo un contrasto insorto nelle sezioni semplici della Corte, hanno statuito nel 2008 che è nulla la sentenza pronunciata dal giudice monocratico quando la legge prevedeva la collegialità della decisione. Questa nullità, tuttavia, non provoca la rimessione della causa al primo giudice e restano salvi, ex art. 157 c.p.c., gli atti che hanno preceduto l'emanazione della sentenza (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28040). Era, infatti, pacifico che la violazione delle disposizioni dettate dall'art. 50-bis c.p.c. provocasse una nullità che si poteva e doveva far valere sulla base della regola dell'art. 161 c.p.c. (in proposito si veda Cass. 16 maggio 2007, n. 11288) e che il giudice dell'appello, investito della questione, non poteva rimettere la causa al primo giudice (Cass. 14 marzo 2007, n. 5889; per approfondimenti si veda la Bussola su Giudice collegiale).

Si era, invece, formato un contrasto sulla sorte degli atti compiuti prima dell'emanazione della sentenza, ossia se gli stessi si potessero sanare qualora non vi fosse l'eccezione della parte sul vizio di nullità.

La giurisprudenza aveva secondo una prima tesi affermato che allorquando una controversia che, per effetto del disposto dell'art. 244 d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51 (a mente del quale "le funzioni del pretore non espressamente attribuite ad altra autorità sono attribuite al tribunale in composizione monocratica"), avrebbe dovuto svolgersi davanti al tribunale in composizione monocratica (nella specie, opposizione avverso la revoca del permesso di soggiorno per motivi familiari ex art. 30, comma 6, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286), si svolga invece dinanzi al tribunale in composizione collegiale, si verifica una nullità del procedimento, regolata dall'art. 50 quater c.p.c., in forza del quale le disposizioni sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale, di cui agli art. 50-bis e 50-ter c.p.c., non si considerano attinenti alla costituzione del giudice; ne consegue che la nullità suddetta è sottoposta alle sanatorie generali previste dall'art. 157 c.p.c., tra le quali quella determinata dall'acquiescenza manifestata dalla parte interessata a dedurle. (cfr., tra le altre, Cass. 21 marzo 2005 n. 6071; Cass. 19 luglio 2004 n. 13358).

Per una diversa opinione, invece, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall'art. 50-quater c.p.c. al successivo art. 161, comma 1, c.p.c. un'autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità derivata da quegli atti che l'hanno preceduta, con la conseguenza che, presupponendo, in generale, la sanatoria di una nullità che la stessa si sia già verificata, non potrebbe ipotizzarsi una rinuncia tacita ad opporre il vizio del provvedimento prima della sua emissione per effetto dell'acquiescenza prestata ad atti prodromici e, neppure, ravvisare un nesso eziologico tra il comportamento omissivo di una o di entrambe le parti e la violazione da parte del tribunale dell'obbligo di verificare, all'atto della decisione, le norme che regolano la propria composizione (v., tra le altre, Cass. 25 maggio 2007 n. 12206; Cass. 29 gennaio 2004 n. 1658).

In evidenza

La giurisprudenza delle Sezioni Unite, componendo un contrasto insorto nelle sezioni semplici della Corte, hanno statuito nel 2008 che è nulla la sentenza pronunciata dal giudice monocratico quando la legge prevedeva la collegialità della decisione. Questa nullità, tuttavia, non provoca la rimessione della causa al primo giudice e restano salvi, ex art. 157 c.p.c., gli atti che hanno preceduto l'emanazione della sentenza (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28040). Era, infatti, pacifico che la violazione delle disposizioni dettate dall'art. 50-bis c.p.c. provocasse una nullità che si poteva e doveva far valere sulla base della regola dell'art. 161 c.p.c. (in proposito si veda Cass. 16 maggio 2007, n. 11288) e che il giudice dell'appello, investito della questione, non poteva rimettere la causa al primo giudice (Cass. 14 marzo 2007, n. 5889; per approfondimenti si veda la Bussola su Giudice collegiale).

Giudizio di appello

Poiché è stata tolta la riserva di collegialità per il giudizio di appello, la dottrina ritiene che negli stessi, ove si svolgano davanti al giudice monocratico (in virtù dell'attribuzione al tribunale in composizione monocratica dei giudizi di appello contro le sentenze del giudice di pace), se manchi la richiesta ex art. 352 c.p.c., il giudice può a sua discrezione regolare la fase decisoria utilizzando o il modello della trattazione scritta o il modello della trattazione orale (Olivieri, 468).

La giurisprudenza ha specificato che, in tema di revocazione ex art. 395 c.p.c., a decorrere dal 2 giugno 1999 (art. 1, comma 1, legge n. 188 del 1998), anche nelle controversie d'appello, ad eccezione dei casi previsti, ossia solo delle revocazioni nell'ambito delle procedure fallimentari (art. 50-bis, comma 1, lett b, c.p.c.), il tribunale, a prescindere dalla composizione che esso aveva all'epoca della sentenza di cui si chiede la revocazione (nella specie collegiale per essere la pronuncia anteriore alla riforma), giudica in composizione monocratica, a norma degli art. 48, comma 1, dell'Ordinamento giudiziario (nel testo sostituito dall'art. 88, legge n. 353/1990 e, successivamente, dall'art. 14, comma 1, d.lg. n. 51/1998), degli art. 50-bis e 50-ter c.p.c. (introdotti dall'art. 56 d.lg. n. 51 del 1988) e dell'art. 350, comma 1, c.p.c. (nel testo sostituito dall'art. 74, lett. a), d.lg. n. 51/1998) (Cass. 7 aprile 2006, n. 8217; Cass. 18 ottobre 2001, n. 12707).

Procedimento davanti al giudice unico: cenni e rinvio

Il processo davanti al giudice unico rappresenta una variante del rito ordinario ed è costruito mediante rinvio alle norme del rito ordinario, cui vengono apportati solo alcuni adattamenti.

Ai sensi dell'art. 281-quater, nell'ipotesi di giudice unico, vi è necessariamente coincidenza tra giudice dell'istruzione e giudice della decisione (di conseguenza non è dato reclamo al collegio contro i provvedimenti con cui il giudice unico dichiara l'estinzione del processo)

Ai sensi dell'art. 281-ter, il giudice unico ha la facoltà di disporre d'ufficio la prova testimoniale sulla base di fatti allegati, formulandone i capitoli e chiamando a testimoniare le persone che le parti assumono essere in grado di conoscere la verità. E' una deroga al principio dispositivo che trova ragione presumibilmente nel carattere di giustizia minore del procedimento de quo.

Ex art. 281-quinquies accanto alla trattazione scritta (consistente nello scambio di comparse conclusionali e repliche, con eventuale discussione orale) è prevista la facoltà del giudice unico di ordinare la trattazione orale della causa, senza cioè scambio di comparse e repliche. In questo caso il giudice unico pronuncia sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni della decisione.

Quando il collegio rileva che ha in esame una causa di competenza del giudice unico la rimette a quest'ultimo con ordinanza non impugnabile e viceversa.

In caso di connessione tra cause per cui sia prevista la decisione collegiale e cause per cui sia prevista quella del giudice unico, l'art. 281-nonies ordina la loro riunione, a meno che non ne disponga la separazione.

Riferimenti
  • C. Delle Donne, sub artt. 50-bis, ter e quater, in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012, vol. I, T. 1, 833 e ss.;
  • Auletta, Commento sub artt. 50-bis-50-quater, in Commentario Verde-Vaccarella, Agg. 2001, Torino, 2001, 132 e ss.;
  • Olivieri, Il giudice unico di primo grado nel processo civile (Tribunale monocratico e collegiale. Sede principale e sezioni distaccate), in Giust. civ., 2998, II, 466 e ss.