Controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoriaFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 409
16 Maggio 2016
Inquadramento
Alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria è dedicato il Capo II del Titolo IV del codice di rito. Ulteriori fondamentali disposizioni si rinvengono, poi, nelle disposizioni di attuazione al c.p.c., come gli artt. 152 e 152-bis, che dettano norme speciali in tema di regolamentazione di spese, diritti ed onorari nei relativi giudizi. L'individuazione della categoria è demandata alla disposizione di cui all'art. 442 c.p.c. che, con previsione ampia ed onnicomprensiva, include le controversie derivanti dall'applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari nonché ogni altra forma di previdenza ed assistenza obbligatorie. Il portato processuale dell'appartenenza al novero delle controversie assistenziali e previdenziali è rappresentato, per effetto del rinvio agli artt. 409 e ss. c.p.c., in seno al comma 1 dell'art. 442 c.p.c., dall'applicazione del rito laburistico. Purtuttavia nell'ambito del capo II il legislatore ha previsto norme derogatorie e istituti speciali, che trovano applicazione preferenziale alle controversie assistenziali e previdenziali, rispetto agli istituti ordinari o previsti nel rito del lavoro. È il caso delle condizioni di proponibilità e procedibilità della domanda previste all'art. 443 c.p.c., e dei criteri di collegamento in materia di competenza per territorio, che lasciano tuttavia spazio per una residuale applicazione dei criteri speciali di cui all'art. 413 c.p.c. e di quelli ordinari di cui all'art. 18 c.p.c., dello speciale accertamento tecnico preventivo assistenziale, di cui all'art. 445-bis c.p.c., e per le regole derogatorie in materia di spese di giustizia, dettate dagli artt. 152 e 152-bis disp. att. c.p.c..
Ambito di applicazione
All'art. 442 c.p.c. è attribuito il compito di definire l'ambito di applicazione delle «controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria» cui, per espressa previsione dei commi 1 e 2, si applica il rito laburistico previsto nell'ambito del capo I. Il primo comma individua, nell'ambito della categoria generale, le controversie derivanti dall'applicazione delle norme riguardanti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, gli assegni familiari nonché ogni altra forma di previdenza ed assistenza obbligatorie. La previsione della norma appare di chiara ampiezza ed onnicomprensività, anche in ragione della previsione di chiusura, ricomprendendo qualsiasi controversia in materia di sicurezza sociale nella quale sia coinvolto una posizione giuridica attiva o passiva, con l'unico limite in regole speciali che assegnino la controversia ad altro giudice sottoponendola a regole processuali diverse. Le controversie assoggettate, per effetto del comma 1, alle disposizioni del rito del lavoro sono quelle di previdenza ed assistenza obbligatoria esercitate da enti pubblici quali, in particolare, l'INPS e l'INAIL.
In virtù del secondo comma, rientrano nella competenza del giudice del lavoro anche le controversie relative all'inosservanza degli obblighi di assistenza e previdenza derivanti da contratti ed accordi collettivi, ancorché essi coinvolgano società assicuratrici estranee al sistema pubblicistico della previdenza e assistenza sociale, e anche se la contestazione, dedotta dal lavoratore, abbia ad oggetto l'inosservanza dell'obbligo, in capo al datore di lavoro, di versare i premi alla società assicuratrice, trattandosi di obbligo che consegue direttamente dal rapporto di lavoro - che si pone quale antecedente necessario e non occasionale della pretesa, senza che assuma rilievo l'eventuale cessazione del rapporto medesimo - e si concretizza in una prestazione periodica ed integrativa del trattamento economico pensionistico (Cass. civ., sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 4571). Esulano, viceversa, dall'ambito di applicazione della norma e sono assoggettate alle regole ordinarie di competenza e rito, le controversie relative a forme di assicurazione privata liberamente assunte in favore di determinate categorie di lavoratori, in relazione alle quali non opera il principio di automatismo delle prestazioni. L'esemplificazione casistica della giurisprudenza è particolarmente ricca. Si è affermato che rientrino nelle controversie di natura previdenziale ed assistenziale:
Si registrano, inoltre, nel novero delle controversie di natura previdenziale ed assistenziale, quelle contemplate da disposizioni speciali, come l'opposizione a cartella esattoriale per crediti contributivi, per effetto del richiamo, effettuato dall'art. 24, comma 6, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, all'art. 442, comma 1, c.p.c., che, come detto, a sua volta richiama il capo I del titolo IV del libro II del codice di rito. L'art. 35, comma 4, della legge n. 689 del 1981, in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione, dispone l'applicazione del rito del lavoro alle opposizioni emesse dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie per le violazioni consistenti nell'omissione di versamento di contributi e premi, ovvero implicanti quale conseguenza la suddetta omissione, restando esclusa l'applicazione del suddetto rito ad ipotesi diverse da quelle previste. L'art. 30 del d.l. n. 78 del 31 maggio 2011, conv. in l. n. 122/2010, ha previsto che l'attività di recupero delle somme a qualsiasi titolo dovute all'INPS si esegua mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo. L'avviso di addebito, per effetto del rinvio mobile alla disposizione di cui all'art. 24 comma 5 d.lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, può essere opposto dinanzi al giudice del lavoro entro il termine perentorio di 40 giorni dalla notifica. Al procedimento incardinato si applicheranno le disposizioni di cui all'art. 409 e ss., richiamate dall'art. 442, comma 1, c.p.c.. Fondamentale conseguenza di natura processuale dell'accertamento della natura previdenziale o assistenziale della controversia è l'applicazione del rito laburistico di cui all'art. 409 e ss. c.p.c., per effetto del richiamo contenuto nell'art. 442 al capo I del titolo IV del libro II del c.p.c., laddove non espressamente derogato dalla disciplina del capo II, regolante le specifiche controversie assistenziali e previdenziali, come nel caso delle regole di competenza per territorio, dettate dall'art. 444 c.p.c., ovvero da ulteriori disposizioni, come gli artt. 152 e 152-bis disp. att. c.p.c., in materia di spese di giustizia. L'applicabilità del rito laburistico non è, tuttavia, integrale, ma condizionata alla verifica di compatibilità dello specifico istituto processuale. Così, ad esempio, il tentativo di conciliazione previsto dall'art. 410 c.p.c. è stato ritenuto inestensibile alle controversie previdenziali in quanto incompatibile con lo specifico istituto dell'improcedibilità di cui all'art. 443 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 10 marzo 2006, n. 5311). Ulteriore, fondamentale corollario, derivante dalla classificazione della controversia alla stregua di controversia assistenziale e previdenziale, è l'esclusione della sospensione feriale dei termini ex art. 3 l. 742/1969, applicabile anche ai giudizi pendenti in Cassazione (Cass. civ., S.U., 16 gennaio 2007, n. 749 Segue: casistica
Rilevanza del procedimento amministrativo
L'art. 443 c.p.c. prevede quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa alle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie l'esaurimento dei procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa della questione devoluta, ovvero il decorso dei termini per il compimento dei procedimenti o del termine di 180 giorni dalla proposizione del ricorso amministrativo. Diversamente da analoghi meccanismi di improcedibilità (si pensi, ad esempio, a quello contemplato dall'art. 410 c.p.c.), alla constatazione dell'assenza della condizione di procedibilità non è annessa una pronuncia esiziale, essendo viceversa previsto, dai commi due e tre della disposizione, un meccanismo di sospensione del giudizio con fissazione di un termine perentorio per la presentazione del ricorso in sede amministrativa, cui dovrà seguire la riassunzione del processo sospeso, nel termine di 180 giorni dalla cessazione della causa di sospensione. Si è, tuttavia, elaborata per via giurisprudenziale, nel comune ambito applicativo dell'art. 443 c.p.c., la distinzione tra la radicale improponibilità del ricorso, per difetto di un presupposto dell'azione giudiziaria, e quella di temporanea improcedibilità dello stesso, per incompleto esperimento del procedimento amministrativo. Da un lato c'è la proposizione della domanda amministrativa, che costituisce un presupposto dell'azione giudiziaria, la mancanza del quale determina la radicale improponibilità di tale azione (e della relativa domanda). In contrario non possono trarsi argomenti dall'art. 8 l. 533/1973, che si limita a negare rilevanza ai vizi, alle preclusioni e alle decadenze verificatisi nel corso del procedimento amministrativo, o dall'art. 443 c.p.c., che - con disposizione insuscettibile d'interpretazione estensiva e adoperando (con riguardo alla fase amministrativa) il termine "ricorso" nella sua accezione propria e non coincidente con quella del termine di "domanda" - sancisce (con previsione con la quale è in sintonia la norma dell'art. 148 disp. att. c.p.c.) la semplice improcedibilità - anziché l'improponibilità - della domanda giudiziale solo per il caso del mancato esaurimento del procedimento amministrativo (iniziato con la proposizione della domanda in sede amministrativa e proseguito, dopo il mancato accoglimento di questa, con la presentazione del ricorso nella stessa sede) (cfr. al riguardo Cass. civ., sez. lav., 4 novembre 1983 n. 6526; Cass. civ., sez. lav., 11 dicembre 1995 n. 12661). In tale ottica è stato così ribadito e definitivamente affermato dalla Suprema Corte che la mancata presentazione della domanda amministrativa di prestazione previdenziale determina non già la mera improcedibilità ex art. 443 c.p.c., ma la radicale «improponibilità» della domanda giudiziale, costituendo la preventiva presentazione della domanda un presupposto dell'azione, la cui assenza determina una «temporanea carenza di giurisdizione», rilevabile anche d'ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio, senza che tale difetto possa essere sanato in relazione alla presentazione di domanda amministrativa concernente prestazione previdenziale diversa, ancorché compatibile con quella poi richiesta in sede giudiziaria (Cass. civ., sez. VI, 11 maggio 2015, n. 9504; Trib. Bologna, sez. lav., 30 novembre 2010, n. 672). Gli atti compiuti nel processo celebrato nonostante l'assenza della preventiva domanda amministrativa sono affetti da nullità a cascata (Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2014, n. 2063). È stata, tuttavia, in giurisprudenza affermata la superfluità della previa presentazione della domanda laddove l'ente sia a formale conoscenza dei presupposti della richiesta, in presenza di una pregressa domanda cui abbia fatto seguito un accertamento, e di un successivo mutamento della norma giuridica che migliori la condizione dell'assistito, posto che in questo caso l'ente, pur in mancanza di domanda amministrativa, è tenuto a provvedere d'ufficio al riconoscimento del miglior trattamento (Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 2007, n. 20892). Analogamente la domanda giudiziaria non deve essere preceduta da quella amministrativa all'ente erogatore della prestazione previdenziale quando non sia in contestazione la prestazione, ma si verta esclusivamente sull'interpretazione da fornire ad una disposizione di legge al fine di accertare la consistenza del diritto e le modalità di erogazione della prestazione (Cass. civ., sez. lav., 14 aprile 2005, n. 7710). Situazione diversa dall'omissione della previa domanda in sede amministrativa è quella del mancato esperimento del procedimento amministrativo per la composizione delle controversie in materia di previdenza ed assistenza sociale che, come visto, determina improcedibilità e sospensione del procedimento giurisdizionale in luogo della radicale improponibilità. L'eccezione di improcedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 443 c.p.c. non può, tuttavia, essere sollevata né rilevata dopo la prima udienza di discussione, restandone automaticamente sanata (Trib. Trieste, 14 marzo 2013). Pertanto, ove l'improcedibilità, ancorché segnalata, non venga rilevata dal giudice entro detto termine e non sia stato fissato il termine perentorio per la proposizione del ricorso in sede amministrativa, l'azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli art. 24 e 111, comma 2, Cost., e la questione stessa non può essere riproposta nei successivi gradi del giudizio (Cass. civ., sez. lav., 19 luglio 2004, n. 13394). Il comma 2 dell'art. 443 c.p.c. dispone che il giudice, se rileva l'improcedibilità della domanda, sospende il giudizio e fissa all'attore un termine "perentorio" di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede amministrativa. La perentorietà del termine suddetto sta ad indicare che, ove l'atto non venga compiuto in quel determinato tempo, si verifica una situazione di decadenza che impedisce qualsiasi altra attività e la possibilità di nuovo esame della domanda, con conseguente situazione di esaurimento dell'azione giudiziaria. La norma di cui all'art. 443 c.p.c. non attribuisce, tuttavia, al giudice alcuna discrezionalità nel valutare l'opportunità in termini di possibile utilità dell'esaurimento dei procedimenti amministrativi (Trib. Milano, 15 febbraio 2013, n. 443). La previa proposizione di ricorso o domanda amministrativa espleta effetti sostanziali, oltre che processuali. L'elasso del termine prescrizionale è, difatti, sospeso oltre che durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto sulla richiesta, anche durante il tempo di formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo condizionante la procedibilità della domanda giudiziale exart. 443 c.p.c., essendo ancora valido il principio di equità del processo ed effettività della tutela giurisdizionale, per cui il decorso del termine di prescrizione è sospeso durante il tempo di attesa incolpevole (Cass. civ., SU, 6 aprile 2012, n. 5572). Nella valutazione della ragionevole durata di una controversia previdenziale non si deve tener conto dei tempi occorrenti per lo svolgimento della fase amministrativa richiesta ai sensi dell'art. 443 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2004, n. 5386).
Il giudice competente
La disposizione immediatamente successiva introduce la regola fondamentale di competenza funzionale per le controversie in materia di previdenza ed assistenza prevedendo, al primo comma, la competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la residenza l'attore ovvero, nel caso di residenza all'estero o di azione proposta dagli eredi, nella cui circoscrizione aveva l'ultima residenza. Per effetto delle previsioni di cui al secondo e terzo comma, nella residuale ipotesi di controversia in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali di addetti alla navigazione marittima e pesca, la competenza si appunta sul giudice del lavoro del luogo in cui ha sede l'ufficio del porto di iscrizione della nave mentre, laddove la controversia riguardi l'obbligo del datore di lavoro e l'applicazione delle sanzioni civili per l'inadempimento di tali obblighi, la competenza si radicherà dinanzi al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente. Come anticipato, il rinvio alla disciplina di cui all'art. 409 e ss. c.p.c., contenuto nell'art. 442, comma 1 c.p.c., opera nella misura in cui lo specifico istituto processuale non sia provvisto di disciplina ad hoc, come nel caso della competenza funzionale che, all'art. 444 c.p.c., trova una regolamentazione derogatoria rispetto a quella prevista dall'art. 413 c.p.c., pur essendo alla stessa accomunata dal favor lavoratoris che, stante la particolare natura delle controversie, si traduce nell'elezione codicistica del tribunale del circondario in cui ha la residenza l'attore. Ambedue le norme, inoltre, dettano criteri di competenza inderogabile, pur in mancanza di una previsione espressa, costituendo una condicio iuris dell'esercizio dell'azione, che deve essere verificata indipendentemente dalle deduzioni delle parti, non gravate sul punto da alcun onere probatorio (Cass. civ., sez. VI, 28 aprile 2014, n. 9373). Non pone grosse questioni ermeneutiche il criterio enucleato al cui al comma 1, dovendosi fare riferimento alla nozione civilistica di residenza, enucleata in seno all'art. 43, comma 2, c.c., quale luogo di dimora abituale del soggetto attore. Tale competenza rimane invariata anche quando l'amministrazione convenuta fruisca della rappresentanza processuale dell'Avvocatura dello Stato (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2005, n. 18606). Il criterio di cui al comma 2, di applicazione residuale sotto il profilo casistico, trova applicazione per le sole controversie che hanno per oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali degli addetti alla navigazione e alla pesca marittime. Pertanto, la competenza a conoscere la controversia riguardante l'indennità per riconosciuta inidoneità alla navigazione conseguente ad un pregresso stato di malattia va determinata ai sensi del comma 1 dello stesso articolo (Cass. civ., sez. lav., 2 dicembre 2004, n. 22673). Il criterio di collegamento di cui all'art. 444, comma 3, c.p.c. – il quale, per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro, prevede la competenza territoriale del tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente creditore – introduce un'eccezione al principio generale di cui al comma 1 della stessa norma, il quale stabilisce la competenza del tribunale nella cui circoscrizione risiede l'attore. Pertanto, il suddetto comma 3 non è suscettibile di applicazione estensiva al di fuori dei casi espressamente contemplati, concernenti i soli datori di lavoro tenuti al pagamento dei contributi; ne consegue che la disposizione in esame non può essere invocata in relazione alla controversia inerente agli obblighi contributivi facenti carico ad un libero professionista, la quale resta soggetta al criterio generale di cui al comma 1 (Trib. L'Aquila, sez. lav., 8 maggio 2015, n. 100). La nozione di ufficio dell'ente, di cui alla regola in questione, deve intendersi alla stregua di ufficio (da individuare in correlazione alla sede dell'impresa o ad una sua dipendenza) che, in quanto investito del potere di gestione esterna, sia in generale legittimato, per legge o per statuto, a ricevere i contributi ed a pretenderne il pagamento o a restituirne l'eccedenza, senza che influiscano gli eventuali provvedimenti derogatori con cui si attribuiscano tutti o parte dei rapporti assicurativi e previdenziali ad uffici con competenza territoriale su ambiti non comprensivi della sede dell'impresa, nonché la previsione di centri operativi non dotati, in concreto, del potere di gestione esterna dei rapporti contributivi con i soggetti aventi sede nella corrispondente circoscrizione territoriale (Cass. civ., sez. V, 25 maggio 2015, n. 10702). Nel caso di ente previdenziale avente struttura decentrata, si ritiene che la competenza si radichi presso la sede periferica che, in forza di legge o regolamento, sia preposta alla gestione dei rapporti contributivi e abbia legittimazioni a pretendere il pagamento dei contributi e a riceverli (Trib. Firenze, 8 aprile 2009). La disposizione, di non chiarissima formulazione, trova precipua applicazione alle controversie tra l'ente previdenziale ed il datore di lavoro (es. opposizione avvisi di addebito o di accertamento per crediti previdenziali), con la conseguenza che il relativo criterio di collegamento non viene in rilievo nelle fattispecie di domanda proposta dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per l'accertamento dell'obbligo contributivo che appartiene, ove il datore di lavoro (in forza di speciale rapporto convenzionale) sia onerato della gestione diretta del rapporto previdenziale per conto dell'Istituto di previdenza, alla competenza del giudice del luogo di residenza dell'attore ai sensi dell'art. 444, comma 1, c.p.c. e non a quella della sede dell'ente previdenziale. L'avvenuta cessione dei crediti contributivi al concessionario della riscossione non determina modificazione del criterio di competenza. La controversia di opposizione all'avviso di addebito o accertamento sarà, difatti, incardinata dinanzi al giudice del lavoro del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente titolare sostanziale della pretesa previdenziale (cd. ente impositore), nei cui confronti il giudizio di opposizione dovrà essere promosso ai sensi dell'art. 24 comma 5 d.lgs. n. 46 del 1999. Il concessionario della riscossione dovrà essere evocato in tale giudizio in qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dell'art. 13, comma 8, l. 448 del 1998. Questione oggetto di ripetute prese di posizione in sede giurisprudenziale è quella relativa all'applicabilità della regola di cui al comma 3 della disposizione in commento alle controversie previdenziali concernenti i lavoratori autonomi (ad. es. obbligo di iscrizione di socio di società a responsabilità limitata alla Gestione Separata e connessa impugnativa di avviso di addebito). Secondo il pressoché univoco indirizzo giurisprudenziale, tali controversie rientrano nell'alveo applicativo di cui all'art. 444, comma 1, atteso che il disposto di cui al comma 3, come modificato dall'art. 86 d.lgs. n. 51/1998, che prevede la competenza per territorio del tribunale della sede dell'ufficio dell'ente creditore per le controversie relative ai "datori di lavoro”, non è suscettibile di applicazione estensiva o analogica all'infuori dei casi espressamente contemplati, introducendo un'eccezione al principio generale di cui al comma 1 (Cass. civ., sez. VI, 7 novembre 2011, n. 23141). I criteri enucleati dall'art. 444 c.p.c. non valgono, tuttavia, a coprire l'intero spettro delle controversie di natura previdenziale ed assistenziale. Come di recente affermato da una pronuncia giurisprudenziale (Cass. civ., sez. VI, 24 luglio 2015, n. 15620), difatti, la circostanza che gli obblighi di assistenza e previdenza derivino dall'autonomia collettiva, come nel caso di richiesta di restituzione di prestazioni indebitamente corrisposte a seguito della cessazione del rapporto previdenziale, determina, per effetto del rinvio operato dagli artt. 442, comma 2, 413, comma 7, c.p.c., una reviviscenza del foro generale delle persone fisiche di cui all'art. 18 c.p.c. Non possono, nell'ambito della presente trattazione avente ad oggetto le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, pretermettersi brevi cenni sul procedimento di accertamento tecnico preventivo, introdotto all'art. 445-bisc.p.c. dal d.l. 98/2011, e modificato dalla l. 183/2011, entrato in vigore dal 01.01.2012, divenuto condizione di procedibilità delle richieste di provvidenze per invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché della pensione di inabilità/assegno di invalidità di cui alla l. 222/1984. Lo strumento, permeato da chiare finalità di razionalizzazione e deflazione del contenzioso giurisdizionale, sulla falsariga della consulenza tecnica prevista ai fini della composizione della lite, di cui all'art. 696-bis c.p.c., prende le mosse dalla presentazione di un ricorso, la cui ulteriore finalità metaprocessuale è quella di impedire il compimento dei termini decadenziali per la richiesta delle prestazioni (cfr. art. 47 d.P.R. n. 639/1970 per le prestazioni previdenziali ed art. 42, comma 3 , l. 326/2003 per le prestazioni assistenziali). Conformemente alla disciplina generale dettata dall'art. 443 c.p.c., le domande aventi ad oggetto pensione di inabilità ed assegno di invalidità di cui alla l. 222/1984 prevedono, a pena di improcedibilità, l'esaurimento dei procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o il decorso dei termini per il compimento degli stessi. La domanda deve contenere, a pena di inammissibilità, il riferimento alla preventiva domanda in sede amministrativa ed al beneficio richiesto, non potendosi proporre un'istanza di ATP per il mero accertamento delle condizioni sanitarie del soggetto o finalizzato all'ottenimento di provvidenze diverse da quelle tassativamente elencate al comma 1 della disposizione. L'ammissibilità dell'accertamento tecnico preventivo presuppone - come proiezione dell'interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c. - che l'accertamento medico legale risponda ad un concreto interesse del ricorrente, dovendo escludersi che esso possa essere totalmente avulso dalla sussistenza di qualsivoglia ulteriore presupposto richiesto dalla legge per il riconoscimento dei diritti corrispondenti allo stato di invalidità allegato dal ricorrente (Cass. civ., sez. lav., 27 aprile 2015, n. 8533). Al contempo, tuttavia, il giudice adito nel procedimento per ATP non dovrà provvedere in via autonoma all'accertamento ed alla liquidazione del diritto alla prestazione, dovendo anzi accertare il relativo requisito sanitario mediante consulenza tecnica anche quando risultino ostacoli pregiudiziali e preliminari che precludono il diritto alla prestazione richiesta (Cass. civ., sez. VI, 17 marzo 2014, n. 6085). Fissata udienza di comparizione delle parti e del consulente tecnico nominato, per il conferimento dell'incarico, con termine intermedio per la costituzione dell'Ente resistente, e conferito incarico peritale, il consulente provvederà al deposito della relazione, comprensiva delle osservazioni dei CTP, ai sensi del novellato art. 195 c.p.c., nel termine indicato dal giudice. Esaurita la fase dell'accertamento tecnico, in assenza di contestazioni di parte, il giudice provvederà, con decreto, all'omologa dell'accertamento sanitario, salvo che non intenda procedere alla rinnovazione dell'accertamento o alla sostituzione del consulente. In caso di omologa di ATP che contenga l'accertamento della sussistenza dei requisiti sanitari per l'ottenimento della provvidenza, l'Ente erogatore sarà tenuto al pagamento della stessa entro 120 giorni. Qualora non provveda, l'avente diritto potrà agire giudizialmente, se del caso con lo strumento del ricorso per decreto ingiuntivo, configurando la relazione peritale prova scritta del credito vantato. Il decreto di omologa non contestato ed opposto diviene definitivo, e non sarà più impugnabile neanche con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. lav., 4 maggio 2015, n. 8878). In caso di contestazioni, da depositare entro trenta giorni, la parte avrà ulteriore termine di trenta giorni per depositare ricorso per opposizione che contenga, a pena di nullità, la specificazione dei motivi di contestazione. Tale specificazione dovrà avvenire, a pena di inammissibilità, non già nella dichiarazione di dissenso resa ai sensi del comma 4, ma direttamente nel successivo ricorso introduttivo del giudizio (Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2015, n. 12332). È da ritenere che anche nel giudizio di opposizione l'accertamento verta esclusivamente sul solo requisito sanitario. La sentenza che definisce il giudizio di opposizione è inappellabile ma potrà essere impugnata con ricorso ordinario per cassazione, anche nella parte relativa alla statuizione sulle spese (Cass. civ., sez. VI, 2 luglio 2015, n. 13550).
Le spese di giustizia
La peculiarità della materia previdenziale ed assistenziale e dei diritti controversi ha indotto il legislatore a dettare una disciplina speciale in materia di spese di giustizia, che trova fondamento nelle norme di cui agli artt. 152 e 152-bis disp. att. c.p.c.. La prima norma introduce la regola dell'esenzione della parte soccombente nei giudizi per l'ottenimento di prestazioni assistenziali e previdenziali dal pagamento delle spese, competenze ed onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, ivi inclusi accessori di legge e spese di CTU, laddove la stessa risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile pari o inferiore al doppio del reddito previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, calcolato sulla base dei criteri di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. L'esenzione è condizionata, sotto il profilo processuale, all'effettuazione di un'apposita dichiarazione nelle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio, non necessariamente di primo grado, potendo i requisiti della norma configurarsi nei gradi successivi del giudizio. L'onere del ricorrente, che versi nelle condizioni reddituali per poter beneficiare dell'esonero degli oneri processuali in caso di soccombenza, a rendere apposita dichiarazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo si interpreta nel senso che l'onere autocertificativo debba essere assolto con il ricorso introduttivo, esplicando la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione, anche nelle fasi successive, e valendo fino all'esito definitivo del processo, l'impegno di comunicare eventuali variazioni reddituali che facciano venir meno le condizioni di esonero (Cass. civ., sez. VI, 14 dicembre 2015, n. 25199; cfr. contra, Cass. civ., sez. VI, 15 gennaio 2015, n. 545 secondo cui occorre una esplicita reiterazione dell'istanza per ogni fase o grado del giudizio). Il requisito formale si ritiene soddisfatto dalla redazione di dichiarazione sostitutiva su istanza separata, espressamente richiamata in seno all'atto introduttivo e materialmente congiunta ad esso (Cass. civ., sez. VI, 11 maggio 2015, n. 9498). Occorre, inoltre, che la dichiarazione sia sottoscritta dalla parte personalmente, a pena di inefficacia, poiché a tale dichiarazione la norma annette una dichiarazione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo l'impegno a comunicare, sino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti ai limiti reddituali (Cass. civ., sez. lav., 4 aprile 2012, n. 5363). La ratio della norma, in evidenza mirata a favorire il richiedente prestazioni alimentari, in ragione della presunzione della condizione di minorazione, disagio, o difficoltà economica in cui lo stesso versa, appare recessiva di fronte al comportamento di mala fede processuale che lo stesso serbi, tanto da indurre il legislatore a fare salvo il disposto dell'art. 96, comma 1, c.p.c., concependo una responsabilità per danni del richiedente che abbia agito con dolo o colpa grave. A chiusura della disposizione, ed a parziale temperamento della regola di esenzione dalla condanna alle spese della parte soccombente, si dispone che le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali (regola, pertanto, inoperante nei giudizi assistenziali) non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio ed a tal fine parte ricorrente, a pena di inammissibilità del ricorso, sarà tenuta a formulare apposita dichiarazione del valore della prestazione, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo. Chiude la disciplina speciale in materia di spese di giustizia l'art. 152-bis disp. att. c.p.c., che prevede che, nelle liquidazioni delle spese di lite in favore delle pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165, e successive modificazioni, se assistite da propri dipendenti ai sensi dell'art. 417-bis c.p.c. (a titolo esemplificativo, funzionari del Ministero del lavoro e dell'INPS), si applica la tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del 20 per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione al ruolo ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n 600.
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