ConnessioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 31
13 Settembre 2024
Inquadramento La connessione è un fenomeno di collegamento tra «cause» diverse (artt. 33, 40 e 103 c.p.c.) o tra diverse «domande» (art. 104 c.p.c). Gli elementi comuni possono inerire tutti gli elementi costitutivi dei rapporti e riferirsi, quindi, all'oggetto o al titolo (artt. 33 e 103 c.p.c., petitum, causa petendi ) oppure ai soggetti (art. 104 c.p.c.), pur non ricorrendo l'ipotesi una vera e propria identità tra cause, fattispecie nella quale si realizza, invece, il fenomeno della litispendenza. Gli effetti della connessione si manifestano sia come cause di modificazione della competenza (artt. 33 e 40 c.p.c.) sia come occasione di riunione di più controversie in un unico procedimento (artt. 33, 40, 103 e 104 c.p.c.): entrambi i fenomeni sono strumentali al valore finale perseguito, ovvero, la realizzazione del simultaneus processus. Infatti, per favorire il cumulo di cause connesse, il legislatore, almeno nell'ipotesi in cui i nessi tra le controversie siano particolarmente stretti, prevede alcune deroghe agli ordinari criteri di competenza, dirette a consentire che un unico giudice possa conoscere di tutte le cause pur quando esse, separatamente considerate, andrebbero proposte dinanzi a diversi uffici giudiziari . Questa risulta essere la prospettiva prevalente nel codice che affronta, infatti, il tema della connessione muovendo dalle «modificazioni della competenza» che essa può determinare (si veda l'intitolazione della Sezione IV del codice di procedura civile: «Delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione» - comprensiva degli artt. 31-36 c.p.c.). Le diverse ipotesi di connessione Prendendo in considerazione, oltre ai citati art. 31-36 c.p.c., anche gli art. 103, comma 1 c.p.c. e art. 104, comma 2 c.p.c., possono distinguersi varie forme di connessione. La connessione soggettiva La connessione soggettiva (o cumulo oggettivo) contemplata dall'art. 104, comma 1 c.p.c. riguarda i soli soggetti, attivi e passivi, delle domande, le quali invece differiscono per ogni aspetto oggettivo. Essa consente di proporre «contro la stessa parte (…) nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell'articolo 10 secondo comma». L'effetto di tale connessione è dunque quello di consentire, ad iniziativa dell'attore, il cumulo di più domande in un unico processo. In questo caso vengono in rilievo esclusivamente ragioni di economia processuale e conseguentemente non è prevista alcuna deroga ai criteri ordinari di competenza. In questo caso, il simultaneo processo sarà concretamente attuabile solamente quando uno stesso ufficio giudiziario risulti competente - per materia e per territorio, anche derogabile - per tutte le cause. Quanto alla competenza per valore, opera l'art. 10 comma 2 c.p.c., espressamente richiamato nell'art. 104 c.p.c., il quale prevede che il valore complessivo della causa si determini sommando le più domande proposte dalla stessa parte contro la stessa parte. Poiché in caso di connessione meramente soggettiva il cumulo non risponde ad alcuna particolare esigenza di economia o di coordinamento logico fra le decisioni, bensì semplicemente di maggiore comodità per l'attore, essa produce la trattazione congiunta della cause solo in caso di cumulo iniziale , mentre si esclude l'applicabilità dell'art. 40 c.p.c. (riunione successiva ad opera del giudice). La connessione oggettiva (impropria e propria) Si definisce connessione (oggettiva) impropria il rapporto tra due o più cause la cui decisione «dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni» : l'art.103, comma 1, ultima parte, c.p.c. ricollega la possibilità che le cause, riguardando parti diverse, vengano in questo caso cumulate in un unico processo. L'obiettivo perseguito è quello di assicurare che le questioni comuni trovino una soluzione uniforme per le varie cause. Le domande possono essere del tutto diverse quanto a petitum e causa petendi e la loro trattazione separata non presenta alcun rischio di un vero proprio contrasto di giudicati: neppure in questo caso è prevista alcuna deroga agli ordinari criteri di competenza, sicché la realizzabilità del simultaneo processo è subordinata all'eventualità che sia individuabile uno stesso ufficio giudiziario competente per tutte le cause. La connessione oggettiva (propria) semplice (o cumulo soggettivo) è quella che deriva dalla comunanza dell'oggetto oppure del titolo dal quale dipendono le diverse domande (art. 103, comma 1,c.p.c.). In questo caso la realizzazione del simultaneo processo viene favorita attraverso una deroga ai criteri ordinari della (sola) competenza territoriale. L'art. 33 c.p.c, infatti, stabilisce che: «Le cause contro persone che a norma degli articoli 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per oggetto o per il titolo, possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse (…)». La norma sembrerebbe far riferimento ai soli fori generali (delle persone fisiche o delle persone giuridiche), sicché la giurisprudenza ritiene che la deroga non operi quando per una delle cause dovrebbe aversi riguardo ad un foro speciale esclusivo oppure per attuare il cumulo dinanzi al foro speciale applicabile a taluna soltanto di esse (Cass. civ., sez. lav., 10 agosto 2012, n.14386; Cass. civ., sez. VI, 13 ottobre 2011, n. 21192) pur ammettendosi la derogabilità del foro convenzionale esclusivo ex art. 29 c.p.c (come in Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 576 e Cass. civ., sez. VI, 5 novembre 2012, n. 18967). Generalmente si ammette, argomentando partendo dall'ultima parte dell'art. 103, comma 2 c.p.c., che la connessione oggettiva possa derogare anche alla competenza per valore. Infatti, in presenza di domande proposte contro parti diverse - non potendosi applicare l'art. 10, comma 2, c.p.c. - se ne consente il cumulo dinanzi al giudice competente per quella di maggior valore. Tuttavia. si esclude l'applicazione dell'art. 33 c.p.c. allorché la domanda proposta nei confronti di taluno dei convenuti appaia prima facie artificiosa e preordinata esclusivamente allo scopo di eludere criteri ordinari di competenza (Cass. civ., sez. VI, 21 dicembre 2010, n. 25891). Per individuare l'identità dell'oggetto deve aversi riguardo al c.d. petitum mediato, ossia al «bene della vita» di cui si chiede l'attribuzione. L'identità non va intesa in senso formale ed assoluto, ma piuttosto come equivalenza dell'obiettivo cui le diverse domande tendono: tale obiettivo sussiste anche laddove queste, pur basandosi su fatti costitutivi (in parte) diversi, mirano ad un risultato sostanzialmente coincidente (ad esempio, richiesta in via principale dell'adempimento di una determinata prestazione in base ad un contratto e, in via subordinata, per l'eventualità che il contratto sia ritenuto nullo, richiesta di pagamento di una certa somma di denaro a titolo di ingiustificato arricchimento). L'identità del titolo richiama, invece, quella del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio (ad esempio, medesimo contratto di locazione sulla base del quale si agisce per il pagamento dei canoni arretrati e per il risarcimento dei danni derivanti da deterioramento del bene locato; creditore ereditario che agisce per l'adempimento contro più coerenti, ciascuno dei quali risponde pro quota sulla base dell'unico rapporto obbligatorio). Le ipotesi di connessione c.d. qualificata (accessorietà, garanzia, accertamento incidentale, compensazione, domanda riconvenzionale) Le ipotesi di connessione oggettiva contemplate dagli art. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c sono connotate da un peculiare rapporto di subordinazione di una causa ad un'altra, inquadrabile nello schema generale della pregiudizialità- dipendenza cui corrisponde, laddove le cause non vengano trattate congiuntamente, un rischio alto di giudicato (logicamente) legato all'eventualità che l'esistenza del (medesimo) rapporto pregiudiziale venga fissato in un processo e negata nell'altro. Per ciascuna delle ipotesi contemplate - cause accessorie, cause di garanzia, accertamenti incidentali, eccezione di compensazione e cause riconvenzionali – il codice definisce gli effetti della connessione sulla competenza. L'accessorietà (art. 31 c.p.c.) Il concetto di accessorietà non viene precisato dal legislatore e va inteso in maniera piuttosto empirica: è il rapporto che intercorre tra due cause connesse oggettivamente (ma anche soggettivamente) nel senso che la decisione su una di esse (quella c.d. accessoria) dipende dalla decisione sull'altra (c. d. principale). Pertanto, si definisce accessoria la domanda che, dal punto di vista del risultato perseguito dall'attore, ha rilievo secondario rispetto alla domanda principale e il cui accoglimento è subordinato all'accoglimento di quest'ultima, da cui discende in modo automatico (domanda principale di risoluzione del contratto di compravendita o di locazione e domanda accessoria di restituzione o di rilascio del bene; domande relative al pagamento del capitale del debito e domanda concernente i relativi interessi: Cass. civ., sez. VI, 7 gennaio 2013, n.180). L'art. 31 c.p.c. stabilisce che la domanda accessoria può cumularsi a quella principale dinanzi al giudice territorialmente competente per quest'ultima. Se le domande sono proposte contro la medesima parte, il loro valore si somma ai sensi dell'art. 10, comma 2, c.p.c.; quindi, si consente che la causa accessoria sia proposta al giudice della causa principale in deroga alla competenza territoriale, ma non a quella per materia: il giudice della causa principale, competente per materia, può inoltre decidere la causa accessoria in deroga alla competenza per valore ma, viceversa, il giudice competente per valore non può decidere la causa accessoria rientrante nella competenza per materia di altro giudice . La garanzia (art. 32 c.p.c.) L'art. 32 c.p.c. si occupa delle azioni di garanzia - ossia di quelle azioni con le quali una parte fa valere il suo diritto sostanziale di essere, appunto, «garantita» da un terzo, ossia risarcita delle conseguenze della sua eventuale soccombenza – in considerazione delle possibili deroghe delle regole di competenza, non a proposito dell'intervento coatto su istanza di parte. L'opportunità che la causa introdotta dalla c.d. chiamata in garanzia sia trattata insieme alla causa principale sta nell'evidente interesse del garantito ad ottenere una pronuncia contro il garante, contemporaneamente all'eventuale (poiché altrimenti la garanzia non opererebbe) pronuncia contro di lui. Per favorire il simultaneus processus – ab initio o attraverso la chiamata in causa del garante - l'art. 32 c.p.c. stabilisce che la domanda di garanzia può proporsi al giudice (territorialmente ) competente per la domanda principale. Se il valore della causa di garanzia eccede la competenza del giudice della causa principale, quest'ultimo è tenuto ad emettere entrambe le cause al giudice superiore assegnando un termine per la loro riassunzione. La giurisprudenza prevalente ritiene che detta disciplina trovi applicazione nei soli casi di garanzia propria, ovvero allorché l'obbligo di garanzia discenda dalla legge o comunque dal medesimo rapporto giuridico sul quale si fonda la domanda principale, e non anche quando esso derivi da un diverso rapporto (garanzia impropria) (es. nelle vendite c.d. a catena). In quest'ultimo caso il cumulo di cause è ammesso, ma senza alcuna deroga rispetto agli ordinari criteri di competenza (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2007, n. 13735 e Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2007, n. 1515). Di contrario avviso la dottrina che critica la distinzione, sia perché non prevista dall'art. 32 c.p.c. sia perché la connessione tra la domanda principale e quella contro il garante nel caso di garanzia cosiddetta impropria non è dissimile da quella che caratterizza la garanzia propria in termini di pregiudizialità- dipendenza. La pregiudizialità (art. 34 c.p.c.) L'art. 34 c.p.c. allude alle questioni pregiudiziali - ossia le questioni la cui decisione condiziona quella sull'azione principale - sotto il profilo della duplice possibilità che su di esse si decida incidenter tantum oppure con efficacia di giudicato ed in quest'ultima ipotesi con possibili conseguenze sulla competenza. Non si tratta delle questioni di diritto attinenti alla sussistenza dei presupposti processuali o condizioni dell'azione, bensì quelle di merito concernenti l'esistenza o l'inesistenza di un rapporto giuridico diverso da quello oggetto del processo, che però condiziona l'esistenza di quest'ultimo. Si deve trattare:
In tale situazione, se la causa pregiudiziale appartiene alla competenza per materia o valore dello stesso giudice o di un giudice inferiore nulla quaestio. Se invece esorbita la competenza del giudice adito, quest'ultimo rimette entrambe le cause al giudice superiore, affinché comunque si realizzi il simultaneus processus dinanzi a lui. A contrario, dalla disciplina si desume che la trattazione congiunta di cause connesse per pregiudizialità-dipendenza non trova ostacolo nella diversa competenza per territorio (derogabile) prevista per le singole cause. La compensazione (art. 35 c.p.c.) L'art. 35 c.p.c. prende in considerazione una particolare questione pregiudiziale avente ad oggetto l'esistenza di un contro-credito opposto in compensazione (legale o giudiziale). Se il contro credito non è contestato dall'attore, l'eccezione di compensazione resta tale e non assumerà la natura di una questione pregiudiziale, quindi non amplierà l'oggetto del giudizio quale questione pregiudiziale né produrrà un eventuale giudizio a sé stante. In caso di contestazioni, invece, sorge una causa pregiudiziale che va a cumularsi a quella originaria sicché, se il contro credito eccede la competenza per valore del giudice adito sulla stessa, deve pronunciarsi il giudice superiore. Al giudice superiore, infatti, verrà rimessa l'intera causa ai sensi dell'art. 34 c.p.c. ovvero, se la domanda principale è fondata su titolo non controverso facilmente accertabile dal giudice, questi potrà rimettere a quello superiore la sola decisione concernente l'esistenza del contro credito, eventualmente subordinando l'esecuzione della propria sentenza di condanna alla prestazione di una cauzione . La domanda riconvenzionale (art. 36 c.p.c.) L'art. 36 c.p.c. non fornisce una definizione della domanda riconvenzionale, limitandosi a disciplinare le sole domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore e/o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. Tali domande possono essere cumulate alla domanda principale e decise nello stesso processo purché non eccedano la competenza per materia o per valore del giudice adito. Ciò avviene se, ad esempio, riprendendo il caso dell'eccezione di compensazione, il controcredito non sia contestato dall'attore, perché l'eccezione non amplia l'oggetto del giudizio. Al contrario, in caso di contestazione, sorge una causa pregiudiziale che si cumula a quella originaria e, se l'ampliamento dell'oggetto produrrà un eccesso di competenza per valore o per materia, si dovranno applicare le disposizioni degli art. 34 e 35 c.p.c. Quindi, se la domanda principale è fondata su titolo non controverso facilmente accertabile, il giudice adito potrà decidere su di esse e rimettere al giudice superiore la sola causa concernente la riconvenzionale; altrimenti gli rimetterà entrambe le cause. Cause connesse separatamente proposte davanti ad uffici giudiziari diversi Se le cause connesse vengono introdotte separatamente dinanzi ad uffici giudiziari diversi, l'art. 40 c.p.c. consente - nei casi di connessione c.d. qualificata, contemplati negli artt. 31- 36 c.p.c. - la loro trattazione congiunta. È previsto in tal caso che il giudice dichiari la connessione con ordinanza (in tal senso la innovazione della l. n. 69/2009), fissando alle parti il termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale e, negli altri casi, davanti a quello preventivamente adito. Ad astenersi della causa sarà pertanto il giudice della causa accessoria nell'ipotesi di cui all'art. 31 c.p.c. e quello adito successivamente in tutti gli altri casi. La connessione può essere eccepita da ciascuna delle parti oppure rilevata d'ufficio solamente entro la prima udienza, a pena di decadenza. Tale prima udienza deve certamente intendersi la prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c. che, a seguito della modifica operata dalla l. n. 80/2005, è la prima udienza in senso assoluto. Lo stesso giudice deve, comunque, rifiutare la dichiarazione di connessione quando «lo stato della causa principale o preventivamente proposta» non consentirebbe «l'esauriente trattazione e decisione delle cause connesse» (art. 40 , comma 2, c.p.c.). I commi 6 e 7 dell'art. 40 c.p.c., introdotti dalla l. n. 374/1991 (istitutiva del Giudice di pace), prevedono una speciale disciplina in tema di connessione fra cause di competenza del Giudice di pace e cause di competenza del Tribunale. In questo caso, nell'ipotesi di connessione qualificata, con esclusione pertanto della connessione oggettiva semplice ex art. 33 c.p.c., le domande possono essere proposte innanzi al Tribunale, con una prevalenza pertanto della competenza del giudice «togato» anche quando la competenza del giudice di pace sia determinata ratione materiae o si tratti di competenza c.d. funzionale (esclude invece che la norma possa derogare il giudice onorario alla competenza funzionale per materie, Cass. civ, 25 novembre 2010) In queste ipotesi sarà sempre il Giudice di pace - quale che sia il giudice preventivamente adito e quale che sia l'eventuale rapporto di accessorietà - ad assumere l'iniziativa, pronunziando anche d'ufficio la connessione a favore del Tribunale. Cause connesse separatamente proposte davanti allo stesso ufficio giudiziario In questo caso il simultaneus processus si realizza attraverso la riunione delle cause che è meramente facoltativa, in quanto è rimessa al giudice la possibilità di valutarne la convenienza, anche in ragione del rispettivo stato di avanzamento delle cause. Se le cause connesse pendono dinanzi allo stesso giudice (persona fisica o collegio giudicante), questi può anche d'ufficio disporne direttamente la riunione (art. 274 c.p.c.). Se le cause connesse pendono davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso Tribunale, il Giudice istruttore o il Presidente della sezione che ne abbiano notizia devono riferirne al Presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto «che le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni» (ossia per la eventuale loro riunione). La connessione di cause soggette a riti diversi e la problematica del rito prevalente L'art. 40, commi 3 e 4 c.p.c. - introdotti con la l. n. 353/1990 – mirano ad eliminare gli ostacoli che, in passato, la diversità del rito poneva alla realizzazione del cumulo delle cause connesse e stabiliscono una serie di criteri in caso di trattazione di cause cumulativamente proposte o successivamente riunite (a norma degli art. 40, comma 1 c.p.c. o art. 274 c.p.c.). La norma non riguarda tutti i casi di cumulo, ma solo le ipotesi (artt. 31, 32, 34, 35, e 36 c.p.c.) che si indicano di solito come connessione qualificata o forte o per subordinazione; tale norma, invece, non si applica all'art. 33 c.p.c., cioè al cumulo soggettivo (connessione debole o per coordinazione). In quest'ultimo caso, se il rito è diverso, le cause connesse ex art. 33 c.p.c. non possono essere trattate insieme (Cass. civ, sez. I, 8 settembre 2014, n. 18870 ha applicato detto principio, affermando che le domande di risarcimento dei danni e di separazione personale con addebito, in quanto soggette a riti diversi, non sono cumulabili nel medesimo giudizio atteso che, trattandosi di cause tra le stesse parti e connesse solo parzialmente per causa petendi, sono riconducibili alla previsione di cui all'art. 33 c.p.c.). L'articolo in esame è stato oggetto di recente intervento per effetto del d.lgs. n. 149/2022 (c.d. "Riforma Cartabia") che ha aggiunto un ulteriore periodo al comma 3. L'originaria formulazione individuava il principio generale, in base al quale tutte le cause connesse assoggettate a riti diversi dovevano essere trattate con il rito ordinario. Tale regola non valeva nell'ipotesi in cui una di queste fosse una controversia di lavoro o previdenza (v. art. 409 c.p.c. e art. 412 c.p.c.), prevalendo, in tal caso, il rito del lavoro. Il d.lgs. n. 149/2022 (c.d. "Riforma Cartabia"), ha modificato il comma 3 dell'art. 40 c.p.c., introducendo la regola della prevalenza del rito semplificato di cognizione (art. 281-decies c.p.c.) nei casi in cui si determina connessione qualificata (ai sensi degli art. 31, 32, 34, 35 e 36) tra una causa sottoposta a tale rito e una causa invece da trattarsi con rito speciale diverso da quelli di cui agli art. 409 c.p.c. e art. 422 c.p.c. La detta previsione si applica – in forza del citato d.lgs. n. 149/2022 per come modificato dalla l. n. 197/2022 (art. 35, comma 1) - a decorrere dal 28 febbraio 2023 e, quindi, ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Tale intervento risponde alla finalità di operare un coordinamento fra l'eventuale coesistenza del nuovo rito semplificato di cognizione e altri riti speciali diversi da quelli in materia lavoristica, alla luce della previsione normativa risultante dalla Riforma del 2022 che evidenzia il favor legis per l'utilizzo massivo del rito semplificato di cognizione – sempre utilizzabile nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e facoltativamente utilizzabile anche per le cause di competenza collegiale, ove non complesse. L'art. 40 c.p.c., quindi, nella attuale formulazione sancisce i seguenti principi:
In caso di eventuale violazione dei predetti criteri il giudice, perfino quando il vizio venga scoperto in appello e sempre che esso riguardi il solo rito (non la competenza), si limita a disporre il passaggio dal rito ordinario a quello speciale o viceversa. La norma esprime, pertanto, il principio generale per cui si esclude che l'errore sul rito abbia conseguenze fatali per il processo o sia, comunque, causa di nullità degli atti in esso compiuti. Riferimenti
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