Intervento dei creditori iscritti
31 Maggio 2017
Inquadramento
Nella sua originaria versione, l'art. 499 c.p.c. consentiva l'intervento nell'esecuzione forzata a tutti i creditori che vantassero, nei confronti del debitore esecutato, un diritto di credito certo, liquido ed esigibile: un'ampia facoltà che trovava la propria ragione giustificatrice nell'esigenza di dare piena attuazione al principio della par condicio creditorum. La l. 14 maggio 2005, n. 80, nell'intento di contenere la durata del processo esecutivo, in particolare riducendo drasticamente le occasioni per aprire parentesi cognitive al suo interno, è intervenuta a delimitare il novero dei soggetti legittimati a intervenire identificandoli, fondamentalmente, nei soli creditori muniti di titolo esecutivo, nonché, in via eccezionale, in alcune precise categorie di creditori non titolati, tra cui, per quanto qui interessa, coloro che, al momento del pignoramento, avessero un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri – insistente sui beni pignorati, s'intende. La ratio dell'estensione della facoltà di intervento a tale categoria di creditori non titolati – che il precedente art. 498 c.p.c. qualifica nei termini di «creditori iscritti» -, risiede nell'esigenza di evitare che l'effetto purgativo connesso alla vendita forzata possa privarli della garanzia che assiste il loro credito, senza che sia loro consentito d'intervenire nel processo esecutivo: la medesima ratio, evidentemente, sottesa al menzionato art. 498 c.p.c., che impone che gli stessi siano avvisati dell'inizio dell'espropriazione. Prima di procedere nell'analisi dell'istituto, è doveroso precisare che l'intervento del creditore iscritto rappresenta una species dell'intervento del creditore non titolato: per quanto possibile, dunque, si procederà in questa sede a dar conto esclusivamente delle peculiarità che lo connotano, rinviando, per gli aspetti non espressamente affrontati, alla Bussola dedicata all'Intervento (nell'esecuzione forzata) di G. Lauropoli. La domanda di intervento del creditore iscritto
La domanda d'intervento del creditore iscritto assume la forma del ricorso, contenente l'indicazione del credito e del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. La giurisprudenza di legittimità ha escluso che l'atto di intervento possa essere spiegato anche oralmente (Cass., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3656), eccezion fatta per l'ipotesi in cui sia il cessionario del creditore, divenuto successore a titolo particolare in pendenza del processo esecutivo, a voler intervenire: egli, infatti, può farlo anche mediante semplice dichiarazione orale inserita nel processo verbale di un'udienza tenuta dal giudice dell'esecuzione, contenente la manifestazione della sua volontà di subentrare in luogo del cedente, con il ministero di un difensore, dando prova del negozio di cessione, in quanto con tale atto non si determina un ampliamento dell'oggetto dell'esecuzione (Cass., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780). Laddove si fa riferimento all'indicazione del credito, peraltro, è da ritenersi implicita la necessità, per il creditore, di far riferimento anche al diritto di pegno o al diritto di prelazione che lo assiste, e che lo legittima all'intervento: in mancanza, sarebbe impossibile per il giudice distinguere il creditore iscritto rispetto alla generalità dei creditori non titolati, ai fini di valutare l'ammissibilità della relativa iniziativa.
Tra i requisiti del ricorso, poi, specie in passato ha costituito oggetto di dibattito il riferimento, effettuato dal secondo comma dell'art. 499 c.p.c., al «titolo» del credito: in un primo momento, infatti, la giurisprudenza aveva richiesto, ai fini dell'ammissibilità dell'intervento, il possesso, in capo al creditore, di un documento che identificasse il credito nei suoi elementi essenziali, soggettivi ed oggettivi (Cass., sez. I, 26 gennaio 1987, n. 714).
La Suprema Corte, inoltre, è granitica nel riconoscere la necessità, per il creditore, di farsi assistere da un difensore: in mancanza, l'atto di intervento sarebbe da considerarsi giuridicamente inesistente in quanto assolutamente inidoneo allo scopo, ossia consentire al creditore di partecipare alla distribuzione della somma ricavata (Cass., 17 dicembre 1984, n. 6603; Cass., sez. III, 10 ottobre 2003, n. 15184; Cass., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780). Peraltro, la circolare n. 10 dell'11 maggio 2012 del Ministero della Giustizia ha chiarito come il deposito del ricorso per intervento nel processo esecutivo sia soggetto al versamento del contributo unificato. Gli effetti sostanziali della domanda di intervento
La domanda di intervento, recante istanza di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata, è equiparata, dalla giurisprudenza di legittimità, alla «domanda proposta nel corso di un giudizio», cui l'art. 2943, secondo comma, c.c., ricollega il c.d. effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione: nel dettaglio, essa è idonea ad interrompere la prescrizione sul diritto di credito dal giorno del deposito del ricorso, e a sospenderne il corso sino all'approvazione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita (Cass., sez. III, 19 dicembre 2014, n. 26292; Cass., sez. V, 12 maggio 2008, n. 11794).
Per quanto concerne il tempo dell'intervento, l'art. 499 c.p.c. prescrive che il ricorso sia depositato prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c. Peraltro, è escluso che tale norma precluda la possibilità di intervenire nell'esecuzione successivamente a tale momento, dovendosi ritenere prevalenti, su tale disciplina generale, le disposizioni speciali previste agli artt. 528 (in materia di espropriazione mobiliare presso il debitore), 551 (in materia di espropriazione presso terzi) e 566 (in materia di espropriazione immobiliare) c.p.c. (Cass., sez. III, 19 gennaio 2016, n. 774). In altri termini, l'intervento, i cui limiti temporali sono definiti dall'art. 499 c.p.c., è quello da considerarsi tempestivo, mentre quelli esplicati successivamente, lungi dall'essere preclusi, dovranno essere considerati tardivi, anche ai fini delle conseguenze previste ex lege. A tal proposito, peraltro, le tre norme da ultimo menzionate sono unanimi nel precisare che i creditori iscritti che intervengono tardivamente, concorrono comunque alla distribuzione della somma ricavata in ragione del proprio diritto di prelazione.
In particolare, con riguardo all'espropriazione immobiliare, l'art. 566 c.p.c. consente ai creditori iscritti di intervenire oltre l'udienza di autorizzazione alla vendita ex art. 564 c.p.c., purché prima di quella di audizione sul progetto di distribuzione, di cui all'art. 596 c.p.c.: in tal caso, come detto, essi concorrono alla distribuzione della somma ricavata in ragione dei loro diritti di prelazione. Durante o dopo la celebrazione dell'udienza di discussione del progetto di distribuzione del ricavato della vendita, viceversa, l'intervento è da ritenersi precluso, non essendo consentito derogare a tale regola nemmeno nel caso in cui, dopo l'approvazione del progetto di distribuzione, vengano acquisite alla procedura nuove somme di denaro ed il giudice fissi una nuova udienza per le conseguenti modifiche del progetto di distribuzione, in quanto tale udienza non solo non è necessaria, ma ha finalità meramente esecutive del progetto di distribuzione, che non può essere ridiscusso (Cass., sez. III, 8 giugno 2012, n. 9285).
Riferimenti
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