Continenza

09 Giugno 2016

Il dibattito sulla complessa problematica del rapporto di continenza tra cause è stato tradizionalmente vivace in dottrina, con riguardo, innanzitutto, all'individuazione dei caratteri distintivi dell'istituto rispetto a quelli affini della litispendenza o della connessione. È noto che con il codice di procedura civile del 1940 la continenza assume una propria indipendenza strutturale e concettuale ed una propria autonoma disciplina. Il legislatore del 1940 ha espressamente contrapposto l'istituto de quo sia a quello della litispendenza che a quello della connessione. In proposito si confrontano essenzialmente due tesi: secondo la cosiddetta teoria quantitativa, la continenza viene considerata come una forma parziale di litispendenza, mentre, secondo la cosiddetta teoria qualitativa, la continenza non è altro che una sotto specie della connessione.
Inquadramento

Il dibattito sulla complessa problematica del rapporto di continenza tra cause è stato tradizionalmente vivace in dottrina, con riguardo, innanzitutto, all'individuazione dei caratteri distintivi dell'istituto rispetto a quelli affini della litispendenza o della connessione.

È noto che con il codice di procedura civile del 1940 la continenza assume una propria indipendenza strutturale e concettuale ed una propria autonoma disciplina. Il legislatore del 1940 ha espressamente contrapposto l'istituto de quo sia a quello della litispendenza che a quello della connessione. In proposito si confrontano essenzialmente due tesi: secondo la cosiddetta teoria quantitativa, la continenza viene considerata come una forma parziale di litispendenza, mentre, secondo la cosiddetta teoria qualitativa, la continenza non è altro che una sotto specie della connessione.

La difformità di opinioni in dottrina sulla natura della continenza deriva dal dettato normativo,

ex

art. 39, comma 2,

c.p.c.

nel quale manca una definizione esplicita dell'istituto. Si è determinata, così, una tale incertezza sull'argomento da consentire, in alcuni casi, di avvicinare la continenza alla previsione legislativa di cui all'

art. 40

c.p.c.

, in altri, di ritenerla un'espressione particolare di litispendenza, anche in virtù dell'articolazione strutturale dell'

art. 39

, comma 1 e 2,

c.p.c.

La quantificazione della fattispecie nel senso da ultimo indicato ad opera della letteratura dominante ha trovato fondamento non solo in ragioni di natura semantica, ma altresì in una asserita differenza quantitativa dei giudizi che, perfettamente coincidenti nei soggetti e nella causa petendi, si presenterebbero difformi esclusivamente per la maggiore o minore ampiezza del petitum, di talché tra gli stessi sarebbe possibile ravvisare un rapporto da contenente a contenuto. Il riferimento è, principalmente, a tutte le ipotesi di cumulo oggettivo ricorrente, tra l'altro, tra l'azione esperita per la declaratoria di validità di una clausola contrattuale e quella posta in essere per l'esecuzione dell'intero titolo negoziale. Tale è la nozione più ristretta di continenza.

Per converso, a voler recepire l'insegnamento giurisprudenziale incline a soluzioni più innovative, si potrebbe arrivare ad assorbire nell'ambito operativo dell'

art. 39, comma 2,

c.p.c.

anche le ipotesi di pregiudizialità logica

, ogniqualvolta sia ravvisabile un'interdipendenza tra i giudizi, derivante da un'identità solo parziale delle causae petendi (

Cass

. civ.,

sez. I, 18 marzo 2003, n. 4006

). Siffatta conclusione in materia di continenza, secondo alcuni, sarebbe speculare alla cosiddetta soluzione estensiva, prospettata in un'altra dibattuta questione sui limiti oggettivi del giudicato, la quale, appunto, ammette il formarsi di quest'ultimo non solo sul binomio pretesa-obbligo dedotto in giudizio, bensì anche sul sottostante, intero rapporto giuridico controverso. È, dunque, in ossequio al principio dell'economia processuale che la continenza va dichiarata oltre che nei giudizi collegati per l'accessorietà delle domande, anche nel caso, ad esempio di relazione tra una causa introdotta col rito ordinario ed una introdotta col rito monitorio. In termini conclusivi, il principio di inderogabile ordine pubblico processuale che è alla base dell'istituto della continenza, trova la sua integrale applicazione tutte le volte che si tratti di realizzare una economia di giudizio e sorga l'opportunità di evitare l'emanazione di sentenze contraddittorie.

In evidenza

Ai sensi dell'art. 39 c.p.c., la relazione di continenza sussiste non solo quando due cause, pendenti contemporaneamente davanti a giudici diversi, abbiano identità di soggetti e di causae petendi e differenza quantitativa di petitum (cd. continenza in senso stretto), ma anche quando vi sia una coincidenza parziale di cause petendi, ovvero qualora le questioni dedotte in una causa costituiscano il presupposto logico – giuridico necessario per la definizione dell'altra causa, o siano in tutto o in parte comuni alla decisione di entrambe, avendo le rispettive domande origine dal medesimo rapporto negoziale, risultando tra loro interdipendenti o contrapposte, cosicché la soluzione dell'una interferisce su quella dell'altra (cd. continenza per specularità), come nell'eventualità in cui una delle cause sia stata proposta per la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, con condanna della stesa al risarcimento del danno, e l'altra per l'adempimento del medesimo contratto (Cass. civ., sez. VI, 14 luglio 2011, n. 15532).

La disciplina processuale della continenza

Quando tra due cause sussiste una relazione di continenza, affinché questa operi come motivo di remissione dell'una all'esame del giudice investito dell'altra, occorre che almeno uno dei due giudici sia competente a conoscere delle due liti.

Ciò premesso, stante l'art. 39, comma 2, c.p.c., se uno solo dei giudici è competente per entrambe le cause, la continenza opera a suo favore, mentre se la competenza appartiene ad entrambi i giudici, andrà applicato il criterio della prevenzione onde individuare il giudice competente (Cass. civ., sez. III, 4 maggio 1991, n. 4921).

Sotto quest'ultimo profilo, il terzo comma dell'art. 39 c.p.c. sancisce la regola generale per la quale nei processi che iniziano con citazione, la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione e per i giudizi iniziati mediante ricorso, a seguito delle modificazioni introdotte dalla l. n. 69 del 2009, art. 45, comma 3, lett. e), dal deposito del ricorso (Cass. civ., sez. VI, 12 gennaio 2015, n. 188).

Sulla base di tale regola si ritiene comunemente che, diversamente, nei procedimenti speciali nei quali parte attrice è innanzitutto onerata di proporre ricorso dinanzi al giudice competente, la litispendenza è determinata proprio dalla proposizione del ricorso (Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 2007, n. 5699).

La continenza è rilevabile d'ufficio e può essere eccepita dalle parti in ogni stato e grado del processo.

Peraltro, la decisione con la quale viene dichiarata la continenza è una pronuncia sulla competenza anche agli effetti della sua impugnabilità col regolamento di competenza, ex art. 42 c.p.c.. Difatti, la litispendenza e la continenza, benché non integrino stricto sensu ipotesi di incompetenza, sono istituti che concorrono alla identificazione in concreto del giudice che deve decidere la causa, e pertanto, sotto questo profilo, vanno equiparate all'incompetenza, con la conseguenza che la pronuncia che si limiti a rilevare la litispendenza o la continenza può essere impugnata solo col regolamento necessario di competenza (Cass. civ., sez. I, 19 aprile 1996, n. 3750), a meno che sia stata emessa dal giudice di pace (Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2004, n. 3529) e che l'appello eventualmente proposto deve essere dichiarato inammissibile (Cass. civ., sez. lav., 28 novembre 1998, n. 12132).

Pertanto, l'ordinanza con la quale il giudice, nel disporre la prosecuzione del giudizio dinanzi a sé, pronuncia sulle eccezioni di incompetenza, quali quelle di litispendenza e continenza, contiene una statuizione sulla competenza si che, essendo equiparabile ad una sentenza, può esser impugnata con l'istanza di regolamento di competenza, a meno che non sia emessa dal giudice di pace (Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2001, n. 281).

È inoltre da tenere presente che l'accertamento del rapporto di continenza tra cause, effettuato dal giudice di merito a norma dell'art. 39, comma 2, c.p.c., non ha alcuna autonomia rispetto alla pronuncia sulla competenza, come sancito dall'art. 42 c.p.c., che prevede il rimedio esclusivo del regolamento di competenza per le decisioni che pronunciano sulla competenza «anche ai sensi degli artt. 39 e 40». Ne consegue che, ove il giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo si dichiari incompetente, senza pronunciarsi sulla legittimità del decreto ingiuntivo, sull'implicito presupposto della sufficienza dell'accertamento dell'incompetenza per continenza delle due cause e dell'estensione della propria incompetenza anche alla pronuncia di nullità del decreto, la parte ha l'onere di ricorrere con il mezzo del regolamento di competenza (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2004, n. 9898).

Il criterio della “prevenzione” nei procedimenti monitori

Tradizionalmente oggetto di dibattito in dottrina come in giurisprudenza è stata, invece, la questione relativa all'individuazione del momento entro il quale doveva considerarsi, ai fini dell'operatività del criterio di prevenzione, instaurato il giudizio monitorio.

Secondo un primo orientamento, in tema di procedimenti monitori che iniziano con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente, la pendenza della lite va determinata con riferimento alla notifica del ricorso e del conseguente decreto ingiuntivo, così come disposto dall'

art. 643

c.p.c.

, norma speciale e non soggetta a deroghe in base a principi di carattere generale. Pertanto, al fine di determinare l'eventuale spostamento di competenza per continenza di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo e di una controversia introdotta con rito ordinario, si deve fare riferimento alla data di instaurazione della lite secondo il criterio sopra indicato, ferma restando la competenza funzionale inderogabile del giudice che ha pronunciato il decreto a dichiararne la nullità (

Cass

. civ.,

sez.

I

, 2 febbraio 2006, n. 2319

). Conseguenza di tale impostazione è che qualora il decreto ingiuntivo sia notificato successivamente alla proposizione in via ordinaria di una domanda che si ponga in relazione di continenza con quella formulata in via monitoria, il giudice dell'opposizione è tenuto ad annullare l'ingiunzione ed a rimettere la parti davanti al giudice della causa preveniente e non può, invece, mantenendo in vita il decreto, procedere alla cognizione dell'opposizione, oppure sospenderla,

ex

art. 295

c.p.c.

, in attesa della decisione dell'altra controversia (

Cass

. civ.,

sez. un., 23 luglio 2001, n. 10011

).

In accordo con un diverso orientamento, invece, nel caso in cui la parte verso la quale è stato decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, sempre che la domanda di ingiunzione sia stata proposta a giudice che alla data in cui è stata presentata era competente a conoscerne (

Cass

. civ.,

sez. III, 18 marzo 2003, n. 3978

). Questa impostazione è stata avallata anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (

Cass

. civ., sez. U

., 1 ottobre 2007, n. 20596

).

Invero, secondo la più recente giurisprudenza, anche a seguito della

l. n. 69 del 2009

, nel caso di continenza tra una causa introdotta col rito ordinario ed una introdotta col rito monitorio, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito, il giudizio introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo deve ritenersi pendente alla data del deposito di quest'ultimo, trovando applicazione il criterio di cui all'ultimo comma dell'

art. 39

c.p.c.

, come modificato dalla

l. n. 69 del 2009

, senza che rilevi la circostanza che l'emissione del decreto e la sua notifica siano avvenuti successivamente, agli effetti dell'

art. 643, comma 3,

c.p.c.

(

Cass

. civ.,

sez. I, 21 settembre 2015, n. 18564

).

IL CRITERIO DELLA “PREVENZIONE” NEI PROCEDIMENTI MONITORI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Qualora tra due cause vi sia un rapporto di continenza, per individuare il giudice competente non occorre stabilire quale sia la causa contenente e quale quella contenuta, poiché il criterio da seguire è solo quello della prevenzione, sempre che il giudice preventivamente adito sia competente per la causa successivamente proposta. Pertanto, il giudice al quale è proposta l'eccezione di continenza deve prima accertare quale sia la causa preventivamente adita (ponendo a raffronto, se una delle cause sia di opposizione a decreto ingiuntivo, la data di notificazione del ricorso e del decreto, atteso che questa determina la pendenza della lite), e poi verificare se il giudice preventivamente adito sia competente, per valore, materia e territorio, anche in relazione alla causa proposta successivamente

Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2001, n. 2214

Nel caso in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l'emissione di decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che il ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare in questo senso, sempre che la domanda di ingiunzione sia stata proposta a giudice che alla data in cui è stata presentata era competente a conoscerne

Cass. civ., sez. U., 1 ottobre 2007, n. 20596; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n. 3978

Nel caso di continenza tra una causa introdotta col rito ordinario ed una introdotta col rito monitorio, ai fini dell'individuazione del giudice preventivamente adito, il giudizio introdotto con ricorso per decreto ingiuntivo deve ritenersi pendente alla data del deposito di quest'ultimo, trovando applicazione il criterio di cui all'ultimo comma dell'art. 39 c.p.c., come modificato dalla l. n. 69 del 2009, senza che rilevi la circostanza che l'emissione del decreto e la sua notifica siano avvenuti successivamente, agli effetti dell'art. 643, comma 3, c.p.c.

Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2015, n. 18564

Riferimenti

APRILE, Continenza e verifica della competenza del giudice a quo, in Riv. dir. proc., 1991, 1224 ss.;

BALBI, Connessione e continenza nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv. sez. civ., III, Torino 1988, 457 ss.;

CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, I, Roma, 1956, 256;

CARRATTA, Disorientamenti della Cassazione in tema di continenza di cause, in Resp. civ. e prev., 1997, 1115 ss.;

FABI, Continenza di cause, in Enciclopedia del diritto, IX, Milano, 1961, 649 ss.;

GARBAGNATI, In tema di effetti della connessione di cause sul procedimento di ingiunzione, in Giur. it., 1974, I, 2, 231;

LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1980, 65;

LORENZETTO PESERICO, La continenza di cause, Padova, 1992;

MERLIN, Su alcune ricorrenti questioni in tema di procedimento monitorio, continenza e azione in prevenzione del debitore, in Giur. it., 1989, I, 2, 604;

MONTELEONE, Continenza, in Enc. giur. Treccani, VIII, Roma 1988, 1 ss.;

PROTO PISANI, Appunti sulla connessione, in Dir. e giur., 1993, 1 ss.

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