Interrogatorio formale

Alessandro Farolfi
21 Marzo 2016

L'interrogatorio formale è una tipica prova costituenda, destinata cioè a formarsi nel processo e nel contraddittorio con la controparte. Con tutta probabilità, anzi, si tratta della prova affidata al contraddittorio per antonomasia, in quanto la sua funzione peculiare è rivolta a provocare la confessione giudiziale della controparte.
Inquadramento

L'interrogatorio formale è una tipica prova costituenda, destinata cioè a formarsi nel processo e nel contraddittorio con la controparte. Con tutta probabilità, anzi, si tratta della prova affidata al contraddittorio per antonomasia, in quanto la sua funzione peculiare è rivolta a provocare la confessione giudiziale della controparte. Tale inequivoca finalità emerge con evidenza dall'

art. 228 c.p.c.

, secondo cui la confessione giudiziale è spontanea o provocata mediante interrogatorio formale.

Tale funzione spiega perché l'interrogatorio formale debba essere dedotto e formulato mediante articoli precisi su cui la parte è chiamata a rispondere (cfr.

art. 230, comma

1 c.p.c.

). Poiché la confessione, come si deduce dall'

art. 2740 c.c.

, è la dichiarazione che la parte fa in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla controparte, ben si comprende come gli articoli in cui l'interrogatorio consiste debbano vertere su circostanze fattuali e non su giudizi o su valutazioni e, ancora, come gli stessi debbano avere contenuto potenzialmente confessorio, cioè vertere su fatti costitutivi, impeditivi od estintivi dei diritti della parte dichiarante di cui si discute nello specifico processo in cui il mezzo di prova è dedotto.

Poiché la confessione giudiziale implica la disposizione processuale del diritto, si deve ritenere che l'interrogatorio formale non possa vertere su diritti indisponibili.

In evidenza

L'interrogatorio formale, nella pratica chiamato anche interpello, è il mezzo di prova rivolto a provocare la confessione giudiziale della controparte.

Si tratta, pertanto, di una prova costituenda che verte su fatti specifici la cui affermazione di verità è sfavorevole al dichiarante e favorevole alla controparte. Si differenzia dall'interrogatorio libero, che ha la diversa finalità di ottenere chiarimenti dalle parti e tentare la conciliazione giudiziale, tanto che l'

art. 229 c.p.c.

– anche al fine di ottenere una partecipazione collaborativa e non puramente nominale delle parti - ricorda che la confessione spontanea non può essere provocata dall'interrogatorio libero,

ex

art. 117 c.p.c.

.

Differenze con l'interrogatorio libero

Se la funzione dell'interrogatorio formale è quella di porre la controparte nel dilemma se confessare o meno, ben si evince come la funzione dell'interrogatorio libero sia del tutto diversa, alla luce dell'

art.

229 c.p.c.

, secondo cui la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell'

art.

117 c.p.c.

che regola la possibilità per il giudice di ordinare, in qualunque stato e grado del processo la comparizione delle parti per interrogarle, appunto liberamente, sui fatti della causa.

Tale disposizione va letta, infatti, in combinato disposto con il secondo comma dell'

art. 116

c.p.c.

, secondo cui le risposte date dalle parti nel corso dell'interrogatorio libero (e più in generale il contegno processuale delle parti) può essere valorizzato dal giudice come «argomento di prova». Tale valore, che rappresenta un minus rispetto alla prova piena, è evidentemente assai diverso dalla confessione, che invece rappresenta addirittura una prova legale, cioè una prova il cui valore vincolante è fissato ex lege e non soggetto al libero apprezzamento del giudice.

Evidentemente questo aspetto non rende superfluo l'esame libero delle parti e, quindi, non sminuisce l'importanza pratica di tale incombente.

  • In primo luogo, infatti, l'interrogatorio libero delle parti si collega a quanto previsto dall'

    art. 183, comma

    4 c.p.c.

    sul potere del giudice di richiedere – nel corso della prima udienza o in un'udienza apposita successiva – chiarimenti alle parti medesime.

  • In secondo luogo, il libero confronto con le parti può costituire la base per tentare una conciliazione delle stesse, secondo un dovere di collaborazione, pur nella diversità dei ruoli, che oggi l'

    art.

    185-bis c.p.c.

    ha sicuramente rafforzato anche in relazione a quanto previsto dall'art. 91, comma 1 (condanna alle spese successive al tentativo di conciliazione della parte che senza giusto motivo ha rifiutato la proposta conciliativa ed è poi risultata vittoriosa in misura non superiore alla proposta rifiutata).

  • In terzo luogo, l'interrogatorio libero pur non potendo mai dare luogo alla confessione non è privo di rilievo probatorio, potendo acquisire valenza sotto un duplice peculiare profilo:

    • Principio di non contestazione

      (il fatto esplicitamente ammesso dalla parte nel corso dell'interrogatorio libero non è «confessato», tuttavia può essere considerato «non contestato» e quindi non necessitante di essere provato dalla controparte);

    • Argomento di prova

      (le risposte date nel corso dell'interrogatorio libero non costituiscono confessione, ma possono essere valorizzate dal giudice, nell'ambito del suo prudente apprezzamento, quali «argomenti di prova» ai sensi dell'

      art. 116 c.p.c.

      ; tale rilevanza – seppur concettualmente inferiore alla prova – può assumere particolare rilievo a fini decisori, soprattutto nelle cause sottoposte a rito del lavoro: cfr.

      Cass. civ., sez. lav. , 1 ottobre 2014, n. 20736

      ).

Resta, evidentemente, una differenza di fondo: la risposta confessoria resa nel corso dell'interrogatorio formale dà luogo ad una prova legale, mentre quella resa nel corso dell'interrogatorio libero è un semplice argomento di prova, liberamente e discrezionalmente valorizzabile dal giudice.

Altra differenza connessa è quella per cui l'assunzione dell'interrogatorio formale deve avvenire secondo le modalità e nei termini stabiliti nell'apposita ordinanza di ammissione, senza potersi fare domande su fatti diversi da quelli specificamente contenuti nei capitoli ammessi, ad eccezione di quelli su cui tutte le parti concordano e che comunque appaiono utili (cfr.

art.

230 c.p.c.

), mentre l'interrogatorio libero, secondo l'aggettivazione che lo connota, si svolge senza un capitolato preciso e può consentire l'emersione di circostanze anche soltanto utili a chiarire la portata delle domande e delle eccezioni svolte e toccare fatti «secondari» o di esclusivo rilievo probatorio.

Legittimazione passiva

Legittimata passivamente a rendere l'interrogatorio formale è soltanto la parte che ha la disponibilità del diritto su cui le risposte date possono assumere valore confessorio. Pertanto si tratterà della persona fisica titolare del diritto controverso o del legale rappresentante dell'ente o società cui il medesimo diritto può essere imputato e che ne ha la capacità di disporre giuridicamente.

Quest'ultima affermazione dà luogo sovente a questioni processuali.

Un primo problema riguarda l'interpello rivolto al legale rappresentante di una società di dimensioni talmente elevate da risultare certamente prevedibile, ex ante, che lo stesso non sia a conoscenza delle circostanze fattuali in cui si è svolto il rapporto con il singolo utente (tende a negare l'ammissibilità per assenza di valore confessorio e per estraneità dei fatti alla sfera di conoscenza del dichiarante un consolidato orientamento di merito: cfr. T. Forlì, 21 gennaio 2013; T. Torino, 4 novembre 2010, T. Parma, 31 luglio 2006, tutte con riguardo a presidenti di

c.d.a.

o a.d. di istituti di credito di rilevanza nazionale; contro Cass. civ., 25 luglio 2013, n. 18079, in un caso in cui l'interrogatorio era però rivolto ad acquisire un principio di prova scritta sulla simulazione relativa di un contratto bancario, da cui la ulteriore possibile ammissibilità – a seconda dell'esito dell'interpello – della prova testimoniale, in deroga all'

art. 1417 c.c.

).

Nel caso di modifica intervenuta medio tempore del legale rappresentante, chi è il soggetto legittimato a rispondere all'interrogatorio? Secondo una giurisprudenza costante, poiché occorre la disponibilità del diritto nel momento in cui le dichiarazioni sono rese nel processo, si dovrà far riferimento a colui il quale ha la veste di legale rappresentante nel momento in cui l'interrogatorio viene reso pur se diverso dal soggetto che rivestiva tale qualità nel momento in cui i fatti controversi si sono svolti (questo diverso soggetto, ormai privo del potere rappresentativo della parte, potrà eventualmente essere indicato come teste, pur con tutte le doverose attenzioni in sede di esame e valutazione dell'attendibilità alla luce del potenziale interesse derivante dall'esito della causa).

Nel caso di intervenuto fallimento chi è il soggetto che sarà sottoposto ad interrogatorio formale? Si potrebbe pensare che con lo spossessamento derivante dall'apertura della procedura concorsuale l'unico soggetto che possa rendere l'interpello sia il curatore, che in base all'

art. 43 l.f.

sta in giudizio in luogo del fallito nelle sue controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale.

Cass. civ., 24 luglio 2015, n. 15570

ha invece chiarito che le deduzioni del curatore in un giudizio civile sono prive di valore confessorio, in quanto egli a tale fine va visto come terzo rispetto all'imprenditore fallito. Pur avendo ad oggetto il caso deciso dalla S.C. una ipotesi di giuramento decisorio dedotto in una opposizione allo stato passivo il principio è analogo e va ribadito anche per l'interrogatorio formale. Inoltre, si deve considerare che il Curatore, pur rappresentando la procedura, non ha la disponibilità del diritto in senso stretto, posto che esprimendosi la stessa attraverso un atto potenzialmente abdicativo del diritto, la dichiarazione di volontà del curatore dovrebbe comunque essere integrata attraverso le autorizzazioni richieste dall'

art.

35 l.f.

per gli atti di straordinaria amministrazione. La risposta data all'interrogatorio, per rispettare la sua funzione, deve invece potenzialmente essere tale da comportare di per sé sola, nel processo, la disposizione del diritto controverso.

Del pari, tuttavia, neppure il fallito, privato della disponibilità dei propri diritti patrimoniali e della rappresentanza anche processuale dalla sentenza di fallimento, può secondo la citata pronuncia essere chiamato a rendere interrogatorio formale sui fatti oggetto della domanda, né tanto meno gli può essere deferito il giuramento suppletorio o decisorio.

Più in generale, le dichiarazioni rese nel processo da un difensore non hanno valore confessorio, pur se costituiscono elementi probatori di libero apprezzamento da parte del giudice del merito (cfr.

Cass. civ., 7 maggio 2014, n. 9864

). Il tenore dell'atto difensivo e le dichiarazioni ivi contenute, invece, possono naturalmente acquisire un valore rilevante in relazione all'applicazione del principio di non contestazione.

Valore della mancata risposta

Secondo l'

art.

232 c.p.c.

, la mancata partecipazione o la mancata riposta senza giustificato motivo della parte cui l'interrogatorio è rivolto consente al giudice, valutato ogni altro elemento di prova, di ritenere come ammessi i fatti oggetto del mezzo istruttorio.

Va notato che l'attuale testo normativo supera quanto prevedeva l'art. 218 del codice del 1865, nel quale la mancata risposta era equiparata sic et simpliciter ad una ficta confessio («quando la parte non comparisca, o ricusi di rispondere, si hanno come ammessi i fatti dedotti, salvo che giustifichi un impedimento legittimo»).

Il fatto su cui la parte non ha risposto può essere ritenuto come ammesso, nell'attuale ordinamento processuale, soltanto attraverso una valutazione comparativa, anche sintetica, con il restante materiale probatorio. Pertanto, tecnicamente, il valore probatorio della mancata risposta all'interpello non è quello di una confessione: non si tratta di una prova legale, ma di un risultato probatorio liberamente valutabile dal giudice in relazione agli esiti – concordanti o meno – degli ulteriori elementi di prova comunque acquisiti al processo.

Va notato che alla mancata risposta occorre equiparare i contegni reticenti tenuti dalla parte nel corso dell'interrogatorio (cfr.

Cass. civ., 31 marzo 2010, n. 7783

).

Orientamenti a confronto

LA MANCATA RISPOSTA ALL'INTERPELLO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

La mancata risposta impone al giudice di ritenere ammessi i fatti indicati nella memoria su cui l'interrogatorio formale ammesso doveva svolgersi (tesi minoritaria)

Trib. Massa, 1 ottobre 2015

La mancata risposta può essere valorizzata come un argomento di prova utilizzabile in relazione a qualunque altro elemento, comprensivo della condotta processuale consistita nel non aver dedotto sul punto alcuna prova contraria (tesi intermedia)

Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2014, n. 25642

La mancata risposta può essere utilizzata quale argomento di prova o presunzione semplice a favore della parte che ha dedotto l'interrogatorio formale soltanto in relazione alle altre prove acquisite, per cui la mancata valorizzazione, rientrando nel potere discrezionale del giudice, non è suscettibile di censure di legittimità (tesi maggioritaria)

Cass. civ., sez. IV, 19 settembre 2014, n. 19833

La possibilità di operare una completa equiparazione fra mancata risposta all'interrogatorio formale e confessione sconta una tradizionale avversione dell'ordinamento italiano a valutare la contumacia in senso sfavorevole alla parte rimasta inerte. Così, proprio partendo da tale principio, oltre che per eccesso del legislatore delegato rispetto alla norma delegante,

C. Cost. 12 ottobre 2007, n. 340

aveva ritenuto costituzionalmente illegittima la disposizione dell'

art. 13 c

o. 2 d

.lgs. n. 5/2003

(sul c.d. rito societario). Lo stesso

art. 548 c.p.c.

, ancora recentemente modificato dal

D.l

. n. 83/2015

convertito con mod. in l

. n. 132/2015

, consente di ritenere «non contestato» il debito o l'obbligo di consegna di beni determinati da parte del terzo pignorato che non compia la prevista dichiarazione o non compaia in udienza, ma per maggior tutela del contraddittorio, soltanto a seguito della reiterazione dell'udienza e della notifica ivi previste seguite dal medesimo contegno inerte del terzo pignorato. Pur essendo evidente che la non contestazione è diversa dalla confessione, posto che la prima non è una nuova prova legale, ma opera come relevatio ab onere probandi rispetto al fatto non specificamente contestato, si tratta di un passo avanti rispetto alla tradizione che anticipa, forse, possibili futuri sviluppi volti ad equiparare la contumacia (non con la ficta confessio ma) alla non contestazione. In questo senso, ad es. la relazione conclusiva della Commissione Vaccarella, resa in data 3 dicembre 2013.

Allo stato attuale, però, le conseguenze di cui all'

art. 232 c.p.c.

non operano automaticamente per la parte contumace.

Rispetto ad essa, pertanto, occorre provvedere alla notificazione dell'ordinanza che ammette l'interrogatorio formale (cfr. art. 292 c.p.c.

) e soltanto in caso di corretta esecuzione di tale adempimento il successivo contegno inerte del contumace potrà assumere valore probatorio sfavorevole. La notificazione dell'ordinanza, infatti, vale appunto allo scopo di rendere edotto il contumace delle gravi possibili conseguenze che la sua mancata presentazione potranno produrre e che, appunto, sono ulteriori rispetto allo stato di mera contumacia.

L'interrogatorio nei processi con pluralità di parti

Il processo civile con pluralità di parti pone problematiche ulteriori rispetto alla ammissibilità dell'interrogatorio formale, nonché in relazione al valore probatorio delle dichiarazioni eventualmente rese dal rispondente.

Quanto al primo profilo, se è vero che con questo mezzo di prova si vuole provocare la confessione della controparte e se tale funzione risulta percorribile soltanto in un contesto di perfetta bilateralità (mirando infatti a provocare la dichiarazione di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli alla controparte), risulta evidente come non sia ammissibile l'interpello su fatti dibattuti fra la parte deferente ed un terzo diverso dall'interrogando. Quest'ultimo, infatti, non ha la capacità di disporre dei diritti spettanti a soggetti terzi che, conseguentemente, non possono subire l'effetto pregiudizievole della confessione contenuta nelle dichiarazioni rese da una parte estranea.

Situazione in parte diversa può verificarsi in ipotesi di litisconsorzio facoltativo (ad esempio rapporti obbligatori scindibili) in cui l'interrogatorio appare ammissibile, pur se l'effetto sfavorevole legale della confessione opererà soltanto per il dichiarante, mentre per i terzi coobbligati la dichiarazione sarà liberamente apprezzabile sotto il profilo probatorio (cfr.

art. 1305 c.c.

sugli effetti del giuramento prestato o ricusato e art. 1309 sugli effetti del riconoscimento di debito nelle obbligazioni solidali).

Ancora diverso è il caso in cui la pluralità di parti processuali sia imposta da una situazione di litisconsorzio necessario.

In proposito si deve ricordare che l'

art.

2733, ult. comma c.c.

afferma che in tale caso «la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice».

Il tema si è posto con rilievo particolare nelle cause di responsabilità da circolazione di veicoli stradali nelle quali, come noto, sussiste una ipotesi di litisconsorzio necessario fra assicurato responsabile e sua compagnia assicuratrice della R.C.A. In tale contesto può assumere una particolare rilievo il c.d. modulo «C.A.I.» firmato dai soggetti coinvolti nel sinistro stradale, che dottrina e giurisprudenza hanno finito con l'assimilare (per i fatti ivi dichiarati e rappresentati) ad una confessione stragiudiziale.

Orbene, proprio partendo dal ricordato

art. 2733, ult. comma

c.c.

,

Cass. civ., S.U., 5 maggio 2006, n. 10311

ha ritenuto l'inscindibilità delle posizioni dei due litisconsorti necessari escludendo il valore di piena prova della confessione contenuta nel citato modulo di constatazione amichevole, la quale assume soltanto la natura di elemento di prova che il giudice può liberamente apprezzare, e ciò non solo nei confronti degli altri litisconsorti (compagnia assicurativa in testa), ma anche di chi ha reso la dichiarazione.

Tale approdo è stato confermato anche da

Cass. civ., 13 luglio 2010, 16376

, ribadendo che l'accertamento dei due rapporti in cui il dichiarante è coinvolto - quello col danneggiato, sorto dal fatto illecito, e quello, di origine contrattuale, con l'assicuratore - non può che essere «unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo». Tale principio – mai più disatteso – può essere applicato mutatis mutandis anche alla confessione giudiziale provocata da interrogatorio formale da parte di uno soltanto dei litisconsorti necessari.

Contratti formali

Il tema dell'ammissibilità dell'interrogatorio formale – per la gravità degli effetti che lo stesso può produrre, sostanziandosi in una sorta di atto dispositivo del confitente – assume una particolare pregnanza nei casi di contratti formali, che richiedono cioè la forma scritta a pena di validità dell'atto.

La S.C. ha adottato al riguardo un orientamento rigoroso, che vale in particolare con riferimento alle compravendite immobiliari.

Cass. civ., 6 febbraio 2014, n. 2725

, in tema di prova della simulazione di contratti di compravendita di immobili, che come noto esigono la forma scritta ad substantiam, ha ritenuto che l'interrogatorio formale, in quanto diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito, è ammissibile anche tra le parti solo se sia rivolto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, perché in tal caso oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza della compravendita immobiliare, e non anche se il mezzo probatorio tenda a dimostrare la simulazione relativa del contratto stesso (pertanto tale mezzo deve ritenersi precluso nei non infrequenti casi in cui si discute non della vendita in sé, bensì del carattere parzialmente simulato del prezzo del bene immobile).

Proprio ricostruendo la categoria dei contratti bancari come contratti assoggettati a formalità protettiva (e non a forma scritta a pena di nullità assoluta), cioè rilevabile soltanto dal risparmiatore/cliente ai sensi dell'

art.

127 co. 2 T.U.B
.

, la già citata

Cass. civ., 25 luglio 2013, n.18079

, ha ritenuto che le limitazioni poste dal secondo comma dell'

art. 1417 c.c

.

non riguardano l'interrogatorio formale, ma sono limitate alla prova testimoniale e (ai sensi dell'

art. 2729

,

co

mma

2

c.c.

) alla prova per presunzioni.

Casistica

CASISTICA

Dichiarazione del difensore

Poiché la confessione, intesa nei termini di cui all'

art. 2730 c.c.

, è atto di parte, sia essa spontanea oppure provocata tramite interrogatorio formale, le dichiarazioni rese dal difensore, anche in giudizio, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte non hanno efficacia di confessione ma costituiscono elementi di libero apprezzamento da parte del giudice di merito (

Cass.

civ.

, sez. III, 7 maggio 2014, n. 9864

)

Confessione

La dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale, se riguardante un fatto favorevole a chi la rende, non ha natura confessoria (

Cass.

civ.

, sez. II, 8 febbraio 2013, n. 3128

)

Simulazione relativa

Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di un contratto necessitante la forma scritta ad substantiam, la dimostrazione della volontà delle parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali limitazioni legali all'ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella, più rigorosa, derivante dal disposto degli artt. 1414, comma 2, e

2725 c.c.

, di provare la sussistenza dei requisiti di sostanza e forma del contratto diverso da quello apparentemente voluto e l'esistenza di una controdichiarazione dalla quale risulti l'intento comune dei contraenti di dare vita a un contratto soggettivamente diverso da quello apparente. In tema di compravendita immobiliare, la controversia tra le parti non può essere, fatta salva l'ipotesi di smarrimento incolpevole del documento, con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio, e neppure, in assenza della controdichiarazione, tale prova può essere data con il deferimento o il riferimento del giuramento, né tanto meno mediante l'interrogatorio formale, non potendo supplire la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, alla mancanza dell'atto scritto (

Cass.

civ.

, sez. VI, 2 ottobre 2014, n. 20857

)

Mancata risposta

Ove il cliente intenda contestare la parcella del professionista, le sue obiezioni non possono essere generiche ma devono riguardare specificamente le singole voci, giacché, in caso contrario, queste dovranno ritenersi provate in fatto; inoltre, ove il cliente non risponda all'interrogatorio formale o non vi si presenti, ai sensi dell'

art. 232 c.p.c.

il Giudice potrà ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio, valutato anche ogni altro elemento di prova, ivi compreso la mancata proposizione di richieste istruttorie in senso contrario, nonostante il termine accordato in tal senso (fattispecie relativa alla disputa su una parcella dovuta ad un commercialista per l'assistenza nelle trattative di compravendita di un immobile, contestata dalla parte perche comprendente anche attività non richieste) (

Cass.

civ.

, sez. II, 4 dicembre 2014, n. 25642

)

Interrogatorio

libero

In tema di valutazione della prova, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di alcun valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, ben possono costituire il fondamento del convincimento del giudice di merito, al quale è riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimità, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza e attendibilità (

Cass.

civ.

, sez. II, 29 dicembre 2014,

n. 27407
)

Legittimazione del Curatore

Essendo le deduzioni del curatore fallimentare in un giudizio civile sono prive di qualsiasi valore confessorio, stante la sua qualità di terzo rispetto all'imprenditore fallito, è inammissibile che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il curatore possa rendere il giuramento decisorio ovvero essere sollecitato alla confessione su interrogatorio formale avente a oggetto il fatto estintivo in sé dell'obbligazione consistente in una vicenda solutoria riferibile a circostanze appartenenti a una condotta del fallito e non invece propria, non essendo il curatore titolare della prerogativa di disporre del diritto cui i fatti da confessare o su cui giurare si riferiscono (

Cass.

civ.

, sez. I, 24 luglio 2015, n. 15570

)

Processo con pluralità di parti

L'interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo diverso dall'interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, fornite dell'interrogato. Invero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. civ., 12 ottobre 2015, n. 20476)

Riferimenti

G. Grasselli, L

'istruzione probatorio nel processo civile, Cedam, 2015

R. GIORDANO, L'istruzione probatoria nel processo civile, Giuffrè, 2013

AA.VV., Codice di procedura civile commentato (a cura P. CENDON) Giuffrè, 2012

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