Domande nuove in appelloFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 345
14 Giugno 2016
Inquadramento
Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. Tale precetto è posto dall'art. 345 c.p.c.: norma che ha avuto una vita travagliata per quanto attiene al secondo ed al terzo comma, che disciplinano il regime di ammissibilità delle nuove eccezioni e delle nuove prove, ma che invece è rimasta sostanzialmente immutata laddove fa divieto delle domande nuove. Si discute sulla ratio della disposizione: taluni la riconducono al principio del doppio grado di giurisdizione (v. APPELLO IN GENERALE); altri vi ravvisano una esigenza di coerenza tra l'oggetto del giudizio nel primo e nel secondo grado; altri sottolineano il rilievo della disposizione per i fini dello svolgimento di un giudizio rapido ed efficace. La sanzione per le domande nuove proposte in appello è l'inammissibilità: in ciò è generalmente ritenuto che la novella di cui alla legge n. 353 del 1990 abbia migliorato la qualità tecnica della disposizione, giacché il vecchio testo prevedeva il rigetto della domanda nuova, con una formula dunque non appropriata ad una pronuncia in rito. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che il divieto di proposizione di domande nuove sia dettato da ragioni di ordine pubblico, trattandosi di applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Perciò l'inammissibilità della domanda nuova va pronunciata anche d'ufficio, quantunque la controparte abbia eventualmente accettato il contraddittorio. L'inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., e, correlativamente, dell'obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è conseguentemente rilevabile d'ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all'esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione, senza che rilevi, in contrario, come si è appena accennato, che l'appellato abbia accettato il contraddittorio sulla domanda anzidetta (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2016, n. 4318). I criteri distintivi
La novità delle domande va verificata attraverso lo scrutinio degli elementi identificativi di esse: personae, causa petendi e petitum mediato (il bene oggetto della domanda) ed immediato (il provvedimento richiesto). È nuova, dunque, la domanda al variare di uno di tali elementi (Cass. civ., sez.II, 30 marzo 1999, n. 3065; Cass. civ., sez.III, sez. lav., 6 dicembre 1999, n. 13630; Cass. civ., sez.lav., 17 gennaio 2000, n. 456; Cass. civ., sez.II, 28 gennaio 2000, n. 978; Cass. civ., sez.III, 11 aprile 2000, n. 4593; Cass. civ., sez.I, 6 aprile 2001, n. 5120; ma sul tema non può farsi a meno di richiamare, sebbene non concernente il giudizio di appello, la recente pronuncia delle Sezioni Unite, Cass. civ., sez. U., 15 giugno 2015, n. 12310, secondo cui la modificazione della domanda ai sensi dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa — petitum e causa petendi — sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali, con conseguente ammissibilità della modifica, nella memoria exart. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo). Occorre inoltre rammentare che la giurisprudenza accoglie ormai stabilmente la nozione dottrinale di diritti autodeterminati, contrapposti a quelli eterodeterminati (distinzione enucleata da Cerino Canova, Dell'introduzione della causa, in Comm. c.p.c. diretto da Allorio, Torino 1980, 186 ss., spec. 223): i primi, approssimativamente coincidenti con i diritti reali, individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto, di modo che la causa petendi si identifica in tal caso con i diritti stessi e non con il titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione ecc.) su cui si fondano; gli altri, tra i quali i diritti di credito, dipendenti dal titolo. Seguendo questa impostazione, ad esempio, colui il quale reclama la proprietà di un bene può fondare la domanda in primo grado su un acquisto per contratto ed in secondo grado per successione (così Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11521; per altri esempi Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2003, n. 3192; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2007, n. 3089; Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2007, n. 24141). Da altri si obbietta, ponendo l'accento sul principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), sul diritto d'azione e sull'inviolabilità del diritto di difesa (art. 24 Cost.), in relazione al principio del contraddittorio (art. 111 Cost.), che, una volta fatto valere in giudizio un diritto autodeterminato sulla base di un determinato fatto costitutivo, vanno in proposito applicate tutte le norme processuali volte a delimitare i poteri delle parti, di modo che la natura autodeterminata del diritto oggetto di contesa non stravolga l'assetto del giudizio civile. Perciò, la deduzione di un fatto costitutivo successivo rispetto a quello fatto valere nell'atto introduttivo va considerato come modifica della domanda, ammissibile nei limiti previsti nell'art. 183 c.p.c., ma vietata ai sensi dell'art. 345 c.p.c. (Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur., II, Roma, 1995, 13; Palma, Brevi note in tema di domande autodeterminate, eterodeterminate e oggetto del giudizio d'appello, in Giust. civ., 2000, 11, 2979; Bonsignori, Il divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 65 ss.). Insomma, «poiché non si litiga mai per il puro giudizio su di un diritto, ma per reagire ad una lesione o comunque ad una situazione che impedisce o minaccia la soddisfazione del diritto, cioè per un concreto interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), l'esposizione del fatto, o dei fatti, che danno luogo all'interesse ora descritto, è sempre essenziale ad identificare la causa petendi e perciò a segnare i limiti fuori dei quali si ha domanda nuova» (Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, II, 400; v. pure Montesano, Diritto sostanziale e processo civile di cognizione nell'individuazione della domanda, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 69). È pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la domanda nuova dichiarata inammissibile dal giudice di appello non ne preclude la riproposizione in un successivo giudizio ordinario di primo grado, sempre che ciò non sia impedito da ostacoli di natura processuale (quale la pendenza del giudizio di secondo grado) o sostanziale (quale, ad esempio, il maturarsi medio tempore del termine di prescrizione). Prendendo a modello una delle tante ipotesi di domande nuove esaminate dalla giurisprudenza, la parte che abbia inizialmente agito per l'annullamento di un contratto per errore, e che in appello abbia introdotto una domanda di annullamento per dolo, ben può coltivare quest'ultima in un diverso successivo giudizio. Occorre tuttavia tenere distinte l'ipotesi della domanda nuova per effetto della sola immutazione di uno dei suoi elementi costitutivi e, in particolare, della causa petendi, da quella della domanda nuova perché radicalmente diversa (v., su questo tema, Bonsignori, op. cit., 65 ss). Nel primo caso, infatti, la riproposizione potrà trovare ostacolo nel formarsi del giudicato nel primo giudizio: così, una volta passata in giudicato la sentenza che rigetti la domanda di annullamento di un contratto per errore, sarà preclusa, in ossequio alla regola secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, la proposizione della domanda di annullamento del medesimo contratto per dolo. Viceversa, proposta in primo grado la domanda di riconoscimento dell'autenticità delle sottoscrizioni apposte in calce ad un contratto di compravendita di un immobile, ed introdotta in appello la domanda nuova di trasferimento della proprietà del medesimo immobile ai sensi dell'art. 2932 c.c., sul presupposto che il contratto abbia natura di preliminare, nulla impedirà al promittente acquirente di riproporre autonomamente tale seconda domanda, differente dalla prima sia per causa petendi che per petitum. È da credere che, introdotto il secondo giudizio avente ad oggetto la domanda nuova quando ancora sia pendente il primo, l'accoglimento della domanda spiegata in tale sede renda improponibile la domanda proposta nel secondo giudizio. Limiti al divieto di domande nuove
Secondo parte della dottrina anche la semplice emendatio libelli è inammissibile in appello. Al contrario, la giurisprudenza fa ampio uso della distinzione tra mutatio ed emendatio libelli, ritenendo inammissibile l'una ed ammissibile l'altra (ma su tale distinzione v. criticamente la già citata Cass., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310). Così, ad esempio, nonè nuova la domanda di costituzione della servitù di passaggio con mezzi meccanici se in primo grado si è genericamente chiesta la costituzione della servitù (Cass. civ., sez.II, 4 giugno 2002, n. 8083); non è nuova la domanda fondata sull'azione causale in luogo di quella fondata sull'azione cartolare (Cass. civ., sez. I,13 aprile 2006, n. 8704); non si ha domanda nuova in caso di mera specificazione del criterio di calcolo del danno (Cass. civ., sez. II,19 luglio 1999, n. 7681). È inoltre generalmente ammessa l'allegazione per la prima volta in appello di fatti nuovi verificatisi successivamente al verificarsi delle preclusioni in primo grado, che avrebbero potuto essere dedotti in quella sede: ciò per ragioni di economia processuale. Anzi, la giurisprudenza afferma che la parte interessata non ha l'onere di dedurre già in primo grado il fatto sopravvenuto nell'arco temporale tra lo spirare delle preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c. e la pronuncia della sentenza (v. p. es. Cass. civ., sez.I, 17 dicembre 2015, n. 25420). Naturalmente, se si ammette l'una parte alla allegazione di fatti nuovi, deve consentirsi all'altra parte di allegare i nova necessari alla difesa (Balena, Commentario alla Legge 26 novembre 1990, n. 353, in Nuove leggi civ. comm., 1992, 213). Il divieto di domande nuove non si estende alle domande proposte dai terzi che, a norma dell'art. 344 c.p.c. intervengono eccezionalmente in appello essendo altrimenti legittimati all'opposizione di terzo di cui all'art. 404 c.p.c.. È anche il caso di rammentare, in questa sede, che le Sezioni Unite hanno di recente affermato che la proposizione di una domanda nuova in appello, pur se inammissibile, ha effetti interruttivi della prescrizione (Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2016, n. 1516). Le domande nuove eccezionalmente ammissibili
La norma espressamente contempla l'ammissibilità delle c.d. domande accessorie, concernenti interessi, frutti ed accessori maturati dopo la sentenza impugnata nonché i danni subiti dopo la sentenza stessa. Scopo della disposizione è evitare che la durata del processo si risolva in pregiudizio della parte che ha ragione, la quale, al fine di vedere integralmente riconosciuto il proprio diritto, sarebbe altrimenti costretta, in mancanza della norma, ad introdurre successivi giudizi di numero potenzialmente illimitato. È da credere che l'espressione «dopo la sentenza impugnata» sia da intendere come riferita allo spirare dei termini per il deposito delle conclusionali e repliche, non potendosi certo ammettere, per ovvie ragioni di giustizia, che, nell'arco temporale impiegato dal giudice alla redazione della sentenza ed in quello occorso alla cancelleria per la sua pubblicazione, il danneggiato rimanga privo di tutela. Resta fermo che le domande in questione in tanto possono avere ingresso, in quanto costituiscano il naturale sviluppo della domanda spiegata in primo grado. Così, non è ammissibile la domanda di risarcimento del danno spiegata in appello quando nessuna analoga domanda sia stata proposta in primo grado; né è ammissibile la domanda di interessi in appello se essi non siano stati richiesti dinanzi al primo giudice (Cass., sez. I, 19 febbraio 2003, n. 2469; Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2331). In questa sede, per l'interesse pratico della questione, sembra utile accennare al principio secondo cui la statuizione di primo grado in ordine agli interessi non costituisce un capo autonomo della decisione rispetto a quello relativo all'ammontare del credito, sicché nel giudizio di appello il giudice può ricalcolare gli interessi secondo criteri diversi da quelli utilizzati dal primo giudice anche se non c'è stata impugnazione sul punto (Cass. civ., sez. un., 5 aprile 2007, n. 8521, in Riv. dir. proc., 2007, 1670, con nota di Ricci, Le Sezioni Unite si pronunciano sul ricalcalo degli interessi da parte del giudice d'appello; in Resp. civ. prev., 2008, 360, con nota di Muroni; in Foro it., 2009, I, 3478, con nota di Poli). La pronuncia, che si cimenta con il tema della sorte della decisione di primo grado sugli interessi, quando la sentenza del primo giudice è riformata quanto al capitale senza che il tema degli interessi sia stato investito da uno specifico motivo di gravame, è stata tuttavia oggetto di critica, giacché «amplia i poteri del giudice d'appello senza ragione e legittima a torto ciò che dovrebbe essere censurato come una speciale ipotesi di decisione ultra-petita» (Ricci, op. cit., 1676). Restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado
Non soggiace al divieto di domande nuove la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado. Si rinviene, in proposito, un contrasto giurisprudenziale, giacché, secondo alcune decisioni, le pronunce restitutorie derivanti dalla riforma della sentenza di primo grado dovrebbero essere adottate d'ufficio, mentre altre decisioni ritengono comunque necessaria la formulazione di un'apposita domanda con l'atto di appello oppure nel corso del giudizio di appello quando l'esecuzione della sentenza di primo grado sia intervenuta dopo la proposizione dell'atto di appello.
Talvolta è stato inoltre affermato che l'obbligo restitutorio sorgerebbe automaticamente con effetto consequenziale della riforma della sentenza, sicché neppure il giudice dovrebbe in proposito pronunciare (Cass. civ., sez.II, 5 luglio 2006, n. 15295). Ma in senso opposto è stato affermato che una sentenza d'appello che, riformando quella di primo grado, faccia per ciò sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati in esecuzione di questa, non costituisce titolo esecutivo se non contenga una espressa statuizione di condanna in tal senso (Cass. civ., sez.III, 8 giugno 2012, n. 9287; Cass. civ., sez.III, 5 febbraio 2013, n. 2662; v. pure Cass. civ., sez.III, 11 giugno 2008, n. 15461). Casistica
Il divieto di nova si applica anche dal successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. civ., sez.III, 1 agosto 2001, n. 10490) ed al contumace in primo grado (Cass. civ., sez.III, 15 maggio 2003, n. 7542).
In generale, non costituisce domanda nuova, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., la prospettazione, in appello, di una qualificazione giuridica del contratto oggetto del giudizio diversa da quella effettuata dalla parte in primo grado, ove basata sui medesimi fatti (Cass. civ., sez.III, 7 marzo 2016, n. 4384). Ancora in generale, proposta in origine domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, costituisce domanda nuova, come tale improponibile per la prima volta in appello ex art. 345 c.p.c., quella di responsabilità extracontrattuale, giacché fondata su petitum e causa petendi differenti (Cass. civ., sez.III, 10 maggio 2013, n. 11118).
Riferimenti
Bonsignori, Il divieto di domande e di eccezioni nuove in appello, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 65 ss.; Cerino Canova, Dell'introduzione della causa, in Comm. c.p.c. diretto da Allorio, Torino 1980; Chiarloni, Appello (dir. proc. civ.), in Enc. giur., II, Roma, 1995; Di Marzio, L'appello civile dopo la riforma, Milano, 2013; Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, II, 400; Montesano, Diritto sostanziale e processo civile di cognizione nell'individuazione della domanda, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 69; Palma, Brevi note in tema di domande autodeterminate, eterodeterminate e oggetto del giudizio d'appello, in Giust. civ., 2000, 11, 2979; Ricci, Le Sezioni Unite si pronunciano sul ricalcalo degli interessi da parte del giudice d'appello. |