Mauro Di Marzio
01 Agosto 2017

La disciplina del fascicolo di parte si rinviene anzitutto nell'art. 74 disp. att. c.p.c., esso si divide in due distinte sezioni: una per gli atti di causa (oltre a quelli indicati dalla norma, gli altri che vengano eventualmente depositati, quali, ad esempio, le memorie di cui all'. 183 c.p.c.) e l'altra (peraltro soltanto eventuale) contenente i documenti esibiti a sostegno delle rispettive domande e eccezioni.
Inquadramento

La disciplina del fascicolo di parte (per i rapporti tra fascicolo cartaceo e fascicolo telematico v. FASCICOLO CARTACEO E DIGITALE in www.ilprocessotelematico.it) si rinviene anzitutto nell'art. 74 disp. att. c.p.c., il quale stabilisce:

  • che gli atti e i documenti di causa sono inseriti in sezioni separate di detto fascicolo;
  • che gli atti sono costituiti dagli originali o dalle copie notificate della citazione, della comparsa di risposta o d'intervento, delle memorie, delle comparse conclusionali e delle sentenze;
  • che sulla copertina del fascicolo debbono essere iscritte le indicazioni richieste per il fascicolo d'ufficio, di cui all'art. 36 disp. att. c.p.c., e cioè le indicazioni dell'ufficio, della sezione alla quale appartiene il giudice incaricato dell'affare e del giudice stesso, delle parti, dei rispettivi difensori muniti di procura e dell'oggetto;
  • che il cancelliere, dopo aver controllato la regolarità anche fiscale degli atti e dei documenti, sottoscrive l'indice del fascicolo ogni volta che viene inserito in esso un atto o documento.

Il fascicolo è dunque diviso in due distinte sezioni: una per gli atti di causa (oltre a quelli indicati dalla norma, gli altri che vengano eventualmente depositati, quali, ad esempio, le memorie di cui all'. 183 c.p.c.) e l'altra (peraltro soltanto eventuale) contenente i documenti esibiti a sostegno delle rispettive domande e eccezioni.

L'attore, il convenuto o l'interveniente debbono depositare il loro fascicolo in cancelleria all'atto della costituzione (v. per l'attore costituzione dell'attore). Una volta depositato, il fascicolo esce dalla disponibilità della parte che l'ha prodotto per venire a far parte del processo, a disposizione tanto delle altre parti che del giudice. Che il fascicolo di ciascuna delle parti debba essere a disposizione di tutte le altre è ovvia conseguenza del principio del contraddittorio e ciò - più che per gli atti di causa che vengono preventivamente notificati o scambiati - vale soprattutto per i documenti, in relazione al contenuto dei quali non è prevista alcuna forma di comunicazione (Petrucci, Fascicolo di parte, in Enc. dir., XVI, 1967). Ciascuna parte ha perciò diritto di esaminare il fascicolo avversario ed emerga a farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti e documenti ivi contenuti.

D'altro canto, una volta depositato all'atto della costituzione, il fascicolo è sottoposto al controllo del giudice, nel senso che la parte che lo ha depositato non può ritirarlo senza la sua autorizzazione, ed ha l'obbligo di restituirlo ogni qualvolta questi lo disponga (art. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.). L'autorizzazione, come si vedrà, cessa di essere necessaria quando la causa passa in decisione.

L'attività di deposito e il controllo del cancelliere

La materiale attività del deposito del fascicolo di parte contenente gli atti e i documenti prescritti può essere eseguita anche a mezzo di un nuncius qualificato, collaboratore di studio o altro legale pur difettante dello ius postulandi, davanti al giudice della causa, trattandosi di formalità meramente esecutiva, priva di qualsiasi contenuto volitivo autonomo, che nulla toglie alla riferibilità immediata dell'atto al procuratore patrocinante (Cass. 4 giugno 2014, n. 12572; Cass. 30 maggio 2014, n. 12266).

Ai sensi del cit. art. 74 spetta al cancelliere (v. Cancelliere) un potere di controllo in ordine all'inserimento di atti o documenti nel fascicolo, controllo peraltro soltanto estrinseco (Levoni, Le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, Milano, 1992, 157), ossia fondamentalmente limitato, salvo per quanto attiene agli aspetti fiscali, alla verifica di corrispondenza tra gli indici e l'effettivo contenuto del contenuto.

In evidenza

L'accettazione da parte del cancelliere degli atti contenuti nel fascicolo di parte, senza l'annotazione di alcun rilievo formale, fa presumere la regolarità dei medesimi, ivi compresa l'esistenza e la tempestività della procura se il contrario non emerga da altre risultanze (Cass. 13 maggio 1998, n. 4818; Cass. 10 dicembre 2008, n. 28942).

Nondimeno, quando la data del deposito di un atto in cancelleria deve risultare dall'annotazione del cancelliere sull'atto medesimo e dal suo inserimento nell'apposito registro cronologico, l'eventuale omissione o assoluta incertezza di tali annotazioni non può tradursi in prova del mancato o tardivo deposito, non potendosi escludere che, nonostante la menzionata omissione o incertezza, la parte abbia provveduto a depositare l'atto nel termine stabilito qualora quest'ultima circostanza risulti avvalorata da emergenze documentali oggettive (Cass. 20 ottobre 2011, n. 21704, che ha confermato la decisione del giudice di merito che, a fronte di due contraddittorie dichiarazioni rilasciate dalla cancelleria, la prima delle quali segnalava la mancanza di documenti e la seconda al contrario la loro presenza nel fascicolo processuale, aveva prestato fede alla seconda sulla base di molteplici risultanze analiticamente indicate in motivazione).

Fascicolo di parte e fascicolo d'ufficio

Secondo l'art. 72 disp. att. c.p.c., insieme con la nota d'iscrizione a ruolo, all'atto della costituzione, la parte (che normalmente è l'attore) deve consegnare al cancelliere il proprio fascicolo. Esso è custodito in unica cartella col fascicolo d'ufficio che il cancelliere forma a norma dell'art. 168, comma 2, c.p.c.. Nella stessa cartella sono custoditi i fascicoli delle parti che si costituiscono successivamente.

Il fascicolo di parte che l'attore ed il convenuto debbono depositare, pur essendo custodito, a norma dell'art. 72 disp. att. c.p.c., con il fascicolo di ufficio formato dal cancelliere, conserva, rispetto a questo, una distinta funzione ed una propria autonomia che ne impedisce l'allegazione di ufficio nel giudizio di secondo grado ove, come in quello di primo grado, la produzione del fascicolo di parte presuppone la costituzione in giudizio di questa: ne consegue che il giudice di appello non può tenere conto dei documenti del fascicolo della parte, ancorché sia stato trasmesso dal cancelliere del giudice di primo grado con il fascicolo di ufficio, ove detta parte, già presente nel giudizio di primo grado, non si sia costituita in quello di appello (Cass. 8 gennaio 2007, n. 78; Cass. 29 aprile 1993, n. 5061; in senso diverso v. però Cass. 19 luglio 2002, n.10544). In breve, il giudice d'appello, nel caso di contumacia di una delle parti, già costituita in primo grado, non può utilizzare, ai fini della decisione, documenti inseriti nel fascicolo di parte di primo grado del contumace, restando irrilevante che tale fascicolo non sia stato ritirato (Cass. 3 marzo 2006, n.4723; Cass. 11 novembre, n.11383).

È vero dunque che il fascicolo di parte sta nel fascicolo d'ufficio, ed è vero che il fascicolo d'ufficio, in caso di impugnazione, viene trasmesso al giudice del successivo grado: in tal senso il comma 3 dell'art. 347 c.p.c., in riferimento all'appello, stabilisce che il cancelliere del giudice d'appello richiede la trasmissione del fascicolo d'ufficio al cancelliere del giudice di primo grado (per l'impugnazione delle sentenze non definitive v. art. 123-bis disp. att. c.p.c.), ed il comma 3 dell'art. 369 c.p.c., in riferimento al ricorso per cassazione, stabilisce che il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo d'ufficio alla Corte di cassazione.

Ma la trasmissione del fascicolo d'ufficio non comporta automaticamente quella del fascicolo di parte e, comunque, non dà luogo all'automatico ingresso del fascicolo in sede di impugnazione.

Opposizione a decreto ingiuntivo

Specifiche considerazioni, tuttavia, vanno fatte con riguardo al procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo.

Al riguardo, la SC ha in più occasioni ribadito, in passato, il principio secondo cui la documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell'opposizione e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte l'onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di tale produzione, essa non entra a fare parte del fascicolo d'ufficio e il giudice non può tenerne conto (Cass. 18 aprile 2006, n.8955; Cass. 18 luglio 2013, n.17603).

A tal riguardo merita sottolineare che il codice di rito, a differenza di quanto si è visto con riguardo alle impugnazioni, non contiene disposizioni volte a regolare la trasmissione del fascicolo d'ufficio della fase monitoria al cancelliere del giudice della fase di opposizione, che, ovviamente, è lo stesso giudice (almeno nel senso di ufficio giudiziario, se non di persona fisica del magistrato) che ha pronunciato il decreto opposto. Sicché non di rado è accaduto che — in assenza del materiale inserimento, da parte del cancelliere, del fascicolo monitorio in quello d'ufficio della fase di opposizione — il giudice abbia accolto l'opposizione, revocando il decreto ingiuntivo, in ragione della mancanza di prova della domanda attrice, ossia della domanda spiegata dal ricorrente in monitorio, per il fatto che quest'ultimo non aveva nuovamente prodotto nella fase di opposizione la documentazione posta a sostegno della domanda medesima.

Tale eventualità finiva per risultare tendenzialmente irrimediabile anche in appello (salvo che per mezzo della valvola di sicurezza dell'indispensabilità, che oggi è stata soppressa dall'art. 345 c.p.c.), dal momento che i documenti prodotti dal ricorrente nella fase monitoria, ma non in quella di opposizione a decreto ingiuntivo, venivano considerati in appello come documenti nuovi, con conseguente applicabilità dello sbarramento previsto per le nuove produzioni documentali dall'art. 345 citato (p. es. Cass. 18 aprile 2006, n.8955).

Insorto contrasto sul punto (contrasto aperto da Cass. 27 maggio 2011, n.11817), i termini della questione sono stati riesaminati dalle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che:

In evidenza

L'art. 345, comma 3, c.p.c. va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell'art. 638, comma 3, c.p.c., seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio «di non dispersione della prova» ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (Cass., Sez. Un., 10 luglio 2015, n. 14475; nello stesso senso Cass. 4 aprile 2017, n. 8693)

Secondo le Sezioni Unite i documenti allegati al ricorso, in base ai quali sia stato emesso il decreto, devono rimanere nella sfera di cognizione del giudice anche nella eventuale fase di opposizione, dal momento che le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio. Indicazioni di segno diverso non possono essere tratte dall'art. 638, comma 3, c.p.c., laddove dispone che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo «non possono essere ritirati fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto d'ingiunzione a norma dell'art. 641». Tale previsione non comporta infatti che, scaduto quel termine, i documenti possano essere liberamente ritirati: ciò vale sicuramente in caso di mancata opposizione; al contrario, in caso di opposizione il procedimento monitorio si trasforma in giudizio a cognizione piena, che prosegue dinanzi allo stesso ufficio giudiziario, il che implica che la parte opposta non è libera di ritirare i documenti, ma deve essere autorizzata dal giudice ex art. 169 c.p.c.. I due regimi limitativi della possibilità di ritirare i documenti in caso di opposizione, secondo le Sezioni Unite, si saldano. Il giudice nel decidere dovrà disporre di tutto il materiale probatorio (di quello prodotto con la richiesta di decreto ingiuntivo, nonché di quello che opponente ed opposto abbiano in seguito eventualmente aggiunto). L'unicità dell'ufficio spiega la mancanza di una norma che espliciti la necessità della trasmissione del fascicolo d'ufficio, con accluso il fascicolo di parte della fase monitoria contenente i documenti, al giudice dell'opposizione.

Sicché può dirsi che, allo stato attuale della giurisprudenza, il fascicolo di parte della fase monitoria deve automaticamente essere inserito nel fascicolo d'ufficio della fase di opposizione a decreto ingiuntivo.

Le produzioni documentali

Quanto ai documenti, il fascicolo di parte, con l'indice che esso deve contenere, svolge una funzione essenziale, quale è quella di garantire rigorosamente la certezza della produzione dei documenti ed il tempo in cui questa viene effettuata (Petrucci, Fascicolo di parte, in Enc. dir., XVI, 1967). In particolare, ai sensi del comma 4 del cit. art. 74, i documenti depositati al momento della costituzione in cancelleria debbono risultare dall'indice del detto fascicolo sottoscritto dal cancelliere. Le produzioni successive (da effettuarsi, per regola generale, entro il termine a tal fine fissato dall'art. 183 c.p.c.) sono disciplinate dall'art. 87 disp. att. c.p.c., che fa obbligo alla parte interessata di comunicare alle altre nei modi previsti dall'art. 170 c.p.c. l'elenco dei documenti che intende depositare fuori udienza nella cancelleria, mentre per i documenti esibiti in udienza è sufficiente la menzione nel relativo processo verbale.

Ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. c.p.c., gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell'indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, dal cancelliere), con la conseguenza che l'inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione, giacché, ove non sussista alcuna tempestiva opposizione alla produzione irrituale (da effettuarsi nella prima istanza o difesa successive all'atto o alla notizia di esso), non è dato apprezzare la violazione del principio del contraddittorio, che le anzidette norme sono dirette ad assicurare (Cass. 9 marzo 2010, n. 5671; Cass. 22 aprile 2010, n. 9545).

Il fascicolo di parte va tenuto in ordine e con cura ad opera dell'interessato, potendone altrimenti discendere gravi conseguenze a carico del medesimo. È stato in tal senso affermato che la parte che si duole dell'omessa considerazione, da parte del giudice di primo grado, di un documento decisivo che assuma ritualmente prodotto ha l'onere di indicare con esattezza al giudice d'appello a quale numero dell'indice del proprio fascicolo corrisponda il documento che si assume trascurato. Ne consegue che, nel caso in cui il fascicolo di parte sia disordinatamente tenuto e confusamente composto ed i numeri dell'indice non corrispondano ai documenti prodotti, il giudice d'appello non ha alcun onere di reperire da sé la documentazione malamente indicizzata; non è pertanto censurabile in sede di legittimità la decisione che di quella documentazione non tenga conto (Cass. 26 maggio 2011, n. 11617).

Con riguardo alla produzione dei documenti, si rammenta l'art. 16-bis, comma 1, d.l. 18.10.2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, a tenore del quale il deposito degli atti e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha oggi luogo esclusivamente con modalità telematiche. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria. Con le medesime modalità infine le parti provvedono depositare gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati.

Secondo l'opinione comune, anche i documenti prodotti da una delle parti in conseguenza di un ordine giudiziale di esibizione devono essere inseriti nel rispettivo fascicolo assieme ai documenti dalla stessa prodotti spontaneamente, e non nel fascicolo d'ufficio (La China, L'esibizione delle prove, Milano, 1960, 203, Graziosi, L'esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003, 320). Tale soluzione discende dalla formulazione dell'art. 74 disp. att. c.p.c., secondo cui, come si è detto, i documenti devono essere inseriti in un'apposita sezione del fascicolo di parte, il cui indice deve essere sottoscritto dal cancelliere ogni volta che vi sia inserito un nuovo atto o documento. Né pare che in senso contrario possa essere richiamata la previsione dell'art. 76 disp. att. c.p.c., che, contemplando i documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio, accanto a quelli inseriti nei fascicoli delle parti, si riferisce ai documenti che non siano stati depositati in giudizio da queste ultime, e così ad esempio a quelli esibiti da terzi.

Ritiro del fascicolo di parte e termine per il deposito

Mentre le parti debbono di regola chiedere al giudice di essere autorizzati a ritirare il fascicolo di parte, e devono nuovamente depositarlo ogni volta che il giudice lo disponga (art. 169, comma 1, c.p.c.), ciascuna di esse, all'atto del passaggio della causa in decisione, ha facoltà, senza che occorra autorizzazione, di ritirare il fascicolo, ma deve restituirlo al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale (art. 169, comma 2, c.p.c.).

Sorge in proposito la questione se il termine di cui al comma 2 dell'art. 169 c.p.c. debba considerarsi o meno perentorio, avuto riguardo al dettato dell'art. 152, comma 2, c.p.c., il quale stabilisce che sono perentori i termini che la legge «dichiari espressamente» tali. Ebbene, l'espressione «al più tardi», utilizzato dall'art. 169 c.p.c., sembra coincidere esattamente con la nozione di perentorietà, la quale si riassume proprio in ciò, che il potere di compiere un determinato atto viene meno con lo spirare del termine al riguardo previsto: di guisa che il termine per il (ri)deposito del fascicolo di parte ha da essere considerato come espressamente perentorio.

D'altro canto, ove volesse negarsi che il termine in questione sia qualificato espressamente come perentorio dalla legge, sarebbe agevole rammentare che la giurisprudenza ha in numerosissime occasioni desunto la perentorietà di specifici termini processuali, pur in mancanza di un'espressa qualificazione in tal senso da parte della legge, dalla loro intrinseca conformazione. La perentorietà, cioè, si ha «tutte le volte che il termine, per lo scopo che persegue e per le funzioni che è destinato ad assolvere, debba essere rigorosamente osservato» (Cass. 22 luglio 1980, n. 4787; nel senso che i termini perentori sono tali o perché la legge lo prevede espressamente o perché la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta v. più di recente, tra le altre, Cass. 19 gennaio 2005, n. 1064; Cass. 6 giugno 1997, n. 5074).

Nel caso in esame, dunque, la perentorietà trova ulteriore conferma nella ratio della previsione, dal momento che il termine è fissato non già al fine di portare il fascicolo (ri)depositato nella disponibilità del giudice, — nel qual caso sarebbe stato logico prevedere che il deposito dovesse avvenire con le repliche e non con le conclusionali — bensì di consentirne l'esame alla controparte, la quale, nello scrutinare la conclusionale, deve poter prendere visione del fascicolo sì da verificare che esso non contenga documentazione irritualmente prodotta, in modo da poter spiegare in proposito le necessarie doglianze in sede di memoria di replica. Non pare perciò potersi dubitare che la previsione del comma 2 dell'art. 169 c.p.c. sia strumentale al dispiegamento del contraddittorio e del reciproco diritto di difesa delle parti, costituendo perciò articolazione del principio del giusto processo riconosciuto dall'art. 111 Cost.. Sicché, ove pure volesse negarsi la perentorietà sul piano testuale, essa dovrebbe essere comunque riconosciuta trattandosi di termine che, per le funzioni che è destinato ad assolvere, deve essere rigorosamente osservato.

In tale contesto si spiega l'insegnamento della Suprema Corte di seguito.

In evidenza

È onere della parte produrre il fascicolo previsto dagli artt. 72 e 74 disp. att. c.p.c., sicché il mancato deposito del fascicolo di parte nel termine di cui all'art. 169, comma 2, c.p.c. comporta che la decisione debba essere assunta dal giudice allo stato degli atti, non potendo egli, sostituendosi alla parte, rimettere la causa sul ruolo per acquisire il fascicolo mancante (Cass. 9 maggio 2007, n. 10566).

Ed infatti l'art. 169 c.p.c. non prevede che, in caso di mancato deposito di un fascicolo di parte regolarmente ritirato, il giudice debba segnalare la circostanza alla parte personalmente; perciò il giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato il proprio fascicolo ai sensi dell'articolo 169 c.p.c., senza che poi il medesimo risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, come è stato anche di recente ribadito, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest'ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti (Cass. 23 febbraio 2017, n. 4680).

Sul tema bisogna aggiungere che, secondo la Cassazione, il mancato tempestivo deposito del fascicolo di parte entro il termine di cui all'art. 169, comma 2, c.p.c., può essere rimediato attraverso il deposito in appello. In più occasioni è stato ribadito che i caso di mancata restituzione del fascicolo di parte, ritualmente ritirato, il giudice di primo grado deve decidere la causa prescindendo dai documenti in esso contenuti, ma la parte ha la facoltà, alla stregua dell'art. 345 c.p.c. di produrre nuovamente in grado di appello i documenti non esaminati nella decisione appellata, i quali, se ed in quanto ritualmente prodotti in primo grado, non sono qualificabili come «nuovi» (Cass. 10 dicembre 2014, n. 26030; v. pure Cass. 15 marzo 2006, n. 5681; Cass. 9 maggio 2007, n. 10566; Cass. 4 maggio 2009, n. 10227; Cass. 27 maggio 2011, n. 11817).

In contrario può osservarsi che in tal modo si perviene ad un radicale ribaltamento del meccanismo di funzionamento del giudizio d'appello come risultante dalla novella del 1990. Difatti, a seguito di essa, «l'appellante è tenuto a fornire la dimostrazione delle singole censure, atteso che l'appello, non è più, nella configurazione datagli dal codice vigente, il mezzo per passare da uno all'altro esame della causa, ma una revisio fondata sulla denunzia di specifici "vizi" di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata» (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28498). Essendo dunque il giudizio d'appello configurato, almeno in linea di principio, non già come novum iudicium, bensì come revisio prioris istantiae, sembra essere evidente che, ove si ammettessero le parti a ritirare i documenti prima della pronuncia della sentenza di primo grado e quindi a produrli nuovamente in sede di appello, si finirebbe per trasformare il giudizio di appello in un nuovo anomalo giudizio, non precedentemente effettuato e destinato a svolgersi per la prima volta in sede di impugnazione, sul materiale probatorio documentale raccolto in primo grado.

Mancanza del fascicolo di parte che non risulta ritirato

Così come deve documentare il deposito del fascicolo di parte, il cancelliere deve fare altrettanto con il ritiro del fascicolo stesso.

Perciò, ove non risulti alcuna annotazione dell'avvenuto ritiro del fascicolo di una parte - che, come il successivo rideposito, deve necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l'incartamento processuale - il giudice deve ritenere che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l'avvenuto deposito. Deriva da quanto precede che il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine alla parte per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento. Solo all'esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all'ordine di ricostruire, nel termine accordato, il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare nel merito della causa in base agli atti a sua disposizione (Cass. 31 ottobre 2016, n. 22021; Cass. 3 giugno 2014, n. 12369).

In breve, se il fascicolo risulta ritirato e non più depositato, il giudice può e deve decidere senza incontrare ostacoli. Se il fascicolo di parte risulta depositato e non ritirato, ma non si rinviene nel fascicolo d'ufficio, bisogna disporne la ricerca e l'eventuale ricostruzione.

Mancanza di singoli atti al fascicolo di parte

Un ragionamento diverso viene svolto in giurisprudenza con riguardo ai singoli atti e documenti contenuti nel fascicolo.

In virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti; ne consegue che è onere della parte dedurre quella incolpevole mancanza (ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso) e che il giudice è tenuto ad ordinare la ricerca o disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta solo ove risulti l'involontarietà della mancanza, dovendo, negli altri casi, decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione (Cass. 26 aprile 2017, n. 10224).

Il mancato rinvenimento, al momento della decisione della causa, di documenti che la parte invoca, comporta dunque per il giudice l'obbligo di disporre la ricerca di essi con i mezzi a sua disposizione ed eventualmente l'attività ricostruttiva del contenuto dei medesimi, a condizione che gli atti e i documenti siano stati prodotti ritualmente in giudizio e che l'omesso inserimento di essi nel fascicolo non debba essere attribuito alla condotta volontaria della parte. In particolare l'obbligo del giudice di procedere alla ricerca dei documenti ed, eventualmente, alla loro ricostruzione, postula che i documenti siano stati ritualmente depositati nelle forme previste dall'art. 87 disp. att. c.p.c. in cancelleria, previa attestazione da parte del cancelliere e comunicazione alle controparti o, ancora, in udienza in cui deve essere fatta menzione. (Cass. 13 agosto 2015, n. 16854, la quale ha osservato il ricorrente non aveva allegato e tantomeno dimostrato né che dell'avvenuto deposito dei documenti fosse stata apposta attestazione dal cancelliere sul fascicolo di parte, né che il giudice avesse mai dato atto nel verbale di udienza dell'avvenuto deposito dei documenti che il ricorrente assumeva assenti al momento della decisione).

Anche in appello Il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte, al momento della pronuncia della causa, dei documenti su cui la parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio, non preclude al giudice di secondo grado di decidere sul gravame, ove non risulti lo smarrimento del fascicolo e la formale richiesta di ricostruzione del medesimo (Cass. 27 giugno 2016, n. 13218).

In sede di legittimità, la parte che intenda censurare vizio derivante dalla mancata effettuazione di ricerche di documenti ritualmente prodotti ma non presenti nel fascicolo di parte, l'onere di richiamare nel ricorso per cassazione il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa (Cass. 28 giugno 2017, n. 16212).

Con riguardo alle opposizioni allo stato passivo è stato recentemente chiarito che, una volta trasmesso alla Pec del curatore e inserito nel sistema telematico, il documento probatorio appartiene al fascicolo informatico della procedura. E dunque, la parte, nel ricorso di opposizione, non deve di nuovo produrre i documenti che provano il credito ma può limitarsi a indicarli. Conseguentemente, il giudice non può considerare inutilizzabili le "carte" allegate al fascicolo di parte della fase tempestiva, solo perché non riprodotte nell'opposizione (Cass. 18 maggio 2017, n. 12548, secondo la quale con le nuove forme telematiche di insinuazione al passivo, di cui al d.l.179/2012, l'automatica migrazione dei documenti probatori nel sistema del fascicolo informatico comporta la necessità che quei documenti restino nella sfera di cognizione del giudice anche nella fase dell'opposizione).

Ritiro del fascicolo e processo telematico

Il discorso svolto nei tre paragrafi che precedono con riguardo al ritiro e deposito del fascicolo di parte, ed alle situazioni patologiche ad essi collegate, è tagliato sul dato normativo tutt'ora vigente e sul dato giurisprudenziale formatosi con riferimento al fascicolo cartaceo. L'art. 169 c.p.c., che prevede il ritiro del fascicolo, ed il correlato art. 77 disp. att. c.p.c., che indica gli adempimenti necessari al ritiro, paiono tuttavia aver perso di reale significato con riguardo al processo civile telematico, giacché il fascicolo telematico possiede una stabilità tale da rendere sempre visibili gli atti e i documenti ivi contenuti delle parti tanto per chi li ha depositati, quanto per la controparte e per il giudice.

Nondimeno, quanto al giudizio di appello, occorre tener presente che l'art. 347 c.p.c., dopo aver stabilito che la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale, e che l'appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata, soggiunge che il cancelliere «richiede la trasmissione del fascicolo d'ufficio al cancelliere del giudice di primo grado»: il che legittima l'opinione secondo cui anche il contenuto del fascicolo di parte sia destinato a trasmigrare automaticamente dal primo giudice a quello dell'impugnazione. Secondo l'opinione più diffusa, tuttavia, a seguito della trasmissione del fascicolo d'ufficio (cartaceo e telematico), eseguita in osservanza della citata disposizione, vengono inviati dai tribunali ed acquisiti dalle corti d'appello i soli atti costituenti il fascicolo d'ufficio, sicché non vengono trasmessi i documenti delle parti, che sono contenuti nei fascicoli di parte (art. 74 disp. att. c.p.c.) e che le parti hanno l'onere di depositare nel successivo grado di giudizio.

In mancanza di una espressa disposizione concernente il deposito del fascicolo di parte del primo grado nel giudizio di appello, si tende a distinguere a seconda si tratti di fascicolo di primo grado tutto telematico, in parte telematico, tutto cartaceo:

  1. nel primo caso si afferma si debbano: a) scaricare i file degli atti dal fascicolo informatico come duplicati o copie informatiche e quindi ridepositarli; b) ridepositare i file relativi ai documenti;
  2. nel secondo si afferma si debbano: a) scaricare i file degli atti e ridepositarli come al punto precedente; b) scansionare gli atti cartacei, attestare la conformità ai sensi dell'art. 16-deciesl. 179/2012, e quindi ridepositarli; c) scansionare i documenti cartacei e quindi ridepositarli; d) ridepositare i file relativi ai documenti;
  3. nel terzo caso si afferma si debbano: a) scansionare atti cartacei e attestare la conformità ai sensi dell'art. 16- decies d.l. 179/2012, e quindi ridepositarli; b) scansionare i documenti cartacei e ridepositarli
Riferimenti
  • Cerino Canova, Dell'introduzione della causa, Comm. c.p.c. diretto da Allorio, II, Torino 1980;
  • Levoni, Le disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, Milano, 1992;
  • Petrucci, Fascicolo di parte, in Enc. dir., XVI, 1967
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