Estinzione dell’esecuzione

Valerio Colandrea
12 Ottobre 2016

Le vicende estintive del processo esecutivo sono disciplinate dagli artt. 629, 639, 631 e 632 c.p.c., e danno luogo ad uno sviluppo anomalo del processo, divergente da quello fisiologico, consistente nell'esaurimento della serie di atti processuali previsti dal codice.
Inquadramento

Le vicende estintive del processo esecutivo sono disciplinate dagli artt. 629, 639, 631 e 632 c.p.c., e danno luogo ad uno sviluppo anomalo del processo, divergente da quello fisiologico, consistente nell'esaurimento della serie di atti processuali previsti dal codice.

L'estinzione del processo esecutivo ha luogo nei casi tassativamente indicati dalla legge, ovvero quelli di rinuncia agli atti esecutivi (art. 629 c.p.c.), di inattività delle parti derivante dalla mancata prosecuzione o riassunzione entro il termine fissato dalla legge o dal giudice (art. 630 c.p.c.) e di mancata comparizione delle parti in udienza (art. 631 c.p.c.).

L'entrata in vigore della l. 302/1998 ha poi modificato l'art. 567 c.p.c., introducendo una nuova causa di estinzione del processo esecutivo, per il caso di mancato deposito della documentazione elencata nello stesso art. 567 c.p.c. entro il termine di centoventi (ora sessanta) giorni dal deposito dell'istanza di vendita.

Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, ha aggiunto tra le ipotesi di estinzione tipica, con il nuovo art. 631-bis c.p.c., anche l'omessa pubblicità dell'avviso di vendita sul portale delle vendite pubbliche, ove imputabile al creditore procedente.

Le suddette estinzioni dell'esecuzione sono definite “tipiche”, in quanto previste dalla legge, e producono gli effetti di cui all'art. 632 c.p.c.

All'estinzione tipica si contrappone poi quella cd. “atipica”, che si verifica in tutti quei casi in cui il giudice (anche d'ufficio) accerti l'improseguibilità del processo e produce effetti diversi dall'estinzione tipica (ad esempio, come meglio si vedrà nel prosieguo, con riguardo al regime della interruzione della prescrizione)

La giurisprudenza in modo pacifico (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 1976, n. 1624; Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1992, n. 12711; Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2006, n. 27148) ritiene che l'estinzione ha luogo solo nei casi tipici tassativamente previsti dal c.p.c. e che i provvedimenti con cui si dichiara l'improcedibilità, l'improseguibilità o altro non possono essere equiparati a quelli di estinzione.

Segnatamente, si parla di estinzioni c.d. atipiche in riferimento a tutta una serie di ipotesi in cui sussiste il difetto dei presupposti processuali o delle condizioni per l'esercizio dell'azione esecutiva, oppure di sussistenza di impedimenti di fatto o di diritto che rendono non proseguibile l'esecuzione già pendente (anche se legittimamente instaurata), oppure a casi di omissione di attività imposte dal giudice dell'esecuzione.

Ad esempio, costituisce ipotesi di improcedibilità dell'esecuzione forzata e, quindi, di estinzione c.d. atipica il difetto di titolo esecutivo (sempre rilevabile d'ufficio dal giudice dell'esecuzione) oppure il difetto di appartenenza all'esecutato dei beni pignorati (atteso che, nell'espropriazione immobiliare, spetta al giudice dell'esecuzione verificare d'ufficio la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l'esame della documentazione depositata dal creditore procedente, ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell'art. 567 c.p.c., dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore: Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11638).

Nell'alveo delle cause di estinzione (atipiche) occorre segnalare la recente introduzione ad opera della l. n. 162/2014 dell'art. 164-bis delle disp. att. c.p.c., che consente al giudice dell'esecuzione di dichiarare la chiusura anticipata del processo esecutivo in caso di infruttuosità dell'espropriazione forzata.

La rinuncia agli atti esecutivi

L'esecuzione si estingue innanzitutto per rinuncia, disciplinata dall'art. 629 c.p.c..

Affinché la rinunzia sia efficace, e dunque determini l'estinzione dell'esecuzione, occorre che essa non contenga riserve o condizioni (Cass. civ., sez. III, 7 marzo 1997, n. 2050).

L'effetto estintivo tipico della rinuncia si verifica solo laddove la rinuncia provenga da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, se il processo si trova nella fase anteriore all'aggiudicazione o all'assegnazione (art. 629, comma 1, c.p.c.).

In questo caso non rileva l'eventuale tardività dell'intervento dei creditori. Infatti, dall'art. 629 c.p.c. che si riferisce alla rinunzia del creditore pignorante o dei creditori muniti di titolo esecutivo (senza alcun distinguo di sorta), si desume che questi ultimi, seppure siano intervenuti tardivamente, hanno facoltà di provocare i singoli atti di esecuzione, in quanto non sarebbe in alcun modo giustificabile il permanere del processo esecutivo per la mancata rinunzia del creditore intervenuto tardivamente ove questi non abbia il potere di promuovere il completamento della procedura medesima (Cass. civ., sez. III, 16 settembre 1980, n. 5276; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26088).

L'art. 629, comma 2, c.p.c. stabilisce invece che successivamente alla vendita la rinuncia deve provenire da tutti i creditori, anche se privi del titolo esecutivo.

Poiché la rinunzia agli atti esecutivi trova la sua regolamentazione nell'art. 306 c.p.c. per effetto del rinvio a tale norma contenuto nel terzo comma dell'art. 629 c.p.c., essa deve essere fatta dalle parti personalmente o dai loro procuratori speciali con dichiarazione verbale resa all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.

La rinunzia agli atti esecutivi ha carattere di atto processuale formale, per cui non è ammessa una rinunzia non formale ed implicita.

Un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che il provvedimento del giudice dell'esecuzione di estinzione del processo in conseguenza della rinunzia abbia natura costitutiva, per cui l'estinzione consegue solo alla pronuncia del giudice.

In particolare, secondo Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2008, n. 6885 l'estinzione del processo esecutivo a seguito di rinuncia si verifica, al pari di quella prevista dall'art. 306 c.p.c., richiamato dall'art. 629, comma 3, c.p.c., solo con l'ordinanza del giudice.

In tale prospettiva, dunque, finché non è emesso tale provvedimento, i creditori possono intervenire e – ai fini della pronuncia di estinzione – occorrerà altresì la rinuncia di costoro.

Tuttavia, l'orientamento tradizionale (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1966, n. 599)considera l'ordinanza del giudice dell'esecuzione ex art. 629 c.p.c. come avente natura dichiarativa e ricognitiva di un'estinzione già verificatasi, con effetti, dunque, dal momento in cui si sono verificati i presupposti dell'estinzione.

L'inattività delle parti

L'art. 630 c.p.c. disciplina la seconda causa tipica di estinzione dell'esecuzione, ovvero l'inattività delle parti.

L'inattività che causa l'estinzione della procedura esecutiva dev'essere “qualificata”, in tal modo intendendosi i casi della mancata prosecuzione o riassunzione del processo esecutivo entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice.

Sul punto la Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 12 gennaio 2010, n. 262) ha chiarito che devono considerarsi perentori non solo i termini definiti tali dal giudice, ma anche quelli sanzionati con una decadenza.

Prima della riforma operata con l. 69 del 2009 l'art. 630, comma 2, c.p.c. stabiliva che l'estinzione per inattività delle parti doveva essere eccepita dalla parte interessata, prima di ogni altra sua difesa.

La l. n. 69/2009 ha modificato il secondo comma dell'art. 630 c.p.c., stabilendo che l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice dell'esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della stessa.

La giurisprudenza ha individuato varie ipotesi tipiche di estinzione dell'esecuzione per inattività delle parti.

C'è innanzitutto la mancata riassunzione della procedura esecutiva sospesa nei termini previsti dall'art. 627 c.p.c.; occorre però evidenziare che il termine varia in base all'evento che ha causato la sospensione.

In caso di opposizioni esecutive, il termine è fissato dal giudice al momento della sospensione oppure è fissato in sei mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello (purché di rigetto dell'opposizione).

Qualora il giudizio di merito si estingua, il termine decorre dalla data in cui è diventato definitivo il provvedimento dichiarativo dell'estinzione (Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 2009, n. 22283).

La giurisprudenza più recente ritiene che lariassunzione del processo esecutivo sospeso è possibile anche a seguito di sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione non ancora passata in giudicato (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2011, n. 24447).

In caso di divisione cd. “endoesecutiva”, il dies a quo per la riassunzione è costituito dall'accordo sulla divisione intervenuto tra le parti o, alternativamente, dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello.

Nell'ipotesi di accertamento dell'obbligo del terzo (ma solo per i giudizi anteriori alla riforma operata con l. 228/2012, applicabile ai procedimenti espropriativi presso terzi iniziati dopo il 1 gennaio 2013), la giurisprudenza riteneva che il termine fissato ex art. 549 c.p.c. dal giudice nella sentenza andasse individuato nella sentenza che definisce il giudizio di accertamento e che la decorrenza del termine per la prosecuzione del processo esecutivo sospeso prescindesse dal passaggio in giudicato della detta pronuncia (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2010, n. 23325).

Nel caso di mancata indicazione nella sentenza del termine per la prosecuzione, la Suprema Corte ha ritenuto applicabile il termine di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione stabilito dall'art. 297 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7760) ed individuato il dies a quo nel passaggio in giudicato della sentenza (Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2010, n. 23325).

Una seconda ipotesi di inattività è quella del mancato compimento dell'attività imposta al sequestrante ex art. 156 disp. att. c.p.c.

L'attività imposta al sequestrante dalla suddetta norma, da eseguirsi entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza di condanna esecutiva, è attività di impulso processuale che il sequestrante, divenuto creditore pignorante, ha l'onere di compiere entro il detto termine perentorio.

Ne consegue che il mancato tempestivo compimento di quest'attività di impulso processuale comporta l'estinzione del processo ex art. 630, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2006, n. 10029; Cass. civ., sez. III, 2 settembre 2007, n. 18536).

Ulteriore ipotesi individuata dalla giurisprudenza è quella dell'inattività delle parti nel promuovere il giudizio di divisione previsto dall'art. 600 c.p.c. entro il termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione.

Secondo la Cassazione (Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1968, n. 44) infatti, nell'espropriazione di beni indivisi, l'inattività delle parti nel promuovere il giudizio di divisione entro il termine perentorio stabilito dal giudice dell'esecuzione, determina l'estinzione del processo esecutivo, poiché questo non può essere proseguito né rimanere indefinitamente sospeso, in attesa di un evento come l'inserimento del giudizio cognitivo di divisione nell'ambito dell'esecuzione come mezzo al fine del suo espletamento, che non può verificarsi.

Ulteriore ipotesi estintiva per inattività delle parti è rappresentata dalla mancata introduzione o mancata prosecuzione del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo previsto dall'art. 548 c.p.c. (ovviamente solo per i giudizi anteriori alla riforma operata con l. 228/2012, applicabile ai procedimenti espropriativi presso terzi iniziati dopo il 1 gennaio 2013),

Per la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2006, n. 6449; Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2006, n. 19059), infatti, in caso di esecuzione con espropriazione presso terzi, il giudizio di accertamento dell'obbligo di terzo ex art. 548 c.p.c. (che costituisce autonomo giudizio di cognizione) sorge incidentalmente nel corso del procedimento esecutivo ed è funzionalizzato all'individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione all'esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione del terzo.

Altre ipotesi di inattività qualificata individuate dalla giurisprudenza sono: la perdita di efficacia del pignoramento ai sensi degli artt. 497 e 562 c.p.c.; il mancato deposito della documentazione ipocatastale nel termine di cui all'art. 567, commi 2 e 3, c.p.c.; l'estinzione anticipata ex art. 624, comma 3, c.p.c.

La mancata comparizione all'udienza

La terza ipotesi che dà luogo ad estinzione dell'esecuzione è costituita dalla mancata comparizione delle parti a due udienze successive (previa fissazione della seconda udienza e debita comunicazione alle parti), disciplinata dall'art. 631 c.p.c.

Si è a lungo discusso circa la possibilità che la causa estintiva di cui all'art. 631 c.p.c. possa essere applicata alla riunione fissata per la vendita con l'incanto.

L'orientamento più risalente della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1975, n. 213; Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1991, n. 5375) propendeva per la soluzione favorevole, considerando come “udienza” anche la riunione in cui si tiene l'incanto, con consequenziale applicabilità dell'art. 631 c.p.c.

Tuttavia l'orientamento successivo, accolto anche da Cass. civ., sez. un., 17 ottobre 1995, n. 11178, ha accolto la soluzione negativa circa l'applicabilità della causa di estinzione della mancata comparizione delle parti alla riunione fissata per la vendita con incanto.

Secondo tale ricostruzione interpretativa, infatti, la riunione in cui si tiene l'incanto non può essere considerata alla stregua di un'udienza.

La riforma del 2006 ha modificato l'art. 631 c.p.c.: da un lato, ha qualificato come udienza «quella in cui ha luogo la vendita»; dall'altro lato, però, ha espressamente escluso l'applicabilità a questa udienza dell'art. 631 c.p.c.

La giurisprudenza si è occupata di individuare le caratteristiche dell'estinzione per mancata comparizione all'udienza in caso di pignoramento presso terzi.

Nell'espropriazione forzata presso terzi l'udienza di comparizione del terzo e del creditore, fissata nell'atto di pignoramento, va tenuta anche se il creditore pignorante non si sia costituito depositando il titolo esecutivo ed il precetto, né la mancata costituzione e comparizione del creditore pignorante all'udienza determinano l'improseguibilità dell'azione esecutiva e l'estinzione del processo dichiarabili d'ufficio, ma impongono solo che il giudice dell'esecuzione fissi una nuova udienza ex art. 631, comma 1, c.p.c., con conseguente estinzione del processo, da dichiararsi d'ufficio in base al secondo comma dell'art. 631 c.p.c. ove il creditore non si presenti neanche alla nuova udienza (Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1991, n. 2477; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2002, n. 15086).

Infruttuosità dell'espropriazione forzata

La l. n. 162/2014 ha introdotto l'art. 164-bis disp. att. c.p.c. con cui è stabilito che «quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo».

La norma in esame rappresenta un'importante novità, introducendo legislativamente una ipotesi di chiusura anticipata del processo esecutivo, prima non consentita in ossequio al principio di tassatività delle cause di estinzione del medesimo.

In passato, infatti, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2006, n. 27148) ha più volte ribadito che nell'attuale disciplina dell'esecuzione forzata vige il principio della tassatività delle ipotesi estintive del processo esecutivo e, di conseguenza, non è legittimo un provvedimento di cd. “estinzione atipica” fondato sull'improseguibilità per stallo della procedura di vendita forzata e, quindi, sull'inutilità o non economicità sopravvenuta del processo esecutivo.

Occorre comunque tener presente che la fattispecie di cui all'art. 164-bis disp. att. c.p.c. costituisce un'ipotesi di estinzione c.d. atipica o improseguibilità dell'esecuzione (con le relative conseguenze in punto di rimedi impugnatori).

Effetti dell'estinzione

L'art. 632, comma 2, c.p.c. stabilisce che ove l'estinzione del procedimento esecutivo avvenga prima dell'aggiudicazione provvisoria o dell'assegnazione, il debitore conserva la proprietà del bene pignorato e, nel caso di esecuzione immobiliare, ottiene altresì che il giudice disponga la cancellazione della trascrizione del pignoramento.

Se invece l'estinzione ha luogo dopo l'aggiudicazione provvisoria o l'assegnazione, il debitore perde la proprietà del bene ed ha diritto solo alla restituzione della somma ricavata dalla vendita.

Orientamenti a confronto: momento dell'estinzione dell'esecuzione

Per individuare il momento in cui si verifica l'estinzione dell'esecuzione, secondo l'orientamento tradizionale occorre guardare al momento in cui si sono verificati i presupposti (Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1966, n. 599), con la conseguenza che il provvedimento del giudice dell'esecuzione ha natura meramente dichiarativa.

Secondo il recente orientamento di Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2008, n. 6885 il provvedimento di estinzione ha natura costitutiva e, pertanto, occorrerebbe guardare al momento della sua adozione per verificare il tempo dell'estinzione.

L'estinzione dell'esecuzione forzata determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. solo laddove la contestazione spiegata investa la pignorabilità dei beni (venendo infatti meno l'interesse alla prosecuzione del giudizio) (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498; Cass. civ., sez. un., 23 aprile 1987, n. 3933).

Per contro, se l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. ha ad oggetto il diritto a procedere ad esecuzione forzata in rapporto all'esistenza del titolo esecutivo o del credito, permane l'interesse alla decisione anche a seguito della pronuncia di estinzione (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15761; Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498).

L'estinzione del processo esecutivo determina, invece, sempre la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., poiché viene meno l'oggetto della controversia (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15761; Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4498; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1976, n. 4293).

Anche nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo l'estinzione della procedura esecutiva implica la cessazione della materia del contendere (così Cass. civ., sez. III, 26 giugno 1976, n. 2409).

Laddove sia stato proposto regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al processo esecutivo, la sopravvenuta estinzione del processo determina il venir meno del presupposto del regolamento stesso, cioè la pendenza di un procedimento per cui si renda necessario definire la questione di giurisdizione e, pertanto, ne comporta l'inammissibilità (Cass. civ., sez. un., 14 maggio 1987, n. 4439).

Quanto al regime delle spese, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 14 aprile 2005, n. 7764; Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2007, n. 23408; Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2009, n. 16711) ritiene che in conformità alla regola generale sancita dall'art. 310, ult. comma, c.p.c., nel processo di esecuzione, in mancanza di accordo tra le parti, qualora il processo si estingua le spese restano a carico delle parti che le hanno anticipate. Ne discende che, in caso in particolare di espropriazione presso terzi, le spese sostenute dal creditore procedente restano a suo carico se – a seguito della dichiarazione negativa del terzo ed in assenza di contestazioni – il processo è dichiarato estinto e, di conseguenza, l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione, dichiarata l'estinzione del processo, provvede alla loro liquidazione senza, però, porle a carico del debitore esecutato, non avendo contenuto decisorio su diritti, non può considerarsi ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2009, n. 16711).

L'estinzione dell'esecuzione forzata produce effetti anche in punto di interruzione della prescrizione.

Per la giurisprudenza di legittimità è pacifico (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9679; Cass. civ., sez. V, 12 maggio 2008, n. 11794), infatti, che ai sensi dell'art. 2943, commi 1 e 2, c.c., il decorso della prescrizione ordinaria sia interrotto dalla domanda esecutiva proposta nei confronti del debitore sia dal creditore pignorante, che del creditore intervenuto.

Ex art. 2945, comma 2, c.c., il termine di prescrizione del diritto di credito avanzato dal creditore pignorante nonché dai creditori intervenuti resta sospeso sin dal compimento del primo atto esecutivo (pignoramento nell'espropriazione) e fino alla conclusione del procedimento (definitività del provvedimento di distribuzione o decisione inoppugnabile dell'eventuale controversia di cui all'art. 512 c.p.c.).

Laddove il processo esecutivo si estingua prima con un provvedimento di estinzione tipico, la Suprema Corte(Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 1998, n. 10700) ritiene che – ai sensi dell'art. 2945, comma 3, c.c. - si produce solo un effetto interruttivo della prescrizione, che ricomincerà a decorrere dalla data dell'atto interruttivo.

In caso di estinzione dell'esecuzione per cause atipiche, la legge non dispone alcunché circa gli effetti sulla prescrizione; tuttavia parte della giurisprudenza di merito (Trib. S. Maria Capua Vetere, 19 aprile 2011) ritiene che anche quest'ipotesi sia soggetta all'art. 2945, comma 2, c.c. e, pertanto, il processo improcedibile conserva la sua portata sospensiva del termine di prescrizione del diritto di credito.

Impugnazione del provvedimento di estinzione

L'art. 630, comma 2, c.p.c. prevede come strumento di impugnazione delle ordinanze di estinzione della procedura esecutiva di cui agli artt. 630, 631 e dell'art. 629 c.p.c. (per quest'ultima solo dopo la sentenza della C. Cost., 17 dicembre 1981, n. 195) il reclamo al collegio.

L'intervento del Giudice delle leggi ha fatto sì che il reclamo costituisca un mezzo di impugnazione tipico e generalizzato avverso ogni provvedimento di estinzione; di talché il reclamo si applica anche al caso di provvedimento che dichiara l'estinzione ex art. 567 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2005, n. 5789).

La legittimazione alla proposizione del reclamo spetta a chiunque possa subire un pregiudizio dall'estinzione. Rispetto a tale tipologia di provvedimento non è possibile identificare quale sia la parte soccombente, per cui l'interesse ad agire resta, in ogni caso, l'unico criterio per stabilire a quale delle parti il provvedimento possa risultare pregiudizievole e, quindi, a chi spetti il diritto di impugnazione (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1967, n. 1956).

In tal senso la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 30 luglio 1986, n. 4889) esclude che il creditore intervenuto ma privo di titolo esecutivo possa considerarsi legittimato al reclamo, posto che non è ravvisabile un suo interesse ad rimuovere la declaratoria di estinzione, in un procedimento cui non è in grado di dare impulso a causa dell'indicata carenza di titolo.

Avverso la sentenza che decide il reclamo è possibile proporre appello, trattandosi di un ordinario giudizio di cognizione (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1998, n. 1797; Cass. civ., sez. III, 1 luglio 2005, n. 14096).

Ad ogni modo, sull'istanza di estinzione non vi è necessità di decisione immediata, potendo eventualmente il giudice adottare anche provvedimenti interlocutori (ad esempio, di sospensione delle operazioni di vendita) nelle more della decisione. In tale caso, tuttavia, è esclusa la reclamabilità al collegio del provvedimento interlocutorio, perché tale ordinanza non costituisce un provvedimento implicito di rigetto dell'eccezione di estinzione, ma è interpretabile come atto interlocutorio prodromico alla decisione dell'istanza medesima (Cass. civ., sez. III, sent., 30 novembre 2015 n. 24355).

Diversi sono invece i rimedi azionabili dagli interessati nel caso in cui il giudice dell'esecuzione abbia dichiarato l'estinzione per cause atipiche, cioè l'improcedibilità del processo (ad esempio per difetto di appartenenza dei beni pignorati al debitore).

Sul tema la giurisprudenza di legittimità è pacifica (Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2008, n. 30201; Cass. civ., sez. VI, 20 novembre 2014, n. 24775): poiché nell'espropriazione forzata il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione dichiara l'estinzione del processo esecutivo per cause diverse da quelle tipiche ha natura sostanziale di atto viziato del processo esecutivo, esso è impugnabile solo con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che costituisce il rimedio proprio previsto per tali atti.

Non è possibile, invece, aggredire tali atti con il reclamo di cui all'art. 630 c.p.c., atteso che questo è esperibile solo avverso il provvedimento che dichiari l'estinzione dell'esecuzione per una causa tipica.

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