Documento informatico

Aniello Merone
07 Giugno 2016

Tutta la disciplina sul documento informatico muove dalla equiparazione, operata ex art. 15, comma 2, legge n. 59/1997, dei documenti formati su supporto informatico e muniti di firma digitale ai documenti cartacei dotati di sottoscrizione autografa...

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Tutta la disciplina sul documento informatico muove dalla equiparazione, operata ex art. 15, comma 2, l. 59/1997, dei documenti formati su supporto informatico e muniti di firma digitale ai documenti cartacei dotati di sottoscrizione autografa. Con tale disposizione normativa, l'allora legge Bassanini attribuiva, in via generale, valore legale agli atti e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici/telematici e destinati a circolare nell'ambito della rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (l'allora RUPA).

I «criteri e modalità di applicazione» del c.d. principio di equivalenza furono stabiliti dal d.P.R. 513/1997 che individuava nell' «apposizione o l'associazione della firma digitale al documento informatico» lo strumento equivalente alla sottoscrizione autografa dei documenti scritti su supporto cartaceo (art. 10, comma 2) ed attribuiva al documento informatico così sottoscritto «efficacia di scrittura privata ai sensi dell'articolo 2702 c.c.» (art. 5).

Su tali basi, confermate dal d.P.R. 445/2000 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa») in cui confluirono le norme sul documento e sulla firma digitale, gli atti del processo potevano assumere «la forma di documento informatico» (cfr. art. 1 del d.P.R. 123/2001, ora art. 11 del d.m. 44/2011, su cui vedi infra), garantendo in esso la piena fruibilità delle tecnologie di redazione e trasmissione dei documenti informatici.

Tuttavia, il recepimento della direttiva 99/93/CE sulle firme elettroniche, ad opera del d.lgs. 10/2002, indusse il legislatore ad operare una revisione dell'art. 10 del d.P.R. 445/2000, attribuendo al documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica «piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto». Tale disposizione, ampliamente criticata in dottrina, non solo impediva il disconoscimento del documento informatico sottoscritto, equiparandolo alla scrittura privata riconosciuta od autenticata senza bisogno di alcun riconoscimento e di alcuna autenticazione, ma con tutta evidenza violava le stesse indicazioni della direttiva comunitaria.

Quest'ultima, infatti, oltre a riaffermare il principio di piena equiparazione dei documenti informatici ai documenti cartacei, aveva affiancato ad esso a) il principio di neutralità tecnologica, che vieta al legislatore nazionale di condizionare, anche indirettamente, attraverso il riferimento a standard tecnologici adottati da specifici prodotti, la libera circolazione dei prodotti e dei servizi utilizzabili per le firme elettroniche (cui si deve il riconoscimento, accanto alla firma digitale ed alle altre firme elettroniche «avanzate» della firma elettronica c.d. semplice); b) il principio di non discriminazione, che impone agli Stati membri l'adozione di misure «…affinché una firma elettronica non sia considerata legalmente inefficace e inammissibile come prova in giudizio unicamente a causa del fatto che essa è in forma elettronica, o non basata su un certificato qualificato, ovvero non creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura».

Oggi il testo normativo di riferimento è rappresentato dal d.lgs. 82/2005, c.d. codice dell'amministrazione digitale, in cui sono confluite sia le norme sui documenti informatici che quelle sulle firme elettroniche, ed in particolare dagli artt. 20 e 21 (più volte modificati ad opera del d.lgs. 159/2006, d.lgs. 235/2010, l. 221/2012, d.lgs. 179/2016, e da ultimo d.lgs. 217/2017) che hanno dettagliato la disciplina intervenendo sul piano dell'efficacia tanto sostanziale quanto processuale.

La natura del documento informatico

Ai sensi dell'art. 1, lett. p) del d.lgs. 82/2005, il documento informatico, è «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti».

Il documento informatico dev'essere correttamente inquadrato come documento scritto su un supporto informatico. Contrariamente a quanto immaginato da alcuni commentatori, l'introduzione del documento informatico non ha svincolato l'essenziale funzione di conservazione del contenuto rappresentativo dall'esistenza di un supporto materiale.

«Rappresentazione informatica», infatti, significa innanzitutto rappresentazione su un supporto informatico, posto che la definizione introdotta dal CAD richiama, con pochi aggiustamenti, la tradizionale definizione di documento (quale «rappresentazione di atti o fatti giuridicamente rilevanti») e, con essa, la teoria «rappresentativa» accolta nel codice civile.

L'avvento dell'informatica ha consentito di sostituire il tradizionale supporto cartaceo con diversi tipi di supporti alternativi costituiti, ad esempio, da dischi magnetici o a lettura ottica (Floppy disk, cd-rom, dvd-rom) ma, in ogni caso, il documento è sempre costituito da una informazione diretta all'altrui conoscenza e veicolata da un elemento fisico (il supporto) su cui è registrata l'informazione.

In funzione della natura del fatto rappresentato e della relativa rappresentazione, anche per i documenti informatici è possibile distinguere tra le riproduzioni informatiche, che raffigurano direttamente un fatto attraverso il mezzo figurativo (e sono riconducibili all'ambito delle riproduzioni ex machina dell'art. 2712 c. c.) e le scritture informatiche che, invece, risultano formate attraverso il ricorso al mezzo verbale ed ai segni propri del linguaggio scritto.

A prescindere dalla natura di riproduzione o di scrittura, oltre che dal carattere dichiarativo o narrativo di quest'ultima, costituisce condizione necessaria e sufficiente, ai fini della concessione della qualità di documento, l'attitudine a soddisfare l'essenziale funzione di perpetuazione di un determinato contenuto rappresentativo nel tempo. Nel caso di specie il documento informatico pare contraddistinto proprio dalla qualità dei segni che reca impressi: i bit resi per il tramite del linguaggio binario, che offrono la rappresentazione dell'atto o del fatto giuridicamente rilevante.

Il supporto che incorpora la concatenazione dei segni è imprescindibile, poiché senza di esso la sequenza diventerebbe evanescente, ma è il carattere del segno, che nel caso di specie prende forma attraverso la sequela d'impulsi elettrici binari, a connotare il documento informatico come insieme di dati espressi in forma elettronica ed utilizzati come metodo di rappresentazione informatica.

Riproduzioni informatiche e documento informatico non sottoscritto

L'art. 20, comma 1-bis, del d.lgs. 82/2005, prevede che qualora sia privo di una sottoscrizione «l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità».

Il riferimento è ad un documento informatico per il quale è impossibile l'imputazione certa all'autore del testo, impedendo la produzione di effetti sostanziali costitutivi e pertanto la stipulazione di negozi formali.

Sotto il profilo probatorio, la contestazione dei documenti elettronici non scritti è comunemente ricondotta alle riproduzioni meccaniche ed alla disciplina offerta dall'art. 2712 c.c., intesa quale clausola generale applicabile in relazione a qualunque rappresentazione documentale prodotta mediante un qualsiasi procedimento tecnico o meccanico, incluso quello informatico. Infatti, l'art. 2712 c.c., come modificato dall'art. 23 quater del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, contempla un espresso riferimento alle «riproduzioni informatiche», le quali, come le altre riproduzioni meccaniche, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se la parte contro cui sono state prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

La giurisprudenza è solita ricondurre all'interno delle maglie dell'art. 2712 c.c., anche il regime probatorio del documento elettronico non sottoscritto (Cass. civ., 26 agosto 2020, n. 17810, in merito alla conformità della riproduzione cartacea delle risultanze di un sito internet; Cass. civ., 17 febbraio 2015, n. 3122; Cass. civ., 24 marzo 2003, n. 4297), senza tuttavia operare una opportuna distinzione tra il carattere rappresentativo ovvero dichiarativo del documento, né tantomeno, una adeguata valorizzazione della regola della libera valutazione ex art. 20, comma 1-bis, CAD.

La riproduzione mediante mezzo informatico, infatti, può agevolmente rendere esplicita una manifestazione di volontà e di scienza del dichiarante, seppur priva di una firma a cui ricondurre con certezza la paternità della dichiarazione, ma sottoporle allo stesso regime delle riproduzioni meccaniche è soluzione che non considera come le riproduzioni meccaniche non esprimono una volontà o lo stato di conoscenza di taluni fatti e, più in generale, non incidono sull'esistenza dei fatti che rappresentano, bensì solo sulla loro prova.

Si deve, invece, ritenere che il documento informatico non sottoscritto, analogamente alle altre scritture prive di firma, non possa essere soggetto ad alcuna forma di disconoscimento, vuoi della autenticità della sottoscrizione, vuoi della conformità della rappresentazione, ma sia da ricondurre al principio generale offerto dall'art. 116 c.p.c., e quindi rimesso al prudente apprezzamento del giudice, secondo un giudizio svincolato dai limiti altrimenti imposti dalla qualificazione del documento come prova piena e che dovrà unicamente tener conto delle sue «caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Pertanto, l'art. 2712 c.c. andrà riferito ai documenti informatici utilizzati come meri strumenti per la riproduzione meccanica di fatti o cose, mentre il criterio di valutazione offerto dall'art. 20, comma 1-bis del CAD andrà applicato per quei documenti informatici dal contenuto dichiarativo, evitando il paradossale esito di riconoscere valore di piena prova anche ad una scrittura non sottoscritta.

Scritture informatiche

Con riferimento alle scritture informatiche, sempre l'art. 1 del d.lgs. 82/2005 ha a lungo offerto (alle lettere q, q-bis, r e s) la definizione di quattro distinte categorie di firme: la firma elettronica, la firma elettronica avanzata, la firma elettronica qualificata e la firma digitale, riconducibili adue categorie principali, rappresentate dalla firma elettronica («dati associati ad altri dati») e dalla firma avanzata («dati associati ad un documento»), in cui alla firma elettronica era riconosciuta la sola funzione indicativa, non anche quella dichiarativa, mentre sia la firma elettronica qualificata sia la firma digitale venivano ricondotte alla firma avanzata (di cui entrambe possiedono i requisiti della «riconducibilità» al titolare, del «controllo esclusivo» sul mezzo di firma e dalla «immodificabilità» dei dati).

Tale schema, tuttavia, è stato sensibilmente inciso dall'entrata in vigore del Regolamento UEe-IDAS 23 luglio 2014, n. 910 sull'identificazione e l'autenticazione elettronica, che ha abrogato la Direttiva 1999/93/CE ed ha inteso rafforzare il principio della neutralità tecnologica attraverso un sistema che tende a sfumare la differenza dei regimi applicabili ai documenti informatici in base alle tipologie di firme elettroniche utilizzate, in particolare, attribuendo anche alle firme elettroniche c.d. semplici l'efficacia della scrittura privata con funzione dichiarativa e non più meramente identificativa.

Proprio l'esigenza di coordinamento ha reso necessaria l'adozione del d.lgs. 179/2016, di modifica e adeguamento del CAD, che ha disposto la soppressione, tra le altre, delle definizioni di firma elettronica, firma elettronica avanzata e firma elettronica qualificata, onde evitare il rischio di sovrapposizioni e contraddizioni con le parallele descrizioni offerte dal Regolamento europeo. Residua, nel corpo della disciplina nazionale, la sola definizione di firma digitale, che l'art. 1, lett. s), ulteriormente modificato dal d.lgs. 217/2017, descrive come «un particolare tipo di firma qualificata basata su un su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare di firma elettronica tramite la chiave privata e a un soggetto terzo tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici».

Inoltre, la nozione di scrittura informatica è ora estesa anche ai documenti formati «attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'art. 71», vale a dire documenti composti nel rispetto delle regole tecniche di conservazione e protezione dei documenti e dati informatici, adottate dall'Agenzia per l'Italia digitale.

In giurisprudenza, l'imporsi della posta elettronica ordinaria come sistema maggiormente impiegato per ogni tipo di comunicazione — per accedere alla quale è necessario farsi identificare dal fornitore del servizio inserendo il proprio nome-utente (dato elettronico) associato ad una parola di accesso (altro dato elettronico), vale a dire una firma elettronica c.d. semplice — ha offerto numerose occasioni per definirne il regime giuridico e probatorio, soprattutto rispetto alla possibilità di ricondurre la e-mail alla prova scritta richiesta ex art. 634 c.p.c. ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo.

Nonostante l'obiettiva e strutturale incapacità della posta elettronica nell'offrire certezza riguardo sia all'identificazione del soggetto mittente sia all'effettiva ricezione e contenuto del documento, il dibattito si è concentrato sulla possibilità di considerare il documento inviato per e-mail come un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice (così Trib. Termini Imerese, 22 febbraio 2015; Trib. Prato, 15 aprile 2011, in Foro it., 2011, I, 3198; Trib. Verona, 26 novembre 2005, in Giur. merito, 2005, 2129) o, piuttosto, come mero documento informatico privo di qualsiasi sottoscrizione (in tal senso, Trib. Roma, 3 giugno 2016; Trib. Foggia, 27 novembre 2014).

Invero, appare difficile sostenere che i codici di identificazione inviati al fornitore del servizio di posta (e non al destinatario del messaggio) possano essere utilizzati come firma del documento, figurando piuttosto come momento di adempimento del contratto di servizio e manifestazione della volontà di accedervi. Tuttavia, è altresì vero che, da un lato, l'art. 634 c.p.c. individua tra le prove scritte idonee per la concessione della tutela monitoria, le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, «anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile» — anch'essi documenti non sottoscritti valorizzati in ragione di elementi presuntivi — dall'altro lato, che il regolamento EIDAS afferma chiaramente la possibilità della firma elettronica semplice di adempiere ad una funzione non più soltanto indicativa, ma anche dichiarativa (ex art. 3, n. 10) e del documento così sottoscritto di soddisfare la forma scritta.

Il modello di firma su cui il legislatore ha costruito l'equivalenza del documento informatico alla scrittura privata rimane la firma digitale, che consiste nell'applicazione, sul documento formato con strumenti informatici o trasmesso per via telematica, di una sequenza di caratteri alfanumerici che sono il prodotto di un'operazione di cifratura eseguita con un sistema crittografico a chiavi asimmetriche (ove la chiave usata per cifrare non può decifrare, anche se l'operazione può essere iniziata con uno qualsiasi degli elementi della coppia).

La firma digitale consente di prevenire con ampio margine di affidabilità i rischi comunque connessi all'utilizzo di una firma elettronica con rilevanza giuridica e relativi sia all'identificazione del soggetto firmatario, sia all'incertezza in merito al contenuto del documento sottoscritto, e per tali ragioni rappresenta lo strumento di firma più diffuso.

Da questa va distinta la firma qualificata, — che il Reg. 910/2014, art. 3, n. 12, definisce come «una firma elettronica avanzata creata da un dispositivo per la creazione di una firma elettronica qualificata e basata su un certificato qualificato per firme elettroniche» — alla cui nozione alcuni riconducono il token (apparecchio generatore di un codice numerico pseudocasuale ad intervalli regolari) in uso per l'erogazione dei servizi bancari (anche se con funzione principalmente identificativa), anche se nella pratica essa rimane difficilmente distinguibile dalla firma digitale.

La firma avanzata, invece, è oggi primariamente ricondotta al modello della firma grafometrica, che consiste nella firma autografa apposta con un pennino su una tavoletta elettronica (tablet), che ne rileva istantaneamente non solo il tratto grafico ma anche velocità, precisione, angolo di inclinazione, accelerazione e il numero di volte in cui la penna viene sollevata dal piano di scrittura. Tale firma rappresenta di per sé stessa un dato biometrico, al pari dell'impronta digitale, della geometria del volto o della conformazione della retina, ricavabile dal gesto personalissimo della mano, ma abbisogna, per divenire dato elettronico, della necessaria mediazione tecnologica offerta dal tablet e dal software applicativo , che nelle applicazioni più avanzate può consentire di «incorporare» nella firma i dati e associarli al documento (con l'emergere di esigenze di adeguato trattamento del dato biometrico).

Efficacia delle scritture informatiche

Le diverse tipologie di firme elettroniche condizionano l'efficacia della scrittura informatica, tanto sotto il profilo della forma quanto quella della prova.

Sul piano sostanziale, si distinguono le scritture informatiche che devono essere sottoscritte, a pena di nullità, attraverso una firma elettronica qualificata o digitale per soddisfare la forma scritta ad substantiam contemplata dall'art. 1350, nn. 1-12, c.c., dalle scritture riconducibili all'art. 1350, n. 13 c.c., per le quali il requisito della forma scritta ad substantiam, s'intende soddisfatto dai documenti informatici sottoscritti con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero «formati ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, primo periodo» (ex art. 21 comma 2-bis, d.lgs. 82/2005).

Per tutte le altre scritture informatiche, in cui la forma scritta è richiesta esclusivamente ad probationem, è possibile utilizzare ogni tipo di firma o segno elettronico di identificazione, compatibile con la nozione di firma elettronica, fermo restando che saranno comunque rimesse al libero apprezzamento del giudice «tenuto conto delle […] caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità»(art. 21, comma 1, d.lgs. 82/2005).

Sotto il profilo dell'efficacia probatoria, invece, l'art. 21 del codice dell'amministrazione digitale offre solo due opzioni. Il documento informatico cui è apposta una firma elettronica c.d. semplice (o «debole») è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.

Le scritture informatiche munite di una firma elettronica avanzata, qualificata o digitale - cui ora si aggiunge il documento formato nel rispetto delle linee guida AgID - invece, fanno tutte «piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta» (art. 21, comma 2, d.lgs. 82/2005). Tuttavia, il connotato sostanziale esclusivo delle firme qualificate e digitali, le uniche in grado di soddisfare i requisiti di forma di cui all'art. 1350, nn. 1-12, c.c., trova riscontro anche sul piano probatorio, nella misura in cui solo per esse vige la presunzione di riconducibilità al titolare del dispositivo di firma, «salvo che questi dia prova contraria», (ex art. 20, comma 1-ter), tenuto conto delle obiettive e rilevanti garanzie in termini di sicurezza ed affidabilità della prova.

Si vuole in questo modo rimarcare il ruolo del documento informatico sottoscritto con firma digitale, che il legislatore ha associato sin dalla prima ora all'efficacia di cui all'art. 2702 per farne la nuova prova legale da rendere equivalente alla scrittura privata tradizionale, e l'ampio margine di sicurezza garantito dal meccanismo crittografico, che rende quasi impossibile la contraffazione della firma. La procedura informatica di validazione, infatti, partendo dalla chiave pubblica che accompagna il certificato (o comunque resa disponibile dal certificatore) consente sempre: in caso di esito positivo del processo di verifica, di individuare con certezza il titolare della chiave privata usata per firmare con firma digitale e, pertanto, colui che appare come autore del documento; in caso di esito negativo, consente di evidenziare e rendere riconoscibile qualsiasi successiva manipolazione o alterazione del documento su cui la firma digitale è apposta.

Tuttavia, non è dato escludere che anche la dichiarazione sottoscritta con la firma digitale possa essere resa da un soggetto diverso da colui che risulta essere titolare della firma, aprendo alla possibilità del disconoscimento e successiva verificazione. Sono molte le argomentazioni critiche sollevate dalla dottrina, secondo cui la presunzione legale di utilizzo del dispositivo da parte del titolare, e la conseguente inversione dell'onere probatorio a carico di quest'ultimo, indurrebbero a ritenere la firma digitale comunque dotata di un'attitudine probatoria superiore a quella assegnata alla firma chirografa, per superare la quale, avvalorando l'illecito utilizzo del dispositivo di firma da parte di terzi, al titolare non resterebbe che ricorrere alla querela di falso.

Diversamente, pare corretto osservare come il titolare di una firma elettronica, ponendo altri soggetti nelle condizioni di farne uso, determina comunque le premesse per la creazione di una dichiarazione a lui imputabile, pertanto, ciò che diventa decisivo è l'effettivo conferimento di un mandato alla formazione ed emissione del documento sottoscritto ovvero di un mandato a firmare inteso come legittimazione all'uso del dispositivo di firma. Qualora non sussista alcun mandato, il documento è contraffatto e l'autenticità della firma dovrà essere contestata mediante lo schema disconoscimento-verificazione descritto dal codice di procedura civile, secondo un ragionamento che consente di risalire, per mezzo di presunzioni (art. 2727 c.c.), dalla segnatura digitale della scrittura informatica al suo autore.

D'altronde, analogamente a quanto avviene per la sottoscrizione autografa, anche per le firme elettroniche avanzate, qualificate o digitali, l'oggetto della verificazione non consiste nel superamento della apparente indistinguibilità esteriore della firma apposta sul documento rispetto ad altra firma che si assume sicuramente «autentica», bensì nell'accertamento della effettiva provenienza del documento dal soggetto che figura come suo autore, attraverso un insieme di elementi che, per gravità, precisione e concordanza appaiono idonei ad offrire detta prova integrando la presunzione di legge (art. 21, comma 2, CAD).

L'accertamento giudiziale dell'autenticità della firma, com'è noto, è introdotto dall'istanza di verificazione proposta dalla parte interessata a valersi della scrittura disconosciuta e può essere raggiunto con l'ausilio di qualsiasi mezzo di prova utile, inclusa la verificazione informatica, tramite cui sarà possibile acquisire la prova del concreto utilizzo del dispositivo di firma attribuito al titolare ‒ di là dalla mera esibizione della scrittura informatica ‒ di norma offerta dal certificatore con l'attestato digitale che accompagna il documento e con la «certificazione» che la chiave utilizzata per firmare appartiene ad una coppia generata dal dispositivo attribuito al firmatario.

Peraltro, è corretto osservare come l'inversione che poggia sulla presunzione di cui all'art. 20, comma 1-ter, CAD, costituisce il mezzo per riequilibrare l'onere della prova a fronte della maggiore difficoltà cui andrebbe incontro la parte, che veda disconosciuto il documento informatico su cui fonda la pretesa o l'eccezione, nel procurarsi la prova dell'autenticità del documento. In tal modo, infatti, il legislatore pone l'onere di provare l'assenza del controllo sul dispositivo a carico della parte che ha la disponibilità della prova, in ossequio a quel principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che impone di ripartire l'onere istruttorio, non soltanto in ragione della descrizione legislativa della fattispecie sostanziale controversa ma anche secondo il principio della riferibilità o vicinanza, o disponibilità del mezzo di prova

Riferimenti
  • Bonafine, L'atto processuale telematico, Napoli 2017;
  • De Santis, La disciplina normativa del documento informatico, in Corriere giur., 1998, p. 379 ss.;
  • Finocchiaro, Riflessioni su diritto e tecnica, in Dir. inf. e inform., 2012, p. 831 ss; Id., Una prima lettura del reg. Ue n. 910/2014 (c.d. EIDAS): identificazione on line, firme elettroniche e servizi fiduciari, in Nuove leggi civ. comm., 2015, III, 419 ss.;
  • Graziosi, Documento informatico (diritto processuale civile), in Enc. Dir. Annali, II, t. 2, Milano 2008;
  • Merone, Il disconoscimento delle prove documentali, Torino 2018; Patti, L'efficacia probatoria del documento informatico, Riv. dir. proc., 2000, p. 60 ss.;
  • Ricci, Scritture private e firme elettroniche, Roma 2003;
  • Rota, Il documento informatico, in Taruffo, La prova nel processo civile, Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, 2012, p. 723 ss., sp. 742;
  • Villecco, L'efficacia delle prove informatiche, Milano 2004.