Liberazione dell’immobile pignorato

19 Luglio 2024

Liberare l'immobile può assumere un duplice significato: da una parte indica lo svolgimento delle attività per averne la possibilità di piena utilizzazione al fine della sua locazione o della sua vendita; da altro punto di vista, la liberazione può essere intesa come diretta a "purgare" il bene da diritti reali (sovente ipoteche) o personali, nonché da vincoli derivanti da sequestro, come pure liberarlo da rischi derivanti da vizi urbanistici (sanabili) od ancora eliminare difetti materiali passibili di integrare vizi della cosa (o, comunque, diminuirne il valore).

Inquadramento

Per “Liberazione dell’immobile pignorato” si intende generalmente fare riferimento alle attività che nella procedura di espropriazione forzata sono eseguite per rendere il bene oggetto di esecuzione libero da persone e cose, quando esso è occupato dal debitore o da un terzo. Queste attività presuppongono la sussistenza di un titolo giuridico complesso, costituito dall’assegnazione o aggiudicazione ad un acquirente, dal decreto di trasferimento a suo favore e dall’ordine di liberazione pronunciati dal giudice dell’esecuzione; e si concretano nella materiale espulsione dell’occupante anche con l’ausilio della forza pubblica.

Ma la “liberazione” può essere intesa anche come finalizzata a purgare il bene da diritti altrui esistenti su di esso nonché da vincoli derivanti dalla legge (sanatoria di vizi urbanistici o edilizi) o dall’accensione di garanzie a favore di terzi che di quel bene vincolano la disponibilità (principalmente, l’ipoteca). 

Ciascuno di questi aspetti merita un cenno di chiarimento.

La custodia

L'immobile oggetto di espropriazione deve essere conservato nella sua identità e consistenza e deve essere preservato da eventi di deterioramento e di distruzione. Con il pignoramento è automaticamente costituito custode il debitore, l'unico soggetto al momento disponibile e generalmente nel possesso del bene (art. 559, primo comma, c.p.c.). Il momento nel quale il pignoramento è compiuto ha costituito oggetto di discussione in dottrina e di applicazioni contrastanti in giurisprudenza. La questione ha rilievo sotto il profilo della custodia in quanto dalla sua soluzione dipende l'individuazione del momento temporale in cui il debitore assume i suoi doveri di salvaguardia: si è trattato di stabilire se essi vengono assunti sin dalla notifica dell'atto di pignoramento oppure se soltanto a seguito della trascrizione nei registri immobiliari. Si concorda attualmente nel ritenere che gli obblighi per il debitore si costituiscono già con la notifica dell'atto, posto che esso ingiunge al destinatario di non disporre dei beni e produce da subito la loro indisponibilità nei confronti dei terzi (che non abbiano un titolo prevalente). In tal senso Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2017, n. 18758; Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2015, n. 9572; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2015, n. 7998; Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2012, n. 4369.

La riforma del processo civile introdotta dal d.lgs. n. 149/2022, ha mantenuto la disposizione sopra citata e vi ha apportato una modifica. La disciplina previgente (che è ancora applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023) lasciava persistere la funzione di custodia in capo al debitore tendenzialmente sino all'esito del procedimento. In questa situazione si aveva motivo di sostituire il debitore con un custode in uno di questi casi: l'istanza motivata presentata da un creditore; oppure l'inoccupazione dell'immobile da parte del debitore. La normativa subentrata impone invece la sollecita sostituzione della persona del debitore con quella di un custode. In linea di principio la sostituzione è disposta d'ufficio dal giudice entro 15 giorni dal momento in cui il creditore procedente deposita (telematicamente) in cancelleria i documenti indicatigli dall'art. 557 c.p.c. allorché, contestualmente, nomina l'esperto per la stima dei beni pignorati. Si fa eccezione a questa regola se la sostituzione non ha alcuna utilità per la procedura. Essa comporta, infatti, un costo  che incide sulla convenienza finale dell'espropriazione. E la situazione contingente può rendere superflua qualunque attività di vigilanza.

Fatta salva l'eccezione di cui sopra, le evenienze che possono verificarsi sono così disciplinate dall'art. 560 c.p.c. come modificato dalla riforma. Se l'immobile non è occupato dal debitore, viene nominato d'ufficio un custode e il giudice ordina la liberazione dell'immobile, non oltre la pronuncia dell'ordinanza con cui autorizza la vendita (il primo atto giudiziale della procedura). Analogamente si provvede se l'immobile è occupato da un terzo sprovvisto di un titolo che legittimi l'occupazione opponibile all'esecuzione. Quando l'immobile è occupato dal debitore, la nomina del custode in sua vece non priva lui e la sua famiglia del possesso del bene e delle sue pertinenze sino alla pronuncia del decreto di trasferimento e dell'ordine di liberazione (art. 560, terzo comma, c.p.c.); e nel frattempo il debitore assume gli obblighi di rendere il conto, di non dare in locazione il bene senza l'autorizzazione del giudice, di conservare il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia, di mantenerne e tutelarne l'integrità, di consentire la visita dell'immobile, di non impedire lo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice e mantenere il bene in buono stato di conservazione. La violazione di questi obblighi comporta la pronuncia dell'ordine di liberazione.

Il decreto di trasferimento

Avvenuto il versamento del prezzo e verificato l'assolvimento dell'obbligo posto a carico dell'aggiudicatario di fornire le informazioni previste dalla legge antiriciclaggio (art. 22, d.lgs. n. 231/2007), il giudice dell'esecuzione pronuncia un decreto con il quale trasferisce all'aggiudicatario il bene espropriato e ingiunge al debitore o al custode di rilasciare l'immobile venduto. Così dispone, tra l'altro, l'art. 586 c.p.c.; mentre l'art. 164 disp. att. c.p.c. aggiunge che il giudice compie tutti gli atti necessari al trasferimento del bene all'acquirente. 

L'ingiunzione di lasciare libero l'immobile è rivolta al debitore, se questi occupa l'immobile; a chiunque, se l'immobile non è occupato dal debitore; al terzo occupante, se questi non ha un titolo opponibile alla procedura; al custode, se ha sostituito nella custodia il debitore e se a lui è affidato l'incarico di sgomberare il bene venduto.

 

In evidenza

 

Il decreto di trasferimento immobiliare ex art. 586 c.p.c., tanto nell'espropriazione individuale che in quella concorsuale che si svolga sul modello della prima, implica l'immediato e indifferibile trasferimento del bene purgato e libero dai pesi indicati dalla norma o ricavabili dal regime del processo esecutivo, con conseguente obbligo per il Conservatore dei Registri immobiliari (o, secondo l'attuale definizione, Direttore del Servizio di pubblicità immobiliare dell'Ufficio provinciale del territorio istituito presso l'Agenzia delle entrate) di procedere alla cancellazione di questi immediatamente, incondizionatamente e, in ogni caso, indipendentemente dal decorso dei termini previsti per la proposizione delle opposizioni agli atti esecutivi avverso il provvedimento traslativo in parola (Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387).

Nell'esecuzione forzata su immobili, l'art. 586 c.p.c. non prescrive la comunicazione del decreto di trasferimento (Cass. III, ord. 19 gennaio 2023, n. 1647: in applicazione del principio, la S.C. ha escluso che il decreto di trasferimento, emesso nei confronti dell'esecutato e comunicato agli eredi di questo, dovesse essere comunicato agli eredi del comproprietario dell'immobile pignorato).

Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo nei confronti dell'esecutato nonché dei terzi detentori il cui godimento non discenda da un titolo valido, attributivo di situazioni di diritto soggettivo, opponibile all'esecuzione e quindi all'aggiudicatario (Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2011, n. 21224; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2007, n. 18179; Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15268; Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 1998, n. 12174).

Il decreto di trasferimento di un immobile conferisce all'aggiudicatario piena ed esclusiva legittimazione ad agire nei confronti di detentori, locatari e possessori al fine di conseguire la disponibilità di quanto trasferitogli (Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2002, n. 2488).

Nonostante l'immediatezza dei suoi effetti e la sua natura di titolo esecutivo, il decreto di trasferimento non è ancora sufficiente a far ottenere all'aggiudicatario o all'assegnatario la libera disponibilità, di fatto o giuridica, del bene che è stato espropriato. Occorre, ancora, l'ordine formale di liberazione da parte del giudice; e occorre, soprattutto, che il decreto sia valido e non venga impugnato.

L'art. 586 c.p.c. dispone che il decreto di trasferimento e di ingiunzione a lasciare libero l'immobile deve ripetere la descrizione contenuta nell'ordinanza di vendita. I due provvedimenti debbono, ovviamente, combaciare per quanto concerne la descrizione dei beni oggetto del trasferimento: ma questa è una regola di principio, posto che per effetto degli accertamenti da compiersi nel corso della procedura possono rendersi necessari aggiustamenti, rettifiche e precisazioni. Opposizioni di terzo, ad esempio, possono porre in luce diversità di estensione dei beni pertinenti al debitore per modifiche da apportare ai confini. Inoltre può accadere, e accade, che il decreto del giudice incorra in errori che conducono a difformità identificative. In proposito la giurisprudenza ha affermato che non sono cagionati vizi dall'indicazione di dati catastali aggiornati e diversi rispetto a quelli indicati nell'atto di pignoramento, a condizione che non residui alcuna incertezza sulla identità fisica tra i cespiti trasferiti e quelli oggetto di espropriazione (Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2023, n. 16336).

Ove il decreto di trasferimento abbia ad oggetto un bene in tutto o in parte inesistente la conseguente invalidità (non anche inesistenza: Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2018, n. 25686) può essere fatta valere con l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2021, n. 17811). L'eventuale erronea indicazione, nel decreto di trasferimento, di servitù attive o passive riguardanti il bene trasferito, può essere rimediata non attraverso il procedimento di correzione degli errori materiali, ma con l'opposizione agli atti esecutivi, in quanto si tratta di un profilo che concerne aspetti sostanziali incidenti sul contenuto di ciò che è stato trasferito rispetto a quanto è stato posto in vendita (Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2022, n. 16219).

Il decreto di trasferimento, come tutti gli atti di esecuzione, è impugnabile con l'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c. Il decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. è atto esecutivo della procedura di espropriazione ma costituisce anche titolo esecutivo per il rilascio, sicché le censure riguardanti non il "modo" in cui si è svolta l'espropriazione (e, quindi, l'idoneità del decreto a determinare il trasferimento in favore dell'aggiudicatario), bensì l'efficacia del decreto come titolo per l'esecuzione ex art. 2930 c.c., costituiscono materia di opposizione a tale (diversa) esecuzione per rilascio, ove si discuta se il decreto di trasferimento abbia i requisiti per valere come provvedimento di questo tipo, ovvero se non sia giuridicamente inesistente, oppure se è proprio l'immobile di cui si chiede il rilascio ad essere stato trasferito con il decreto (così Cass. civ, sez. III, 17 giugno 2016, n. 12523).

Non sono legittimati a proporre l'opposizione i soggetti che occupano, di fatto o di diritto, l'immobile pignorato, in quanto estranei a tutte le questioni che riguardano il regolare svolgimento del processo esecutivo; essi possono, al più, contestare l'opponibilità quale titolo esecutivo per l'obbligo di rilascio nei loro confronti (Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2023, n. 4236). Se l'opposizione risulta fondata, il decreto deve essere dichiarato inefficace, anche in pregiudizio dei diritti dell'aggiudicatario nonostante sia stato trascritto, in quanto non opera il disposto dell'art. 2929 c.c., che riguarda solo gli atti esecutivi precedenti alla vendita o all'assegnazione (Cass. civ., sez. III,21 ottobre 2022, n. 31255). 

L'ordine di liberazione

Il decreto di trasferimento all'aggiudicatario o all'assegnatario non è di per sé sufficiente a far ottenere a costoro la libera disponibilità dell'immobile venduto.  La giurisprudenza considera il decreto di trasferimento come di per sé titolo azionabile per il rilascio (Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2016 n. 12523) ma la normativa in tema di espropriazione immobiliare richiede che sia pronunciato un formale ordine di liberazione.

 

In evidenza

 

Il provvedimento ordinatorio con cui il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato costituisce regola generale nelle espropriazioni immobiliari, stante l'esplicita disciplina dei casi e dei tempi in cui è esclusa la sua emissione nei confronti del debitore e del suo nucleo familiare abitanti nel cespite staggito. 

L'ordine di liberazione è funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena ed incondizionata disponibilità dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2022, n. 9877).

Sul punto l'art. 560 c.p.c. mostra di considerare il decreto di trasferimento e l'ordine di liberazione quali provvedimenti distinti e autonomi, pur se concorrenti a determinare il medesimo effetto. Infatti, l'ordine di liberazione è autonomamente emesso, non oltre la pronuncia dell'ordinanza di autorizzazione della vendita o di delega delle relative operazioni, quando l'immobile non è abitato dall'esecutato o dal suo nucleo familiare oppure è occupato da un soggetto privo di un titolo opponibile alla procedura. Altrimenti l'ordine è emesso con provvedimento contestuale al decreto di trasferimento: contestuale ma giuridicamente diverso, anche se documentalmente contenuto in un medesimo atto. La legislazione ha dunque introdotto una differenza: il decreto di trasferimento produce l'effetto traslativo della proprietà, giuridicamente liberata da pesi e vincoli; l'ordine di liberazione consente a chi ne ha il compito di provvedere allo svuotamento fisico dell'immobile da persone e cose.

L'ordine è pronunciato anche nel caso previsto dal nono comma dell'art. 560 c.p.c. (testo modificato dal d.lgs. n. 149/2022): quando è ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, se è impedito lo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice oppure, ancora, se l'immobile non è adeguatamente tutelato o mantenuto in uno stato di buona conservazione e se sono violati gli altri obblighi che al debitore fanno capo.

Esecuzione dell'ordine di liberazione

L'art. 560 c.p.c., nella formulazione che rimane ancora vigente per i procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023, dispone che l'ordine di liberazione può essere attuato dal custode, se ne fa richiesta l'aggiudicatario: in questo caso il custode procede senza l'osservanza degli artt. 605 c.p.c. e ss. secondo le istruzioni dettate dal giudice dell'esecuzione; il custode può essere autorizzato dal giudice dell'esecuzione ad avvalersi della forza pubblica e di eventuali ausiliari nominati a sensi dell'art. 68 c.p.c. La stessa norma detta disposizioni per risolvere la situazione costituita dalla presenza nell'immobile espropriato di beni mobili che non devono essere consegnati al debitore.

Per i procedimenti instaurati dopo la data di cui sopra non è più previsto che un creditore debba fare istanza al giudice di incaricare il custode del compito di liberare l'immobile; non occorre un atto di impulso, posto che l'attuazione dell'ordine rientra nelle specifiche attribuzioni del custode. Nuovamente è disposto che l'attuazione è compiuta senza l'osservanza delle formalità previste per l'esecuzione per consegna e rilascio, nell'interesse e senza spese a carico dell'aggiudicatario o dell'assegnatario; che il giudice può autorizzare il custode ad avvalersi della forza pubblica; e che può nominare ausiliari ai sensi dell'art. 68 c.p.c. La disciplina apprestata per il caso in cui nell'immobile si trovino beni mobili che non devono essere riconsegnati è sostanzialmente la medesima di quella ante vigente.  

L'aggiudicatario ha una propria legittimazione all'azione di rilascio nelle forme previste dal codice di rito (notifica del titolo esecutivo e del precetto; etc.). Al custode non è necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva; e valgono per l'azione le stesse inopponibilità previste per l'aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2022, n. 9877).

Diritti di terzi sull'immobile

L'esistenza di diritti costituiti da terzi sui beni oggetto di trasferimento richiede attività di liberazione di natura giuridica e processuale.

Il conflitto tra la liberazione dell'immobile espropriato e i diritti, reali o personali, spettanti su di esso a terzi è risolto nelle sue varie fattispecie dalle norme dettate dal codice civile in tema di trascrizione nei registri immobiliari e di inopponibilità alla procedura esecutiva. Gli atti di alienazione, gli atti che limitano la disponibilità del bene, le ipoteche ed i privilegi non sono opponibili all'esecuzione se risultano trascritti dopo il pignoramento. La non opponibilità comporta l'inefficacia di questi atti nei confronti dei creditori, del debitore e dell'aggiudicatario o dell'assegnatario. Con il decreto di trasferimento il giudice dell'esecuzione ordina che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le trascrizioni ipotecarie, se queste ultime non si riferiscono ad obbligazioni assunte dall'aggiudicatario; e ordina, altresì, la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle trascrizioni ipotecarie successive alla trascrizione del pignoramento (deve prima sentire le parti: artt. 485 c.p.c.; art. 172 disp. att. c.p.c.).

Norme specifiche sono state dettate a proposito delle locazioni pattuite sull'immobile espropriato. Provvede al riguardo l'art. 2923 c.c. che di esse consente l'opponibilità all'aggiudicatario e all'assegnatario a patto che abbiano data certa anteriore al pignoramento. La norma regola variamente le fattispecie prese in esame, tra le quali le locazioni novennali e quelle per le quali il prezzo convenuto è inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante dalle locazioni precedenti. Difficoltà applicative sono insorte con riferimento alle rinnovazioni tacite dei contratti prima e nel corso del procedimento (se il termine per il tacito rinnovo scade dopo il pignoramento, il rinnovo è soggetto all'autorizzazione del giudice: cfr. Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2019, n. 19522; il contratto di locazione stipulato dopo il pignoramento e in assenza dell'autorizzazione non è opponibile alla procedura esecutiva: cfr. Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2019, n. 29491) e con riferimento alle locazioni a canone “vile” (la locazione in argomento, stipulata prima del pignoramento, non è opponibile all'aggiudicatario: cfr. Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2022, n. 9877; ed è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2923, comma 3, c.c. - norma che, rendendo inopponibile all'aggiudicatario, alla procedura e ai creditori la locazione "a canone vile", consente al giudice dell'esecuzione l'emanazione diretta dell'ordine di liberazione -  il quale non impedisce al conduttore l'esercizio del diritto di difesa né ostacola l'impresa privata mirando, piuttosto, a salvaguardare il diritto al recupero del credito - che gode di tutela costituzionale e anche sovranazionale - da iniziative economiche fraudolente o, comunque, lesive delle ragioni creditorie: cfr. Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2023, n. 12473).

Questioni dibattute e rilevanti in concreto hanno riguardato la possibilità del proprietario di ottenere libero l'immobile costituito in abitazione familiare per il coniuge separato o divorziato con prole. Per affermazione giurisprudenziale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente a condizione che sia stato adottato anteriormente all'atto di acquisto da parte del terzo, per esso inteso anche il creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base ad un atto iscritto anteriormente al provvedimento di assegnazione (cfr. Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2022, n. 12611).

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge (o al convivente) affidatario di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa) è opponibile - nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto - anche al terzo acquirente dell'immobile solo finché perduri l'efficacia della pronuncia giudiziale, sicché l'insussistenza del diritto personale di godimento sul bene - di regola, perché la prole sia stata ab origine o successivamente divenuta maggiorenne ed economicamente autosufficiente o versi in colpa per il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica - legittima il terzo acquirente a proporre un'ordinaria azione di accertamento, al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell'occupante al pagamento di una indennità di occupazione illegittima (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2018, n. 1744). Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, immediatamente trascritto, sia in ipotesi di separazione dei coniugi che di divorzio, è opponibile al terzo successivo acquirente del bene, atteggiandosi a vincolo di destinazione, estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all'interesse superiore dei figli a conservare il proprio habitat domestico. Ne deriva che il diritto di abitazione non può ritenersi venuto meno per effetto della morte del coniuge, trattandosi di diritto di godimento sui generis, suscettibile di estinguersi soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno giustificato il relativo provvedimento o a seguito dell'accertamento delle circostanze di cui all'art. 337-sexies c.c., legittimanti una sua revoca giudiziale (Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2018, n. 772).

Riferimenti

R. D’Alonzo, Espropriazione immobiliare, in AA.VV.  Codice delle esecuzioni, a cura di Auletta, Giordano, Leuzzi, Milano, 2022, 436 ss.

F. Bartolini, Esecuzioni immobiliari, Milano, 2016, 357 ss.

P. Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2013, 580 ss.

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