16 Novembre 2016

Agli articoli 599 – 601 c.p.c. si disciplina l'ipotesi in cui oggetto dell'espropriazione sia una quota indivisa di un bene in comunione tra il debitore ed altri soggetti.
Inquadramento

Agli articoli 599 601 c.p.c. si disciplina l'ipotesi in cui oggetto dell'espropriazione sia una quota indivisa di un bene in comunione tra il debitore ed altri soggetti.

Le disposizioni di cui sopra non si applicano al caso in cui oggetto dell'espropriazione sia l'intero bene comune perché l'espropriazione è condotta contro tutti i condomini.

Tali disposizioni si applicano anche in caso di comunione legale tra coniugi, quando a procedere sia un creditore personale di uno dei due (Trib. Pisa, 28 novembre 2008, in Giur. merito 2012, 3, 604, con nota di Cardino).

Se per errore viene pignorato l'intero bene in luogo di una quota, i comproprietari non debitori, essendo terzi rispetto all'esecuzione, possono opporsi mediante lo strumento offerto dell'art. 619 (vedi Opposizione di terzi).

Oggetto dell'espropriazione può essere sia un bene in comunione ordinaria che ereditaria, nonché in comunione legale tra coniugi quando il creditore procede per un debito personale di un coniuge.

Il pignoramento è disciplinato da regole differenti a seconda della natura dei beni che ne sono oggetto. Esso deve essere seguito, tuttavia, da avviso del pignoramento agli altri comproprietari, che ai sensi dell'art. 180 disp. att. c.p.c. deve contenere:

  • l'indicazione del creditore pignorante,
  • del bene pignorato,
  • della data dell'atto di pignoramento
  • della data della trascrizione di esso
  • e deve essere sottoscritto dal creditore pignorante stesso.

Con lo stesso avviso o con altro separato gli interessati debbono essere invitati a comparire davanti al giudice dell'esecuzione per sentire dare i provvedimenti indicati nell'art. 600 c.p.c..

L'avviso deve contenere l'ingiunzione a non lasciare separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice. Secondo la giurisprudenza di merito (vedi in tal senso Trib. Bari, sez. II, 14 dicembre 2009, n. 3706), il mancato adempimento di questo onere non comporta la nullità del pignoramento, ma l'opponibilità al creditore procedente della divisione del bene comune, pur intervenuta dopo la trascrizione del pignoramento.

Formato il fascicolo d'ufficio in cui sono inseriti tutti i documenti relativi al pignoramento, incuso l'avviso agli altri condomini, l'atto successivo è l'istanza con la quale il creditore procedente ovvero uno o più condomini, avvertiti con avviso del pignoramento, chiedono la separazione in natura della quota del debitore esecutato.

L'art. 600 c.p.c. descrive la struttura del procedimento che può a seconda dei casi culminare con una divisione parziale, se è chiesta e c'è la possibilità di separare in natura la quota, ovvero con la divisione dell'intero cespite comune, in caso contrario, salvo che ci siano le condizioni per vendere la quota.

È da ritenere che l'intera parentesi di cognizione abbia inizio con l'istanza di separazione della quota, sinonimo di richiesta di divisione parziale; nel caso in cui questa non sia possibile, il procedimento prosegue per dividere l'intero cespite comune tra i condomini. Né può ritenersi che sia d'ostacolo a questa ricostruzione la circostanza che molto probabilmente sarà il creditore procedente a presentare ricorso, se si qualifica questa ipotesi come un caso di sostituzione processuale ex art. 81. Il creditore agisce il luogo del debitore-condomino, ma a tutela di un proprio interesse.

Dal tenore dell'art. 600, comma 2, c.p.c. sembrerebbe che si possa procedere d'ufficio alla divisione integrale del bene, in verità, anche in questo caso è necessario l'atto di impulso di parte, che è contemporaneamente stimolo del procedimento esecutivo e domanda di divisione.

Competente a procedere alla divisione è sempre il giudice dell'esecuzione.

Il giudizio segue le scansioni proprie del procedimento di divisione degli artt. 784 ss.c.p.c., ma non deve essere preceduto dal tentativo obbligatorio di mediazione, escluso virtù del disposto dell'art. 5, quarto comma, lett. e).

Ai sensi dell'art. 601, comma 1 c.p.c., se si deve procedere alla divisione, l'esecuzione è sospesa finché sulla divisione non sia intervenuto un accordo fra le parti o pronunciata una sentenza avente i requisiti di cui all'art. 627 c.p.c..

Chiusa la fase di cognizione, si procede alla vendita ovvero all'assegnazione dei beni attribuiti al debitore secondo le disposizioni sulla vendita o assegnazione forzata.

Per ulteriori approfondimenti sulle questioni procedurali si rinvia a Divisione endoesecutiva.

Parametri per procedere alla separazione della quota ovvero alla divisione in natura

Il giudice dirige di norma le operazioni necessarie alla specificazione del contenuto della quota: in esse si mira alla formazione e valutazione della massa da dividersi, alla individuazione delle quote e alla assegnazione. L'individuazione dell'oggetto materiale costituisce il supporto reale della modificazione giuridica richiesta: il transito dallo stato di proprietà comune alla proprietà individuale che insiste, però, su di un oggetto minore del precedente.

Per analogia con quanto disposto dall'art. 790 c.p.c. nella divisione giudiziale, si può ritenere che queste attività siano delegabili in tutto o in parte a notaio.

È il codice civile agli artt. 718 ss. c.c. eart. 1114 c.c. a stabilire le condizioni della divisione materiale dei beni comuni. Nonostante costituisca principio prioritario della divisione che ciascun condividente abbia diritto di avere la propria parte in natura, deve, tuttavia, considerarsi che la concreta realizzazione di tale diritto, nella varietà delle singole situazioni, quasi mai impone una soluzione unica, ma consente di regola una molteplicità di soluzioni diverse, inevitabilmente rimesse ad una valutazione relativamente discrezionale da parte del giudice. Ciò significa che ciascun condividente, nel momento in cui chiede la divisione, può aspirare solo ad un risultato generico, consistente nel conseguimento di una quantità di ricchezza, in natura o per equivalente, pari al valore della sua quota; e seppur potrà pretendere che il giudice applichi nel modo più rigoroso possibile le regole divisorie stabilite dal codice civile (artt. 718-731), egli non può mai considerarsi titolare di un diritto predeterminato avente ad oggetto l'assegnazione dell'uno o dell'altro dei beni compresi nella comunione o l'attribuzione di una somma di denaro (Trib. Roma, 25 Febbraio 2003).

Secondo la Cassazione (Cass., sez. II, 4 giugno 2013, n. 14111, in Guida al diritto 2013, 46, 50), l'art. 720 c.c. rappresenta una deroga all'art. 718 c.c., non solo nel caso di mera non divisibilità dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano comodamente divisibili, situazione, questa, che ricorre quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero quando si possano avere solo porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, siano sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero. Nella valutazione della comoda divisibilità dei beni va considerato, infine, anche il costo delle operazioni di divisione, che non deve essere tale da annullare il vantaggio economico conseguibile di condividenti (v. sul punto Trib. Reggio Emilia, 25 agosto 2015, n. 1160).

In caso di non comoda divisibilità beni, le parti possono chiedere l'attribuzione del bene ai sensi dell'art. 720 c.c.Secondo giurisprudenza di merito (Trib. Mantova, 2 febbraio 2012, in Giur. it., 2012, 2109, con nota di Di Cola) le preclusioni attualmente previste nel codice di rito si applicherebbero anche al giudizio di divisione. Di conseguenza, l'istanza di attribuzione di un immobile non comodamente divisibile, formulata da uno o più condividenti ai sensi dell'art. 720 c.c., da qualificarsi come eccezione o come istanza di precisazione delle conclusioni, dovrebbe essere considerata tardiva, se presentata dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 183 c.p.c.. L'emanazione dell'ordinanza ex art. 788 c.p.c. precluderebbe, insomma, la possibilità di formulare l'istanza di assegnazione, posto che alla vendita si potrebbe fare luogo solo quando nessuno dei condividenti abbia formulato l'istanza di cui all'art. 720 c.c.

In verità, nel momento in cui il giudice dispone la vendita ai sensi degli artt. 787 e 788 c.p.c. si dovrebbero seguire le disposizioni proprie della vendita forzata. Si passa infatti alla fase esecutiva governata da proprie disposizioni, incluse quelle relative alla vendita ed assegnazione di beni.

Secondo una Cassazione più risalente (Cass., 14 aprile 2008, n. 12119), tuttavia, l'art. 720 c.c. si configurerebbe come un'eccezione alle regole proprie dell'esecuzione forzata applicabili alla divisione in virtù del richiamo operato dalla normativa sulla divisione: «Nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione, proponibile solo in caso d'indivisibilità del bene, ex art. 720 c.c., costituisce una modalità attuativa della divisione che ne paralizza la vendita anche se precedentemente disposta dal giudice, trattandosi di una mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, formulabile anche in appello». Questa giurisprudenza è confermata da una pronuncia più recente della Cassazione (Cass. 17 aprile 2013, n. 9367) secondo la quale: «Il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, intraprendendo i singoli condividenti le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione ed acquisendo rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote; ne deriva il diritto delle parti del giudizio divisorio di mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione».

Ancora sul punto si richiama una pronuncia della Cassazione (Cass. 17 luglio 2014, n. 16376, in Diritto&Giustizia 2014, 18 luglio, con nota di Villani), secondo la quale: «Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, ed a maggior ragione quando le quote siano uguali e non soccorra quindi l'unico criterio indicato dalla legge (di preferire, cioè il condividente avente diritto alla maggior quota), il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva al contrario, un potere perfettamente discrezionale nella scelta del condividente al quale assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, potendo essere oggetto di controllo soltanto la logicità intrinseca e la sufficienza del ragionamento operata dal giudice di merito».

Per approfondimenti sul procedimento e sui relativi provvedimenti si rinvia a Divisione endoesecutiva (di prossima pubblicazione).

Riferimenti
  • Grasso, Espropriazione di beni indivisi, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 793;
  • Tarzia, Espropriazione di beni indivisi, in N.ssimo Dig. it., VI, Torino, 1964, 887;
  • Travi, Espropriazione di beni indivisi, in Dig. civ., VII, Torino, 1992, 15
  • Capponi, Espropriazione di beni indivisi, in Bove, Capponi, Martinetto, Sassani, L'espropriazione forzata, in Giur. sist. dir. proc. civile Proto Pisani, Torino, 1988, 510;
  • Id., Commento agli artt. 599 - 601 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato diretto da Consolo, Milano, 2013, 2464 ss.;
  • Lombardi, Profili problematici dell'espropriazione dei beni indivisi, in Riv. dir. proc., 2012, 59; Id., L'espropriazione dei beni invisi e le riforme dell'ultimo decennio, in Riv. dir. proc., 2016, 317 ss.