Domanda riconvenzionale

Cecilia Bernardo
18 Marzo 2016

Con la domanda riconvenzionale il convenuto non si limita a chiedere il rigetto della domanda attorea, ma amplia il thema decidendum.
Inquadramento

In base al principio del contraddittorio (

art. 101 c.p.c.

) il giudice, ad eccezione dei casi espressamente previsti dalla legge, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.

Il convenuto dunque, una volta che è stato ritualmente citato in giudizio, può decidere se costituirsi o rimanere contumace.

Qualora, poi, decida di costituirsi, egli potrà:

  • limitarsi a contestare le pretese di parte attrice, chiedendone il rigetto;

  • proporre eccezioni non rilevabili d'ufficio;

  • chiedere un accertamento incidentale in contrasto con quello richiesto dall'attore;

  • formulare una domanda riconvenzionale.

Con la domanda riconvenzionale il convenuto non si limita a chiedere il rigetto della domanda attorea, ma amplia il thema decidendum, chiedendo un provvedimento a sé favorevole e sfavorevole alla controparte. In tal modo, il convenuto esercita un'autonoma azione, chiedendo al giudice una pronuncia con effetto di giudicato, ulteriore rispetto a quella relativa alla domanda proposta dall'attore.

In evidenza

La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che ricorre l'ipotesi della eccezione riconvenzionale allorquando il fatto dedotto dal convenuto sia diretto provocare il mero rigetto della domanda avversaria; integra invece vera e propria domanda riconvenzionale, preclusa in sede di gravame, l'istanza con la quale venga chiesto, oltre al rigetto dell'altrui pretesa, l'ulteriore declaratoria di tutte le conseguenze giuridiche connesse all'invocato mutamento della situazione precedente (principio affermato ai sensi dell'

art. 360, n. 1, c.p.c.

) (

Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2013, n. 14852

).

Pertanto, con l'eccezione riconvenzionale il convenuto deduce in giudizio una situazione sostanziale nuova e diversa rispetto a quella dedotta dall'attore, ma quale mero fatto impeditivo, modificativo, estintivo, senza estendere l'ambito oggettivo del giudizio, ossia al solo fine di ottenere il rigetto della domanda della controparte, senza che sul diritto del convenuto si formi un accertamento idoneo al giudicato. Con riferimento alla domanda riconvenzionale, il convenuto assume la posizione sostanziale di attore e, viceversa, l'attore riveste la posizione sostanziale di convenuto, con tutte le conseguenze in ordine alla ripartizione dell'onere probatorio.

Condizioni di ammissibilità

Gli

artt. 36

e

167 c.p.c.

disciplinano le condizioni di ammissibilità della domanda riconvenzionale, con riferimento rispettivamente al contenuto ed alle modalità di proposizione. In particolare, l'art. 36 stabilisce che il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o valore.

Problematica è l'interpretazione del richiesto presupposto della identità di titolo.

Il titolo è la causa petendi della domanda dell'attore e, più in generale, il fatto giuridico posto a fondamento delle pretese dello stesso.

La dottrina

ritiene che la domanda riconvenzionale possa fondarsi anche su un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda principale, purché sia consequenziale alla domanda proposta dall'attore. Tradizionalmente si fa riferimento all'ipotesi in cui un proprietario convenga in giudizio il vicino per ottenere il rispetto delle distanze legali e questi riconvenga l'attore perché rispetti, a sua volta, le distanze legali. Altro esempio di domanda riconvenzionale è la cd. riconvenzionale compensativa, che si ha quando il convenuto oppone in compensazione un credito di importo eccedente quello fatto valere nei suoi confronti dall'attore e chiede la condanna al pagamento della differenza.

Ammissibilità della domanda riconvenzionale

La domanda riconvenzionale è ammissibile non solo quando dipenda da un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda principale, ma anche nel caso in cui sussista fra le opposte pretese un collegamento obiettivo che implichi l'opportunità della trattazione e decisione simultanea. (

Cass. civ.,sez. II, 7 aprile 2006, n. 8207

)

Collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale

La relazione tra domanda principale e domanda riconvenzionale, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, non va intesa in senso restrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'

art. 111, comma 1, Cost.

(

Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2011 n. 27564

;

Cass. civ., 6520/2007

)

Le domande devono dipendere da un identico titolo

Qualora il giudice di merito, con valutazione discrezionale, ritenga insussistente un collegamento oggettivo tra la domanda riconvenzionale e quella principale, tale da consigliare il simultaneus processus, questi è tenuto a motivare il rifiuto di autorizzazione senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo dedotto in giudizio. (

Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15271

;

Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2011, n. 24684

)

Se collegamento oggettivo inesistente, il rifiuto di autorizzazione va motivato

L'art. 36, inoltre, consente il cumulo processuale tra la domanda principale dell'attore e la domanda riconvenzionale del convenuto, anche in deroga agli ordinari criteri di competenza. Infatti, quando la domanda riconvenzionale non eccede la competenza per valore del giudice adito, questi deve conoscerne.

Per contro con riguardo all'ipotesi in cui la proposizione della domanda riconvenzionale ecceda la competenza per valore del giudice adito, la giurisprudenza non ha espresso orientamenti univoci.

Orientamenti a confronti: ipotesi in cui la proposizione della domanda riconvenzionale ecceda la competenza per valore del giudice adito

Il giudice stesso ha il potere di scegliere, salvo che la definizione della domanda riconvenzionale implichi la soluzione di una questione pregiudiziale da decidere con efficacia di giudicato, nel qual caso è il giudice competente per la riconvenzionale a dover conoscere dell'intera causa, tra la separazione delle cause (con rimessione al giudice superiore della sola riconvenzionale) e la remissione di entrambe al giudice superiore, secondo un discrezionale apprezzamento, il cui esercizio è sindacabile in cassazione esclusivamente nel caso in cui la scelta sia avvenuta per ragioni estranee alla considerazione della controvertibilità o della facile accertabilità della domanda principale, mentre il convincimento sull'esistenza di questi presupposti è incensurabile. (

Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15271

;

Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2011, n. 24684

)

Scelta del giudice tra separazione delle cause e rimessione di entrambe ad un giudice superiore sindacabile in Cassazione

Non è realizzabile il processo simultaneo, quando vi si opponga una competenza per materia o funzionale: ad esempio, adito il giudice di pace con una domanda principale rientrante nella sua competenza per materia (domanda relativa al rispetto delle distanze legale nella piantagione di alberi) e proposta una domanda riconvenzionale eccedente la sua competenza per materia o per valore (accertamento dei confini fra i due fondi e condanna al risarcimento di danni cagionati da lavori di scavo e sbancamento eseguiti dall'attore), il giudice di pace è tenuto, non operando la translatio judicii ex art. 36, a separare le cause e trattenere presso di sé la sola domanda principale. (

Cass. civ., sez. II, 8 maggio 2002, n. 6595

)

Se si oppone una competenza per materia o funzionale, non è realizzabile il processo simultaneo

Al giudice di pace non è consentita l'applicazione dell'

art. 36 c.p.c.

, e cioè separare una domanda riconvenzionale eccedente la sua competenza per valore e rimettere le parti per la decisione soltanto su di essa dinanzi al giudice superiore perché l'

art. 40, comma 7, c.p.c.

lo obbliga, in caso di connessione, a rimettere a quest'ultimo tutta la causa, e perciò sia la domanda principale sia la domanda riconvenzionale. (

Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2007, n. 6520

)

Non applicabilità dell'art. 36 c.p.c. al Giudice di pace

In ogni caso, le regole di svolgimento del cumulo processuale tra domanda principale e domanda riconvenzionale discendono dalla esatta qualificazione giuridica del nesso intercorrente tra le situazioni sostanziali che ne sono oggetto. In particolare, bisognerà verificare se le stesse siano legate da un nesso di pregiudizialità-dipendenza (ad esempio, qualora l'attore chieda l'adempimento di un contratto ed il convenuto ne chieda, in via riconvenzionale, la risoluzione); di incompatibilità (nel caso di contrapposte pretese, l'una dedotta in via principale, l'altra in via riconvenzionale, di accertamento della proprietà dello stesso bene nella medesima unità di tempo) ovvero di compatibilità (qualora entrambe le domande, principale e riconvenzionale, si fondino su un titolo non contestato: ad esempio, domanda di consegna del bene compravenduto e riconvenzionale di pagamento del prezzo).

Domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore

L'

art. 167 c.p.c.

disciplina le modalità di proposizione della domanda riconvenzionale, stabilendo che questa, a pena di decadenza, deve essere proposta nella comparsa di costituzione, che

ex

art. 166 c.p.c.

deve essere depositata in cancelleria almeno venti giorni prima dell'udienza di prima comparizione.

In particolare, il citato art. 167 sanziona con la decadenza l'inosservanza dell'onere di proporre la domanda riconvenzionale con la comparsa di costituzione e , al fine di garantire la celerità e la concentrazione dei procedimenti civili, la relativa violazione va considerata pregiudizievole non di un mero interesse privato, ma dell'interesse pubblico a scongiurare il protrarsi dei tempi processuali. Di conseguenza, la Suprema Corte ritiene rilevabile d'ufficio la tardività e la conseguente inammissibilità della domanda riconvenzionale, anche in sede di impugnazione, a meno che sulla tempestività della proposizione della domanda non si sia formato un giudicato anche implicito, (

Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2007,

n. 4901

).

Quanto al computo del termine di venti giorni, l'art. 166 stabilisce che questo vada calcolato con riferimento alla data dell'udienza di prima comparizione fissata nella citazione, salvo nel caso in cui tale udienza sia stata differita dal giudice ai sensi del quinto comma dell'art. 168-bis. Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che il termine di cinque giorni, fissato dall'art. 168-bis per l'adozione del decreto motivato di differimento della prima udienza di comparizione, ha natura ordinatoria. Sicché quand'anche lo stesso venga emesso oltre tale termine, è in ogni caso alla nuova data della prima udienza a cui il giudice ha rinviato la causa che occorre aver riguardo per computare i termini di comparizione e di costituzione, e quindi la tempestività della proposizione della domanda riconvenzionale, e non già alla data dell'udienza di comparizione originariamente indicata nell'atto di citazione, (

Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2003,

n. 16526

). Tuttavia, la Suprema Corte ha altresì precisato che tale deroga al riferimento alla originaria data fissata nell'atto di citazione è applicabile esclusivamente nel caso di differimento della prima udienza ai sensi del comma 5 dell'

art. 168

-

bis

c.p.c

.

, mentre non può trovare applicazione nel caso di differimento d'ufficio ai sensi del precedente comma 4 dell'

art. 168

-

bis

c.p.c.

(

Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2003,

n. 9351

).

Appare opportuno osservare che il termine di venti giorni in esame è un termine da computare a ritroso. Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che il comma 4 dell'

art. 155 c

.p.c.

(diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo) ed il successivo comma 5, operano anche con riguardo ai termini che si computano «a ritroso», ovvero contraddistinti dall'assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il "dies ad quem" dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (

Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2014,

n. 14767

).

Infine, l'

art. 167

c.p.c.

riproduce un maccanismo analogo a quello previsto dall'

art. 164

c.p.c.

relativo alla nullità dell'atto di citazione. Stabilisce che , qualora risulti omesso o assolutamente incerto l'oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione.

Domanda riconvenzionale di un convenuto nei confronti di altro convenuto

Non risulta specificamente disciplinata dal codice di rito l'ipotesi della domanda riconvenzionale cd. trasversale proposta tra litisconsorti passivi, cioè quella domanda proposta da uno dei convenuti nei confronti non dell'attore, ma di altro convenuto.

Si discute, infatti, se debbano trovare applicazione le disposizioni sulla domanda riconvenzionale

(artt. 166

e

167

c.p.c.

), ovvero quelle sulla chiamata in causa del terzo (

art. 269

c.p.c.

) e, in particolare, se il convenuto che proponga tale domanda deve chiedere al giudice un termine per notificare la stessa al soggetto che ne è destinatario.

La Suprema Corte ha precisato che la domanda formulata da un convenuto nei confronti di un altro (ed avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità esclusiva del secondo rispetto alla domanda risarcitoria formulata dall'attore) va qualificata come domanda riconvenzionale

e può essere proposta negli stessi limiti (e termini) di quest'ultima

(

Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1999,

n. 12558

). Del resto, il soggetto nei cui confronti viene proposta tale domanda, a rigore, non può essere considerato terzo, risultando già convenuto in giudizio dall'attore.

Tuttavia, tale meccanismo appare applicabile nel caso in cui il convenuto, destinatario a sua volta anche della domanda riconvenzionale proposta da altro convenuto, sia ritualmente costituito in giudizio. Qualora, invece, il suddetto convenuto risulti contumace, le norme sulla domanda riconvenzionale vanno coordinate con quelle stabilite dall'

art.

292 c.p.c.

, e dunque devono essere personalmente notificate al contumace anche le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte, nei termini che il giudice fissa con ordinanza.

Reconventio reconventionis

Il comma 5 dell'

art. 183 c.p.c.

consente all'attore di proporre, all'udienza di prima comparizione e trattazione, le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni sollevate dal convenuto.

Tale domanda prende il nome di reconventio reconventionis e consiste in una deroga al principio, secondo cui nel giudizio di cognizione ordinario, che si instaura con la proposizione di una domanda mediante atto di citazione, l'attore non può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate nell'atto di citazione. La Suprema Corte, infatti, ha precisato che qualora, per effetto di una domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, l'attore venga a trovarsi, a sua volta, in una posizione processuale di convenuto, al medesimo non può essere negato il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, consentedogli di proporre, a sua volta, una diversa domanda riconvenzionale (

Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2009,

n. 3639

).

In evidenza

La reconventio reconventionis deve essere ricondotta al genus della domanda riconvenzionale e la giurisprudenza di legittimità più recente sembra ammettere la possibilità per l'attore di introdurre nuove domande

non solo in conseguenza di una domanda riconvenzionale

del convenuto, ma anche di una

eccezione o di una mera difesa di quest'ulti

mo, superando, in base al tenore letterale dell'

art. 183 c.p.c.

, l'obiezione secondo cui tale facoltà processuale andrebbe riconosciuta, al fine di assicurare la parità processuale tra le parti, esclusivamente all'attore che abbia assunto la posizione di convenuto a seguito della proposizione nei suoi confronti della domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2013, n. 17708)

La giurisprudenza, inoltre, consente all'attore di esercitare il potere di ampliare il thema decidendum (mediante la proposizione di domande diverse rispetto a quelle originarie) solo nella prima udienza di trattazione.

Il convenuto, a sua volta, a fronte dei nova introdotti dall'attore (domande ed eccezioni),

può controreplicare e/o proporre eventualmente nuove eccezioni legate dal nesso di consequenzialità con i nova dell'attore

, oralmente, nella stessa udienza di trattazione, ciò rappresentando un corollario del diritto di difesa.

All'esercizio dei poteri suddetti da parte del convenuto corrisponde specularmente un analogo potere dell'attore di replicare e proporre eventualmente nuove eccezioni.

La Suprema Corte, infine, ha precisato che in tema di domande reciproche proposte dalle parti, deve escludersi la possibilità che il giudice pronunci sulla reconventio reconventionis -sia essa avanzata in via autonoma, oppure condizionata- laddove l'esame della domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto solo in via subordinata al rigetto delle eccezioni formulate nella comparsa di costituzione al fine di paralizzare la domanda attrice, rimanga assorbito dalla reiezione di quest'ultima, (

Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2013,

n. 5135)

.

Domanda riconvenzionale ed opposizione a decreto ingiuntivo

In tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell'opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore opposto, pur rivestendo formalmente la posizione processuale di convenuto, mantiene la veste sostanziale di attore. Analogamente, il debitore opponente, pur rivestendo formalmente la posizione processuale di attore, mantiene la veste sostanziale di convenuto. Tale situazione si riverbera sia con riguardo alla ripartizione dell'onere della prova, sia con riguardo ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti, tra cui, evidentemente, anche il potere di proporre domande riconvenzionali.

Al riguardo, infatti, la Suprema Corte ha precisato che -nell'ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo- l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione, potendo a tale principio derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione di una reconventio reconventionis, che però, per non essere tardiva, può essere introdotta solo nella domanda di risposta e non nel corso del giudizio di primo grado, (

Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2013,

n.

22754

).

Nello stesso senso, la pronuncia di Cass. civ., sez. III, 5 giugno 2007, n. 13086, con la quale la Suprema Corte ha statuito che solo l'opponente è legittimato a proporre domande riconvenzionali e non anche l'opposto, che incorrerebbe, ove le avanzasse, nel divieto (la cui violazione è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità) di formulazione di domande nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall'opponente, la parte opposta venga a trovarsi, a sua volta, nella posizione processuale di convenuta. Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata rilevata l'inammissibilità della domanda, da qualificarsi come "nuova" siccome fondata su una diversa causa petendi, proposta dall'opposto che, dopo aver agito in sede monitoria per il pagamento di canoni di locazione arretrati, aveva chiesto, nella conseguente fase oppositiva, anche la condanna dell'opponente al risarcimento dei danni conseguenti alle modifiche non autorizzate apportate all'immobile locato dall'ente conduttore, senza che potesse aver alcun rilievo, ai fini dell'ammissibilità di detta domanda, la riserva, effettuata in sede monitoria, di agire per le ulteriori somme dovute in separato giudizio.

Domanda riconvenzionale e fallimento

Ai sensi dell'

art. 24 l. fall.

, rientrano nella competenza inderogabile del foro fallimentare le «azioni derivanti dal fallimento», dovendosi intendersi, secondo la giurisprudenza, quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna (

Cass. civ.,

n. 17388/2007

).

Di conseguenza, la Suprema Corte ha affermato che, nel giudizio per il recupero di un credito promosso da un soggetto in bonis, e proseguito dal curatore, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, volta all'accertamento del proprio credito nei confronti del fallito, in quanto soggetta al rito speciale previsto dagli

artt. 93 e ss. l. fall

. per l'accertamento del passivo, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile. Per contro, la domanda principale resta innanzi al giudice adìto, al pari di quelle formulate dal convenuto nei confronti del condebitore e del fideiussore del fallito, stante il carattere solidale della loro responsabilità e l'autonomia dell'azione di pagamento esercitata nei loro confronti rispetto a quella intrapresa verso il fallito (

Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2015,

n. 25674

).

Analogamente, nell'opposizione a decreto ingiuntivo, il fallimento del creditore opposto, nei cui confronti sia stata proposta dall'opponente domanda riconvenzionale, non determina l'improcedibilità dell'opposizione e la rimessione dell'intera controversia al giudice fallimentare; il Tribunale ordinario rimane competente per l'opposizione, mentre al Tribunale fallimentare, previa separazione dei giudizi, deve essere rimessa esclusivamente la domanda riconvenzionale, in ordine alla quale sussiste solo la competenza funzionale ed inderogabile di tale organo giudiziale (

Cass. civ., sez. VI, 27 maggio 2011, n. 11749

).

Riferimenti

EVANGELISTA, Riconvenzionale (domanda), in EG, XXVII, Roma, 1991, 1;

MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, 19ª ed., Torino, 2007;

MONTESANO, ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, I, Padova, 2001, 403;

VULLO, Riconvenzione, in Digesto civ., XVII, Torino, 1998, 526;

TARZIA, BALBI, Riconvenzione (diritto processuale civile), in ED, XL, Milano, 1989, 665.

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