Legitimatio ad causam
13 Dicembre 2016
Inquadramento
L'istituto della legittimazione ad agire, altrimenti detta legitimatio ad causam, si iscrive nella cornice del diritto all'azione, il diritto di agire in giudizio che il nostro ordinamento riconosce all'art. 24, comma 1, Cost., secondo cui «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». La legittimazione ad agire individua la titolarità del diritto ad agire (o resistere) in giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa e spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La parte di un processo è, quindi, il soggetto che in proprio nome domanda o il soggetto contro il quale la domanda, sempre in proprio nome, è proposta . Come la giurisprudenza ha ripetutamente sancito (Cass. n. 14177/2011) si tratta di una condizione dell'azione (o presupposto processuale) intesa come diritto potestativo ad ottenere dal giudice una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore, prescindendo dalla effettiva titolarità del medesimo rapporto (Cass. civ., Sez. Un., n. 1912/2012 e Cass. n.23568/2011). Nel suo significato più genuino la legittimazione ad agire è l'appartenenza soggettiva dell'azione, cioè la identità di colui che ha proposto la domanda con colui che, con riferimento al diritto che assume leso, possa pretendere per sè il provvedimento di tutela giurisdizionale domandato nei confronti di colui che è stato chiamato in giudizio. La regola generale della legittimazione ad agire e che si ricava a contrario dall'art.81 c.p.c., che si occupa ex professo della sua eccezione, è quella secondo cui si possono far valere in giudizio solo i diritti che si affermano come propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo al soggetto contro cui si propone la domanda. La deduzione in giudizio di un diritto altrui in nome proprio segna la fondamentale distinzione con la rappresentanza nella quale il rappresentante, invece, agisce in giudizio in nome e per conto del titolare del diritto, quindi, per far valere diritti altrui in nome altrui (artt. 75 e 77 c.p.c.) sicchè, mentre l'attività giuridica svolta dal rappresentante è immediatamente riferibile alla sfera giuridica del rappresentato, gli effetti degli atti processuali compiuti dal sostituto sono riferibili a quest'ultimo, ma gli effetti di merito devono essere imputati al sostituito, quale titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio. La legittimazione va distinta dalla «titolarità della posizione soggettiva oggetto dell'azione» che attiene, invece, al merito della decisione, ovvero alla fondatezza della domanda (sulla distinzione cfr. da ultimo Cass. civ., Sez. Un., n. 2951/2016). Solo eccezionalmente si consente, in casi espressamente previsti dalla legge, che un soggetto faccia valere in nome proprio un diritto altrui: in tale ipotesi si discute della c.d. legittimazione straordinaria o sostituzione processuale. Il giudizio sulla sussistenza della legittimazione (attiva o passiva) va effettuato dal giudice ex ante, unicamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'azione sulla base della domanda e dei suoi contenuti, da distinguersi dalla questione di merito, la cui soluzione attiene alla ”titolarità effettiva” del diritto fatto valere e perciò rimessa ex post alla decisione finale del giudicante. Nel caso in cui l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione e il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile; mentre l'accertamento all'esito del processo che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come proprio attiene al merito della causa ma non esclude la legittimazione a promuovere il processo. Difetta la legittimazione ad agire, invece, tutte le volte in cui, dalla stessa prospettazione della domanda, emerga che il diritto azionato in giudizio non appartiene all'attore: tale mancanza è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità (salvo l'effetto preclusivo del giudicato interno - Cass. civ., Sez. Un., n. 1912/2012 - ove la relativa questione abbia formato oggetto in sede di merito di specifica pronuncia non impugnata - Cass. 20978/2013; Cass. civ., n.25573/2009; Cass. civ., n.11837/2007) , anche d'ufficio dal giudice (Cass., Sez.Un., n. 2951/2016) purchè desumibile dagli atti. Con riferimento alla rilevabilità d'ufficio – trattandosi di materia di ordine pubblico attinente alla legittima instaurazione del contraddittorio (Cass., Sez. Un., n., 1912/2012) - è stato in giurisprudenza precisato che spetta al giudice verificare la coincidenza del soggetto che esercita l'azione o vi resiste con quello cui la legge riconosce il potere di agire e contraddire in ordine al rapporto giuridico dedotto in lite. Ciò non implica un dovere del giudice di proceder d'ufficio ad atti istruttori quando le parti si siano presentate in lite dichiarandosi in possesso delle qualità richieste e nessun contrasto sia insorto in proposito ovvero quando la tardività della contestazione non consenta lo svolgimento del contraddittorio, potendo egli pronunciarsi sulla scorta degli elementi acquisiti in causa (Cass. 2201/1982). La questione, inoltre, non è soggetta a preclusioni «in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio». Chi agisce in giudizio per far valere un diritto altrui prospettandolo come proprio non può giovarsi dell'eventuale ratifica del suo operato da parte dell'effettivo titolare di quel diritto giacchè una ratifica è possibile solo nel caso di chi agisca in nome e per conto di altri senza averne i poteri (Cass. n. 8829/2007). La legittimazione straordinaria o sostituzione processuale in senso tecnico
Alla regola generale, secondo cui «nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui» si contrappongono alcune eccezioni espressamente disciplinate dalla legge - da cui al esclusione della ammissibilità di una sostituzione volontaria - e quindi, tassativamente determinate e perciò insuscettibili di applicazione analogica (art.14 disp. prel. C.c.). Pertanto in specifici casi, contemplati non solo nel codice di procedura civile ma nell'ordinamento nel suo complesso, è consentito agire per far valere in nome proprio diritti altrui (o non esclusivamente propri) o, se si considera il lato passivo, nei confronti di soggetti diversi dal soggetto passivo di quei diritti: trattasi della legittimazione straordinaria o sostituzione processuale (v. rubrica dell'art.81 c.p.c.). Il legittimato in via straordinaria ha l'indubbia facoltà di porre in essere attività di rilevo meramente processuale come l'allegazione di fatti, la deduzione di mezzi di prova, la formulazione di eccezioni o la proposizione di domande cautelari ed anticipatorie. Si registrano, invece, opinioni difformi in ordine al potere del sostituto di compiere atti processuali che implichino un atto di disposizione sostanziale del diritto oggetto del giudizio (come per la conciliazione o la transazione , ma anche la confessione e il giuramento decisorio). Casistica
Interessi diffusi e collettivi
Di recente il legislatore e la giurisprudenza, sotto la spinta di richieste di tutela di interessi facenti capo alla generalità dei consociati - nel caso di c.d. interessi diffusi non associabili a categorie con caratteristiche corporative – o a individuate collettività , nel caso dei c.d. interessi collettivi contraddistinti dalla presenza di finalità corporative, hanno tentato di elaborare i criteri per la individuazione di soggetti legittimati a dedure in giudizio tali tipi di interessi (cfr. per una definizione degli interessi diffusi anche Cass. n. 22885/2015). Si possono menzionare: le associazioni ambientaliste nazionali riconosciute con decreto del ministro dell'ambiente e presenti in almeno cinque regioni cui la legge n. 349/1986 attribuisce la legittimazione ad giare per l'annullamento di atti della P.A. che si reputino lesivi dell'ambiente; le associazioni rappresentative dei consumatori, individuate ai sensi della L. n. 281/98 (art.5) , come le associazioni dei professionisti e le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura legittimati ad agire in giudizio con azione collettiva nei confronti del professionista o dell'associazione che utilizzi condizioni generali di contratto per chiedere al giudice la inibizione all'uso di quelle accertate come abusive; le associazioni rappresentative a livello nazionale di categorie di consumatori (es. CODACONS), iscritte ai sensi dell'art. 5 legge n. 281/1998 (poi confluita nel codice del Consumo) in un apposito elenco istituito presso il ministero dell'industria, commercio e artigianato, con facoltà di agire in giudizio per la tutela degli interessi collettivi di cui sono portatrici (cfr. Cass., Sez. Un., n. 7036/2006). In Cass. n. 17351/2011 ad esempio è stata riconosciuta all'ente esponenziale degli interessi degli utenti dei servizi assicurativi (nella specie, Codacons) la legittimazione a proporre tutte le domande volte ad eliminare gli effetti delle violazioni in danno degli utenti medesimi e ad imporre al trasgressore comportamenti conformi alle regole di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali, ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, applicabili "ratione temporis" (tra queste, le domande dirette a fare accertare: la violazione delle regole della concorrenza; la nullità delle clausole contenenti la determinazione dei premi, pattuite nel periodo al quale risalgono le violazioni; le modalità con cui la compagnia assicuratrice ha proceduto e procede al calcolo dei premi e la determinazione dei criteri per il relativo ricalcolo, al fine di uniformare i corrispettivi a quelli che le compagnie assicuratrici avrebbero potuto determinare, in mancanza dell'intesa illecita; nonché la domanda volta a che vengano adottate le misure idonee ad informare gli assicurati dei loro diritti, ivi inclusa quella di pubblicazione della sentenza di condanna). Il medesimo ente esponenziale è, altresì, legittimato a proporre, in base alle citate disposizioni, le domande di restituzione e di risarcimento dei danni conseguenti agli illeciti concorrenziali, nei limiti in cui facciano valere l'interesse comune all'intera categoria degli utenti dei servizi assicurativi ad ottenere una pronuncia di accertamento su aspetti quali l'esistenza dell'illecito, della responsabilità, del nesso causale tra l'illecito e il danno, dell'esistenza ed entità potenziale dei danni (a prescindere dalle peculiarità delle singole posizioni individuali), ed ogni altra questione idonea ad agevolare le iniziative individuali, sollevando i singoli danneggiati dai relativi oneri e rischi. E' stata, invece, esclusa la legittimazione dell'ente esponenziale con riferimento alle domande di condanna della compagnia assicuratrice a pagare una somma determinata ad un soggetto assicurato concretamente individuato, in mancanza di una espressa domanda dell'interessato. allo scopo di eliminare gli effetti delle violazioni in danno degli utenti medesimi e conseguire la imposizione al trasgressore di comportamenti conformi alle regole di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali. Una menzione particolare merita, poi, l'ipotesi contemplata dall'art.140-bis ,come riscritto dall'art. 49, comma 1, della L. n. 99/2009, che ha sostituito per la tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti, la nuova “azione di classe” sostituita alla precedente definita “collettiva” e che prevede che i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti (di cui al comma 2 art. 49 legge cit.) nonchè gli interessi collettivi, sono tutelabili anche attraverso una azione esercitata da associazioni o comitati cui ciascun componente della classe dà mandato, o da comitati cui questi partecipa, per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e le restituzioni. . Il comma 2 dell'art.49 cit. prevede che l'azione tutela: a) diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea tra cui i diritti relativi ai contratti stipulati ai sensi degli artt.1341 e 1342 c.c.; b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere dalla esistenza di un rapporto contrattuale diretto; c) diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante ai consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. L'adesione all'azione di classe ai sensi dell'art.140-bis c- senza il ministero di un difensore - comporta la rinuncia ad ogni azione risarcitoria o restitutoria individuale fondata sul medesimo titolo. La Cassazione a sezioni unite nell'ordinanza n. 19453/2015 ha precisato i caratteri distintivi tra la "class action pubblica" prevista dal d.lgs. n. 198/2009 - funzionale al conseguimento di un risultato che giovi, indistintamente, a tutti i contitolari dell'interesse diffuso al ripristino del corretto svolgimento della funzione amministrativa ovvero della corretta erogazione del servizio - e l'azione di classe prevista dal codice del consumo che postula, invece, l'esercizio di un diritto individuale, oggetto di trasposizione in capo a ciascun titolare singolarmente identificato. Sulla base di tale distinguo è stata ritenuta appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda risarcitoria svolta, a norma dell'art. 140-bis del d.lgs. n. 206/2005, dall'utente di un servizio pubblico nei confronti del soggetto privato assunto come inadempiente in relazione al corrispondente contratto (nella specie, di trasporto pubblico) attuativo del servizio. Il D.lgs n. 231/2002 (attuativo della direttiva 2000/35/CE) ha attribuito alle associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, la legittimazione ad agire in sede giurisdizionale per la tutela degli interessi collettivi delle piccole e medie imprese, al fine di promuovere un'azione inibitoria per scongiurare l'inserimento di condizioni generali di contratto gravemente inique rispetto alle scadenze di pagamento e alle conseguenze del ritardo. Gli enti c.d. esponenziali, cui in passato la giurisprudenza ha negato la possibilità di agire in rappresentanza di una collettività, sono stati di recente dichiarati legittimati ad agire se sussistenti dei criteri di collegamento quali: la c.d. autolegittimazione, che ricorre quando nello statuto dell'ente è indicato il fine di perseguire l'interesse, e purchè la legge o l'autorità amministrativa individuino e qualifichino la posizione e la funzione esponenziale; l'organizzazione dell'ente esponenziale e la sua idoneità ad essere adeguato portatore di interessi collettivi; la sua localizzazione territoriale in relazione all'interesse tutelato e al danno subìto. Riferimenti
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