Contraddittorio nel processo esecutivoFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 485
30 Marzo 2016
Inquadramento
Il processo di esecuzione è disciplinato dal libro III° del codice di procedura civile e consiste in una forma di tutela giurisdizionale che mira a realizzare coattivamente i diritti, laddove i soggetti obbligati non abbiano adempiuto spontaneamente. L'esecuzione forzata dà quindi luogo ad un processo non già volto ad accertare (come accade nel processo di cognizione, disciplinato dal libro II° del c.p.c.), bensì ad attuare quanto è già stato oggetto di accertamento e cristallizzato in un documento (il titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.) cui la legge riconosce i requisiti minimi per accedere a tale forma di tutela. La naturale funzione del processo esecutivo comporta importanti ricadute applicative circa il ruolo del giudice e le modalità con cui si realizza il contraddittorio. Il giudice dell'esecuzione, infatti, a differenza di quello del processo cognitivo, svolge un'attività giurisdizionale, diretta non ad accertare, ma a mettere in pratica l'accertamento contenuto nel titolo esecutivo. Nel contempo, il giudice dell'esecuzione svolge un'attività più marcatamente gestoria, che ha ad oggetto il bene oggetto dell'espropriazione forzata (che è quello più frequente tra i processi esecutivi). Circa il principio del contraddittorio, sancito a livello costituzionale dall'art. 111 Cost. e a livello sovranazionale dall'art. 6 CEDU, invece, la natura ontologicamente esecutiva del processo di esecuzione comporta delle forti eccentricità e deviazioni dello stesso dalle modalità con cui esso si atteggia normalmente nel processo di cognizione, considerato che i momenti di accertamento a carattere cognitorio del procedimento di esecuzione sono marginali e, al più, eventuali.
Il principio del contraddittorio (audiatur et altera pars) costituisce un principio di fondamentale importanza: implica che ciascuna parte deve essere messa in condizione di conoscere ogni richiesta e deduzione dell'altra e di poter formulare le proprie osservazioni in merito. Tale principio, dunque, assume il volto di vera e propria pietra angolare del processo civile, poiché consente a ciascuna delle parti di presentare alle altre ed al giudice gli elementi ritenuti idonei a sostenere la propria tesi, interloquendo su analoghi argomenti introdotti dalle altre parti. Non è un caso, quindi, che il principio del contraddittorio costituisca strumento di realizzazione del principio di parità delle armi (art. 3 Cost.), che presuppone che le parti siano in posizione paritetica e non sperequata, ed è espressione e meccanismo a presidio del diritto costituzionale di difesa ex art. 24 Cost. L'art. 111, comma 2, Cost., così come introdotto dalla l. cost. n. 2 del 1999, ha elevato il principio del contraddittorio a rango costituzionale, stabilendo che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti». Da ciò deriva che il principio del contraddittorio diventa parametro per la valutazione di (in)costituzionalità delle norme ove obliterino tale principio, atteggiandosi quale vero e proprio canone ermeneutico che guida l'attività del giudice.
Sin dall'introduzione del processo esecutivo, infatti, si nota come il creditore non sia tecnicamente un attore; né tantomeno il debitore può essere considerato alla stregua di un convenuto, giacché questi è in una posizione di “pati”, essendo obbligato a subire l'esecuzione di un diritto che è già stato accertato e mancando la “vocatio in ius” tipica del processo di cognizione (art. 163 c.p.c.). Tali caratteristiche comportano che nel processo esecutivo il contraddittorio tra le parti davanti al giudice non presenta la medesima modalità di realizzazione che nel processo di cognizione. Tanto si desume del resto anche dal meccanismo introduttivo del processo di esecuzione, che non tende ad instaurare immediatamente il contraddittorioattraverso la citazione del convenuto da parte dell'attore. La domanda creditoria, invece, è qui rivolta direttamente all'organo esecutivo affinché questi provveda all'esecuzione, fatti comunque salvi i poteri di controllo (ad esempio, in ordine alle condizioni per intraprendere l'esecuzione forzata) e di direttiva spettanti al giudice dell'esecuzione. Altra implicazione scaturente dalla peculiarità del processo esecutivo, dunque, sta nel fatto che il giudice dell'esecuzione è imparziale solo in un'accezione formale, cioè nella misura in cui per attuare il diritto creditorio avverso il debitore deve osservare le norme vigenti. Dal punto di vista sostanziale, invece, il processo esecutivo è tutto impostato su un ruolo diverso del giudice, il quale è chiamato ad accompagnare ed avallare la pretesa del creditore consacrata nel titolo. Nell'esecuzione forzata c'è infatti uno squilibrio tra le parti, posto che essa tende naturaliter a realizzare le ragioni del creditore nei confronti del debitore quali risultanti dal titolo. Inoltre il principio del contraddittorio è altresì temperato dal fatto che normalmente – come già rilevato – il giudice dell'esecuzione non accerta alcunché, ma si limita a dare vita ad operazioni, che si concretano in un'attività di facere, piuttosto che di ius dicere. Quanto detto non esclude però radicalmente che il giudice possa comunque essere chiamato a svolgere una funzione di accertamento, analogamente a quanto accade nel processo di cognizione. Il codice di procedura civile, infatti, non esclude la possibilità che in seno al processo esecutivo si aprano delle «parentesi cognitive», finalizzate all'accertamento del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata e/o della regolarità del procedimento esecutivo: è quanto accade nel caso di opposizione all'esecuzione ex artt. 615 e 619 c.p.c., e di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.
La circostanza per cui la funzione cui tende il processo esecutivo è quella di dare attuazione (ovverosia, esecuzione) a diritti che sono già stati oggetto di accertamento implica ulteriori conseguenze. Innanzitutto, quanto alle modalità con cui il giudice svolge il ruolo di direzione del processo esecutivo di cui all'art. 484 c.p.c.: questo si concretizza ex art. 487 c.p.c. di regola nel potere di emanare atti di natura ordinatoria, cioè ordinanze.
In secondo luogo la precipua funzione del processo esecutivo si riverbera soprattutto sulle modalità con cui ha luogo il contraddittorio e con cui, dunque, questo ha diritto di cittadinanza nel processo di esecuzione. La tendenziale assenza del contraddittorio all'interno di tale tipo di rito, infatti, ha in passato portato gran parte della dottrina a ritenere che esso fosse addirittura assente, inesistente nel processo di esecuzione, in quanto non necessario, dal momento che tale procedimento è solo volto a tradurre in pratica la volontà della legge già accertata in altra sede.
Altra soluzione, anch'essa estrema, riteneva invece indefettibile il contraddittorio nel processo esecutivo, specie in vista della tutela del debitore. Tuttavia l'opinione oggi dominante accoglie una soluzione mediana, per cui il contraddittorio è sì presente nel processo esecutivo, ma in misura attenuata e soltanto eventuale. Questa ricostruzione ha ricevuto anche il significativo avallo della Corte Costituzionale con (C. cost., 12 novembre 2002, n. 444). Secondo il Giudice delle leggi, infatti, se è vero che il principio fondamentale del contraddittorio informa anche il processo esecutivo, tuttavia va attuato in tale ambito in forma parziale (non potendo avere ad oggetto la cognizione di fatti costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato) ed attenuata (poiché si realizza in modo deformalizzato, in funzione del risultato pratico da conseguire) rispetto al modulo processuale proprio della cognizione ordinaria.
Il contraddittorio nel processo esecutivo può dunque dirsi:
Disposizione paradigmatica del modo di intendere il contraddittorio nel processo di esecuzione forzata è l'art. 485 c.p.c., che sancisce che, quando la legge lo richiede, o quando il giudice ritenga necessario che le parti ed eventualmente gli altri interessati siano sentiti, il giudice fissa con decreto l'udienza in cui le parti, ed eventualmente gli altri interessati, debbono comparire. Tale norma rivela, infatti, che il contraddittorio nel processo esecutivo è ammesso solo laddove il giudice lo consideri necessario, oppure ove vi siano disposizioni di legge che espressamente lo prevedano.
Il contraddittorio nel processo esecutivo secondo la giurisprudenza
Il contraddittorio nel processo esecutivo è dunque attenuato, debole, eventuale e particolarmente atteggiato. Alla luce di queste considerazioni la giurisprudenza di legittimità ha interpretato e risolto molteplici questioni applicative che si sono poste con riferimento al rispetto del contraddittorio nel processo esecutivo. In molteplici pronunce la Suprema Corte ha chiarito che, posto il carattere tipicamente unilaterale del processo esecutivo, la convocazione delle parti – ex art. 485 c.p.c. disposta dal giudice ove ritenuta necessaria o quando sia la legge ad imporla – avviene non già col precipuo scopo di instaurare un formale contraddittorio, ma solo in funzione del il migliore esercizio della potestà ordinataria che l'ordinamento consegna al giudice stesso. In linea con quest'assunto è Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2005, n. 1618 secondo cui, poiché nel procedimento regolato dall'art. 495 c.p.c. la comparizione delle parti è preordinata soltanto a consentire il miglior esercizio della potestà di ordine del giudice dell'esecuzione, l'omessa comunicazione al debitore del provvedimento con il quale sia stata fissata l'udienza per la sua comparizione, non cagiona di per sé la nullità degli atti esecutivi compiuti, potendo il debitore insorgere con l'opposizione al successivo atto esecutivo compiuto nei modi e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. per far valere eventuali vizi di tali atti. Né tantomeno tale principio contrasta col disposto dell'art. 82 disp. att. c.p.c., che si riferisce al rinvio delle udienze di prima comparizione ed istruzione, che non sono compatibili con la struttura e la funzione del processo esecutivo. In forza della considerazione per cui il contraddittorio non ha rilevanza solo formale nel processo esecutivo Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2006, n. 18513 ha stabilito che «il debitore dev'essere convocato per l'udienza in cui il giudice dell'esecuzione autorizza la vendita dell'immobile, ma poiché il processo esecutivo non è caratterizzato dal principio del contraddittorio, la sua omessa audizione non è, di per sé, causa di nullità del procedimento, potendo essere dedotta solo con l'opposizione agli atti esecutivi contro l'ordinanza di vendita nei casi in cui abbia influito su quest'ultima, viziandola». Nello stesso solco si pone Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2009, n. 16731, la quale ha stabilito che quando il giudice dell'esecuzione revochi un precedente provvedimento di assegnazione mobiliare senza aver prima sentito il debitore, non si verifica alcuna violazione del principio del contraddittorio, deducibile in ogni momento della procedura, potendo detta omissione solo riflettersi sul successivo atto esecutivo, contro il quale il debitore, ove lo ritenga viziato, ma non solo per il solo fatto dell'omessa sua audizione, può insorgere esclusivamente con opposizione agli atti esecutivi, nei modi e nel termini di cui all'art. 617 c.p.c. Per la Suprema Corte nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell'art. 111 Cost.) deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. Ne consegue che, non potendosi configurare un generico ed astratto diritto al contraddittorio, è inammissibile l'impugnazione di un atto dell'esecuzione con la quale si lamenti la mera lesione del contraddittorio, senza prospettare a fondamento dell'impugnazione stessa le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato l'ingiustizia del processo, causata dall'impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette. Anche a seguito delle modifiche operate in senso garantistico con le l. n. 80/2005, l. n. 263/2005 e l. n. 52/2006, infatti, resta comunque imprescindibile la posizione di soggezione del debitore a fronte dell'azione esecutiva che il creditore esercita avvalendosi di un diritto consacrato in un titolo esecutivo. In tale prospettiva, le ragioni per le quali la lesione del contraddittorio abbia comportato l'ingiustizia dell'esecuzione contestato, causata dall'impossibilità di difendersi a tutela di un proprio diritto, devono essere poste a fondamento dell'impugnazione e vanno, pertanto, tempestivamente dedotte in sede di opposizione. La giurisprudenza della Cassazione, dunque, accoglie un'interpretazione costituzionalmente orientata del contraddittorio nel processo esecutivo, che viene interpretato alla luce dei principi costituzionali del giusto processo (art. 111 Cost.) e in chiave garantista del diritto inviolabile di difesa (art. 24 Cost.) (Cass. civ., sez. VI, 24 aprile 2012, n. 6459; Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24532; Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334). Naturale precipitato di quest'impostazione diventa allora che le doglianze eventualmente sollevate da chi lamenti di non aver ricevuto la comunicazione della fissazione dell'udienza per l'audizione o, più in generale, di non essere stato messo nelle condizioni di interloquire prima dell'azione del provvedimento, sono ammissibili solo e nella misura in cui si sostanzino poi in una contestazione del merito del provvedimento. È necessario, cioè, che l'opponente individui in modo specifico le ragioni per cui la lesione del contraddittorio abbia comportato la consequenziale ingiustizia dell'atto esecutivo impugnato, pena l'inammissibilità dell'opposizione eventualmente spiegata. La giurisprudenza di legittimità accoglie così una concezione del principio del contraddittorio nell'esecuzione forzata che non è già formalistica, bensì funzionale: la relativa lesione, quindi, non può mai rilevare in sé e per sé, ma solo in quanto essa abbia comportato ulteriori ripercussioni sugli atti esecutivi, comportandone la relativa illegittimità.
Casistica
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