Inefficacia dei provvedimenti cautelari

Davide Turroni
Davide Turroni
04 Gennaio 2017

l provvedimento che accoglie la domanda cautelare non è concepito per produrre effetti stabili. E' anzi il provvedimento meno stabile tra quelli che definiscono un giudizio civile. Questo dipende non solo – e ormai non tanto – dalla forma sommaria del procedimento, ma soprattutto dalla sua funzione «strumentale» rispetto al giudizio di merito, cioè rispetto alla tutela che il diritto probabilmente riceverà in un processo dichiarativo.
Inquadramento

Il provvedimento che accoglie la domanda cautelare non è concepito per produrre effetti stabili. E' anzi il provvedimento meno stabile tra quelli che definiscono un giudizio civile. Questo dipende non solo – e ormai non tanto – dalla forma sommaria del procedimento, ma soprattutto dalla sua funzione «strumentale» rispetto al giudizio di merito, cioè rispetto alla tutela che il diritto probabilmente riceverà in un processo dichiarativo.

Il rapporto strumentale (su cui v. Strumentalità dei provvedimenti cautelari) tra cautela e merito genera cause specifiche di inefficacia del provvedimento cautelare. Di esse principalmente si occupa l'art. 669-novies c.p.c., che è concepito come «disciplina uniforme» dell'inefficacia del provvedimento cautelare e che sarà il principale oggetto di analisi. L'art. 669-novies c.p.c. non è d'altro canto esaustivo, perché non esaurisce le possibili cause di inefficacia del provvedimento cautelare (ad esempio non include quelle speciali relative ai sequestri, previste dagli artt. 675 c.p.c. e 156-bis att. c.p.c.).

E' bene avvertire che l'inefficacia può essere anche l'effetto del rinnovato esame del fumus boni iuris e del periculum in mora, provocato o dal reclamo (art. 669-terdecies c.p.c.), o dall'istanza di modifica o revoca (art. 669-decies c.p.c.). Ma queste cause d'inefficacia non saranno analizzate in questa sede e per esse si rinvia alle rispettive voci.

Il mancato inizio del giudizio di merito

L'art. 669-novies, comma 1, c.p.c. stabilisce che il provvedimento cautelare perde la sua efficacia se non è iniziato il giudizio di merito nel termine di cui all'art. 669-octies c.p.c. o se dopo il suo inizio si è estinto. A queste prime ipotesi l'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. associa uno specifico, articolato modello procedimentale.

L'inefficacia conseguente alla mancata instaurazione del giudizio di merito rinvia all'art. 669-octies c.p.c.; segnatamente alle norme che, a pena d'inefficacia della misura concessa ante causam, richiedono l'instaurazione del giudizio di merito entro un termine perentorio.

L'ipotesi rimane attuale, ma come è noto il suo ambito di applicazione si è sensibilmente ridotto dopo il d.l. 35/2005, che – in un'ottica «deflattiva» del contenzioso ordinario – ha reso facoltativa l'instaurazione del giudizio di merito a fronte di una misura consistente in un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. o in altra idonea «ad anticipare gli effetti della sentenza di merito» (art. 669-octies, comma 6, c.p.c.).

Un primo problema attiene la precisa individuazione del confine tra i provvedimenti ante causam, tuttora subordinati alla tempestiva instaurazione del giudizio di merito, da quelli che non lo sono più perché rientrano nelle categorie indicate dall'art. 669 octies, comma 6, c.p.c. Sulla questione, che riguarda più direttamente l'art. 669-octies c.p.c., si rinvia alla voce già citata Strumentalità dei provvedimenti cautelari.

Dove la causa d'inefficacia continua a operare, l'art. 669-octies c.p.c. detta una disciplina piuttosto precisa sui tempi e i modi per la tempestiva instaurazione del giudizio di merito. In generale «L'atto che dà inizio al giudizio di merito», utile a interrompere il termine di decadenza, è quello introduttivo del processo; mentre il termine va contenuto in un massimo di sessanta giorni e la disposizione si preoccupa di individuarne il dies a quo.

Sulla espressione «inizio del giudizio di merito» si segnalano i seguenti casi problematici.

  1. Il giudizio di merito è stato instaurato con atto diverso da quello previsto dalla legge, cioè con ricorso anziché con atto di citazione, o viceversa. L'errore non impedisce di per sé lo svolgimento del processo; tuttavia la giurisprudenza, in linea con un indirizzo più generale (con riferimento all'impugnazione v. fra le tante Cass., 6 luglio 2016, n. 13815), precisa che gli effetti della domanda si producono con il compimento dell'atto previsto dal modello legale, per cui il problema si pone se quest'ultimo atto è compiuto oltre il termine previsto (così ad es. Trib. Belluno, 16 settembre 2003, in Gius, 2004, 2601). Sarebbe tuttavia auspicabile una linea più orientata alla conservazione, tale per cui gli effetti della domanda erroneamente introdotta decorrono dall'atto introduttivo del giudizio pur erroneamente individuato – è del resto la stessa soluzione recepita dall'art. 4, ult. comma, d.lgs. 150/2010, che è clausola generale in un ambito molto esteso; in più si addice al sistema della tutela cautelare, dove è importante che sia compiuto un primo atto capace di evolvere in un «giudizio di merito», mentre esula dalla ratio dell'art. 669 octies c.p.c. la preoccupazione che l'atto sia difforme dal modello legale se la difformità è di per sé sanabile.
  2. Il modello procedimentale, astrattamente utilizzabile in alternativa a quello a cognizione piena, non può essere qualificato come «giudizio di merito» di fini degli artt. 669 octies e novies c.p.c. Così si dubita – per fare un caso estremo – che il ricorso per ingiunzione soddisfi il requisito; ma la soluzione affermativa sembra assai più convincente (in tal senso v. Trib. Monza, 10 marzo 2005, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2005) perché la tutela cautelare non rende certo meno tutelato un rapporto che, già di regola, è suscettibile di cognizione inaudita altera parte ma idonea al giudicato.
  3. La parte, invece di instaurare un nuovo giudizio di merito, introduce (ritualmente) in una causa già in corso una domanda diretta all'accertamento del diritto per il quale è stato concesso il provvedimento cautelare. Che l'atto soddisfi il requisito dell'art. 669 octies c.p.c. è al limite dell'ovvio. Il problema si pone quando la causa di merito il giudizio di merito è introdotto dall'avversario con una domanda di accertamento negativo. Se la tutela cautelare è strumentale a un'azione di condanna, l'oggetto del giudizio andrà integrato da un'apposita domanda di condanna; e non è detto che basti la sua rituale proposizione, se successiva alla scadenza del termine ex art. 669 octies c.p.c. (va comunque condivisa la soluzione affermativa: v. per riferimenti Consolo, 322);
  4. La parte propone una domanda non in linea con quella indicata nel ricorso cautelare come futuro oggetto del giudizio di merito. Mentre è pacifico che la sostanziale incongruenza tra la prima e la seconda provoca l'inefficacia del provvedimento cautelare, si discute se la coincidenza fra le due debba essere piena; o se, come sembra più plausibile, basti una corrispondenza di massima che rispecchi la sostanziale identità del bene della vita da tutelare: in quest'ultimo senso v. ad es. Recchioni, Il processo cautelare uniforme, in Chiarloni-Consolo (a cura di), I procedimenti sommari e speciali, 620 ss.

Quanto al termine perentorio entro il quale iniziare il giudizio di merito, si segnalano le seguenti situazioni:

  • Il giudice assegna un termine troppo breve rispetto agli adempimenti richiesti per l'instaurazione del giudizio. L'eccessiva brevità configura una causa di decadenza non imputabile alla parte e consente quindi la rimessione in termini (art. 153, cpv., c.p.c.); che sarebbe rimedio residuale rispetto a un'istanza «preventiva» di modifica del termine.
  • Il giudice assegna un termine superiore ai sessanta giorni. La disposizione, che quantifica il termine in sessanta giorni quando il giudice non l'ha assegnato, non regola il caso in cui il giudice lo abbia erroneamente concesso in misura superiore. La soluzione più ovvia sarebbe di estendere la norma e riportare ex lege il termine a sessanta giorni; ma si espone al rilievo che il provvedimento, in quanto illegittimo, giustifica un'istanza di modifica, in mancanza della quale il giudice adito per la declaratoria d'inefficacia non può «disapplicarlo» a danno della parte che lo ha rispettato.
  • Il termine si sovrappone al periodo di sospensione feriale dei termini. Si afferma giustamente che il secondo sospende il primo: il termine ex art. 669 octies c.p.c. non è interno al processo cautelare, quindi, a differenza dei termini «endo-cautelari», rimane soggetto alla regola generale della sospensione ex art. 1, l. 742/1969: v. in tal senso Trib. Roma, 24 luglio 1998, in Giur. merito, 1999, 768 ss., con nota di Granzotto; e in termini più generali Cass., 18 febbraio 2008, n. 3955.
  • Il termine, perentorio, confligge con quello dilatorio «di segno opposto» previsto dall'art. 6, d.lgs. 28/2010, che nelle materie previste dall'art. 5, d. lgs. cit. è condizione di procedibilità del giudizio ordinario. In assenza di un coordinamento espresso, l'unica soluzione ragionevole consiste nell'affermare che il termine dilatorio sospende quello perentorio fino a tre mesi. In tal senso v. Trib. Reggio Emilia, 13 ottobre 2012, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2012; contra Trib. Brindisi, 12 gennaio 2012, in Guida al dir., 2012, Dossier 7, 83, secondo cui il termine per instaurare il giudizio di merito rimane inalterato.
Estinzione del giudizio di merito

Con previsione complementare a quella che precede, l'art. 669-novies c.p.c. individua una seconda causa di inefficacia nella estinzione del giudizio di merito. A differenza della precedente causa di inefficacia, questa colpisce anche le misure concesse in corso di causa.

L'ipotesi rinvia alle cause di estinzione del processo, per le quali si rinvia senz'altro a Estinzione del processo.

Problemi peculiari li pone piuttosto il coordinamento tra la procedura di verifica dell'estinzione retta dall'art. 669-novies, comma 2, c.p.c., e l'accertamento della causa di estinzione nel giudizio di merito, regolato dalle disposizioni del libro II del codice di rito. Il punto sarà trattato infra, par. 6. dopo l'analisi del procedimento per la dichiarazione di inefficacia previsto dall'art. 669-novies, comma 2, c.p.c..

Il procedimento regolato dal comma 2

Alle due cause di inefficacia sopra descritte l'art. 669 novies c.p.c. dedica uno specifico iter, articolato su due modalità, secondo che la causa di inefficacia sia controversa o no. Se non vi è contestazione, il giudice dichiara l'inefficacia della misura con ordinanza; altrimenti si apre un giudizio a cognizione piena e la decisione è data con sentenza.

La fase d'avvio è comune: il ricorso si presenta al giudice che ha emesso il procedimento esecutivo, che fissa l'udienza per sentire le parti. La «biforcazione» avviene dopo che le parti hanno preso posizione sul thema decidendum.

Se non vi è contestazione, il giudice emette ordinanza immediatamente esecutiva. Il caso dovrebbe includere la totale inerzia della parte o la sua mancata comparizione all'udienza (v. in tal senso Carratta, 319); tanto più se si ritiene che il giudice conservi il potere di verificare d'ufficio la causa d'inefficacia dedotta dalla parte (così l'opinione prevalente: v. per riferimenti Siracusano, art. 669 novies,in Picardi-Sassani-Panzarola (a cura di), Codice di procedura civile, Milano, 2015, II, 3742 s.; e per un tentativo di conciliare questa tesi con il mantenimento della procedura «in modalità sommaria», v. Recchioni, Il processo cautelare uniforme, in Chiarloni-Consolo – a cura di – I procedimenti sommari e speciali, Torino, 2005, 668 ss.). L'alternativa sarebbe del resto quella di affidare la verifica ad un giudizio a cognizione piena, che non è auspicabile in un procedimento sommario privo di effetti di preclusivi; ma favorevole a questa alternativa risulta altra parte della dottrina: ad es. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 354 s.

In caso di contestazione si instaura una controversia da decidere con sentenza provvisoriamente esecutiva. Il fatto che la decisione sia resa con sentenza, e che ad emanarla sia «l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare», chiariscono che alla fase preliminare sommaria segue una vera e propria causa ordinaria. E' discusso se questa vada instaurata ex novo o se derivi dalla «trasformazione» della procedura già promossa nelle forme sommarie: nel primo senso, sottolineando il riferimento normativo all'ufficio giudiziario e non al giudice, Carratta, 326 s.; nel secondo Frus, art. 669 novies, in Chiarloni – a cura di – Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, 729.

Qualunque forma assuma, la pronuncia d'inefficacia in sé (escluse cioè le misure ripristinatorie consequenziali) ha natura meramente dichiarativa in quanto certifica un effetto giuridico già perfetto, senza concorrere a provocarlo: v. Cass., 11 aprile 2013, n. 8906; Cass., 29 maggio 2012, n. 8564.

Discusso è l'ultimo inciso del comma 2, che nell'ipotesi contenziosa fa «salva la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all'art. 669 decies c.p.c.», cioè, se intesa letteralmente, di revocare o modificare il provvedimento cautelare.

In evidenza

Alla interpretazione letterale (sostenuta ad es. da Attardi, Le nuove disposizioni del processo civile, Padova, 1991, 247), l'orientamento maggioritario, appellandosi all'esigenza di non sottrarre al giudice del merito il giudizio sulla revoca/modifica del provvedimento cautelare, oppone una lettura «correttiva» che considera il richiamo limitato all'effetto della revoca e non alle condizioni stabilite dall'art. 669-decies c.p.c. (cioè il fatto sopravvenuto o quello in precedenza sconosciuto).

La norma andrebbe allora intesa nel senso che il giudice ha il potere di «rimuovere» la misura cautelare, in via interinale e anticipatoria rispetto alla futura sentenza dichiarativa dell'inefficacia: per questa lettura v. Trib. Padova, 12 novembre 1998, in Giur. it., 2000, 87 ss., con nota di Corsini; Carratta, 327, anche per richiami.

Il regime d'impugnazione s'individua facilmente nella variante contenziosa, visto che si chiude con una sentenza appellabile secondo le regole generali.

La variante non contenziosa pone invece il problema della individuazione del mezzo. L'ipotesi potrebbe apparire puramente accademica, sembrando poco probabile che la percezione del giudice sull'assenza di contestazioni sia, a sua volta, contestata. A ben vedere l'eventualità va messa in conto: così la censura può riguardare l'instaurazione del contraddittorio, se la mancata contestazione dipende dalla mancata comparizione della parte intimata; oppure la questione di dritto, se la mancata comparizione equivalga alla assenza di contestazione.

In evidenza

Nel silenzio della norma, l'estensione in via analogica del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. appare la soluzione più coerente col sistema cautelare uniforme: in tal senso v. obiter Cass., 12 maggio 1997, n. 4113; Frus, art. 669 novies, cit., 784; Recchioni, Il processo cautelare, cit., 666

V. anche Trib. Padova, 12 novembre 1998, cit., favorevole alla generale applicazione del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. nel sistema del procedimento cautelare uniforme. Ma sul punto dottrina e giurisprudenza sono divisi: per l'esclusione del reclamo cautelare v., anche per richiami, Carratta, 321 ss. che propende per l'appello.

La dichiarazione d'inefficacia non osta alla riproposizione dell'istanza cautelare né comporta, per la nuova domanda, le limitazioni previste dall'art. 669-septies c.p.c.: Trib. Reggio Calabria, 4 marzo 2002, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2002. Il problema sta piuttosto nel livello di reciproca autonomia tra i due procedimenti. Se si ritiene – come sembra corretto: v. sopra in questo par. – che la perdita di efficacia si produca ipso iure allora la pendenza del procedimento d'inefficacia non impedisce la proposizione della nuova istanza cautelare (in tal senso v. Trib. Viterbo, 9 febbraio 1996, in Dir. giur. agr., 1996, 543; contra App. Napoli, 6 ottobre 2005, in Corr. merito, 2005, 1256). Se, poi, il nuovo provvedimento cautelare interviene prima della pronuncia sull'inefficacia, quest'ultima andrebbe ugualmente emessa, posto che il futuro vincolo cautelare si fonda sul nuovo provvedimento. Sorge però il dubbio se il nuovo provvedimento, benché preceda la dichiarazione d'inefficacia del vecchio, garantisca la continuità del vincolo cautelare. La soluzione negativa sembra quella più corretta sul piano formale, perché la perdita di efficacia del primo precede l'emanazione del secondo, in più è retroattiva: ciò implica che il vincolo impresso dal primo debba cadere e le conseguenze vadano rimosse, e soltanto dopo la nuova misura possa essere attuata. Ragioni pratiche fanno tuttavia propendere per la soluzione favorevole alla continuità fra i vincoli cautelari: evita un «andirivieni» tra attività ripristinatorie e attuative; in più previene confuse dispute tra i contendenti – uno che tenta di attuare il prima possibile la nuova misura cautelare mentre l'avversario prova a sottrarre il bene prima che l'altro riesca nell'intento.

(segue) Individuazione del giudice

L'iter contenzioso richiede qualche chiarimento sull'individuazione del giudice.

Se il provvedimento cautelare è stato concesso ante causam e in prima istanza, l'ufficio giudiziario è di regola il tribunale in composizione monocratica. Il riferimento all'«ufficio giudiziario al quale appartiene», anziché semplicemente al «giudice che ha emesso il provvedimento», suggerisce che il magistrato possa essere diverso da quello che ha concesso la misura cautelare; ma nulla impedisce (anzi è auspicabile) che sia lo stesso davanti al quale si è già celebrata la fase sommaria, come ha infatti chiarito Cass., 8 settembre 2005, n. 17866.

Se la misura cautelare è stata concessa in sede di reclamo, il giudizio spetta all'organo collegiale del reclamo (v. in tal senso Trib. Monza, 7 luglio 2006, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2006) e la soluzione dovrebbe valere anche nel caso di modifica del provvedimento; mentre rimane ferma la competenza del giudice di prima istanza se quello del reclamo si è limitato a confermare il provvedimento (il punto è però controverso: v. Consolo, 331).

La lettera dell'art. 669-novies, cpv., c.p.c. stabilisce che sull'inefficacia non decida il giudice del merito – se diverso da quello che ha disposto la cautela.

In evidenza

La giurisprudenza adotta tuttavia una soluzione non allineata al dato testuale, secondo la quale il giudice del merito può essere direttamente investito del ricorso per la declaratoria di inefficacia ex art. 669 novies, comma 2, c.p.c.: così Cass., S.U., 16 luglio 2012, n. 12103, spec. p.to 6.4.

Nel caso d'inefficacia per estinzione del giudizio di merito, la decisione dovrebbe così essere consequenziale alla pronuncia sull'estinzione, secondo una tecnica in linea con quella contemplata dal successivo comma 3 (sul quale v. infra, par. 11.). Questa soluzione soddisfa un'esigenza di concentrazione ed economia processuale, che ha l'evidente vantaggio di garantire il massimo coordinamento tra la pronuncia giudiziale di rigetto in rito e la conseguente declaratoria di inefficacia della misura cautelare. Nella stessa direzione depone il fatto che, per giurisprudenza costante, l'estinzione nel procedimento ordinario davanti al giudice monocratico è sempre dichiarata con sentenza: ciò significa che (a differenza di quanto accade per l'ordinanza dell'istruttore ex art. 307, ult. comma, c.p.c.) nella grande maggioranza dei casi l'estinzione è ormai dichiarata da un giudice nel pieno esercizio dei suoi poteri decisori sull'intera materia del contendere.

L'accertamento dell'intervenuta estinzione

Nel caso d'inefficacia conseguente all'estinzione del giudizio di merito, la procedura descritta pone un complesso problema di coordinamento.

Secondo un primo indirizzo il giudice compie un accertamento autonomo sulla causa di estinzione, in via meramente incidentale al fine di pronunciare sull'inefficacia della misura cautelare: così ad es. Merlin. Per contro, altri ritengono che la dichiarazione d'inefficacia del provvedimento cautelare richieda una formale e preventiva pronuncia di estinzione del giudizio di merito. Sul dibattito v. Giordano, 1220 ss.; Carratta, 297 s.

Delle due posizioni segnalate la seconda è preferibile. Nella prospettiva dell'art. 669-novies, comma 1, c.p.c., il fatto rilevante non dovrebbe essere l'evento estintivo in sé considerato, ma il fatto che il giudizio di merito non sia approdato a una decisione sul merito. Senza contare che l'apertura di un giudizio ordinario sulla causa d'inefficacia rischia protrarsi più del tempo necessario a dichiarare l'estinzione nel giudizio di merito.

In evidenza

In questa direzione si è anche orientata Cass., sez. un., 16 luglio 2012, n. 12103, cit. spec. p.ti 4. e 6.3., secondo cui «la misura cautelare del sequestro perde efficacia per effetto della dichiarazione di estinzione del correlato giudizio di merito, senza che a tale effetto sia necessario che la pronunzia sia divenuta inoppugnabile, sì che la stessa va assunta a presupposto dei provvedimenti ripristinatori previsti dall'art. 669 c.p.c. , comma 2.» Le S.U. pongono tuttavia una riserva nel caso in cui la causa di merito si trovi in stato di quiescenza – e, aggiungiamo, allorché il giudice non si risolva a dichiarare l'estinzione d'ufficio come invece potrebbe ai sensi dell'art. 307, u.c., c.p.c. emendato dalla l. 69/2009.

La necessità di attendere la pronuncia del giudice del merito non si spinge comunque fino al passaggio in giudicato della pronuncia di estinzione. Una declaratoria di estinzione resa in primo grado, benché impugnata, giustifica la dichiarazione d'inefficacia: così sempre le S.U. n. 12103/2012, spec. p.to 8. Questa soluzione recepisce la logica dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c., che, prevedendo la provvisoria esecutività della sentenza di inefficacia, mette in conto il rischio che la parte sia liberata e il giudice dell'impugnazione dichiari poi insussistente la causa di inefficacia del provvedimento cautelare (la stessa logica la si ritrova nel successivo comma 3, che collega l'inefficacia al semplice accertamento negativo del diritto «con sentenza, anche non passata in giudicato»).

Nell'ipotesi di estinzione pronunciata dal giudice istruttore con ordinanza ex art. 307, u.c., c.p.c., bisogna poi chiedersi se l'inefficacia del provvedimento cautelare possa dichiararsi sulla sola base dell'ordinanza, anche se reclamata ai sensi dell'art. 308 c.p.c. La risposta dovrebbe essere affermativa, nonostante la perplessità dovuta al fatto che il reclamo non introduce propriamente un secondo grado di giudizio, ma un subprocedimento interno al giudizio di merito di primo grado.

Casi di absolutio ab instantia diversi dalla estinzione

Rimane da chiedersi se la disciplina dettata per l'estinzione vada estesa in via analogica agli altri casi di absolutio ab instantia; in particolare alle ipotesi in cui sono violate le regole di instaurazione del processo e il vizio non è sanabile.

Il problema non si pone per i difetti sanabili ex tunc ed effettivamente sanati, per l'assorbente ragione che essi non giustificano la perdita di efficacia della misura cautelare. La stessa considerazione dovrebbe valere per l'incompetenza: muove da questa premessa Trib. Roma, 6 ottobre 2015, in Giur. it., 2016, 1632, con nota di Girardi, per affermare che la misura cautelare può emetterla anche il giudice incompetente, prima di declinare la competenza; invece, nel senso dell'inefficacia, Carratta, 312 s. Quelli rimediabili non retroattivamente (ad esempio la nullità dell'atto introduttivo per incertezza sull'oggetto della domanda) inducono, al contrario, il dubbio che la sanatoria non soccorra nel caso probabile che il termine per l'instaurazione del giudizio di merito sia nel frattempo scaduto: in tal senso v. Consolo, art. 669 novies, 321 s. dove riferimenti.

Quanto ai vizi non sanabili tout court (ad es. difetto di giurisdizione a favore del giudice straniero) il conseguente rigetto della domanda va senz'altro incluso tra le cause d'inefficacia delle misure cautelari subordinate all'attivazione del giudizio di merito (non alle altre, salvo che il difetto sia comune all'azione cautelare, nel senso che colpisca anche i suoi elementi costitutivi). Ciò è inevitabile, quanto intuitiva la irrazionalità di una soluzione contraria, che pretendesse in questo caso di salvare il provvedimento cautelare: così infatti Cass., 23 giugno 2008, n. 17028; ma in senso contrario v. Cass., 21 agosto 2007, n. 17778.

Il problema riguarda semmai lo schema processuale applicabile. La lettera dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. affida la pronuncia d'inefficacia al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare e si riferisce esclusivamente all'estinzione del giudizio di merito. Tuttavia, il caso considerato sembra più in linea con lo schema previsto dal successivo comma 3 (su cui v. infra, par. 11.), che, pur riferito al caso di acclarata infondatezza della domanda, affida la pronuncia d'inefficacia al giudice del merito.

Che l'estinzione sia regolata dal comma 2 non è poi decisivo per estendere lo stesso modello agli altri casi di rigetto in rito, perché l'estinzione fa caso a sé. La sua attrazione allo schema dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. si spiega perché, a differenza degli altri casi di absolutio ab instantia, l'estinzione si accompagna sovente all'abbandono del processo in uno stato di quiescenza; e la parte interessata alla declaratoria di estinzione sarebbe poi costretta a riassumerlo o reiscriverlo a ruolo al solo fine di vederla pronunciare – questo almeno nel regime anteriore alla l. 69/2009, che non contemplava l'estinzione d'ufficio.

Mancato versamento della cauzione

La terza causa d'inefficacia indicata nell'art. 669-novies c.p.c. consiste nel mancato versamento della cauzione di cui all'articolo 669-undecies c.p.c.

Dell'istituto interessa l'implicito richiamo dell'art. 669-undecies c.p.c. all'art. 119 c.p.c., il quale stabilisce che, nell'imporre la cauzione, il giudice deve indicarne l'oggetto, il modo e il termine entro cui va prestata; e all'art. 86 att. c.p.c., laddove prevede che il documento contenente la prova del versamento sia inserito nel fascicolo d'ufficio.

Da queste disposizioni si ricava che l'inefficacia del provvedimento cautelare può dipendere non solo da una totale omissione del versamento, ma anche da una prestazione che nei suoi elementi essenziali non è conforme a quella indicata dal giudice. Così la cauzione versata oltre il termine stabilito (per quanto ordinatorio, anch'esso presidiato da decadenza nei limiti previsti dall'art. 154 c.p.c.); o in un importo inferiore a quello fissato dal giudice.

La prova della prestazione non assurge invece a elemento essenziale della fattispecie, quindi l'inefficacia non dovrebbe provocarla il solo fatto che la ricevuta del versamento sia depositata oltre il termine stabilito per prestare la cauzione: in questo senso v. App. Genova, 25 marzo 2002, in Giur. merito, 2003, 681 ss., con nota di Belfiore.

Se la cauzione è imposta contestualmente all'emanazione del provvedimento cautelare, il suo versamento è di solito necessario per dare attuazione alla misura, quindi condizione perché acquisti efficacia. Ma anche in questo caso il mancato versamento nel termine stabilito giustifica una declaratoria d'inefficacia: se pure il provvedimento non è mai stato attuato – come giustamente osserva Merlin, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, in Tarzia-Saletti (a cura di) Il processo cautelare, Padova, 2011, 452 – la parte ha legittimo interesse a una pronuncia d'inefficacia, da intendersi qui come dichiarazione della inattitudine assoluta e definitiva del provvedimento a produrre effetti.

Accertamento negativo del diritto

L'accertamento negativo del diritto tutelato in via cautelare è la quarta causa d'inefficacia del provvedimento indicata dall'art. 669 novies c.p.c. Previsione in parte ovvia, essendo la logica conseguenza della strumentalità di tutti provvedimenti cautelari; in parte no, dove prevede che l'inefficacia consegua a un accertamento con sentenza «anche non passata in giudicato».

Il principale problema si ha nel caso di rigetto parziale della domanda. La lettera della norma suggerisce che solo il rigetto totale determini l'inefficacia; il che sembra eccessivo esattamente come la lettura opposta, che dal rigetto parziale inferisca la totale perdita di efficacia del provvedimento cautelare. Per mediare tra le due alternative, la soluzione più semplice è ammettere che il giudice del merito possa dichiarare l'inefficacia parziale della misura, sempre che la natura e l'oggetto della stessa lo consentano: così ad es. Merlin, Le cause della sopravvenuta inefficacia, cit., 457. Un'altra soluzione consiste nell'applicare in via analogica l'istituto della modifica ex art. 669-decies c.p.c.: in questo ordine di idee il rigetto parziale non determina l'inefficacia della misura, ma prima che scenda il giudicato legittima la parte a chiederne la modifica – o la revoca, se la parte rigettata prevale decisamente su quella accolta: su questa linea v. ad es. Carratta, 306 s.

Il problema peraltro non si pone per le misure cautelari che si adattano in modo automatico al rigetto parziale. E' il caso del sequestro conservativo, che si converte ex lege in pignoramento (art. 686 c.p.c.) ma nei soli limiti del titolo esecutivo, cioè della condanna contenuta nella sentenza.

Accertamento positivo del diritto

L'accertamento interamente positivo del diritto non è considerato dall'art. 669 novies c.p.c., benché a rigore sia una causa d'inefficacia speculare a quella dell'accertamento negativo.

In evidenza

Cass., 4 giugno 2008, n. 14765 ha ritenuto di colmare la lacuna facendo applicazione diretta al caso del comma 3 art. 669 novies c.p.c.

La questione in realtà è più complessa. L'accertamento positivo pone oggettivi problemi di coordinamento tra il giudizio di merito e la misura cautelare, per l'evidente ragione che la pronuncia nel giudizio di merito ha natura dichiarativa e – sovente – non basta da sola a garantire la tutela della situazione dedotta in giudizio. Sul punto vi è sostanziale convergenza in dottrina: cfr. Giordano, 1244 s.

Nel caso specifico del sequestro conservativo, il meccanismo di raccordo è espressamente affidato alla conversione automatica del sequestro in pignoramento (art. 686 c.p.c. poc'anzi citato). Questa tecnica dimostra l'importanza di un coordinamento fra tutela cautelare e accertamento positivo; dall'altro, esprime un'esigenza comune alle misure cautelari, che è quella di garantire la continuità temporale tra cautela e l'effettivo soddisfacimento del diritto accertato.

Se l'art. 686 c.p.c. è espressione di una ratio più generale, in linea di massima bisogna affermare che la misura cautelare non perde automaticamente efficacia con l'emanazione della sentenza di primo grado.

Questa conclusione vale sicuramente quando la pronuncia non ha efficacia provvisoriamente esecutiva (almeno secondo la giurisprudenza maggioritaria, riconducibile a Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4059, al netto delle critiche della dottrina): in questo senso v. App. Torino, 29 maggio 2002, in Giur. it., 2003, 1838 ss., con nota critica di Dominici. Così, a fronte del sequestro giudiziario sull'immobile, non sarebbe provvisoriamente esecutiva la sentenza di condanna a versare il prezzo della vendita perfezionata ex art. 2932 c.c., perché legata ad una controprestazione nascente dalla stessa vendita ope judicis; mentre sarebbero provvisoriamente esecutivi i capi di condanna «meramente consequenziali» alla sentenza costitutiva o di mero accertamento.

Ma lo stesso criterio s'impone anche dove l'efficacia provvisoriamente esecutiva è prevista – e tolto ovviamente il caso del sequestro conservativo. Se così non fosse, si esporrebbe il vincitore al rischio evidente di perdere o compromettere il bene oggetto della tutela nel tempo necessario a sottoporlo alla procedura esecutiva. Ad esempio, nel caso dell'azione di rivendica di un bene mobile, l'effetto del sequestro giudiziario non può cessare prima del rilascio forzato del bene ai sensi dell'art. 606 c.p.c.

Il procedimento regolato dal comma 3

La tecnica processuale comune alle ipotesi del terzo comma è stabilita nel secondo periodo dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. L'inefficacia è dichiarata con la stessa sentenza (nel senso che non occorre un'apposita istanza di parte, v. Cass., 4 settembre 2014, n. 18676); solo in subordine con ordinanza,su ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare. A differenza del procedimento delineato dal comma 2 dell'art. 669 novies c.p.c., qui non è previsto uno sviluppo contenzioso nelle forme ordinarie da definire con una sentenza ad hoc.

La ragione di questo regime è evidente nel caso di dichiarata inesistenza del diritto. Poiché questa statuizione è contenuta nella sentenza che definisce il giudizio di merito (così la prima parte dell'art. 669-novies, comma 3, c.p.c.) va esclusa l'eventualità che l'inefficacia sia dichiarata in un momento anteriore. Anche un eventuale procedimento autonomo per la dichiarazione d'inefficacia sarà necessariamente successivo all'emanazione della sentenza, sul presupposto che il giudice del merito abbia omesso di provvedervi.

La tecnica contemplata dall'art. 669-novies, comma 3, c.p.c. si attaglia inoltre alle ipotesi di rigetto «in rito» (sul punto v. sopra, par. 7.). Tolto il caso dell'estinzione, negli altri il processo non si trova in stato di quiescenza ed è normale che il giudice, dopo avere constatato l'impedimento a decidere sul merito, ne tragga le conclusioni e respinga la domanda. In tal senso v. ad es. Attardi, Le nuove disposizioni, cit., 252 s.; Carratta, 314.

Nel caso del mancato versamento della cauzione, invece, non si impone l'accertamento con sentenza; in generale l'iter del comma 3 poco si presta (v. Giordano, 1246), inducendo vari interpreti ad applicare il procedimento del comma 2 (per riferimenti v. Consolo, 329). Qui è plausibile che la pronuncia sull'inefficacia possa precedere la definizione del giudizio di merito; e che la possa rendere lo stesso giudice del merito con ordinanza, su istanza dell'interessato (così infatti Trib. Roma, 23 gennaio 1995, in Gius, 1995, 355, che fa diretta applicazione dell'art. 669-novies, comma 2, c.p.c.). In questa prospettiva il ricorso al procedimento ad hoc davanti al giudice della cautela si giustifica solo se l'istanza non è stata già proposta al giudice del merito in corso di causa.

L'incorporazione nella sentenza del provvedimento sull'inefficacia pone qualche problema sui rimedi esperibili. Se l'inefficacia della misura è dichiarata con sentenza, bisogna escludere che, in caso di acquiescenza alla statuizione sul merito, la declaratoria d'inefficacia sia autonomamente appellabile o ricorribile in cassazione. Nella pratica il problema si presenta se il giudice ha respinto parzialmente la domanda, ma ha dichiarato totalmente inefficace il provvedimento cautelare. All'esperimento delle impugnazioni ordinarie osta in tal caso la natura tecnicamente «cautelare» e non decisoria del provvedimento, che lo stesso comma 3 conferma con la possibilità di emetterlo anche in via sommaria e con ordinanza. Contro l'ordinanza e contro la statuizione «cautelare» della sentenza dovrebbe allora soccorrere il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c..

Ripristino

Oltre a far cadere i vincoli impressi dal provvedimento cautelare, la dichiarazione d'inefficacia ha valore retroattivo e comporta il ripristino dello status quo ante, come prevede espressamente l'art. 669 novies, comma 2, c.p.c. Mentre l'effetto «caducante» è automatico, quello restitutorio» richiede in molti casi il compimento di attività più o meno complesse, che spetta al giudice stabilire dando «le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente».

Le disposizioni ripristinatorie, per quanto possibile e in linea col disposto del comma 2 cit., vanno impartite con lo stesso provvedimento dichiarativo dell'inefficacia. Questa contestualità lascia aperti alcuni problemi sul rito applicabile e sui rimedi esperibili quando le contestazioni riguardino le sole misure ripristinatorie.

Se si ritiene, come sembra più corretto, che il modello a cognizione ordinaria sia funzionale al sole contestazioni sull'inefficacia del provvedimento cautelare, allora quelle limitate alle misure di ripristino non bastano a provocare l'avvio di un giudizio ordinario e vanno definite in via sommaria. Questa soluzione appare coerente con il comma 3 dell'art. 669 novies c.p.c., che prevede lo schema sommario indipendentemente dalla presenza o no di contestazioni, così implicando che esso sia sempre adeguato alla adozione delle misure ripristinatorie. Correlativamente, le censure contro la sentenza dichiarativa dell'inefficacia ex art. 669 novies, comma 2, c.p.c., ma limitate ai provvedimenti sul ripristino, saranno azionabili col reclamo cautelare e non con le impugnazioni ordinarie. Contra Consolo, 333 secondo il quale il giudizio a cognizione piena previsto dal comma 2 cit. si impone anche per le contestazioni limitate alle misure ripristinatorie. Se il giudice ha omesso di provvedere sul ripristino, bisogna poi ammettere un apposito procedimento sommario davanti al giudice che ha dichiarato l'inefficacia della misura cautelare – quindi, secondo i casi, quello che ha emesso la misura cautelare o quello investito del giudizio di merito.

In evidenza

Secondo l'opinione di gran lunga prevalente, la misura ripristinatoria ha efficacia di titolo esecutivo in senso proprio. Benché il suo contenuto sia lato sensu «speculare» a quelli del provvedimento cautelare, i suoi effetti non ricadrebbero nella disciplina dell'art. 669 duodecies c.p.c., su cui v. Attuazione dei provvedimenti cautelari: in tal senso Cass., 29 maggio 2012, n. 8564; Cass., 16 gennaio 2006, n. 712; Trib. Bologna, 26 novembre 2007, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2008; Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 367.

L'istituto della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.appare il solo rimedio utile quando non sia possibile ripristinare in tutto o in parte lo status quo ante. La sua ammissibilità nel procedimento sommario promosso per la dichiarazione d'inefficacia sembra tuttavia da escludere, soprattutto nell'ottica di limitarne al massimo lo svolgimento nelle forme ordinarie. La questione è comunque controversa: nel senso qui sostenuto v. Recchioni, Il processo cautelare, cit., 688; contra Carratta, 320.

Quanto alla possibilità di promuovere l'azione ex art. 96 c.p.c. in un autonomo giudizio ordinario, o in quello instaurato in caso di contestazione ex art. 669 novies, comma 2, c.p.c., il problema dovrebbe porsi in casi isolati; perché, di regola, il giudice del merito (il dubbio può riguardare il giudice straniero e l'arbitro) può già pronunciarsi con la sentenza che decide sul diritto. Il che fa propendere, in linea di massima, per la soluzione negativa (in senso affermativo Merlin, Le cause della sopravenuta inefficacia, cit., 473 ss.). A meno di ritenere, in via di applicazione analogica dell'art. 96, cpv., c.p.c., che la responsabilità aggravata si estenda ai casi d'inefficacia diversi dall'inesistenza del diritto, colpendo la parte che dà attuazione al provvedimento cautelare – o insiste sulla sua permanenza – quando ne è invece palese la perdita di efficacia: in questa prospettiva, un'azione autonoma ex art. 96 c.p.c. dovrebbe ammettersi.

Rimane comunque ferma la possibilità di condanna ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.c., quando la condotta consista nell'avere agito o resistito con dolo o colpa grave nel giudizio ordinario ex art. 669, novies, comma 2, c.p.c.

Lodi e sentenze straniere

Se la cognizione sul merito è devoluta al giudice straniero o ad arbitri, la sorte del provvedimento cautelare è legata alle vicende proprie di questi procedimenti e all'efficacia in Italia delle relative decisioni. La disciplina è regolata dall'art. 669-novies, ult. comma, c.p.c.Il suo n. 1 considera la mancata richiesta di exequatur della decisione nei termini perentori eventualmente previsti; il n. 2, quello dell'accertamento negativo del diritto oggetto della misura cautelare. Si aggiungono le altre cause di inefficacia previste dall'art. 669-novies, commi 1 e 3, c.p.c., espressamente richiamate nell'incipit del comma 4.

Il caso dell'accertamento negativo, di cui al n. 2, sfugge alla disciplina del precedente comma 3 ed è assoggettato alla procedura prevista dall'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. Questa discordanza, rispetto all'iter previsto in linea generale, si spiega con il fatto che al giudice straniero e all'arbitro non è consentito emettere provvedimenti su misure cautelari emesse dal giudice italiano.

Il richiamo al comma 2 (pur incorporato nel testo del n. 2 dell'art. 669-novies, ult. comma, c.p.c.) vale anche per le ipotesi del n. 1 – che tace sul procedimento da seguire – essendo un modalità adatta anche a questa ipotesi.

Il problema connesso al n. 1 cit. sta piuttosto nella difficoltà a reperire oggi (dopo le riforme dell'arbitrato ex l. n. 25/1994, e del diritto internazionale ex 218/1995) casi riconducibili al n. 1 cit. (Consolo, 327 s.). Fa eccezione il caso del sequestro conservativo: se il giudizio di merito è devoluto ad arbitri o al giudice stranieri, l'art. 156 bis att. c.p.c. stabilisce che il sequestrante deve chiedere l'exequatur a pena di decadenza entro sessanta giorni da quando l'istanza è proponibile; onde il caso ricade nella previsione dell'art. 669, u.c., c.p.c.

Il riferimento al «lodo arbitrale» va esteso alla decisione resa in arbitrato irrituale: è la logica implicazione dell'art. 669-quinquies c.p.c. nel testo modificato dalla l. 80/2005 (di conversione d.l. 35/2005), che ha esteso la tutela cautelare ai rapporti compromessi in arbitri irrituali. In questo senso v. Trib. Reggio Emilia, 21 giugno 2007, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2007.

Inefficacia del sequestro

Il sequestro conservativo e giudiziario sono sottoposti dall'art. 675 c.p.c. a una speciale causa d'inefficacia connessa alla mancata esecuzione del provvedimento entro trenta giorni dalla sua concessione. La disposizione appartiene al testo originario del codice di rito ed è rimasta invariata. Benché non sia espressamente contemplata dall'art. 669-novies c.p.c., la sua permanenza in vigore è pacifica.

La disposizione richiede che il sequestro sia «eseguito» entro il termine perentorio decorrente «dalla pronuncia». Si pone il problema di stabilire se la disposizione debba intendersi in senso letterale, nel qual caso penalizzerebbe la parte vittoriosa ponendo a suo carico i ritardi imputabili all'ufficio (ad es. della cancelleria nel comunicargli il provvedimento; dell'ufficiale giudiziario a compiere gli atti di esecuzione che gli competono); o se viceversa si imponga una interpretazione meno rigorosa della norma.

La ratio della norma, che è quella di contenere entro limiti molto rigorosi il vincolo inflitto alla parte che subisce il sequestro, induce a ritenere che il dies a quo decorra dalla data del provvedimento e non da quella eventualmente successiva in cui sia stato comunicato alla parte: v. in tal senso Corte cost., 13 giugno 1995, n. 237.

Quanto invece all'atto interruttivo del termine, usare lo stesso rigore non si concilierebbe con i parametri costituzionali di ragionevolezza dei termini perentori. Bisogna quindi ritenere che per l'interruzione del termine basti il compimento degli atti di avvio della esecuzione che incombono direttamente alla parte; e non debba tenersi conto del tempo impiegato dall'ufficio per completare l'esecuzione (in questo senso Trib. Reggio Emilia, 13 ottobre 2012, in Leggi d'Italia, Rep. online, 2012; Trib. Bari, 8 novembre 2010, in Foro it., 2011, I, 1943; a contrariis Cass., 12 giugno 2007, n. 13775) né del fatto che in prima battuta l'esito risulti infruttuoso e sia redatto verbale negativo: così Cass., 14 aprile 1999, n. 3679.

L'iter per la dichiarazione d'inefficacia va senz'altro individuato in quello previsto dal comma 2 dell'art. 669-novies c.p.c., per l'evidente l'affinità con le altre ipotesi associate a questo procedimento, essendo tutte e tre determinate dall'inerzia dell'interessato protrattasi oltre un dato termine.

Inefficacia del decreto cautelare concesso inaudita altera parte

Un'altra causa di inefficacia è contenuta nell'art. 669-sexies c.p.c. e anche questa non è contemplata dall'art. 669-novies c.p.c. Se la misura cautelare è disposta con decreto inaudita altera parte, l'art. 669-sexies c.p.c. prevede che l'udienza di comparizione si tenga entro quindici giorni e assegna al ricorrente un termine perentorio di otto giorni per notificare all'intimato il ricorso e il decreto: sul Decreto cautelare si rinvia all'apposita voce, salvo quanto si dirà appresso.

La trasgressione del termine, per la notifica di ricorso e decreto, travolge il provvedimento cautelare; salvo, forse, il caso in cui l'intimato si costituisca senza eccepire la decadenza e difendendosi nel merito: così Trib. Como, 10 maggio 2011, in Giur. merito, 2011, 2428. Stessa conseguenza deriverebbe, secondo Trib. Napoli, 11 febbraio 1993, in Giust. civ.,1993, I, 1084, dalla mancata comparizione delle parti alla prima udienza.

La trasgressione dell'altro termine, relativo alla data entro cui deve tenersi la prima udienza, dovrebbe anch'essa far cadere il decreto; ma il vizio è sanabile con la correzione della data di udienza, sempre che residui un congruo termine a comparire (in linea di principio non inferiore ai 7 giorni, che è quello minimo risultante dalla differenza tra gli altri due).

Ci si deve chiedere se il procedimento di cui all'art. 669-novies, comma 2, c.p.c. si applichi anche a questo caso, specie nella parte in cui prevede che, in caso di contestazione, si apra un procedimento (a cognizione piena) da definire con sentenza. L'accertamento compete senz'altro al giudice investito dell'azione cautelare, tuttavia la sede naturale dell'incidente è lo stesso procedimento cautelare e non un momento successivo alla sua definizione. Bisogna allora escludere l'eventualità di una causa ordinaria in caso di contestazione, perché rischierebbe di paralizzare per anni il giudizio di prima istanza, contraddicendone la stessa essenza «cautelare».

Trasferimento dell'azione civile nel processo penale

Il trasferimento dell'azione civile nel procedimento penale non provoca l'inefficacia del provvedimento cautelare. L'art. 75 c.p.p. prevede che l'iniziativa determina la rinuncia agli atti del processo civile, quindi configura una causa di estinzione del processo civile. Ma il fenomeno non può certo assimilarsi all'estinzione – per lo meno ai fini dell'art. 669-novies c.p.c. – essendo, al contrario, concepito per garantire una migliore tutela all'interessato. In tal senso v., anche per richiami, Carratta, 295 ss.

Riferimenti
  • Carratta, Inefficacia, modifica e revoca, in Carratta (dir. da), I procedimenti cautelari, Bologna, 2013, 285 ss.
  • Consolo, art. 669 novies,in Consolo (dir. da), Codice di procedura civile, Milanofiori Assago, 2013 316 ss.
  • Giordano, art. 669 novies, in Comoglio et al., Commentario del codice di procedura civile, VI, 2013, Utet, 1214 ss.
  • Merlin, Le cause della sopravvenuta inefficacia del provvedimento, in Tarzia-Saletti (a cura di) Il processo cautelare, Padova, 2011, 427 ss.
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