Impugnazione incidentale tardivaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 333
05 Agosto 2016
Inquadramento
L'art. 334 c.p.c. individua l'impugnazione incidentale tardiva come specie del genere disciplinato dall'articolo precedente (su cui v. la bussola Impugnazione incidentale); a promuoverla è la parte che sarebbe già decaduta dal potere di impugnare, per scadenza dei termini ordinari di cui all'art. 325 e 327 c.p.c. o per acquiescenza alla decisione. Chi se ne vuole avvalere deve trovarsi in una delle seguenti condizioni: o essere destinatario di un'impugnazione, o essere chiamato a integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 c.p.c. (v. per una definizione Cass. civ., 1 aprile 2014, n. 7519). Pur «tardivo» nel senso chiarito, il rimedio va comunque promosso, a pena di decadenza, entro termine previsto per l'impugnazione incidentale: cioè, quanto al giudizio ordinario, nei termini stabiliti dall'art. 343 c.p.c. per l'appello, e dall'art. 371 c.p.c. per il giudizio di cassazione. Lo scopo dell'istituto è dissuadere dall'impugnazione chi, soccombente in qualche misura, presterebbe acquiescenza se l'altra parte facesse altrettanto; ma che non rinuncerebbe a impugnare in caso contrario, sul presupposto che l'iniziativa dell'avversario modificherebbe a suo sfavore l'assetto risultante dalla sentenza impugnata. Se dunque non vi fosse questo istituto, la parte, pur propensa ad accettare la decisione, finirebbe col censurarla nel timore che l'altra la impugni all'ultimo minuto. In piena coerenza con la sua ratio, l'impugnazione incidentale tardiva «sta e cade» con quella principale: in particolare l'art. 334, cpv., c.p.c. stabilisce che, se la seconda è dichiarata inammissibile, anche la prima perde ogni efficacia. In termini di economia processuale, l'effetto deflattivo dell'art. 334 c.p.c. è notevole. La propensione reciproca delle parti ad accettare la sentenza è in crescita progressiva – di fronte alle chiare scelte di politica giudiziaria volte a rendere sempre più gravoso l'accesso alle impugnazioni. In linea con questa tendenza, si affermano orientamenti diretti ad ampliare il campo di applicazione dell'istituto. Campo di applicazione. Premessa
L'impugnazione incidentale tardiva non ha la stessa ampiezza di un'impugnazione principale, o incidentale «tempestiva» ex art. 333 c.p.c. Nella giurisprudenza più risalente i limiti di impiego del rimedio erano considerevoli: si riteneva infatti che l'impugnazione incidentale tardiva fosse esperibile soltanto contro lo stesso capo di sentenza oppure contro capi dipendenti o altrimenti connessi – peraltro con vedute dissonanti sul modo di intendere questa «connessione». In seguito si assiste a un progressivo ampliamento.
Questo orientamento costituisce oramai un punto fermo nella giurisprudenza. V., fra le tante, Cass. civ., 29 novembre 2012, n. 21242, con riferimento a un «caso limite» in cui l'impugnazione principale è rivolta contro il solo capo sulle spese processuali, mentre l'impugnazione incidentale tardiva investe il merito della decisione. In tempi più recenti Cass. civ., sez. un., 27 novembre 2007, n. 24627 ha esteso l'ambito soggettivo dell'istituto oltre i confini ricavabili dalla lettera della norma. Su questo aspetto bisogna scendere più nel dettaglio. Limiti d'impiego nei processi litisconsortili secondo Cass. civ., sez. un., 27 novembre 2007 n. 24267
L'art. 334 c.p.c. accorda il rimedio alla parte contro cui è proposta l'impugnazione e al litisconsorte in causa inscindibile o dipendente ex art. 331 c.p.c.; non sembra invece concederlo alle parti di una causa «scindibile» ex art. 332 c.p.c., diversa da quella oggetto dell'impugnazione principale (o da altra incidentale tempestiva). Ciò comporta, ad esempio, che l'impugnazione proposta dal coobbligato, condannato nei confronti del creditore in base allo stesso titolo, non legittima l'altro coobbligato soccombente a proporre l'impugnazione incidentale tardiva, in quanto «adesiva» a quella dell'impugnante principale e proveniente dalla parte di una causa né inscindibile né dipendente.
Così, riprendendo l'esempio precedente, l'impugnazione principale del coobbligato condannato nei confronti del creditore legittima l'impugnazione incidentale tardiva dell'altro soggetto, coobbligato per il medesimo titolo, al quale l'impugnazione principale sia stata notificata ai fini dell'art. 332 c.p.c. – di solito su iniziativa spontanea dell'impugnante principale; perché la «forbice» tra il lungo termine a comparire di novanta giorni, e il termine «lungo» per impugnare ridotto ora a sei mesi, rende improbabile che quest'ultimo sia ancora in corso alla data dell'udienza. Se dunque si segue la linea tracciata dalle S.U., il divario con l'impugnazione (principale o incidentale) tempestiva diviene alquanto ridotto. Il limite d'impiego dell'impugnazione incidentale tardiva si ha soltanto nei processi litisconsortili con cause «scindibili» ai sensi dell'art. 332 c.p.c. – quando la parte della causa scindibile è indifferente all'esito dell'altra impugnazione, nel senso che il suo accoglimento non cambierebbe in senso sfavorevole la sua posizione; – quando, pur non essendole indifferente, non ne ha ricevuta la notifica ex art. 332 c.p.c.o comunque non ha impugnato in via incidentale nei termini previsti dalla legge. Segue: casistica
Segue: lo stato della giurisprudenza successiva
Diverge ad es. Cass. civ., 15 febbraio 2011, n. 3688, che, pur dichiarandosi in linea con Cass. civ., sez. un., 21 novembre 2007 n. 24267, nega l'appello incidentale tardivo al condebitore solidale, ritenendolo indifferente alla sorte dell'impugnazione con cui l'altro debitore contesta il titolo del comune creditore. Afferma che l'appello principale non produrrebbe comunque un giudicato rilevante nei rapporti interni tra i condebitori, con ciò sostenendo esattamente l'opposto di quanto affermato dalle citate S.U. nel caso analogo. Difforme è anche Cass. civ., 2 maggio 2011, n. 9649, che – omesso ogni riferimento alle S.U. – ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale tardivo del creditore appellato nei confronti di alcuni debitori solidali assolti in primo grado, a fronte di un appello principale proposto dai debitori condannati in solido per lo stesso titolo. In questo caso gli appellati incidentali non erano ancora stati evocati in giudizio e il creditore ha impugnato senza notificar loro l'appello incidentale; mentre la notifica è stata disposta dal giudice soltanto in udienza, quando i termini ordinari per impugnare erano ormai scaduti. La Cassazione ha obiettato che la notifica agli appellati incidentali, siccome parti in cause scindibili, avrebbe dovuto compiersi nei termini ordinari di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. Per quanto problematica, la linea espressa dalle S.U. è probabilmente destinata a consolidarsi, perché risponde a esigenze di economia processuale meglio della soluzione restrittiva. Un uso estensivo dell'impugnazione incidentale tardiva solo in apparenza alimenta il contenzioso; in realtà – come si è visto nel par. introduttivo – opera in direzione contraria, incentivando l'accettazione della sentenza. Inoltre è un approccio preferibile, di fronte alle incertezze che gravano su istituti correlati. Il riferimento va in primo luogo alle difficoltà nel delimitare i confini tra le cause inscindibili/dipendenti e quelle scindibili (sulla distinzione si rinvia alla voce Cause inscindibili): esse disincentivano il ricorso all'art. 334 c.p.c. e inducono le parti a impugnare nei termini ordinari, nel timore che il giudice, qualificando la causa scindibile, dichiari poi inammissibile l'impugnazione incidentale tardiva. Rilievo non trascurabile hanno pure i dubbi sull'impiego dell'appello incidentale, che riguardano principalmente il rapporto con la riproposizione di domande ed eccezioni «non accolte» ex art. 346 c.p.c. (su cui v. la voce Impugnazione incidentale): nell'incertezza se impugnare incidenter o riproporre, la parte opta per impugnare, il che la riporta al problema precedente.
Impugnazione incidentale tardiva e condizionata
Qualche notazione va dedicata al rapporto tra impugnazione incidentale tardiva e impugnazione incidentale condizionata. Se l'impugnazione incidentale riguarda semplici questioni, il problema del «condizionamento» si pone allo stesso modo per entrambe le forme d'impugnazione incidentale (tempestiva e tardiva), sul quale si rinvia alla voce Impugnazione incidentale. Un aspetto peculiare all'impugnazione ex art. 334 c.p.c. emerge nel caso di domande condizionate. In linea di principio, quelle assorbite basta riproporle (al giudice del gravame o del rinvio) e non vanno veicolate con l'impugnazione. Bisogna tuttavia prendere atto di un consistente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui in certi casi l'appello incidentale è indispensabile. Le pronunce che esprimono questo indirizzo si riferiscono, in particolare, alle domande di garanzia rimaste assorbite dal rigetto della domanda di condanna del garantito: esse prevedono che, in caso di appello contro il garantito, quest'ultimo non possa limitarsi a riproporre la domanda contro il garante ex art. 346 c.p.c., ma debba svolgere apposito appello incidentale (Cass. civ., 2 aprile 2015, n. 6782; Cass. civ., 17 giugno 2013, n. 15107; contra Cass. civ., 30 gennaio 2014, n. 2051, favorevole alla semplice riproposizione) inevitabilmente condizionato all'accoglimento dell'appello principale. Va forse precisato che l'orientamento in discorso si riferisce ai rapporti di garanzia «impropria»; salvo che questa particolare declinazione del rapporto di garanzia, oltre a raccogliere definizioni non uniformi, è stata relegata a categoria priva di rilevanza processuale dalla recente Cass. civ., sez. un., 4 dicembre 2015, n. 24707. Ad ogni modo, chi opta per l'appello incidentale – e qui sta il tratto peculiare – non dovrebbe porsi il problema se esso sia tardivo o tempestivo, né se la domanda assorbita riguardi una causa scindibile o inscindibile/dipendente. L'irrilevanza di questi indici deriva dal carattere del tutto «inautonomo» dell'impugnazione condizionata. Dal momento la parte vittoriosa non può proporla in via principale, il suo esperimento in via incidentale va ammesso in ogni caso, prescindendo dal rispetto dei termini ordinari d'impugnazione; ciò per l'evidente impossibilità di collegare effetti preclusivi alle scelte dell'avversario sulla tempistica dell'impugnazione principale. L'impugnazione incidentale tardiva, proprio per la ratio che la contraddistingue, non sopravvive alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione principale e così dispone infatti l'art. 334, cpv., c.p.c. La previsione va peraltro estesa all'ipotesi in cui l'impugnazione incidentale tardiva non sia conseguenza di quella principale, ma di un'altra impugnazione incidentale tempestiva. In tal caso, la sorte dell'impugnazione incidentale tardiva è legata a quest'ultima e non a quella principale. Il principale problema sollevato dell'art. 334, comma 2, c.p.c. è se il riferimento alla inammissibilità dell'impugnazione principale, come causa di caducazione di quella tardiva, è suscettibile di estensione analogica ad altre ragioni di rigetto «in rito». La risposta tradizionale era nel senso che il riferimento fosse tassativo e insuscettibile di applicazione analogica.
Il revirement delle S.U. si è attirato le critiche della dottrina prevalente. Si obietta che l'improcedibilità è tipica conseguenza di un vizio di attività successivo all'instaurazione del giudizio, e che l'averla equiparata all'inammissibilità espone il processo d'impugnazione al rischio di abuso dell'impugnante principale: che ben potrebbe provocare l'improcedibilità della propria impugnazione (ad es. omettendo di comparire due volte alla prima udienza) dopo aver letto quella avversaria e averne valutato le maggiori probabilità di successo. Non sembra tuttavia che un simile comportamento costituisca davvero un «abuso»: poiché l'istituto è appositamente modulato sull'esigenza della parte di rinunciare all'impugnazione se vi rinuncia pure l'avversario, dal punto di vista della ratio non sembra rilevante distinguere tra inammissibilità e improcedibilità. Semmai la distinzione può giustificare un disciplina più rigorosa delle spese processuali a carico dell'impugnante principale. La «linea espansiva» della giurisprudenza sull'art. 334, cpv., c.p.c. si è tuttavia arrestata con Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2011, n. 8925, che – pur confermando il suo precedente e l'improcedibilità come causa d'inefficacia dell'impugnazione incidentale tardiva – ha negato la stessa attitudine caducante alla rinuncia all'impugnazione principale. In teoriala differenza risiederebbe nell'elemento della volontarietà proprio della rinuncia e assente nell'improcedibilità; in pratica, nell'esigenza di evitare un uso eccessivamente «personalizzato» del giudizio d'impugnazione da parte di chi impugna in via principale, che tra l'altro frustrerebbe un «effetto deterrente» dell'impugnazione incidentale nei confronti della parte intenzionata a impugnare (in una prospettiva «speculare» a quella finora considerata, di «incoraggiamento a non impugnare»). L'ambito di applicazione dell'art. 334, comma 2, c.p.c. è stato poi discusso con riferimento all'art. 348-bis c.p.c., che pone al centro del c.d. «filtro di appello» la declaratoria di inammissibilità fondata su un giudizio di manifesta infondatezza del gravame (l'articolo usa un'espressione diversa e infelice che fa pensare ad altro; ma è chiaro che il legislatore, comunque si sia potuto esprimere, aveva in mente la manifesta infondatezza). La lettera dell'art. 348-ter, comma 2, c.p.c. lascia intendere che l'inammissibilità dell'appello principale – mentre è neutralizzata da un appello incidentale tempestivo – travolga quello incidentale tardivo. Questo almeno lo si ricava dal dato testuale, che indica come causa di esclusione dell'inammissibilità la presenza di un appello incidentale ex art. 333 c.p.c. «ammissibile» secondo l'art. 348-bis c.p.c., omettendo ogni riferimento a quello incidentale tardivo. Si pone un problema simile a quello già visto in riferimento alla improcedibilità, ma con due differenze. 1. Questa particolare causa di rigetto deriva da una carenza originaria dell'atto di appello, quindi non può essere «pilotata» in base alla lettura dell'impugnazione incidentale – o non più di quanto potrebbe esserlo un appello inammissibile in senso tradizionale. 2. L'inammissibilità qui non dipende dalla violazione di norme processuali, ma dall'apparente infondatezza del gravame; il che la colloca fuori dalla categoria dell'inammissibilità nell'accezione in cui l'ha intesa il legislatore del '40 quando ha elaborato l'art. 334 c.p.c. (che ancora oggi conserva la formulazione originaria). La dottrina prevalente fa soprattutto leva sull'elemento sub 2. per escludere che l'inammissibilità comminata dall'art. 348-bis c.p.c. rientri nella sfera di applicazione dell'art. 334, cpv., c.p.c. Non è detto che la giurisprudenza condividerà questa linea. Anche qui può valere il rilievo che, nella prospettiva dell'art. 334 c.p.c., l'appellante incidentale tardivo è colui che ha già rinunciato a un gravame autonomo ed è guidato dal più limitato interesse a controbilanciare l'impugnazione altrui. Può aggiungersi che, per quanto consista in un giudizio prognostico sulla fondatezza, l'ordinanza-filtro d'inammissibilità ha l'effetto di sottrarre al giudice d'appello il potere decisorio: per quanto verta sul merito, rimane dunque una pronuncia con effetto puramente processuale.
Riferimenti
Balena, Cause scindibili e impugnazione incidentale tardiva, in Giusto proc. civ., 2008, 437; Balena, Cause scindibili e impugnazione incidentale tardiva, in Corr. giur. 2008, 1713 ss. Chiarloni, L'impugnazione incidentale nel processo civile, Milano, 1969; Gambineri, Garanzia e processo, II, Milano, 2002; Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1973. |