Conversione del pignoramentoFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 495
30 Marzo 2016
Inquadramento
L'art. 495 c.p.c. reca una disciplina analitica della conversione del pignoramento. Si tratta di un istituto che permette, a determinate condizioni, di trasferire il vincolo derivante dal pignoramento dal bene o dai beni pignorati ad una somma di denaro. La norma in esame attribuisce al debitore la facoltà di domandare la sostituzione di una somma di denaro alle cose pignorate, somma che sarà il giudice dell'esecuzione a determinare con ordinanza, dopo aver sentito le parti, in relazione all'importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti. La sostituzione può avere luogo:
Da ciò in dottrina si desume che mentre il pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario preclude il perfezionamento stesso del pignoramento, l'istituto di cui all'art. 495 c.p.c. comporta una conversione ex post, che determina il venir meno del vincolo già sorto legittimamente. La conversione del pignoramento è ispirata alla ratio di evitare la sottrazione dei beni al debitore (effetto tipico del pignoramento) mediante la sostituzione agli stessi di una somma di denaro, evitando così che i beni siano venduti per soddisfare le pretese creditorie. Allo stesso tempo l'istituto svolge una funzione deflattiva del contenzioso in tutti quei casi in cui il valore del bene pignorato superi significativamente l'importo dei crediti e degli accessori, anche considerato che il pignoramento su somme di denaro consente di evitare l'attività di liquidazione, con riduzione dei costi e dei tempi altrimenti necessari per portare a compimento l'esecuzione forzata. L'art. 495 c.p.c. è stato nel tempo oggetto di diversi interventi da parte del legislatore. Il primo, avvenuto con l. n. 358/1976, aveva consentito al debitore di effettuare la conversione con pagamento rateale; la strumentalizzazione con finalità dilatorie e l'abuso della rateizzazione hanno tuttavia indotto al ridimensionamento dell'istituto ad opera del legislatore. La l. n. 353/1990, infatti, aveva abolito la rateizzazione ed aveva introdotto l'obbligo del debitore, a pena di inammissibilità dell'istanza di conversione, di depositare in cancelleria una somma di denaro pari ad un quinto dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti (prima della determinazione ad opera del giudice della somma da sostituire al bene pignorato). Successivamente, la l. n. 302/1998 aveva reintrodotto la possibilità della rateizzazione, ma limitatamente al caso di espropriazione immobiliare. Ulteriori modifiche sono state operate poi con la l. n. 80/2005, prevedendosi in particolare, soprattutto al fine di evitare istanze meramente dilatorie, la inammissibilità dell'istanza di conversione del pignoramento una volta disposta la vendita. In tempi recenti, l'istituto della conversione è stato oggetto di modifica per effetto del d.l. n. 83 del 2015 convertito con l. n. 132 del 2015: in particolare, è stato modificato il comma 4 dell'art. 495 c.p.c., estendendosi la possibilità per il debitore di rateizzare il debito dopo il pignoramento e la distribuzione delle somme ricavate ai creditori “ope iudicis”. In particolare, la possibilità di rateazione, già prevista in caso di pignoramento immobiliare, viene ora estesa anche a quelli su beni mobili ed il termine massimo delle rateizzazioni viene innalzato a 36 mesi (anziché il più breve termine di 18 mesi della precedente disciplina), prevedendosi anche che il giudice provveda, ogni 6 mesi, a versare al creditore pignorante o alla distribuzione tra i creditori le somme pagate dal debitore.
Profili generali e ambito applicativo
La conversione del pignoramento determina una modificazione dell'oggetto del pignoramento, ma non anche l'estinzione del credito fatto valere o della procedura esecutiva, che prosegue sulle somme oggetto della sostituzione (Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1998, n. 4525; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 1991, n. 4469). La sostituzione ha luogo dal momento del versamento della somma individuata dal giudice e produce effetto retroattivo. Laddove, però, il versamento delle somme di denaro sia rateale, la sostituzione è efficace con il pagamento dell'ultima rata da corrispondere. L'art. 495, comma 6, c.p.c. prevede infatti che «con l'ordinanza che ammette la sostituzione, il giudice, quando le cose pignorate siano costituite da beni immobili o cose mobili, dispone che le cose pignorate siano liberate dal pignoramento con il versamento dell'intera somma». Ad ogni modo, la conversione non determina mai la purgazione delle garanzie che assistono il credito, che avviene solo con l'estinzione del credito che queste assistono, posto che la conversione non ha efficacia purgativa (Cass. civ., sez. III, 17 agosto 1973, n. 2347). L'art. 492, comma 3, c.p.c. stabilisce che l'atto di pignoramento deve contenere l'avvertimento al debitore della possibilità, delle modalità e dei termini per poter ricorrere al beneficio della conversione ex art. 495 c.p.c. L'assenza di tale avvertimento non determina tuttavia la nullità del pignoramento,mancando un'espressa sanzione di tal genere, ma una mera irregolarità(Cass. civ., sez. VI, ord., 12 aprile 2011, n. 8408). Trattandosi però di elemento del pignoramento previsto nell'interesse del debitore ad attivarsi tempestivamente per la conversione del pignoramento, nel caso di espropriazione presso terzi si è affermato che la sua assenza produce la diversa conseguenza di precludere l'assegnazione ex art. 552 c.p.c.che, se disposta ugualmente, è stigmatizzabile mediante opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2011, n. 6662). Ciò fatta eccezione per il caso in cui l'interesse del debitore ad essere edotto circa la facoltà di chiedere la sostituzione, non garantito con il pignoramento, sia comunque soddisfatto nel corso della procedura con atto del creditore o con provvedimento del giudice, tempestivamente idonei a soddisfare la suddetta esigenza (dunque prima dell'emissione dell'ordinanza) in ossequio al principio del raggiungimento dello scopo (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2011, n. 6662).
Nel vigore della disciplina antecedente la riforma operata con l. n. 80/2005 (nella quale la proposizione dell'istanza di conversione era ammissibile sino al giorno della vendita) ed al fine di tutelare l'interesse del debitore alla proposizione dell'istanza di conversione, si è affermato che sono nulle la vendita immobiliare e la successiva aggiudicazione in caso di mancata notifica al debitore dell'ordinanza di fissazione della vendita, perché questa omissione preclude all'esecutato di domandare la conversione del pignoramento (Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5341; Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12122). Quanto all'ambito applicativo, per via della collocazione nella parte generale dell'espropriazione si ritiene che la conversione del pignoramento sia applicabile a qualsiasi categoria di espropriazione (beni immobili, mobili o di crediti). Inoltre, la mancanza di divieti normativi unita alla formulazione generica dell'art. 495 c.p.c. la rendono estensibile anche all'esecuzione esattoriale, dal momento che l'art. 61 d.P.R. 602/1973 consente di estinguere il processo esecutivo col pagamento delle somme dovute (Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 494). Nell'ambito dell'esecuzione esattoriale, però, si è ritenuto che il giudice non possa interferire in alcun modo sul corso dell'esecuzione, non potendo in particolare differire l'incanto già fissato dall'esattore. Soggetti legittimati e istanza
Circa la legittimazione a domandare la conversione del pignoramento, legittimato è il debitore, risultando irrilevante che la provvista per attuare la conversione provenga da terzi (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1971, n. 1524). Anche il terzo esecutato per debito altrui ex art. 602 c.p.c. può domandare la conversione. La legittimazione è stata altresì riconosciuta in favore del promissario acquirente che abbia acquistato ex art. 2932 c.c. il bene pignorato, anche laddove l'acquisto sia sospensivamente condizionato dalla sentenza al pagamento del prezzo residuo (Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2009, n. 8250). La giurisprudenza di merito ha escluso invece la legittimazione del comproprietario dell'immobile esecutato pro quota ex art. 599 c.p.c., che è carente dell'interesse a domandare la conversione se il pignoramento ad oggetto esclusivamente la quota del debitore esecutato (Trib. Torino, 31 ottobre 2003). Si esclude pure che la conversione di cui all'art. 495 c.p.c. possa essere chiesta in via surrogatoria (art. 2900 c.c.) dai creditori, sul presupposto che oggetto dell'esecuzione sono i beni oggetto dell'esecuzione, che non può essere sostituita con somme di denaro dei creditori (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 1975, n. 2253). L'istanza di conversione non necessita di forme sacramentali, per cui può essere anche proposta a verbale, ma di norma essa assume la forma dell'atto scritto; ad ogni modo non è necessaria l'assistenza di un difensore per tale richiesta, in linea con la struttura del procedimento esecutivo (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2005, n. 1618). L'istanza deve contenere, ai sensi dell'art. 495, comma 1, c.p.c., la richiesta di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all'importo dovuto al creditore pignorante e a quelli (eventualmente) intervenuti, comprensivo di capitale, interessi e spese. L'art. 495, comma 2, c.p.c. richiede a pena di inammissibilità dell'istanza che il debitore versi una somma non inferiore a un quinto dell'importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento. Questo requisito si ispira alla logica di assicurare la serietà dell'istanza, garantita appunto dal versamento. Qualora nelle more il credito di cui al titolo azionato sia stato parzialmente rideterminato, occorre tenere conto della rideterminazione anche ai fini del calcolo del quinto. Il deposito di una somma inferiore al quinto (anche se per un errore materiale: Cass. civ., sez. III, 24 agosto 2007, n. 17957) determina l'inammissibilità dell'istanza, con conseguente restituzione delle somme versate all'istante. Ai sensi dell'art. 495, comma 7, c.p.c. l'istanza può essere avanzata una sola volta, a pena di inammissibilità. Nondimeno, la dichiarazione di inammissibilità non impedisce la riproposizione dell'istanza purché fatta entro i limiti temporali stabiliti (Trib. Torino, 26 ottobre 2005). La reiterabilità dell'istanza, però, è possibile solo in caso di inammissibilità per mancato deposito del quinto, e non anche ove sia stata dichiarata per il mancato versamento della somma determinata in sostituzione dei beni pignorati (Trib. Trani, 16 febbraio 1998). Il versamento del quinto con modalità differenti da quelle prescritte dalla legge (id est: deposito in cancelleria e successivo trasferimento presso l'istituto di credito individuato dal giudice dell'esecuzione) costituisce una mera irregolarità che non impedisce la prosecuzione della conversione, se il deposito sia avvenuto con forme idonee a raggiungere lo scopo (Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 1999, n. 1145). La novella riformatrice della l. n. 80/2005 ha individuato il termine ultimo per il deposito dell'istanza di conversione nell'ordinanza che dispone la vendita o nell'assegnazione del credito. Precedentemente, invece, l'istanza di conversione poteva essere avanzata fino alla vendita (intesa come aggiudicazione definitiva: Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2007, n. 8236). Questo limite temporale opera, secondo la giurisprudenza (C. Cost., 29 luglio 2008, n. 309; Trib. Roma 2 novembre 2006), anche per le procedure ancora pendenti all'entrata in vigore della riforma, per cui l'istanza successiva a questa data è inammissibile quando sia già stata autorizzata la vendita. Se soggetta alla disciplina anteriore alla riforma della l. n. 80/05, l'istanza è comunque improcedibile qualora sia intervenuta l'assegnazione o l'aggiudicazione anche provvisoria ex art. 187-bis disp. att. c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2009, n. 8017).
Determinazione della somma da sostituire e rimedi
L'art. 495, comma 3, c.p.c. statuisce che la somma da versarsi a cura dell'istante è determinata dal giudice dell'esecuzione con ordinanza, sentite le parti e comunque non oltre trenta giorni dall'istanza dal deposito dell'istanza di conversione. La determinazione della somma da versare in sostituzione delle cose pignorate, che il giudice opera ai sensi dell'art. 495 c.p.c. implica una valutazione sommaria delle pretese del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, nonché delle spese già anticipate e da anticipare (Cass. civ., sez III, 3 settembre 2007, n. 18538). È pero fatta salva la possibilità per l'esecutato di tutelare le proprie ragioni immediatamente, dal momento che tale ordinanza che determina la somma sostitutiva ai fini della conversione del pignoramento è suscettibile di impugnazione mediante il rimedio dell'opposizione agli atti esecutiviex art. 617 c.p.c.(Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2009, n. 4046). L'opponente non può però limitarsi a contestare genericamente la non corrispondenza della somma sostitutiva determinata dal giudice rispetto a quanto dovuto dall'esecutato, ma deve indicare in modo specifico gli elementi di fatto e le ragioni di diritto per cui chiede che il provvedimento sia dichiarato illegittimo (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2007, n. 17481; Cass. civ., sez. U., 17 ottobre 1995, n. 11178). Né tantomeno può ritenersi che tale soluzione comporta un ingiustificato aggravio del principio di economia processuale, in quanto imporrebbe al debitore esecutato di contestare l'esistenza del credito o il suo ammontare in sede di distribuzione della somma depositata ovvero con opposizione agli atti esecutivi, considerato il diverso principio in materia, che è quello della sollecita definizione della pretesa dei creditori istanti, questi sì pregiudicati dalle contestazioni dei crediti. Allo stesso modo l'opponente non può lamentarsi solo della mancata comunicazione del provvedimento con cui è stata disposta la comparizione delle parti ai fini della pronuncia dell'ordinanza (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2005). Con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. possono essere anche avanzate contestazioni nel merito circa l'ammontare del credito del creditore procedente, l'ammontare ed esistenza dei crediti dei creditori intervenuti, oppure dell'importo inferiore a quanto dovuto, al solo fine però di ottenere l'annullamento o la modificazione dell'ordinanza stessa e senza alcun effetto al di fuori del processo esecutivo (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6733; Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2009, n. 20733). Nel caso in cui l'esecuzione abbia luogo nei confronti di più soggetti, che abbiano presentato istanza congiunta di conversione, il giudice deve conteggiare i crediti dei creditori intervenuti, indipendentemente dalla circostanza che tali crediti riguardino alcuni o tutti i debitori esecutati (Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2001, n. 12197). Relativamente ai creditori intervenuti dopo l'ordinanza di determinazione della somma oggetto di conversione, secondo parte della giurisprudenza il debitore ha la scelta tra procedere al soddisfacimento anche di questi o chiedere la restituzione delle somme già versate (Trib. Padova, 12 marzo 2004). Altra parte della giurisprudenza li considera invece alla stregua di creditori tardivi, che pertanto possono soddisfarsi solo sull'eventuale residuo successivo alla distribuzione del ricavato ai creditori tempestivi (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 940). La giurisprudenza di legittimità individua comunque la linea di demarcazione tra intervento tempestivo e tardivo nell'udienza fissata per la delibazione dell'istanza di conversione (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 940; Cass. civ., sez. III, 8 novembre 1982, n. 5867).
Conversione con pagamento rateale
L'art. 495, comma 4, c.p.c. prevedeva la possibilità che l'ordinanza determinativa della somma da sostituire consentisse, in presenza di giustificati motivi, che il debitore versasse con rateizzazioni mensili la somma determinata dal giudice dell'esecuzione. La facoltà di rateazione era tuttavia soggetta a due limitazioni: il termine massimo della stessa non poteva essere superiore a 18 mesi e tale possibilità era limitata alla sola ipotesi di procedura espropriativa su beni immobili. Il d.l. n. 83 del 2015 ha ampliato sensibilmente l'ambito applicativo del pagamento rateale, prevedendo per la prima volta la possibilità di fare ricorso a tale modalità di pagamento anche nella procedura espropriativa su beni mobili. Inoltre il termine massimo per la rateizzazione del pagamento viene innalzato da 18 a 36 mesi, facilitando così il ricorso a tale strumento. Nel contempo, il novellato art. 495, comma 4, c.p.c. prevede che il giudice dell'esecuzione provveda, ogni 6 mesi, a versare al creditore pignorante o alla distribuzione tra i creditori le somme pagate dal debitore. Tale ultimo intervento è permeato dalla logica del legislatore di facilitare l'accordo delle parti verso una soluzione diversa dall'esecuzione forzata, andando verso soluzioni alternative per accelerare la chiusura della procedura, al contempo da una parte realizzando la soddisfazione dell'interesse creditorio, dall'altra evitando il sovraindebitamento del debitore. Ad ogni modo la rateizzazione è disposta dal giudice in conformità a una scelta discrezionale che dipende dal riscontro dei «giustificati motivi», che spetta al giudice accertare nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali ed insindacabili, a nulla rilevando l'entità della somma fissata e le eventuali difficoltà materiali del pagamento immediato (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 1989, n. 1490). Indubbiamente, la novità legislativa in punto di termine massimo per il rateizzo del prezzo da versare incide sull'istituto della decadenza, spostando in avanti il “dies ad quem” in cui occorre verificare che il debitore abbia ottemperato all'obbligo di versare l'importo determinato dal giudice dell'esecuzione. Decadenza dalla conversione
L'art. 495, comma 5, c.p.c. colpisce con la sanzione della decadenza dal beneficio della conversione il debitore che ometta il versamento dell'importo determinato con l'ordinanza di cui al terzo comma ovvero ometta o ritardi di oltre 15 giorni (cd. termine di grazia) il versamento anche di una sola rata nel caso di versamento rateale. Il giudice dell'esecuzione dichiara la decadenza dell'esecutato anche d'ufficio e, quindi, a prescindere da un'istanza di parte, dal momento che la decadenza costituisce un effetto legale che si verifica “ipso iure” al momento del mancato versamento delle somme determinate con ordinanza ex art. 495, comma 3, c.p.c. Al contrario, l'istanza di vendita necessita sempre dell'impulso di parte e va rinnovata dopo il provvedimento che dichiara la decadenza dalla conversione. Le somme versate dal debitore formano parte dei beni pignorati, ma non sono gravate dal vincolo ipotecario eventualmente esistente sui beni immobili pignorati (Cass. civ., sez. I, 10 agosto 2007, n. 17644). |