Inibitoria

Franco Petrolati
26 Ottobre 2016

La reazione dell'ordinamento all'atto illecito può consistere non solo nella tradizionale tutela risarcitoria, la quale si volge a compensare gli effetti conseguenti al danno ingiusto, ma anche in una tutela inibitoria, diretta ad impedire il perpetuarsi, l'aggravarsi o la reiterazione della condotta illecita.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

La reazione dell'ordinamento all'atto illecito può consistere non solo nella tradizionale tutela risarcitoria, la quale si volge a compensare gli effetti conseguenti al danno ingiusto, ma anche in una tutela inibitoria, diretta ad impedire il perpetuarsi, l'aggravarsi o la reiterazione della condotta illecita.

Una tutela ulteriore, pertanto, con funzione preventiva rispetto ad un danno probabile – e, quindi, coeva ad una situazione di pericolo già attuale – ed avente un contenuto specifico, in quanto volta ad imporre un determinato comportamento, negativo o positivo, al responsabile dell'illecito, secondo modalità idonee ad evitare per il futuro la violazione della posizione soggettiva lesa (o minacciata).

Si distingue, quindi, dalla tutela risarcitoria sia perchè non appresta una mera tutela per equivalente sia perché orientata a fronteggiare la causa – e non gli effetti - dell'illecito mediante l'imposizione di una astensione (non facere) o di una positiva specifica condotta destinata, comunque, ad esaurirsi nell'ambito della sfera patrimoniale del soggetto responsabile; presuppone, tuttavia, come si conviene ad una ordinaria sanzione civile, che un atto illecito sia già perpetrato, anche se il danno «ingiusto» può configurarsi anche solo come situazione di pericolo di un danno di maggiore gravità.

In tal senso si è pure ipotizzata in dottrina – anche a fronte della proliferazione delle fattispecie legali di inibitoria - la configurabilità di una fattispecie generale di illecito di pericolo in grado di fondare un principio di tutela inibitoria atipica delle posizioni soggettive del tutto analogo a quello invalso ex art. 2043 c.c. per la tutela risarcitoria.

Fattispecie tipiche

Le ipotesi nelle quali è riconosciuta espressamente la tutela inibitoria sono divenute nel tempo così numerose da renderne difficile una esauriente elencazione, essendosi evolute dalle originarie tutele della proprietà immobiliare e dei segni distintivi dell'impresa e della persona fino alla rimozione degli ostacoli alla piena realizzazione dell'uomo ed all'equilibrato sviluppo del mercato.

A mero titolo esemplificativo si possono ricordare, nel settore dei diritti reali, le tradizionali azioni volte a far cessare le turbative o molestie alla proprietà (negatoria: art. 949 c.c.), alla servitù (confessoria: art. 1079 c.c.) ed al possesso (manutenzione: art. 1170 c.c.), così come quella volta ad impedire immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., oltre che l'azione del creditore a cautela del bene ipotecato (art. 2813 c.c.).

Fertile terreno di germinazione delle inibitorie tipiche è costituito dalla tutela della concorrenza tra imprenditori: dalla inibizione degli atti di concorrenza sleale (art. 2599 c.c.) alla tutela preventiva in materia di ritardi nelle transazione commerciali (art.8, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231); si connette parimenti alla corretta operatività del mercato anche la più recente tutela preventiva dei consumatori rispetto alla clausole «vessatorie» utilizzate nelle condizioni generali di contratto, con legittimazione collettiva rimessa ad associazioni rappresentative dei consumatori e dei professionisti, oltre che alle camere di commercio (art. 37, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206).

Risalente è, poi, la tutela inibitoria nella materia dei diritti dei lavoratori, individuali e collettivi: dalla repressione della condotta antisindacale (art.28, l. 20 maggio 1970, n. 300) ai rimedi contro le discriminazioni di genere previste nel codice delle pari opportunità (artt. 36 e ss., d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198).

Merita, altresì, di essere senz'altro segnalata l'inibitoria prevista per tutte le controversie in materia di discriminazione - per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica, religiosi, condizione di disabilità - nell'ambito della recente semplificazione dei riti civili (art.28, d. lgs. 1 settembre 2011, n. 150).

È, inoltre, storicamente datata la tutela preventiva assicurata ai diritti di utilizzazione economica delle opere di ingegno (art. 156, l. 22 aprile 1941, n. 633) e quella all'uso del nome (artt. 7 e 9 c.c.), così come quella apprestata contro l'abusiva esposizione dell'immagine (art. 10 c.c.); i diritti di proprietà industriale sono stati, poi, tutelati attraverso inibitorie giudiziali della fabbricazione, del commercio e dell'uso delle cose costituenti violazioni di tali diritti, le quali hanno trovato di recente ampio riconoscimento nel codice della proprietà industriale (art.124, d. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30).

Il diritto alla riservatezza ha ricevuto parimenti protezione attraverso pronunce interdittive e prescrittive fondate, dapprima, su elaborazioni pretorie e, successivamente, su specifiche basi normative (art.152, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), con applicazione, da ultimo, del rito del lavoro nel quadro della semplificazione dei riti (art. 10, d.lgs. n. 150/2011).

Presupposti oggettivi

La funzione preventiva propria della tutela inibitoria è volta, di regola, a fronteggiare una lesione già perpetrata al diritto altrui: la proiezione verso il futuro consiste, quindi, nel far cessare la permanenza, la progressione o la reiterazione di tale lesione. Si possono richiamare, in tal senso, le ipotesi tipiche di reazione alle turbative della proprietà (art. 949 c.c.), del possesso (art. 1170 c.c.), della servitù (art. 1079 c.c.), della libertà ed attività sindacale (art. 28 l. n. 300/1970), così come agli atti di concorrenza sleale (art. 2599 c.c.): in tali fattispecie la tutela si esplica ordinariamente attraverso misure dirette a far cessare pregiudizi già perpetrati.

Non mancano, tuttavia, ipotesi nelle quali è sufficiente una situazione di pericolo ai fini dell'integrazione dell'illecito da fronteggiare con l'inibitoria: in tal senso appare univoca la formulazione dell'art. 156, l. n. 633/1941, in tema di diritti di utilizzazione economica dell'opere di ingegno, laddove si prevede espressamente il rimedio preventivo non solo per impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta ma anche in quanto si abbia ragione di temere la violazione dei diritti stessi; analoga formulazione è rinvenibile nell'art. 2813 c.c., avuto riguardo agli atti da cui possa derivare il perimento o il deterioramento dei beni ipotecati.

In tema di diritto alla salute, poi, la giurisprudenza ha ammesso che la tutela giudiziaria del diritto in confronto della pubblica amministrazione possa esplicarsi in via preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se, prima ancora che l'opera pubblica venga messa in esercizio nei modi previsti, sia possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione sia insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893).

Al di fuori delle fattispecie tipiche, implicanti una specifica già consumata lesione cui reagire in via inibitoria, è da ammettere, quindi, che sia sufficiente ad integrare l'atto illecito anche il rischio di un danno ipotetico ma probabile, giustificandosi l'interesse ad agire proprio in relazione alla imminenza del pregiudizio (arg. ex art. 700 c.p.c.: Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, 1982, 390 e s).

In tal senso si ritiene che il rischio specifico del danno sia di per sé idoneo ad integrare il danno ingiusto ai sensi della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. (Bianca, Diritto civile, 5, 1994, 583), rilevando di regola l'effettiva consumazione del pregiudizio solo ai fini dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria.

Presupposti soggettivi

L'illecito assunto a presupposto delle inibitorie tipiche è da intendersi in senso puramente oggettivo, in quanto la tutela apprestata prescinde dalla sussistenza del dolo o della colpa nella condotta lesiva: l'accento viene posto, infatti, sulla esigenza imprescindibile della integrità della situazione soggettiva violata o minacciata.

Le tutele inibitorie sono, del resto, proliferate nella legislazione, come si è accennato, proprio in relazione a diritti che, in quanto inerenti alla identificazione ed alla realizzazione della persona oppure coinvolgenti una serie indeterminati di soggetti (i consumatori, il mercato ecc), sono difficilmente suscettibili di idonea riparazione a posteriori mediante la tutela risarcitoria; le misure imposte con l'inibitoria sono, inoltre, volte esclusivamente ad eliminare la fonte delle lesioni, minacciate o già perpetrate, ai diritti altrui, così incidendo sul mero nesso obiettivo di causalità tra la condotta ed i relativi effetti.

Una eccezione a tale configurazione meramente oggettiva viene individuata nella manutenzione del possesso, avuto riguardo al requisito dell'animus turbandi che la dottrina e la giurisprudenza dominanti ritengono parte integrante dell'illecito fronteggiabile ex art. 1170 c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2011, n. 4279). Si tratta, tuttavia, di eccezione che sembra trovare ragionevole giustificazione nella peculiarità della posizione soggettiva da tutelare, consistente in una situazione di fatto, alla quale è pure riservata una protezione privilegiata attraverso una cognizione sommaria dell'illecito (art. 703 c.p.c.).

Contenuto

Il nomem iuris attributo all'azione (inibitoria) e le stesse formulazioni normative, laddove prevedono ordini di «cessazione» del fatto lesivo, sembrano implicare un contenuto esclusivamente negativo del dictum giudiziale, in quanto volto unicamente ad imporre un “non fare” al fine di evitare la continuazione o il ripetersi ovvero la stessa consumazione dell'illecito.

E', tuttavia, da osservare che sotto il profilo della condotta il lamentato illecito può consistete nella violazione di un obbligo di fare (ed essere, quindi, di tipo omissivo) oppure nella violazione di un obbligo di non fare ( ed essere di tipo, cioè, commissivo), talchè l'ordine giudiziale idoneo a fronteggiarlo può imporre una condotta positiva nel primo caso, negativa nel secondo (Frignani, Inibitoria (azione), in Enc. dir., XXI, 572).

Di qui la distinzione tra una inibitoria positiva ed una negativa, corrispondente a quella invalsa nel common law tra prohibitory e mandatory injunctions.

In effetti la tutela apprestata dall'azione inibitoria è volta a prevenire o por fine ad una condotta illecita ed allo scopo può in concreto rivelarsi congrua sia una prestazione positiva che una negativa ovvero una pluralità di prestazioni di fare e di non fare: si pensi, ad esempio, alle immissioni intollerabili provenienti da un'azienda, le quali possono essere evitate sia attraverso la radicale inibizione dell'attività produttiva sia attraverso l'imposizione di idonee modificazioni od innovazione agli impianti.

Il termine inibitoria si giustifica, quindi, solo in relazione alla funzione assolta dalla tutela giudiziale, quella cioè di neutralizzare la causa del fatto lesivo, ma non implica, tuttavia, alcuna tipizzazione del contenuto della pronuncia del giudice, al quale è riservata, in ultima analisi, un'ampia discrezionalità nella determinazione delle prestazioni da imporre al fine di perseguire il risultato richiesto.

Complementarità

La tutela inibitoria si caratterizza come complementare a quella risarcitoria.

Le stesse fattispecie tipiche prevedono espressamente che all'imposta cessazione del fatto lesivo si possa accompagnare il risarcimento dei danni o, comunque, la restitutio in integrum: così, a titolo esemplificativo, gli artt. 7, 10, 949, 1079, 2599 c.c., l'art. 28 l. n. 300/1970, l'art. 38 d.lgs n. 198/2006, l'art. 28 d. lgs. n. 150/11. In giurisprudenza si è altresì precisato che l'azione inibitoria ex art. 844 c.c. può essere esperita dal soggetto leso per consentire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l'azione per la responsabilità aquiliana prevista dall'art. 2043 c.c. nonché con la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c. (Cass. civ., sez. un., 15 ottobre 1998, n. 10186).

Il nesso di complementarità si giustifica, comunque, anche a prescindere dagli espliciti riscontri normativi, in ragione della diversa funzione delle due tutele: l'una, quella risarcitoria, volta alla eliminazione degli effetti perpetrati dall'illecito nella sfera giuridica del danneggiato, l'altra, inibitoria, diretta ad incidere, invece, sulla causa di tali effetti e, quindi, sulla sola sfera giuridica del responsabile.

Tale diversità di funzione evidenzia, altresì, che entrambe le tutele presuppongono, comunque, un illecito già perfezionato e che non è corretto contrapporle nel senso che l'una si rivolga al passato e l'altra al futuro : si pensi, ad esempio, quanto al risarcimento, al lucro cessante derivante da una invalidità permanente, il quale può proiettarsi lungo l'intera vita lavorativa del danneggiato.

Il nesso di complementarità è, tuttavia, del tutto eventuale in quanto l'illecito fronteggiato con l'inibitoria non integra necessariamente anche una fonte extracontrattuale di risarcimento, ben potendo il fatto contra ius inverarsi senza alcun connotato soggettivo colposo o doloso ovvero senza alcun effettivo danno economicamente valutabile: la fattispecie dell'illecito presupposto dall'inibitoria è, infatti, meno ricca di elementi costitutivi rispetto a quella dell'illecito aquiliano.

Oltre che con le sanzioni restitutorie la tutela inibitoria presenta, poi, un nesso di complementarità anche con quella di accertamento: in talune fattispecie, infatti, l'illecito da fronteggiare con l'inibitoria è stato compiuto proprio sul presupposto della esistenza di un diritto antitetico rispetta a quello fatto valere dall'attore.

Si pensi all'usurpazione del nome altrui o del segno distintivo di altra impresa, alle molestie e turbative poste in essere sul presupposto che il bene sia ovvero non sia gravato da uno ius in re aliena : pregiudiziale all'inibitoria è in tali casi la definizione del conflitto tra i diritti contrapposti fatti valere dalle parti e, quindi, il superamento della situazione di incertezza in ordine alla titolarità della situazione soggettiva in questione.

Attuazione

Obiettive difficoltà possono incontrarsi nella attuazione in via coattiva delle prestazioni imposte in via inibitoria, in quanto la violazione dell'obbligo di non fare viene fronteggiato in forma specifica solo attraverso il rimedio successivo della distruzione di ciò che è stato illecitamente compiuto (art. 2933 c.c.), mentre le prestazioni positive si presentano talvolta con connotati di infungibilità tali da renderle insuscettibili di esecuzione forzata.

In talune fattispecie si prevede, quindi, espressamente che l'inottemperanza alle misure imposte in sede giudiziale costituisce un illecito penale di carattere contravvenzionale: ad esempio, l'art. 28, comma 4, l. n. 300/1970, in tema di tutela della libertà sindacale, rinvia in tal senso all'art. 650 c.p.; l'art. 38, comma 4, d.lgs. n. 198/2006, in materia di contrasto alle discriminazioni, prevede, invece, una autonoma contravvenzione.

L'ausilio della sanzione penale non appare, tuttavia, dotato di idonea efficacia dissuasiva, tenuto conto anche della modestia della gravità del reato.

Ulteriore sollecitazione indiretta all'adempimento viene introdotta in talune fattispecie attraverso la tecnica delle astreintedel diritto francese, prevendendosi la possibilità che il giudice possa imporre il pagamento di una somma per ogni ulteriore violazione del diritto o ritardo nell'esecuzione delle misure adottate: così, a titolo esemplificativo, l'art. 124, comma 2, d. lgs. n. 30/2005, in tema di proprietà industriale, e l'art. 163, comma 2, l. n. 633/1941, a tutela del diritto di utilizzazione economica dell'opera di ingegno.

Tale tecnica è stata, come noto, generalizzata per l'attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare imposti con una pronuncia di condanna (art. 614-bis, c.p.c., applicabile ai giudizi successivi al 4 luglio 2009; per i giudizi amministrativi, in sede di ottemperanza, è, invece, applicabile l'art. 114, comma 4, lett. e, d. lgs. n. 104/2010). In giurisprudenza si è consolidato, quindi, l'assunto che con una sentenza di condanna possono essere imposte anche prestazioni non suscettibili di esecuzione forzata nelle modalità ordinarie, tenuto conto non solo della possibilità della spontanea conformazione del soggetto obbligato ma anche delle conseguenze risarcitorie che possono, comunque, derivare dalla condanna e che si incrementano ove si perpetui l'inottemperanza (Cass. civ., sez. I, 23 settembre 2011, n. 19454; in senso conforme, Cass. civ., sez. lav., 5 settembre 2014, n. 18779).

L'inibitoria, quindi, è da ricomprendere, alla stregua di tale orientamento, nel genere della tutela di condanna anche laddove sia non eseguibile, in tutto od in parte, attraverso le vie ordinarie.

Inibitoria atipica

La giurisprudenza non riconosce la vigenza di un principio generale di tutela delle posizioni soggettive attraverso l'inibitoria, la quale è ritenuta, pertanto, adottabile solo nelle materie ove sia espressamente prevista, salva la possibilità, tuttavia, all'interno di ciascun settore, dell'applicazione analogica (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1986, n 4755, ove si è applicato l'art. 2599 c.c., pur in difetto di un atto di concorrenza sleale, in relazione ad un atto comunque lesivo della sfera patrimoniale di un imprenditore).

In dottrina si è, invece, sostenuta la vigenza nel sistema di tale principio, il quale sarebbe idoneo a giustificare la tutela inibitoria al di là delle ipotesi tipiche specificamente previste nell'ordinamento.

Secondo un orientamento tale principio di tutela inibitoria atipica è desumibile dai connotati propri della tutela cautelare, suscettibile di espandersi a protezione di qualsiasi diritto minacciato da un pregiudizio imminente ex art. 700 c.p.c. e, quindi, idonea a proiettarsi anche sulla tutela definitiva da apprestare in sede di giudizio di merito (Frignani, 562 e ss.; Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 179 e ss.).

Secondo altro indirizzo, invece, la clausola generale di tutela inibitoria ha un fondamento sostanziale, deducendosi dall'art. 24 Cost. l'effettività della tutela da garantire a tutte le posizioni soggettive attive (Rapisarda e Taruffo, Inibitoria (azione), I, Diritto processuale civile, in Enc.giur.Treccani, XVIII, 9) ovvero la possibilità di una applicazione analogica delle fattispecie tipiche di inibitoria (Di Majo, La tutela civile dei diritti, III, 1993, 142).

Si è pure sostenuta, al riguardo, la configurabilità di un illecito c.d. di pericolo, oltre al tradizionale illecito c.d. di danno, nell'ambito della tutela atipica assicurata dall'art. 2043 c.c., evidenziandosi che il danno ingiusto è integrato non solo dalla effettiva lesione ma anche dalla situazione di pericolo incombente su una posizione attiva meritevole di protezione (Petrolati, Inibitoria e illecito civile di pericolo, in Foro pad., 1996, II, 26; Basilico, La denuncia di danno temuto: contributo allo studio della tutela preventiva, in Riv.dir.civ.,2005,I,39); secondo questa ricostruzione l'effettiva restitutio in integrum comprende anche il ripristino delle condizioni di sicurezza indispensabili al dispiegarsi dei diritti minacciati, sicchè l'inibitoria è, in tal senso, sussumibile nella sanzione aquiliana dell'atto illecito.

L'inibitoria atipica ex art. 2043 c.c. presuppone, tuttavia, la dimostrazione anche del requisito soggettivo costituito dal dolo o dalla colpa, dal quale prescindono, come si è visto, le fattispecie tipiche.

In giurisprudenza si ammette, in effetti, in diversi campi, che anche la messa in pericolo, oltre l'effettiva lesione, dell'interesse meritevole di tutela possa giustificare la sanzione civile: così, ad esempio, in tema di concorrenza sleale (Cass. civ., sez. un., 23 novembre 1995, n.12103), impianti in situazione di condominio (Cass. civ., 25 gennaio 1995, n. 870), edifici in zone a rischio sismico (Cass. civ., 17 aprile 2009, n. 9319; Cass. civ., 20 novembre 2007, n, 24141; Cass. civ., sez. un., 28 luglio 1998, n 7396).

Casistica

CASISTICA

Diritto alla salute ed opera pubblica

La tutela giudiziaria del diritto alla salute in confronto della pubblica amministrazione può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se, prima ancora che l'opera pubblica venga messa in esercizio nei modi previsti, sia possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione è insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio (nella specie, l'ENEL era stato autorizzato a costruire un elettrodotto a distanza di circa 30 metri da un'abitazione, il cui proprietario chiese che fosse accertata la pericolosità dell'opera ed il danno derivante alla salute per l'esposizione ai campi elettromagnetici, con conseguente risarcimento del danno costituito dalla diminuita abitabilità dell'immobile (Cass. civ., sez. I, 27 luglio 2000, n. 9893)

Immissioni intollerabili: cumulo con le domande di risarcimento del danno per equivalente ed in forma specifica

L'azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l'eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale, a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l'illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare. L'azione inibitoria ex art. 844 c.c. può essere esperita dal soggetto leso per consentire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l'azione per la responsabilità aquiliana prevista dall'art. 2043 c.c. nonché con la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c. (Cass. civ., sez. un., 15 ottobre 1998, n. 10186)

Repressione della concorrenza sleale: applicazione analogica

In relazione a comportamenti antigiuridici atti a protrarsi nel tempo, l'esperibilità dell'azione inibitoria, rivolta cioè a conseguire una pronuncia del giudice che precluda la prosecuzione dei comportamenti medesimi, non configura espressione di un principio generale dell'ordinamento, e può essere riconosciuta soltanto nelle materia in cui è specificamente contemplata dalla legge. Peraltro, nell'ambito di tali materie, deve ammettersi la possibilità di una applicazione analogica della norma che preveda l'inibitoria (art. 12, comma 2, disp. prel. c.c.), con riguardo a casi simili, per i quali non si giustificherebbe una deteriore tutela del soggetto a fronte del probabile ripetersi del fatto dannoso. Pertanto, nella ipotesi di comportamento lesivo della sfera patrimoniale dello imprenditore, il quale, pur difettando dei requisiti per essere qualificato come atto di concorrenza sleale, integri un illecito aquiliano, deve ritenersi esperibile l'indicata azione, facendo applicazione per analogia dell'art. 2599 c. c. in tema di concorrenza sleale (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1986, n. 4755)

Prescrizioni edilizie antisismiche

L'inosservanza delle norme antisismiche comporta il diritto alla riduzione in pristino non solo quando sia accertata una concreta lesione dell'integrità materiale del bene immobile ma anche se vi sia una situazione di pericolo attuale da valutarsi non in relazione allo stato asismico ma in considerazione della possibilità sempre incombente a causa della conformazione del suolo, di un movimento tellurico, trattandosi di una normativa avente ad oggetto prescrizioni tecniche volte a prevenire, in una situazione d'immanenza del pericolo, le conseguenze dannose di un eventuale sisma (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2007, n. 24141)

Sommario