Rosaria Giordano
09 Maggio 2017

L'art. 5-ter, l. 24 marzo 2001 n. 89, inserito dall'art. 55, comma 1, lett. f), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 , convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 , stabilisce che contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione dinanzi all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento monitorio entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dello stesso ovvero dalla sua notificazione. Il decreto emanato dalla Corte d'Appello una volta conclusa la fase di opposizione è ricorribile per Cassazione, alla medesima stregua del provvedimento reso dalla stessa Corte d'Appello sulla domanda di equa riparazione nell'assetto previgente.
Inquadramento

L'opposizione, proposta ad iniziativa dell'Amministrazione o del privato ricorrente nell'ipotesi di rigetto anche parziale della domanda, dà luogo ad un procedimento disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. dinanzi alla Corte d'Appello in composizione collegiale.

L'opposizione è un giudizio che, come avviene per l'opposizione a decreto ingiuntivo di cui all'art. 645 c.p.c., non ha ad oggetto la legittimità del decreto, bensì la sussistenza della pretesa creditoria, sicché nell'ambito della stessa possono essere fatte valere, senza alcuna limitazione, tutte le questioni a ciò correlate (Cass., n. 20463/2015).

Trattandosi di un procedimento camerale c.d. su diritti devono peraltro essere rispettate le norme fondamentali in tema di contraddittorio.

Il procedimento, nel quale l'istruttoria è tendenzialmente documentale, si conclude con un decreto ricorribile per cassazione ed immediatamente esecutivo.

Termine e modalità di proposizione dell'opposizione

L'art. 5-ter, l. 24 marzo 2001 n. 89, inserito dall'art. 55, comma 1, lett. f), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 , convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 , stabilisce che contro il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione può essere proposta opposizione dinanzi all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento monitorio entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dello stesso ovvero dalla sua notificazione.

In particolare, nell'ipotesi di accoglimento, in tutto o in parte, del ricorso per ingiunzione, l'opposizione potrà essere proposta dall'Amministrazione nei confronti della quale è stata formulata la domanda di equa riparazione, mentre nel caso di rigetto, anche parziale, interessato a proporre l'opposizione sarà il ricorrente.

La S.C. ha chiarito che nel procedimento di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, in caso di mancata notificazione all'amministrazione del decreto emesso dal presidente della corte d'appello, o dal magistrato da questo delegato, la stessa amministrazione, convenuta in sede di opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001 dal ricorrente, il quale si dolga dell'accoglimento parziale della domanda, può limitarsi ad eccepire l'integrale infondatezza della pretesa di indennizzo e la violazione dell'art. 2 bis della medesima legge, senza necessità di proporre opposizione in via incidentale (Cass., n. 16110/2015).

Dies a quo ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione è la comunicazione dello stesso ovvero, nell'ipotesi di accoglimento della domanda, dalla notificazione, che deve essere eseguita, peraltro, entro il termine di trenta giorni dal deposito del provvedimento. L'art. 5, comma secondo, l. 24 marzo 2001 n. 89 precisa che, ove la notifica venga effettuata tardivamente rispetto al predetto termine, il decreto sarà inefficace e la domanda non potrà più essere riproposta.

L'opposizione deve essere proposta con ricorso – per la determinazione del contenuto del quale, come già per il ricorso introduttivo della fase monitoria, l'art. 5-ter rinvia al disposto dell'art. 125 c.p.c. – dinanzi all'ufficio giudiziario al quale appartiene al giudice che ha emesso il decreto, cui viene demandata una competenza funzionale assolutamente analoga a quella propria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo regolato dal quarto libro del codice di procedura civile (MARTINO, 584).

Il ricorso introduttivo dell'opposizione avverso il decreto di inammissibilità o rigetto, a norma dell'art. 5-ter l. 24 marzo 2001, n. 89, che richiama espressamente l'art. 125 c.p.c., deve contenere l'indicazione del "petitum" e della "causa petendi", sicché in caso di omissione o di assoluta incertezza di detti elementi, il ricorso, introduttivo di una fase contenziosa, è nullo e la corte d'appello, rilevatane la nullità, è tenuta a concedere all'opponente, ai sensi dell'art. 164 c.p.c., un termine perentorio per l'integrazione del ricorso sempreché dette indicazioni fossero contenute nella domanda monitoria originaria (Cass., n. 3508/2015).

Applicazione delle norme sul procedimento in camera di consiglio

Il comma 3 dell'art. 5-ter, l. 24 marzo 2001 n. 89 stabilisce, quanto al procedimento, soltanto che la Corte d'Appello provvede ai sensi degli artt. 737 e ss. c.p.c.: viene quindi effettuato un rinvio “secco” alle norme del codice di procedura civile sul procedimento in camera di consiglio (MARTINO, 583).

Prima della riforma realizzata dalla l. n. 134/2012, invece, come noto, l'art. 3 della stessa legge c.d. Pinto, pur prevedendo le forme del procedimento in camera di consiglio per la decisione da parte della Corte d'Appello sulla domanda di equa riparazione correlata all'irragionevole durata del processo, dettava una serie di disposizioni specifiche, ad esempio sul contraddittorio tra le parti e sull'istruzione probatoria, idonee a ricondurre il rito speciale esclusivo al rispetto con i principi costituzionali (MARTINO 2001, 1080 ss.; RONCO 249 ss.).

Sul punto, è opportuno ricordare che l'art. 3, comma quarto, legge 24 marzo 2001 n. 89, nella formulazione previgente, stabiliva che il ricorso ed il decreto di fissazione della camera di consiglio dovevano essere notificati al convenuto almeno quindici giorni prima della stessa. A riguardo, peraltro, era stato più volte precisato dalla S.C. che in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio, posto che l'art. 3 l. 24 marzo 2001 n. 89 si limita a prevedere il termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa dell'Amministrazione, sicché il rispetto del contraddittorio esige la notifica al controinteressato del ricorso e del decreto di fissazione della data della camera di consiglio entro un termine idoneo ad assicurare l'utile esercizio del diritto di difesa ed a tal fine, deve ritenersi applicabile anche al procedimento camerale in via analogica, attenendo ai requisiti dell' atto indispensabili a garantire il contraddittorio, l'art. 164 c.p.c. (Cass. n. 22153/2011).

L'attuale richiamo, sic et simpliciter, agli artt. 737 e ss. c.p.c., in ragione delle considerazioni effettuate, deve essere peraltro oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso, in ogni caso, della necessaria instaurazione del contraddittorio nei confronti del convenuto opposto (MARTINO, 585), mediante notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'adunanza camerale entro un termine che, sebbene determinato dal giudice e non predeterminato dal legislatore, dovrà essere congruo per l'esercizio del diritto di difesa.

Sulla questione è intervenuta la S.C. chiarendo che nel procedimento di equa riparazione per durata irragionevole del processo, l'opposizione al decreto di rigetto, a norma dell'art. 5-ter legge 24 marzo 2001, n. 89, apre una fase contenziosa, soggetta al rito camerale, sicché l'opponente deve notificare all'amministrazione controinteressata il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza entro un termine idoneo ad assicurare l'utile esercizio del diritto di difesa; tuttavia, non essendo questo termine perentorio, se la notifica è omessa o inesistente, può concedersi all'opponente un nuovo termine, perentorio, affinché vi provveda (Cass., n. 8421/2014).

In sostanza, il termine assegnato per la notificazione del ricorso non ha carattere perentorio e, laddove quest'ultima risulti omessa o inesistente, il giudice, in difetto di spontanea costituzione del resistente all'udienza fissata nel decreto (che ha valore sanante in applicazione analogica degli artt. 164 e 291 c.p.c.), deve fissare un nuovo termine per la notifica (Cass., n. 18113/2015).

Più in generale, con riferimento alla fase di opposizione al decreto ingiuntivo emanato in materia di equa riparazione, la S.C. ha osservato che nel procedimento camerale, il giudice, al fine di garantire il contraddittorio, l'esercizio del diritto di difesa e l'effettività della tutela giurisdizionale, deve esercitare poteri ufficiosi anche mediante l'applicazione estensiva ed analogica delle disposizioni del processo di cognizione, sicché è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio richiedendo i necessari chiarimenti (ex art. 183, quarto comma, c.p.c.) e, se del caso, assumendo sommarie informazioni da soggetti terzi (ex art. 738, terzo comma, cod. proc. civ.), sempreché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia impiegata per supplire all'onere probatorio o con finalità meramente esplorative (Cass., n. 4412/2015).

Sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto

Il comma 4 dell'art. 5-ter legge Pinto prevede che l'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento, fermo restando che il collegio, tuttavia, quando ricorrono gravi motivi, può, con ordinanza non impugnabile, sospendere l'efficacia esecutiva del decreto opposto.

Il sistema delineato in parte qua appare analogo a quello configurato nell'ordinario procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in relazione ai decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi in forza del disposto dell'art. 649 c.p.c. che, per l'appunto in presenza di “gravi motivi”, consente di sospenderne l'efficacia esecutiva concessa nella fase monitoria.

Peraltro, rispetto al regime previsto a riguardo dagli artt. 645 e ss. c.p.c. non possono trascurarsi di evidenziare due importanti differenze che derivano entrambe dalla circostanza che il decreto concesso nella fase monitoria della legge n. 89/2001 è sempre provvisoriamente esecutivo. Diversamente, nell'ambito del procedimento di ingiunzione disciplinato dagli artt. 634 e ss. c.p.c. soltanto nelle ipotesi indicate dall'art. 642 c.p.c. il decreto ingiuntivo può essere eccezionalmente concesso munito della clausola di esecuzione provvisoria (in arg. cfr., oltre a GARBAGNATI, 1982, 579, ZUCCONI GALLI FONSECA 175).

Il peculiare regime previsto invece per il decreto ingiuntivo pronunciato nell'ambito della legge c.d. Pinto comporta, in primo luogo, infatti, l'inutilità di una previsione che, sul modello dell'art. 648 c.p.c., sia volta ad accordare, nelle more della definizione del giudizio di opposizione, al decreto che ne sia privo, la provvisoria esecuzione laddove l'opposizione proposta non sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione.

In secondo luogo, l'esecuzione provvisoria “necessaria” del decreto di ingiunzione pronunciato nei confronti dell'Amministrazione a fronte di un ricorso di equa riparazione per l'irragionevole durata di un processo implica ex se che tra i gravi motivi che possono essere valutati dalla Corte ai fini dell'eventuale sospensione dell'esecutorietà del decreto stesso non possa trovare spazio quello afferente la concessione di tale esecutorietà in difetto dei presupposti documentali previsti dall'art. 642 c.p.c.

L'art. 5-ter, quarto comma, legge n. 89/2001 stabilisce che l'ordinanza di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto non è impugnabile. Tale previsione ricalca, anch'essa, quella dettata dall'art. 649 c.p.c. in tema di sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo.

Istruttoria

L'art. 738 c.p.c. in tema di istruttoria nei procedimenti in camera di consiglio si limita a stabilire, al terzo comma, che il giudice può assumere informazioni.

In virtù della formulazione della norma si considerano particolarmente ampi i poteri istruttori officiosi dell'autorità giudiziaria nei procedimenti camerali nell'ambito dei quali non opererebbero né il principio di onere della prova né quello della disponibilità dei mezzi istruttori che possono, quindi, essere disposti in ogni momento d'ufficio dal giudice, che sarà peraltro libero di assumere prove atipiche e prove tipiche secondo modalità differenti da quelle tipizzate, come, ad esempio, l'acquisizione di dichiarazioni scritte di soggetti terzi, anche al di fuori del rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 257-bis c.p.c. in tema di testimonianza c.d. scritta.

Con più specifico riguardo all'istruttoria nell'ambito del procedimento di equa riparazione per i danni derivanti dall'irragionevole durata del processo, l'art. 738 c.p.c. era integrato, nel modulo processuale antecedente alla riforma realizzata dalla l. n. 134/2012, dal disposto dell'art. 3, quinto comma, legge 24 marzo 2001 n. 89 secondo cui l'autorità giudiziaria poteva sempre acquisire d'ufficio atti e documenti.

Nella giurisprudenza della S.C. era stato chiarito che, in tema di equa riparazione, il potere officioso di acquisizione di atti e documenti ex art. 3, comma quinto, legge 24 marzo 2001 n. 89, non consente, in presenza di una espressa richiesta della parte in ordine a tale acquisizione, di considerarla onerata, della produzione di atti e documenti del processo presupposto sia per la prova della tempestività della domanda formulata, sia per la dimostrazione dei fatti costitutivi della spiegata pretesa, i.e. degli elementi concreti dai quali è desumibile l'irragionevole durata di tale processo (Cass., n. 4103/2013).

Peraltro, la stessa Corte di legittimità aveva precisato, al contempo, anche in riferimento al procedimento camerale in tema di equa riparazione dei danni determinati dall'irragionevole durata del processo, che il potere riconosciuto al giudice dall'art. 738, comma terzo, c.p.c. di assumere informazioni costituisce oggetto di una mera facoltà e non di un obbligo, sicché il suo mancato esercizio non determina l'inosservanza delle norme che disciplinano il procedimento camerale e risulta incensurabile in cassazione (Cass. n. 24965/2011).

In sostanza, quindi, ferma la natura discrezionale del potere ex art. 738, terzo comma, c.p.c., nel procedimento disciplinato dal previgente art. 3 l. 24 marzo 2001 n. 89, la Corte d'appello, a fronte di una formale richiesta di acquisizione del fascicolo del processo presupposto, formulata ai sensi del comma 5 del citato art. 3, non poteva respingere, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, la domanda sulla base di carenze probatorie documentali superabili con l'esercizio di tale potere di acquisizione, senza giustificare con congrua motivazione il mancato accoglimento dell'istanza (Cass., n. 18337/2016; Cass., n. 9381/2011).

Nel modulo procedimentale della legge c.d. Pinto, così come modificata dalla legge n. 134/2012, non è più prevista la facoltà della parte di richiedere al giudice di disporre l'acquisizione di atti e documenti relativi al processo presupposto. Inoltre, come evidenziato, la stessa parte ricorrente è tenuta, secondo quanto stabilito dal disposto dell'art. 3, terzo comma, legge 24 marzo 2001, n. 89, ad allegare al ricorso depositato nella fase monitoria la copia autentica di una serie di atti concernenti il giudizio presupposto, i.e. l'atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; i verbali di causa ed i provvedimenti del giudice; il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili.

Peraltro, come evidenziato anche dalla S.C., la parte può integrare la documentazione depositandola nella fase di opposizione. E' stato infatti chiarito che, poiché l'opposizione di cui all'art. 5-ter, l. n. 89/2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l'ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo, sicché non è precluso alcun accertamento od attività istruttoria, necessari ai fini della decisione di merito, e la parte può produrre, per la prima volta, i documenti che avrebbe dovuto produrre nella fase monitoria ai sensi dell'art. 3, comma 3, della citata legge, abbia o meno il giudice invitato la parte a depositarli, come previsto dal richiamato art. 640, comma 1, c.p.c. (Cass., n. 19348/2015).

Alla luce dell'assetto normativo così complessivamente delineato occorre chiedersi se nell'ipotesi in cui la parte ricorrente abbia omesso, sia nella fase monitoria che in quella successiva di opposizione, il deposito della documentazione relativa al giudizio presupposto in tutto o in parte necessaria ai fini dell'accoglimento del ricorso, la Corte possa, facendo uso del proprio potere di assumere d'ufficio informazioni ex art. 738 c.p.c., disporre nondimeno le necessarie acquisizioni documentali.

Invero, laddove la fase di opposizione non fosse disciplinata nelle forme del procedimento in camera di consiglio ex artt. 737 e ss. c.p.c. dovrebbe essere senz'altro esclusa, nel sistema attuale, tale possibilità in applicazione delle incontroverse regole in tema di riparto dell'onere della prova tra le parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Nella delineata prospettiva, coerente con l'operatività dei richiamati principi generali in tema di procedimento monitorio, autorevole dottrina ha evidenziato che l'espressa previsione da parte della legge n. 89/2001, così come modificata dalla legge n. 134/2012, dell'onere del ricorrente di depositare in copia autentica gli atti e documenti di causa dovrebbe operare anche nel procedimento camerale aperto dal ricorrente nell'ipotesi di rigetto, totale o parziale, della domanda monitoria proprio in ragione della carenza documentale relativa al giudizio presupposto, senza che il collegio possa supplire d'ufficio alle eventuali carenze probatorie ex art. 738 c.p.c. (cfr., sebbene in una prospettiva critica rispetto ad un assetto che, così come configurato, diviene eccessivamente oneroso per il ricorrente privato, CONSOLO-NEGRI, 2013, 1438 ss.).

Nonostante la coerenza di tali autorevoli argomentazioni con il generale sistema in tema di rapporti tra procedimento monitorio e fase di opposizione, a nostro sommesso parere le conclusioni devono essere diverse, non potendosi tenere in non cale rispetto alla fase di opposizione la previsione delle forme del procedimento in camera di consiglio con il conseguente operare dei poteri officiosi del giudice ex art. 738 c.p.c.

A tal proposito, in particolare, appare non priva di rilevanza la considerazione della giurisprudenza di legittimità in omaggio alla quale, anche nei procedimenti camerali c.d. su diritti, sebbene operino il principio della domanda e quello dell'onere della prova, ciò deve intendersi in una prospettiva più attenuata rispetto a quanto avviene nei procedimenti disciplinati secondo il rito di cognizione ordinario ed, in particolare, nel senso che alla parte interessata spetta il potere di allegazione, deduzione ed eccezione, esercitato il quale, nondimeno, l'autorità giudiziaria potrà attivare i propri poteri istruttori officiosi (Cass., n. 14200/2004).

Gli atti e documenti relativi al giudizio presupposto costituiscono prova fondamentale dei fatti costitutivi del diritto all'equa riparazione fatto valere dal ricorrente nei confronti dello Stato per l'irragionevole durata dei processi. Pertanto, l'istruttoria, per tali aspetti, anche nel procedimento di opposizione sarà soprattutto scritta (RONCO, 298).

Ai fini della dimostrazione del dedotto danno, invece, potrebbero essere ritenuti rilevanti ulteriori mezzi istruttori da parte della Corte d'Appello e ciò, attesa l'ormai consolidata presunzione nel senso della ricorrenza del danno non patrimoniale in base al criterio dell'id quod plerumque accidit (v., tra le molte, Cass. n. 7559/2010), in particolare laddove venga richiesto dal cittadino anche il danno patrimoniale subito per effetto dell'irragionevole durata del processo, dovendo tale danno essere per converso oggetto di specifica e puntuale allegazione e prova.

E' consolidato, invero, il principio in forza del quale la legge n. 89/2001, nel ricollegare l'equa riparazione alla mera constatazione dell'avvenuto superamento del termine di ragionevole durata del processo, attribuisce alla relativa obbligazione natura indennitaria, la quale esclude la necessità di una verifica in ordine all'elemento soggettivo della violazione, non vertendosi in tema di obbligazione ex delicto, ma non comporta alcun automatismo in favore del soggetto che lamenti l'inosservanza dell'art. 6, par. 1, Cedu, non configurandosi il pregiudizio patrimoniale indennizzabile come "danno evento", riconducibile al fatto in sé dell'irragionevole protrazione del processo, pertanto incombe al ricorrente l'onere di fornire la prova della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una normale sequenza causale (Cass., n. 1616/2011).

Il danno in questione, correlato ad esempio alla mancata disponibilità di un immobile o di una somma di denaro per un periodo rilevante, potrebbe essere dimostrato mediante una consulenza tecnica d'ufficio.

Decisione

L'opposizione è decisa dalla Corte d'Appello all'esito di un procedimento modellato secondo il rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c., mediante decreto impugnabile per cassazione, decreto che è immediatamente esecutivo.

Nonostante il silenzio normativo sul punto, la circostanza che il decreto in questione si pronunci su diritti soggettivi e sia ricorribile per cassazione comporta che lo stesso debba essere congruamente motivato, nel rispetto, peraltro, del disposto dell'art. 111 Cost. (MARTINO, 595).

La necessità che il decreto emesso all'esito del giudizio di opposizione dalla Corte d'Appello sia motivato deriva, inoltre, anche dai principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in relazione all'art. 6 CEDU. Invero, la Corte di Strasburgo ha affermato, almeno a partire dalla pronuncia concernente il caso Hiro Balani c. Spagna , che l'obbligo di motivare ragionevolmente le sentenze costituisce parte essenziale delle garanzie del processo equo, sebbene non sia espressamente contemplata dall'art. 6 CEDU (Corte europea dir. uomo, 9 dicembre 1994, Hiro Balani c. Spagna, in Dalloz, 1996, somm. com. 202, con osservazione di FRICERO).

La Corte di Cassazione ha confermato la necessità che il decreto della Corte d'Appello che si pronuncia sulla domanda di equa riparazione debba essere motivato, avendo a riguardo chiarito che in tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il giudice è tenuto, ai fini della liquidazione del danno in via equitativa (Cass. n. 8/2003), a fornire indicazioni sui criteri che lo hanno guidato nel giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento, precisando che sebbene la relativa motivazione possa assumere, trattandosi di provvedimento adottato con decreto, anche caratteri di sommarietà, purché si riescano ad individuare, almeno per grandi linee ed anche dall'insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (Cass., n. 3934/2013).

Ricorso per cassazione

Il decreto emanato dalla Corte d'Appello una volta conclusa la fase di opposizione è ricorribile per Cassazione, alla medesima stregua del provvedimento reso dalla stessa Corte d'Appello sulla domanda di equa riparazione nell'assetto previgente.

Il potere delle parti di proporre ricorso per cassazione avverso il decreto pronunciato dalla Corte d'Appello nell'ambito del procedimento di opposizione promosso ai sensi della legge c.d. Pinto si fonda direttamente sul disposto dell'art. 5-ter, comma quinto, di tale legge, di talché, come già nel sistema previgente, si tratta di ricorso ordinario e non già di ricorso c.d. straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. (MARTINO, 597).

L'idoneità al giudicato del provvedimento reso dalla Corte d'Appello a seguito dell'opposizione proposta avverso il decreto pronunciato sulla domanda di equa riparazione comporta che i termini per impugnare siano quelli previsti dagli artt. 326 e 327 c.p.c. (RONCO, 317).

Quanto alla disciplina processuale del ricorso per cassazione proposto avverso il decreto emesso dalla Corte di appello nel procedimento di opposizione, invero, la stessa S.C: ha precisato che si tratta di ricorso ordinario (ed il termine c.d. lungo di cui all'art. 327 c.p.c. decorre quindi dalla pubblicazione della decisione: Cass., n. 22726/2014).

In particolare il termine c.d. breve di sessanta giorni per proporre ricorso per cassazione decorre, trattandosi di decreto pronunciato a seguito di procedimento camerale contenzioso, dalla notificazione del provvedimento ad istanza di parte (cfr. Cass., sez. un., 29 aprile 1997, n. 3670, in Giust. Civ., 1997, I, 1502, con osservazione di GIACALONE).

Riferimenti
  • CONSOLO-NEGRI, Ipoteche di costituzionalità sulle ultime modifiche alla legge Pinto: varie aporie dell'indennizzo municipale per durata irragionevole del processo (all'epoca della – supposta – spending review), in Corr. Giur., 2013, n. 11, 1429 ss.;
  • DE SANTIS DI NICOLA, Durata irragionevole e rimedio effettivo. La riforma della legge Pinto, Napoli 2012;
  • DIDONE, Equa riparazione e ragionevole durata del processo, Milano 2002; FURNARI, La nuova legge Pinto, Torino 2012;
  • GARBAGNATI, Il procedimento di ingiunzione, 2a ed. a cura di A.A. ROMANO, Milano 2012;
  • GENOVESE, Contributo allo studio del danno da irragionevole durata del processo, Milano 2012;
  • GHIRGA, Considerazioni critiche sulle modifiche alla c.d. legge Pinto, in Riv. dir. proc., 2013, 1021;
  • GIORDANO, L'equa riparazione per irragionevole durata del processo, Milano 2015;
  • IANNELLO, Le modifiche alla legge Pinto tra esigenze di deflazione del contenzioso e contenimento della spesa pubblica e giurisprudenza di Strasburgo, in Giur. Merito, 2013, 13;
  • NEGRI, Legge di stabilità 2016: modifiche alla l. n. 89/2001, c.d. Pinto, in Corr. Giur., 2016, n. 1, 5;
  • RONCO, L'azione di condanna all'equa riparazione e la disciplina del procedimento, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l'irragionevole durata dei processi a cura di CHIARLONI, Torino 2002, 321 ss.;
  • MARTINO, Legge 24 marzo 2001, n. 89, in (-PANZAROLA), Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, Torino 2013, 503 ss.;
  • MAZZEO, Risarcimento per irragionevole durata dei processi: cambia la legge Pinto, in Resp. civ. e prev., 2012, 634;
  • PARTISANI, L'irragionevole durata del processo nel pluralismo delle fonti e nel sistema delle tutele, II, in Resp. civ. prev., 2011, 480 ss.;
  • PIOMBO, Equa riparazione per irragionevole durata del processo: appunti sulla disciplina della legge c.d. Pinto dopo le modifiche introdotte dall'art. 55 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, in Foro it., 2013, V, 25;
  • PROTO PISANI, Il procedimento di ingiunzione, in Riv. trim. dir proc. civ., 1987, 291;
  • SALVATO, La disciplina dell'equa riparazione per irragionevole durata del processo nella morsa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e delle specificità del nostro ordinamento, in Corr. Giur., 2012, n. 8-9, 993;
  • SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano 1968; SCIACCHITANO, Ingiunzione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXI, Milano 1971, 510 ss.;
  • TOMEI, voce Procedimento di ingiunzione, in Digesto civ., XXIV, Torino, 1996, 559;
  • VALITUTTI - DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova 1994.
Sommario