Doppio grado di giudizio

27 Febbraio 2017

In virtù del principio del doppio grado di giurisdizione è dato ad un secondo giudice di merito il riesame del precedente oggetto del giudizio (penale, civile, amministrativo o tributario) per i profili di legittimità e di merito.
Inquadramento

In virtù del principio del doppio grado di giurisdizione è dato ad un secondo giudice di merito il riesame del precedente oggetto del giudizio (penale, civile, amministrativo o tributario) per i profili di legittimità e di merito.

Doppio grado non significa rinnovazione del giudizio con tutte le prerogative proprie delle parti e del giudice nel procedimento di primo grado.

La necessità di avere una decisione che si avvicini il più possibile alla verità materiale, ossia limitare gli errori giudiziari raddoppiando le possibilità di giudizio, è compressa da un'altra esigenza di pari, se non maggiore, importanza, i.e. la ragionevole durata del processo, che dal 1999 ha trovato accoglimento nel comma 2 dell'art. 111 della Costituzione (L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2). La disciplina del grado di appello è frutto della ricerca di un equilibrio tra questi due poli, con un recente sbilanciamento a favore del contenimento dei tempi complessivi del procedimento.

Il principio del doppio grado di giudizio deve essere temperato, innanzitutto, con il principio devolutivo (tantum devolutum quantum appellatum), in virtù del quale l'oggetto del giudizio d'appello è uguale o minore a quello del giudizio di primo grado, a seconda dei motivi di impugnazione espressi negli atti di parte.

Il secondo comma dell'art. 342 c.p.c., così come modificato dall'art. 54, comma 1, l. 7 agosto 2012 n. 134, ha dettagliatamente disciplinato il contenuto della motivazione dell'atto d'appello, richiedendo, oltre all'indicazione delle parti del provvedimento che si intendono impugnare, quella delle censure in fatto, attraverso l'esposizione della ricostruzione della vicenda fattuale che si considera alternativa a quella effettuata dal giudice, nonché l'indicazione delle cesure in diritto, con l'esposizione della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata (v. Appello (specificità dei motivi)).

In evidenza

Il Trib. Lucca, 30 giugno 2015 n. 1189 ha, in sede applicativa, ritenuto che: «In materia di appello civile, è redatto in violazione dell'art. 342 c.p.c. con la conseguente pena della inammissibilità, l'atto di appello che non individui le parti contestate della motivazione, né in modo specifico e chiaro gli errori nella ricostruzione del fatto i quali la cui correzione rivelerebbe come causa immediatamente determinativa della richiesta riforma della sentenza. È pertanto inammissibile secondo la disposizione normativa in questione l'atto di appello che confusamente passi ad estrapolazioni di parti di verbali di prova, citazioni giurisprudenziali e generiche argomentazioni di diritto». Analogamente il Trib. Roma, 29 gennaio 2015, n. 1982.

Cass., sez. lav., 5 febbraio 2015, n. 2143, (in Giust. civ., Mass., 2015) ha statuito che: «L'art. 434, comma 1, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 54, comma 1, lett. c) bis d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv., con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell'art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il "quantum appellatum", circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata».

Sulla specificità dei motivi d'appello Cass. 22 gennaio 2015, n. 1185, inoltre, ha ritenuto che: «È inammissibile il motivo di appello con il quale la parte si limiti a lamentare in modo del tutto generico la violazione del principio di inderogabilità dei minimi tabellari, in contrasto con il principio di specificità dei motivi di gravame previsto dall'art. 342 c.p.c., per cui correttamente detto giudice ritiene di non poter prendere in considerazione una siffatta censura».

Sulle domande, eccezioni o fatti già esaminati, il giudice d'appello esegue un riesame con limitatissime possibilità per le parti di introdurre ulteriori elementi istruttori. Ai sensi dell'art. 345, comma 3, invero, non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (ed, inoltre, può sempre deferirsi il giuramento decisorio). Prima della riforma del 2012 erano invece ammessi tutti i mezzi di prova che superavano il vaglio della valutazione di “indispensabilità” da parte del collegio. Con la l. 18 giugno 2009, n. 69 è stata introdotta la distinzione tra documenti e mezzi di prova. In precedenza, infatti, si riteneva che i nuovi documenti potessero essere prodotti senza limiti anche in secondo grado, perché questo tipo di strumento istruttorio per le sue caratteristiche estrinseche non richiede un'assunzione di lungo svolgimento, ma la mera allegazione al fascicolo di parte. L'equiparazione tra documenti ed atri mezzi di prova sta proprio a sottolineare come entrambi i mezzi istruttori siano idonei allo stesso modo ad inserire elementi di novità all'interno del giudizio d'appello.

Sono limitate anche le domande ed eccezioni nuove: le prime agli interessi, ai frutti e agli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché al risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa; le seconde alle eccezioni rilevabili d'ufficio (art. 345, commi 1 e 2).

Il giudice del secondo grado esamina anche le questioni dichiarate assorbite o non esaminate dal precedente giudice, purché siano riproposte dalle parti: in tal caso non si può parlare di doppio grado di giudizio ma di un primo esame effettivo del merito.

In conclusione, l'appello ordinario è stato ridotto ad un riesame di questioni già affrontate e sulla base degli atti del precedente giudizio, con l'eccezione delle istanze nuove o non esaminate prima. In relazione a queste ultime è data la possibilità di assumere nuove prove (per approfondimenti v. Appello in generale).

È dubbio che si possa parlare di secondo grado di giudizio per i procedimenti sommari decisori, seguiti da una fase a cognizione piena come conseguenza di un'opposizione-impugnazione. In tal caso è necessario distinguere.

Se si tratta di un procedimento sul modello del ricorso per decreto ingiuntivo, l'opposizione al provvedimento pronunciato inaudita altera parte introduce senz'altro un processo a cognizione piena in cui alle parti (ricorrente ed ingiunto nella fase sommaria; convenuto ed attore nel procedimento a cognizione piena) è dato allegare nuovi fatti e proporre nuove domande, eccezioni e mezzi di prova, senza alcun limite. Il procedimento sommario, infatti, si è svolto esaminando la posizione del solo ricorrente ed è lecito anche se basi su elementi di prova che tali non sarebbero in un giudizio a cognizione piena.

Davanti ad un atto di citazione che introduca il procedimento per convalida di licenza o sfratto per finita locazione o sfratto per morosità, l'opposizione del convenuto impedisce la pronuncia del provvedimento di sommaria cognizione (ordinanza) ed impone la prosecuzione del giudizio a cognizione piena.

Qualora si abbia, invece, un procedimento del tipo “giudizio sommario di cognizione”, il processo a cognizione piena coincide con la fase di impugnazione ovvero con l'appello ed ha le caratteristiche sue proprie, prima fra tutte l'effetto devolutivo. Le parti possono chiedere nuove prove, con restrizioni minori rispetto all'appello ordinario: esse debbono, comunque, essere considerate indispensabili ai fini della decisione, salvo che la parte non dimostri di non averle potute produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile. Perciò, si possono domandare anche le prove di lungo svolgimento, che il giudice in primo grado non abbia ritenuto rilevanti al punto da determinare il passaggio alla cognizione piena.

Per avere un secondo grado di giudizio non è necessario che il provvedimento impugnabile sia idoneo al passaggio in giudicato. Mezzo di impugnazione è considerato anche il reclamo cautelare o camerale. In questa ipotesi, in secondo grado c'è la possibilità di introdurre nuovi fatti e prove senza limitazione alcuna, perché l'oggetto del giudizio non richiede la stabilità della res iudicata ma che si risponda il più efficacemente possibile alle richieste di parte.

Natura del reclamo cautelare: orientamenti a confronto

Taluno, in particolare, ha sostenuto la tesi del reclamo cautelare come mezzo di controllo a sé stante, con una serie di argomentazioni derivanti direttamente dalla disciplina cautelare. In primo luogo, si tratta di uno strumento di riesame che, a differenza dell'appello, si svolge davanti ad un giudice sì diverso, ma dello stesso grado di quello che ha pronunciato il provvedimento che viene controllato. In secondo luogo, dal 5° comma dell'art. 669 terdecies, ovvero dal potere attribuito al giudice del reclamo di conferma, modifica o revoca del provvedimento cautelare, si desume l'attribuzione all'organo giudiziario del rinnovato esercizio della funzione cautelare, senza i limiti determinati dall'oggetto dell'impugnazione delle parti e senza che possa operare il divieto di reformatio in peius. Queste caratteristiche farebbero del reclamo uno strumento ad hoc, con una disciplina propria, incompatibile con l'applicazione in via analogica delle disposizioni di cui agli artt. 323 ss. c.p.c. (Arieta 408 ss.).

La dottrina maggioritaria, al contrario, ha optato per la natura di mezzo di impugnazione del reclamo cautelare. Si è sostenuto che, da un lato, non vi è modo di desumere dalla disciplina generale dei mezzi di impugnazione che questi siano un numero chiuso; dall'altro, che il reclamo ha in comune con i mezzi di impugnazione dell'art. 323 la caratteristica di essere ancorato ad un provvedimento che pregiudica colui che lo impugna e del quale si chiede l'annullamento o la sostituzione (Consolo 376 ss.; De Cristofaro 229 ss.; Cirulli 95 ss.; Corsini87 ss.; Carratta 353 ss.)

L'assenza di motivi di reclamo tipici nonché l'espresso disposto del 4° comma dell'art. 669 terdecies, secondo il quale «il tribunale può sempre assumere informazioni ed acquisire nuovi documenti» farebbero del reclamo un mezzo di impugnazione a critica libera e sostitutivo. Se quella enunciata può essere la base comune, è innegabile, tuttavia, che tra il reclamo e l'impugnazione con la quale ha le maggiori affinità, l'appello, sussistono notevoli differenze, non riducibili all'idoneità o meno al giudicato del provvedimento contestato. Si può, piuttosto, affermare che il reclamo cautelare abbia le caratteristiche che secondo l'impostazione classica si riconosceva al mezzo di gravame, preordinato a provocare un nuovo giudizio sul rapporto giuridico controverso, nei limiti di quanto ancora sub iudice, per effetto dell'iniziativa delle parti.

Dopo le ultime riforme, la distanza tra appello e reclamo è divenuta molto più marcata: Il primo, legato a motivi stringenti (art. 342 c.p.c.), sottoposto ad un «filtro» di ammissibilità (artt. 348-bis e ter c.p.c.) e soggetto al divieto assoluto di nova (art. 345 c.p.c.), è ormai uno strumento diretto a verificare l'esistenza dei vizi della sentenza denunciati dalle parti; il secondo, caratterizzato da doglianze generiche, dalla possibilità di introdurre nuovi elementi di giudizio e di assumere ulteriori mezzi di prova, vede, in buona sostanza, il rinnovato esercizio del potere cautelare da parte di un giudice diverso dal primo, ma di pari grado, nel rispetto, però, del principio devolutivo e del divieto di reformatio in peius. (V. Reclamo cautelare).

Un discorso analogo può essere fatto con riguardo al reclamo camerale, al contempo, legato alle doglianze delle parti o del p.m. e idoneo ad dare luogo ad un nuovo giudizio, con nuove istanze e prove, per provvedere nel modo migliore alla gestione di interessi privati di rilevanza pubblica.

Garanzia costituzionale del doppio grado di giudizio

Nella nostra Costituzione non è presente il doppio grado di giudizio di merito.

L'art. 111 Cost. enuncia i principi fondamentali del giusto processo: in particolare, al settimo comma troviamo la garanzia del ricorso in cassazione, ma non dell'appello.

Si potrebbe, tuttavia, desumere l'esistenza di tale garanzia ricorrendo ad altro espediente. La nozione di “giusto processo” dell'art. 111, comma 1, Cost., potrebbe essere considerata una clausola generale grazie alla quale avrebbero riconoscimento e copertura costituzionale istituti processuali non espressamente contemplati dalla Costituzione, quali l'appello, espressione di valori emergenti a livello nazionale o internazionale.

Prima della riforma costituzionale del 1999, questa stessa funzione era, in verità, attribuita agli artt. 3 e 24 Cost., in combinato disposto tra di loro, perché la possibilità dell'appello potrebbe essere considerata una componente essenziale del diritto di agire e di difendersi in giudizio, in condizioni di eguaglianza e per qualsiasi tipo di diritto.

La Corte costituzionale, dal canto suo, ha costantemente negato all'appello copertura costituzionale e l'ha considerata, piuttosto, una prerogativa del legislatore ordinario, che per motivi di opportunità, però, può contemplare anche solo un grado di giudizio di merito ed il ricorso in cassazione.

In questo ordine di idee, la Corte costituzionale ha affermato anche la legittimità costituzionale della previsione di appello camerali a seguito di un primo grado a cognizione piena, nella fattispecie l'appello nel giudizio di divorzio, quando per motivi politica legislativa il legislatore ritenga di sacrificare le garanzie della cognizione piena alla celerità del procedimento.

Pertanto, può essere considerato costituzionalmente legittimo il filtro di ammissibilità introdotto recentemente e disciplinato agli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., anche nel momento in cui lo si esclude per due ipotesi, per la prevalenza di altre esigenze (le cause in cui il p.m. deve intervenire a pena di inammissibilità, probabilmente perché si suppone che siano controversie più complesse delle altre e quindi che sia più difficile giudicare in via sommaria sull'ammissibilità o meno di un'impugnazione; le cause che sono trattate secondo gli artt. 702-bis e ss., cosa che potrebbe portare a preferire, là dove sia possibile, il procedimento sommario a quello a cognizione piena).

Ciò che rileva, affinché il dettato costituzionale sia rispettato, è che le differenze procedimentali non creino un'ingiustificata disparità di trattamento.

In evidenza

Corte cost. 31 dicembre 1986, n. 301 e Corte cost. 31 marzo 1988, n. 395 hanno circoscritto la portata della garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione al giudizio amministrativo: «le garanzie del doppio grado di giurisdizione assurgono ad oggetto di norma costituzionale soltanto nell'area dell'art. 125 Cost. riflettente l'appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze dei tribunali amministrativi di primo grado».

Corte cost., 14 dicembre 1989, n. 543 (in Foro it., 1990, I, 366 ss., con nota di A. Proto Pisani): «… ciò comunque non senza tenere conto che, non avendo il doppio grado di giudizio garanzia costituzionale e, quindi, potendo essere addirittura soppresso quello di appello, a maggior ragione non appare in contrasto con il diritto alla difesa né irragionevole che, pur addivenendosi per determinate controversie, al mantenimento del secondo grado, si scelga un rito semplificato rispetto a quello di primo grado nel quale le parti hanno già avuto possibilità di esplicare nel modo più completo la propria attività difensiva».

V. anche Corte cost., 21 dicembre 2007, n. 449; Corte cost., 19 luglio 2013, n. 226; Corte cost. 18 luglio 2014, n. 223.

Il doppio grado di giudizio gode di un riconoscimento incompleto pure nel sistema della CEDU, all'interno del quale è esplicitamente previsto in materia penale dall'art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 del 22 settembre 1984 (secondo il quale: «Ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L'esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso può essere esercitato, è disciplinato dalla legge. Tale diritto può essere oggetto di eccezioni per reati minori, quali sono definiti dalla legge, o quando l'interessato è stato giudicato in prima istanza da un tribunale della giurisdizione più elevata o è stato dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento»), mentre in materia civile è soltanto oggetto di una Raccomandazione del Comitato dei Ministri del 7 febbraio 1995.

Riferimenti
  • CERRI, Il principio del doppio grado di giurisdizione e la sua irrilevanza costituzionale, ivi, 1965, 628;
  • PIZZORUSSO, Doppio grado di giurisdizione e principi costituzionali, in Riv. dir. proc., 1978, 33;
  • LIEBMAN, Il giudizio d'appello e la Costituzione, in Riv. dir. proc., 1980, 401 ss., ALLORIO, Sul doppio grado nel processo civile, in Riv. dir. civ., 1982, I, 317;
  • BELLOMIA, Corte costituzionale e doppio grado di giurisdizione, in Giur. cost., 1982, I, 43;
  • RICCI, “Doppio grado di giurisdizione (principio del) (diritto processuale civile)”, in Enc. giur., Roma, 1989, XII, 9-10;
  • SERGES, Il principio deldoppio grado di giurisdizionenel sistema costituzionale italiano, Milano, 1993.

Sul reclamo cautelare v., tra gli altri,:

  • Arieta, Problemi e prospettive, in Riv. dir. proc., 1997, 408 ss.;
  • Consolo, Il reclamo cautelare, la sua struttura e l'art. 3 Cost., in Corr. giur., 1994, 376 ss.;
  • De Cristofaro, Struttura rescindente o sostitutiva del reclamo cautelare, in Giur. it., 1994, I, 2, 229 ss.;
  • Cirulli, La nuova disciplina dei rimedi contro i provvedimenti cautelari, Padova, 1996, 95 ss.;
  • Corsini, Il reclamo cautelare, Torino, 2002, 87 ss.;
  • Carratta, Procedimento cautelare uniforme, Bologna, 2013 in Id. (diretto da), I procedimenti cautelari, 353 ss.