La richiesta in appello di restituzione delle somme corrisposte con la sentenza di primo grado
15 Maggio 2016
Il quadro normativo
L' art. 282 c.p.c. dispone la provvisoria esecutività delle sentenze civili di primo grado tra le parti in causa. L'applicazione del suddetto principio ha come dies a quo quello della pubblicazione e riguarda ogni sentenza di condanna, mentre per quelle di mero accertamento in giurisprudenza (Cass. civ., sez.II, 26 marzo 2009, n.7369) si è rilevato che in considerazione della stessa formulazione della norma che fa riferimento all'esecuzione, devo escludersi che, al di fuori delle statuizioni di condanna consequenziali, le sentenze di accertamento e quelle costitutive possano avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, essendo l'esecuzione riferibile soltanto a quelle sentenze di condanna suscettibili del procedimento disciplinato dal terzo libro del codice di procedura civile. Tale interpretazione trova ulteriore conferma nell'art. 283 c.p.c., che, prevedendo espressamente la possibilità di sospendere l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, necessariamente intende fare riferimento alle sentenze di condanna e nelle disposizioni di cui agli artt. 431 e 447-bis c.p.c., che fanno riferimento alle sole ipotesi di condanna, ed infine, nella regola generale dell'immutabilità dell'accertamento sancita dagli artt. 2908 e 2909 c.c., da ritenersi norme speciali rispetto alla generale previsione dell'art. 282 c.p.c., atteso che, in mancanza di una espressa previsione legislativa in senso contrario, tale norma non consente di attribuire efficacia a un accertamento che non sia ancora definitivo. E' infatti noto che la Cassazione, negli ultimi anni, ha sì ampliato il novero delle statuizioni provvisoriamente esecutive, arrivando a predicare la provvisoria esecuzione delle sentenze costitutive e dichiarative con riferimento alla statuizione condannatoria del capo relativo alle spese di lite (Cass. civ., sez.III, 22 febbraio 2012, n.2554) ma così facendo ha implicitamente e di fatto ribadito il tradizionale insegnamento circa la normale esecutività di tali sentenze, con riferimento al merito degli effetti costitutivi e dichiarativi, solo con il passaggio in giudicato della relativa pronuncia. Ad esempio, si è statuito che non è riconoscibile l'esecutività provvisoria ex art. 282 c.p.c., del capo decisorio relativo al trasferimento dell'immobile contenuto nella sentenza di primo grado resa ai sensi dell'art. 2932 c.c, né è ravvisabile l'esecutività provvisoria della condanna implicita al rilascio dell'immobile, in danno del promittente venditore, scaturente dalla suddetta sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento dell'immobile producendosi l'effetto traslativo della proprietà del bene solo dal momento del passaggio in giudicato di detta sentenza con la contemporanea acquisizione al patrimonio del soggetto destinatario della pronuncia (Cass., S.U. 22 febbraio 2010, n.4059). Le sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive
L'immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado è riferibile a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale che sia suscettibile anch'essa di provvisoria esecutività. Pertanto, il capo contenente la condanna al pagamento delle spese processuali è provvisoriamente esecutivo, pur se acceda a pronunce di accertamento o costitutive o di rigetto, o comunque non suscettibili di immediata esecutività (Cass. civ., sez.III, 20 aprile 2010, n.9363; Cass. civ., sez.III, 19 novembre 2009, n. 24438; Cass. civ., sez.III, 20 febbraio 2008, n. 4307; Cass. civ., sez.III, 3 agosto 2005, n. 16262; Cass. civ., sez.III, 10 novembre 2004, n. 21367). Pertanto, il capo di una sentenza relativo alla condanna al pagamento di una somma di denaro, anche se riguarda il pagamento delle spese processuali, è provvisoriamente esecutivo, pure se acceda a pronunce di accertamento o costitutive, o comunque non suscettibili di immediata esecutività.
La restituzione delle somme corrisposte per effetto della sentenza provvisoriamente esecutiva di primo grado riformata in appello
Un orientamento giurisprudenziale - minoritario, ma niente affatto isolato - sul presupposto che l'obbligo di restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge per il solo fatto della riforma di quella pronuncia, ancorché la stessa non contenga alcuna statuizione al riguardo, da un lato, prefigura come implicita la condanna dell'accipiens alla restituzione in favore del solvens degli importi ricevuti, dall'altro, esclude che il giudice di appello il quale, nel riformare completamente la decisione impugnata, benchè richiestone, non disponga la condanna alle restituzioni, incorra nel vizio di omessa pronuncia (Cass. civ., sez.III, 13 aprile 2007, n. 8829; Cass. civ., sez.II, 5 luglio 2006, n. 15295; Cass. civ., 26 aprile 2003, n. 562476; Cass. civ., 24 giugno 2002, n. 11729; Cass. civ., sez.III, 10 dicembre 2001, n. 15571; Cass. civ., sez.lav., 19 agosto 1999, n. 8781; Cass. civ., sez.III, 6 aprile 1999, n. 3291). A tale indirizzo se ne contrappone tuttavia un altro che, pur ammettendo l'azionabilità nella fase di gravame delle pretese restitutorie conseguenti alla riforma in appello della sentenza di primo grado, ne afferma l'utilità proprio in vista della necessaria precostituzione di un titolo esecutivo, specularmente escludendo la sufficienza, ai medesimi fini, della mera sentenza di riforma. In proposito, fermo che la condanna restitutoria non può essere eseguita prima del suo passaggio in giudicato, si è avuto cura di precisare che, ove il giudice di appello ometta di pronunciare sul punto, la parte potrà o impugnare l'omessa pronunzia con ricorso in cassazione oppure riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che ivi, stante la menzionata facoltà di scelta, le sia opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronuncia (Cass. civ., sez.III, 8 luglio 2010, n. 16152; Cass. civ., sez.II, 24 maggio 2010, n. 12622; Cass. civ., sez.III, 30 aprile 2009, n. 10124; Cass. civ., sez.III, 11 giugno 2008, n. 15461; Cass. civ., sez.III, 16 maggio 2006, n. 11356; Cass. civ., sez.II, 22 marzo 1995, n. 3260). La domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello, con la precisazione che la stessa deve essere formulata, a pena di decadenza, con l'atto di gravame, mentre, qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell'impugnazione, è ammissibile la sua formulazione anche nel corso del giudizio (Cass. civ., sez.VI, 8 maggio 2014, n.9929; Cass. civ., sez.III, 4 ottobre 2013, n.22753; nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Palermo, sez. III, 13 febbraio 2014, in Guida al dir., 2014, 23, 95). L'azione di restituzione e riduzione in pristino non è riconducibile allo schema della ripetizione d'indebito, perchè si collega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, prescinde dall'esistenza del rapporto sostanziale ancora oggetto di contesa, nè si presta a valutazioni sulla buona o mala fede dell'accipiens, non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, per cui, chi ha eseguito un pagamento non dovuto, per effetto di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, ha diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita, ovvero alla restituzione della somma con gli interessi legali a partire dal giorno del pagamento (Cass. civ., sez.III, 20 ottobre 2011, n. 21699). Ciò premesso, nel giudizio in appello, la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte in esecuzione della sentenzadi primo grado non configura una domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata. Ne consegue che la domanda oltre a non implicare la violazione del divieto di domande nuove, sancito dall'art. 345 c.p.c. , può essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2012, n.17227). Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare il principio che l'art. 336 c.p.c., nel testo novellato dalla l. 26 novembre 1990, n. 353, art. 48, disponendo che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con il conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente. Ne consegue ulteriormente che, nel giudizio di appello, non configura una domanda nuova la richiesta di restituzione delle somme versate in forza della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado (Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2006, n.26171). Aggiungasi che il giudice del gravame che ometta di pronunciarsi sulla stessa incorre nella violazione di cui all'art. 112 c.p.c., (Cass. civ., sez.III, 31 luglio 2015, n. 16284; Cass. civ., sez.III, 31 marzo 2015, n. 6457; Cass. civ., sez.III, 5 febbraio 2013, n. 2662). Si pone tuttavia il problema di stabilire se l'obbligo di restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e poi fatta oggetto di riforma in appello - come si è verificato, appunto, nel caso odierno - si determini per il solo fatto dell'accoglimento dell'appello, con riforma della pronuncia di primo grado, come una sorta di effetto automatico, o se sia invece necessaria un'apposita pronuncia da parte del giudice del gravame. Il problema è stato ampiamente scandagliato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez..III, 8 giugno 2012, n. 9287), la quale ha aderito all'orientamento maggioritario secondo cui è comunque necessaria una domanda e, soprattutto, una espressa pronuncia del giudice di merito che disponga la restituzione, in considerazione del fatto che una condanna cd. implicita non si concilia con la chiara previsione dell'art. 474 c.p.c., che stabilisce l'obbligatoria presenza di un titolo esecutivo come condizione imprescindibile per poter procedere all'esecuzione forzata. Ragione per cui tentare di ristabilire lo status quo ante senza la presenza di una pronuncia giudiziale finirebbe con il creare più problemi di quanti non sia in grado di risolverne nella misura in cui abilita la parte a estrapolare un titolo esecutivo da una pronuncia che non lo contiene espressamente, titolo che, soprattutto nei dettagli, darebbe facilmente luogo ad ogni sorta di contestazione.
In conclusione
Sulla scorta del disposto dell'art. 336 c.p.c., la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata e ciò comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l'efficacia degli atti e dei provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente(Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2013, n.3544; Cass. civ., sez.I, 6 dicembre 2006, n. 26171; Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2004, n. 11461; Cass. civ., sez. lav., 10 marzo 2004, n. 4922. Sulla automaticità dell'obbligo di restituzione, quale effetto consequenziale, sulla base della riforma della sentenza di primo grado, cfr. Cass. civ., sez.III, 13 aprile 2007, n. 8829). La richiesta di restituzione delle somme, corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado appellata in considerazione della natura soltanto provvisoria dell'esecuzione ed essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata oltre che conforme al principio di economia del giudizio, non alterando i termini della controversia, non costituisce domanda nuova ed è quindi ammissibile in grado di appello (Cass. civ., sez. II, 24 maggio 2010, n. 12622). Il suddetto principio si estende, mutatis mutandis, attesa l'identità di ratio, anche all'ipotesi di pagamento di somme in esecuzione di un decreto ingiuntivo poi riformato (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2015, n. 814; Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2002, n. 16632). In relazione alla domanda proposta nella fase di gravame, di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, il giudice di appello opera, invero, quale giudice di primo grado, in quanto detta domanda non poteva essere formulata precedentemente. Pertanto, da tanto consegue che, se il giudice dell'impugnazione omette, in tale qualità, di pronunziarsi sul punto, la parte ha la facoltà alternativa di far valere l'omessa pronunzia con ricorso in cassazione o di riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio, senza che la mancata impugnazione della sentenza determini la formazione del giudicato.
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