Costituzione del convenuto

08 Giugno 2016

Il convenuto si costituisce in giudizio mediante deposito di una comparsa o memoria di costituzione i cui requisiti contenutistici sono variamente individuati dal legislatore a seconda del rito con cui si svolge il processo nell'ambito del quale la costituzione interviene (ordinario, sommario di cognizione, lavoro).

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Il convenuto si costituisce in giudizio mediante deposito di una comparsa o memoria di costituzione i cui requisiti contenutistici sono variamente individuati dal legislatore a seconda del rito con cui si svolge il processo nell'ambito del quale la costituzione interviene (ordinario, sommario di cognizione, lavoro). Il convenuto deve costituirsi tempestivamente al fine di non incorrere in decadenza rispetto a talune attività processuali; ferme le predette decadenze, tuttavia, la costituzione potrà avvenire in qualsiasi momento processuale, fino alla precisazione delle conclusioni o all'udienza di discussione (nei processi soggetti a rito del lavoro). La mancata tempestiva costituzione del convenuto in prima udienza comporta la sua dichiarazione di contumacia da parte del giudice e la necessità di notificare alla predetta parte taluni atti processuali (specificamente individuati dall' art. 292 c.p.c., come integrato dalla Corte Cost. n. 317/1989), mentre per il resto il processo seguirà regolarmente il suo corso, non potendosi assegnare alla contumacia valore di non contestazione rispetto ai fatti allegati dall'attore o alteri la ripartizione degli oneri probatori (Cass. civ. , Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951).

La costituzione del convenuto nel rito ordinario

Ai sensi dell'art. 166 c.p.c., il convenuto deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge (quindi, davanti al giudice di pace ove si tratti di cause il cui valore non ecceda € 1.100,00) almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'articolo 163-bis c.p.c., ovvero almeno venti giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 168-bis, comma 5, c.p.c. depositando in cancelleria (ovvero, oggi, telematicamente) il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'art. 167 c.p.c. con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Nella comparsa di costituzione, ai sensi del successivo

art. 167 c.p.c., il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda (e contestando specificamente i fatti allegati dall'attore, pena la considerazione degli stessi come ammessi ai sensi del primo comma dell'art. 115 c.p.c.), indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. A pena di decadenza, inoltre, egli deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio (nonché le eccezioni di incompetenza per materia, valore e territorio del giudice adito dall'attore ai sensi del primo comma dell'art. 38 c.p.c.) e deve, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., formulare l'eventuale volontà di chiamare in causa terzi, chiedendo, in quest'ultimo caso, contestualmente al giudice il differimento dell'udienza di prima comparizione e trattazione, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini a comparire di cui all'art. 163-bis c.p.c.

Con riferimento all'ipotesi di chiamata in causa di terzi da parte del convenuto, deve osservarsi che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenendo rispetto ad una diffusa prassi che considerava necessitato il differimento dell'udienza da parte del giudice a fronte della richiesta di chiamata in causa di terzo da parte del convenuto tempestivamente e correttamente formulata, hanno chiarito che tale differimento, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c.

, è discrezionale, potendo il giudice rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, ove ritenga non necessaria o opportuna la partecipazione del terzo al giudizio sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo (Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2010, n. 4309).

In evidenza

Il novellato art. 269 c.p.c. è stato introdotto per porre un termine perentorio di ammissibilità alla richiesta di chiamata del terzo da parte del convenuto (Cass. civ., 24 aprile 2008 n. 10682 e

Cass. civ., 11 gennaio 2008 n. 393 ), restando ferma la natura di regola facoltativa del litisconsorzio nelle obbligazioni solidali e mancando l'esigenza di trattare unitariamente le domande di condanna introduttive della causa con quelle di manleva dei convenuti (Cass. civ., 21 novembre 2008 n. 27856 Cass. civ., 10 marzo 2006 n. 5444), con conseguente separabilità dei due processi, non diversa da quella consentita anche prima della novella del 1990, ex art. 103 c.p.c., che comporta la scindibilità delle cause pure ai fini delle impugnazioni delle parti (art. 332 c.p.c.). Il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può quindi rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, come accaduto nel caso, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta, dopo la novella dell'art. 111 Cost. del 1999; pertanto il motivo di ricorso che denuncia la violazione dell'art. 269 c.p.c. novellato dalla l. n. 353/1990, deve rigettarsi perché infondato. (Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309)

Ai sensi, quindi, del combinato disposto degli artt. 38, 166, 167 269 c.p.c. , il convenuto deve costituirsi in giudizio nei venti giorni antecedenti l'udienza in cui è citato a comparire (ovvero la diversa udienza fissata dal giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c.) solo ove intenda spiegare domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi, eccepire l'incompetenza del giudice adito dall'attore o sollevare eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio, potendo altrimenti formalizzare la propria costituzione in giudizio anche direttamente all'udienza di prima comparizione e trattazione. Nessuna decadenza, in particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, è configurabile rispetto alle richieste istruttorie, formulabili anche per la prima volta nei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., nel caso in cui le parti, come di regola accade, optino per la trattazione scritta del processo (Cass. civ., Sez. I, 15 luglio 2011, n. 15691, Cass., Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 81). Qualora, invece, il convenuto, benché ritualmente citato dall'attore, non si costituisca neppure all'udienza di prima comparizione e trattazione, egli sarà dichiarato contumace e il processo seguirà regolarmente il suo corso, salva, per come già osservato, la necessità di notificare al contumace gli atti indicati dall'art. 292 c.p.c., come integrato dalla Corte Cost. n. 317/1989 (vale a dire, l'ordinanza che ammette l'interrogatorio o il giuramento; le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte; il verbale in cui si dà atto della produzione di una scrittura privata a firma del medesimo contumace non indicata in atti notificati in precedenza). Il convenuto dichiarato contumace può anche costituirsi nel corso del processo, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, ma subirà, in questo caso, tutte le preclusioni processuali già maturate per le altre parti, salva la possibilità di essere rimesso in termini ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell'art. 294 c.p.c. (cioè se dimostri che la mancata tempestiva costituzione sia dipesa da nullità della citazione o della sua notifica che gli abbia impedito di avere conoscenza del processo ovvero qualora la costituzione tempestiva sia stata impedita da causa non imputabile).

La costituzione del convenuto nel rito sommario di cognizione

La costituzione del convenuto nel processo che si svolge con rito sommario di cognizione (per scelta dell'attore ovvero perché si verte in uno dei casi di cui agli artt. 14-30 d.lgs. 150/2011) avviene, in forza di quanto disposto dall'art. 702-bis, comma 4, c.p.c., mediante deposito in cancelleria di una comparsa di risposta, nella quale la parte deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione e formulare le proprie conclusioni. La comparsa deve essere depositata entro il termine assegnato dal giudice in sede di fissazione di udienza (che, ai sensi del terzo comma dell'art. 702-bis c.p.c., deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza fissata per la trattazione del ricorso), altrimenti il convenuto incorrerà in decadenza rispetto alla possibilità di proporre domande riconvenzionali, formulare eccezioni di rito o di merito non rilevabili d'ufficio, chiamare in causa terzi. Come per il rito ordinario, anche nel processo che si svolge con rito sommario di cognizione il convenuto potrà costituirsi direttamente in udienza ove non intenda porre in essere le attività processuali per cui è prevista decadenza (domande riconvenzionali; eccezioni di rito e merito non rilevabili d'ufficio; chiamata in causa di terzi). Di recente, la Suprema Corte ha chiarito che nel procedimento sommario di cognizione l'art. 702-bis , comma e 4, c.p.c., laddove dispone che la comparsa di risposta contenga, fra l'altro, l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali il convenuto intenda avvalersi, come dei documenti offerti in comunicazione, non vale a segnare alcuna preclusione istruttoria e quindi non comporta, in caso di omissione, alcuna decadenza, dovendosi individuare – rispetto al processo che si svolge con tale rito - nella pronuncia dell'ordinanza avente ad oggetto l'eventuale riscontro della non sommarietà dell'istruzione la barriera preclusiva che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie (Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2015, n. 25547). Si ritiene applicabile anche rispetto al rito sommario di cognizione la generale disciplina di cui agli artt. 291 e ss. c.p.c. sulla contumacia, apparendo essa compatibile con la natura di giudizio a cognizione piena del processo che si svolge con tale modulo processuale.

La costituzione del convenuto nel rito del lavoro

Nei processi destinati a svolgersi con il rito del lavoro, il convenuto (recte: resistente), in forza del generale disposto dell'art. 416 c.p.c. , deve costituirsi in giudizio almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione, al fine di non incorrere nelle decadenze previste dalla medesima norma (domande riconvenzionali, eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, indicazione di prove e produzioni documentali). Anche la chiamata in causa di terzi, inoltre, deve essere richiesta a pena di inammissibilità nella memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. così come entro gli stessi limiti temporali è possibile l'intervento volontario di terzi, salvo il caso in cui si tratti di litisconsorti necessari (

art. 419 c.p.c.). La memoria di costituzione dovrà contenere l'indicazione del codice fiscale della parte e del difensore, nonché l'indirizzo di posta elettrica fornito dall'ordine e il numero di fax. Per l'ipotesi di proposizione di domanda riconvenzionale da parte del resistente, l'art. 418 c.p.c. prevede, in presenza della specifica richiesta, prescritta a pena di inammissibilità, il differimento dell'udienza di comparizione da parte del giudice, a modifica di quanto stabilito nel decreto di cui all'

art. 415 c.p.c., con notifica al ricorrente del nuovo decreto di fissazione di udienza da parte della cancelleria, unitamente alla memoria di costituzione, entro dieci giorni dalla sua emanazione. Tra la data di notifica al ricorrente e quella della nuova udienza di discussione deve intercorrere un termine di almeno venticinque giorni (trentacinque giorni ove il ricorrente risieda all'estero). A fronte della domanda riconvenzionale, poi, l'attore diventa a sua volta convenuto e deve, quindi, costituirsi nei dieci giorni antecedenti la nuova udienza di discussione per non incorrere nelle decadenze di cui all'art. 416 c.p.c. rispetto alle difese conseguenti alla riconvenzionale della controparte.

Peraltro, secondo un indirizzo giurisprudenziale (Cass. civ., sez. Lav., 21 agosto 2003, n. 12300), l'onere di chiedere al giudice l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza, posto dall'art. 418 c.p.c., a pena di decadenza, a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, non rispondendo in maniera specifica ed infungibile ad un'esigenza di carattere generale (tant'è che non è previsto incombente analogo nel rito ordinario), costituisce previsione a carattere eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica; tale onere deve, quindi, ritenersi sussistente solo nell'ipotesi di domanda riconvenzionale in senso tecnico (ossia di domanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore) e non in tutte le ipotesi di proposizione di qualsivoglia domanda diversa da quella dell'originario attore nei confronti dell'originario convenuto (ad esempio, l'azione in via di regresso proposta da un convenuto nei confronti di un altro convenuto).

L'onere di chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza a pena di decadenza non è previsto, invece, in ipotesi di chiamata in causa di terzo: in tal caso, ai sensi dell'art. 420, il giudice provvederà in udienza ad autorizzare la chiamata in causa, fissando nuova udienza e disponendo la notifica al terzo del ricorso introduttivo. È da ritenere, inoltre, in applicazione dell'indirizzo ermeneutico tracciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con riferimento all'art. 269 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309), che l'autorizzazione della chiamata in causa sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, salvo, anche in questo caso, che ricorra un'ipotesi di litisconsorzio necessario.

La non contestazione

Il convenuto che si costituisca in giudizio ha l'onere di contestare specificamente i fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, altrimenti gli stessi potranno essere posti dal giudice a fondamento della decisione a prescindere dalla prova da parte del soggetto onerato (art. 115, comma 1, c.p.c., come modificato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69). La contestazione deve essere chiara e analitica, equivalendo a «non contestazione» la contestazione generica, ad esempio qualora la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la «sussistenza dei presupposti di legge» per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione specifica (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19896). L'onere di contestazione specifica, per come evincibile dalla stessa lettera dell'art. 115 c.p.c., vale solo per la parte costituita, non potendosi assegnare significato di non contestazione alla dichiarazione di contumacia del convenuto. Il principio, inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, opera nell'ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definiscono irretrattabilmente "thema decidendum" e "thema probandum", sicché non rileva a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti in appello (Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2015, n. 22461). Si è chiarito, altresì, che il principio della non contestazione vale solo per i soli fatti e non anche per la sussunzione dei fatti nella norma di legge, trattandosi di attività che spetta inderogabilmente al giudice a prescindere da qualsiasi comportamento delle parti (Cass. civ., sez. I, 2 novembre 2015, n. 223489). Si è evidenziato, ancora, che il principio in questione opera nel solo ambito soggettivo ed oggettivo rimesso alla disponibilità delle parti, al quale resta estranea la "legitimatio ad causam", che attiene al contraddittorio e deve essere verificata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, con il solo limite del giudicato interno (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2015, n. 21176). Si è chiarito, infine, che la mancanza di specifica contestazione solo se riferita ai fatti principali comporta la superfluità della relativa prova perché non controversi, mentre se è riferita ai fatti secondari consente al giudice solo di utilizzarli liberamente quali argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2015, n.19709).

La costituzione tardiva del convenuto contumace

Il convenuto dichiarato contumace, ai sensi dell'art. 293 c.p.c., può costituirsi in ogni momento del procedimento, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Al contumace che si costituisca in giudizio tardivamente sono, però, precluse quelle attività processuali per il cui compimento siano già spirati i termini processuali al momento della sua costituzione in giudizio (salvo il disconoscimento della scrittura contro di lui prodotta). La parte, tuttavia, può chiedere al giudice di essere rimessa in termini ai fini del compimento delle predette attività, se dimostri che la costituzione gli sia stata preclusa dalla nullità della citazione o della sua notifica ovvero sia stata impedita da altra causa a lui non imputabile. Quanto alla casistica, la giurisprudenza ha escluso che possa costituire valido motivo di rimessione in termini la malattia della parte, tendenzialmente non ostativa al rilascio di procura al difensore (Cass. civ., sez. I, 29 maggio 1999, n. 5249) ovvero l'invalida costituzione a mezzo di difensore privo di jus postulandi, non potendo la parte, a seguito di regolarizzazione della costituzione, ripetere le attività compiute dal difensore non legittimato (Cass. civ., sez. III, 01 ottobre 2004, n. 16952). Si è escluso, altresì, che possano rientrare in tale categoria le scelte discrezionali della parte, quale quella di non eccepire la prescrizione di un diritto finché sono in corso trattative con la controparte (Cass. civ., sez. Lav., 25 marzo 2011, n. 7033). Si è esclusa, nella medesima prospettiva, la rilevanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, trattandosi di vizio afferente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c. che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 4260). A fronte dell'istanza di rimessione in termini presentata dal contumace, il giudice deve compiere un giudizio di verosimiglianza dei fatti allegati dall'istante: se tale giudizio si conclude con esito positivo, il contumace può essere ammesso alla prova dell'impedimento, evidentemente ove lo stesso non emerga già in maniera sufficiente dalle altre risultanze di causa. Ove, poi, il contumace venga rimesso in termini per il compimento di una determinata attività processuale la controparte deve avere a sua volta facoltà di replicare; pertanto, sempre in attuazione del principio del contraddittorio, la rimessione in termini avrà effetto sia nei confronti della parte che espressamente l'ha richiesta, sia per la controparte, riaprendo la vicenda di contrapposizione degli interessi in causa, ma solo con riguardo ai poteri nei quali la parte sia stata restituita in termini e ai poteri della controparte che siano diretta conseguenza dell'esercizio dei primi.

Riferimenti

CENDON (a cura di), Commentario al codice di procedura civile. Artt. 163-322, 1a ed., Milano 2012, 1731 e ss.;

LUISO, , Diritto processuale civile, I, Milano, 2015, 250 e ss.