LodoFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 820
17 Marzo 2017
Inquadramento
Dal recente revirement attuato dalle Sezioni Unite, ord., 25 ottobre 2013, n. 24153, circa la funzione degli arbitri rituali – sostitutiva rispetto a quella dei giudici ordinari – e, quindi, del relativo procedimento arbitrale e del lodo, avente natura giurisdizionale e non negoziale, discendono rilevanti conseguenze di natura processuale e sostanziale, così come elaborate dalla giurisprudenza di legittimità, anche con riferimento agli effetti del deliberato arbitrale.
Il detto mutamento giurisprudenziale in talune circostanze non ha però ancora rilevato al fine di rivisitare principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in considerazione del precedente e contrapposto orientamento delle Sez. Un. (Cass., Sez. Un., sent., 3 agosto 2000, n. 527). Di seguito si ripercorrerà la disciplina del loro anche alla luce del mutato quadro interpretativo circa la sua natura, evidenziando approdi già raggiunti e lidi che meriterebbero di essere nuovamente esplorati. Dal revirement di cui innanzi si traggono rilevanti conseguenze circa l'efficacia del lodo in ipotesi di obbligazioni solidali. La detta natura difatti consente di ritenere che degli effetti favorevoli al condebitore del lodo reso tra il creditore ed uno dei condebitori solidali, anche prima della riforma del 2006, può giovarsi altro condebitore solidale che non sia stato parte del giudizio arbitrale, applicandosi anche al lodo non impugnabile l'effetto espansivo proprio delle sentenze, previsto dall'art. 1306, comma 2, c.c. (Cfr.,Cass. sez. III, sent., 26 maggio 2014, n. 11634 in CED n. 630993). Circa il termine di deliberazione l'art. 820, comma 2, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma del 2006), secondo cui quando debbano essere assunti mezzi di prova o sia stato pronunciato un lodo non definitivo gli arbitri possono prorogare per una sola volta il termine, va interpretato nel senso che la locuzione «per una sola volta» va riferita a ciascuno dei due tipi di circostanze giustificative della proroga. Invero, l'esigenza di disporre di un tempo più lungo per decidere è direttamente proporzionale alla complessità del procedimento, valutata in base agli indici, previsti dal legislatore, dell'assunzione di mezzi di prova e della pronuncia di un lodo non definitivo (Cass. sez I, sent., 22 giugno 2016, n. 12950). Tale possibilità di proroga, che è estensibile all'ipotesi di espletamento della consulenza tecnica (Cass. sez. I, sent., 22 giugno 2016, n. 12956), non può essere ravvisata implicitamente nella concessione, ad opera degli arbitri, di un termine per memorie istruttorie su richiesta di una delle parti, ma postula l'effettiva ammissione di mezzi di prova. Diversamente opinando si consentirebbe una proroga tacita del termine per la decisione senza il consenso di tutti i contendenti, con inammissibile alterazione del contraddittorio (Cass., sez I, sent., 3 settembre 2014, n. 18607). Il consenso alla proroga del termine per la decisione da parte degli arbitri, difatti, deve risultante da atto scritto, e deve essere espresso personalmente dalle parti o dai loro difensori, muniti di procura speciale, senza, tuttavia, che sia necessaria la contestualità delle rispettive manifestazioni di volontà (Cfr., Cass., sez. I, sent., 5 agosto 2011, n. 17022, sempre con riferimento a fattispecie anteriore alle modifiche al testo dell'art. 820 cit. introdotte dall'art. 23, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40). Con particolare riferimento all'interruzione del detto termine, invece, Cass., sez. I, sent., 27 febbraio 2009, n. 4823, precisa che, ai sensi dell'art. 820, comma 2, c.p.c. (nella formulazione ante novella del 2006, applicabile ratione temporis), essa opera dal momento in cui si determina la necessità della sostituzione degli arbitri e non da quando interviene il nuovo provvedimento di nomina, che, al contrario, costituisce il nuovo dies a quo per il decorso del termine predetto. Rileva altresì evidenziare che la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista dall'art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742, non è applicabile al termine per la pronuncia del lodo previsto dall'art. 820 c.p.c., essendo detta sospensione, quale istituto tipico della giurisdizione, condizionata dalla sussistenza di un requisito soggettivo, consistente nella celebrazione di un processo da parte di un giudice, ordinario od amministrativo, mentre l'arbitrato, sia rituale che irrituale, costituisce espressione di autonomia negoziale e rinviene il suo fondamento nel potere delle parti di disporre dei diritti soggettivi rinunciando alla giurisdizione ed all'azione giudiziaria (Cfr., Cass., sez. I, sent., 8 ottobre 2008, n. 24866). Questa affermazione della Suprema Corte però potrebbe essere suscettibile di revisione all'esito del revirement attuato dalle Sez. Un. del 2013 circa la natura giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo arbitrato (con la nota ord., 15 ottobre 2013, n. 24153). L'utilizzo del condizionale nella specie è d'obbligo in quanto la citata sez. I, n. 24866/2008 fonda su una doppia motivazione la manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., per la mancata estensione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale al termine per la pronuncia del lodo, previsto dall'art. 820 c.p.c.. La S.C. difatti argomenta dall'essere l'arbitrato espressione dell'autonomia privata delle parti e della scelta di rinunciare alla giurisdizione, non essendo così il termine in oggetto considerato “giudiziario”, con conseguente esclusione della violazione del principio di eguaglianza rispetto a quelli per i quali opera la sospensione. A ciò si aggiunge la ritenuta intrinseca ragionevolezza dell'esclusione, giustificata dalle esigenze di celerità dell'arbitrato, fondanti la decisione di risolvere la controversia attraverso tale mezzo alternativo alla giurisdizione. Tale scelta è altresì effettuata concordemente tra le parti, per cui è escluso che una di esse possa incontrare nell'esercizio del diritto di difesa ingiustificate difficoltà conseguenti alla decisione dell'altra di esercitare l'azione in prossimità della sospensione dei termini. La Cassazione argomenta, infine, anche dal carattere suppletivo e derogabile del termine fissato dall'art. 820 c.p.c., che consente alle stesse parti di ponderare nella sua identificazione e di fissarne uno più lungo, qualora ritengano di prevedere una stasi del procedimento nel periodo feriale.
Pronuncia di mero rito e potestas iudicandi
Per converso tiene conto del detto “revirement”, circa la natura giurisdizionale del lodo rituale, Cass., sez. I, sent., 15 novembre 2013, n. 25735, per la quale una pronuncia di mero rito non esaurisce la potestas iudicandi degli arbitri, che si fonda sulla validità ed efficacia della convenzione arbitrale, e non preclude, quindi, la promozione di un nuovo procedimento, avente il medesimo oggetto. Nella giustizia arbitrale, sostitutiva di quella ordinaria, vige difatti il medesimo principio generale valevole per quella ordinaria in virtù del quale le parti hanno diritto ad ottenere una decisione di merito ove ciò sia giuridicamente possibile, come si desume sia dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25, sia dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Nella specie, la Cassazione conferma la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto valido il lodo decisorio, emesso da un diverso collegio arbitrale all'esito di un nuovo procedimento, dopo una prima pronuncia di non liquet per scadenza dei termini di cui all'art. 820 c.p.c.. Il lodo quale documento e il ricorso per cassazione
Ancora una volta rileva la riconosciuta natura giurisdizionale del lodo rituale. Cass., sez. I, sent., 19 agosto 2015, n. 16900, statuisce difatti che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell'onere, imposto al ricorrente dall'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, la sede in cui gli atti stessi sono rinvenibili (fascicolo d'ufficio o di parte), provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame. Tale principio, prosegue la S.C., trova applicazione anche per il caso di produzione in giudizio di un lodo arbitrale, in ragione della sua intrinseca natura di documento ed in quanto l'attività degli arbitri rituali non ha efficacia negoziale bensì ha natura giurisdizionale. In tema di arbitrato rituale, l'instaurazione del procedimento dopo la scadenza del termine all'uopo fissato dalle parti integra un vizio di incompetenza degli arbitri, in quanto essa implica il venir meno del loro potere decisionale ed il risorgere della competenza del giudice ordinario, al fine di assicurare il rispetto della volontà, manifestata dalle parti attraverso la fissazione di un termine, di circoscrivere temporalmente la facoltà di sollecitare l'intervento arbitrale. Per converso, la scadenza del termine per il deposito del lodo, causata dalla totale inerzia delle parti, non determina automaticamente la competenza del giudice ordinario, poiché, diversamente opinando, alla parte intenzionata a sottrarsi all'operatività della clausola compromissoria sarebbe sufficiente promuovere il giudizio arbitrale per rimanere, poi, del tutto inerte, onde precludere al collegio arbitrale la possibilità di decidere (Cfr., Cass., sez. I, sent., 7 maggio 2013, 10599). Si esprime in termini di nullità relativa Cass. sez. I, sent., 23 gennaio 2012, n. 889, in CED n. 621142, sempre nel sistema delineato dal combinato disposto degli art. 821 e 829 c.p.c., nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con la riforma del 2006 (applicabile ratione temporis), per la diversa ipotesi della pronuncia del lodo oltre il termine stabilito. Trattandosi di tale tipologia di nullità, argomenta ulteriormente la S.C., il decorso del termine non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione del lodo stesso, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri l'intenzione di far valere la loro decadenza, con ciò disponendo in merito alla nullità. Tale notificazione, pertanto, non costituisce una mera eccezione da proporsi nell'ambito del procedimento arbitrale, ma un atto, imprescindibile, in difetto del quale la nullità del lodo non può essere fatta valere. Gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equità sono svincolati, nella formazione del loro convincimento, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facoltà di utilizzare criteri, principi e valutazioni di prudenza e opportunità che appaiano i più adatti ed equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto. Cosi argomentando, Cass. sez. I, sent., 4 luglio 2013, n. 16755, conclude nel senso della preclusione, ai sensi dell'art. 829, comma 2, ultima parte, c.p.c., dell'impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale, o, in generale, per errores in iudicando, che non si traducano nell'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di formare oggetto di compromesso. Ancorché autorizzati a decidere secondo equità, ex art. art. 822 c.p.c. gli arbitri rituali, però, ben possono decidere secondo diritto allorché ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che sia necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che può desumersi anche implicitamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione, potendosi configurare l'esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso solo quando gli arbitri neghino a priori la possibilità di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti. Nel senso di cui innanzi si veda anche Cass. sez. I, sent., n. 18452 dell'8 settembre 2011, la quale, nella specie, conferma la sentenza impugnata, escludendo l'eccesso dai limiti del mandato per il mero fatto di non aver gli arbitri fatto espressamente cenno al carattere equitativo del giudizio e di aver, invece, fatto riferimento a norme di diritto e ritenendo, altresì, non logicamente sostenibile l'incompatibilità delle ragioni di equità con l'utilizzo di criteri interpretativi del contenuto negoziale di atti giuridici. Nell'ipotesi in cui nel caso concreto, invece, equità e diritto non coincidano, e ferma restando la volontà delle parti a che gli arbitri decidano secondo equità, la pronuncia del lodo secondo diritto integra un errore in procedendo, come tale denunciabile con l'impugnazione per nullità, ai sensi dell'art. 829 c.p.c., senza che sia onere del denunciante dedurre e dimostrare che la statuizione sia difforme da quella che sarebbe stata adottata in applicazione del parametro equitativo. Con particolare riferimento ai rapporti tra appalto, arbitrato e pronuncia secondo equità Cass., sez. I, 11 dicembre 2007, n. 25943, chiarisce che non viola, l'art. 822 c.p.c. il lodo arbitrale che riconosca all'appaltatore l'equo compenso per maggior onerosità dell'opera previsto dall'art. 1664, comma 2, c.c., non trattandosi di pronuncia secondo equità, per cui non rileva la mancanza di autorizzazione delle parti a decidere in tal senso. Che non si tratti di pronuncia secondo equità la citata S.C. lo argomenta dalla circostanza per la quale il potere del giudice di merito di valutare il danno in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., non è riconducibile nell'ambito della decisione della causa secondo equità, prevista dall'art. 114 c.p.c., che importa, appunto, la decisione della lite prescindendo dallo stretto diritto. L'art. 1226 c.c. citato, difatti, attribuisce il potere di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per raggiungere la prova dell'ammontare del danno risarcibile, integrando così le risultanze processuali che siano insufficienti a detto scopo ed assolvendo l'onere di fornire l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale ha adottato i criteri stessi. Nel giudizio di impugnazione del lodo, poi, ove le parti abbiano concordato sulla natura rituale dell'arbitrato e sull'applicazione ad esso delle regole processuali civili vigenti, vanno conseguentemente applicati anche i principi giurisprudenziali in tema di accertamento e liquidazione del danno, ivi compresa la liquidazione dei danni in via equitativa. Quanto detto rileva tanto nell'ipotesi in cui sia mancata interamente la prova del loro preciso ammontare, per l'impossibilità della parte di fornire congrui ed idonei elementi al riguardo, quanto nell'ipotesi di notevole difficoltà di compiere una precisa quantificazione (Cfr., Cass. sez. I, sent., n. 3558 del 14 febbraio 2014). Il non conferito potere degli arbitri di decidere secondo equità rileva anche ai fini dell'impugnazione del lodo per errores in iudicando, ai sensi dell'art. 829, comma 3, c.p.c., (nel testo novellato dal d.lgs. n. 40/2006). Gli errori di diritto possono difatti essere fatti valere, quale causa di nullità del lodo, solo laddove tale possibilità sia espressamente prevista dalla legge ovvero contemplata dalle parti, in maniera chiara ed inequivocabile, nella clausola compromissoria o in altri atti anteriori all'instaurazione del procedimento arbitrale, non potendosi ritenere sufficiente la mera previsione, ivi contenuta, di una decisione secondo diritto, sostanzialmente riproduttiva dell'art. 822 c.p.c. ed astrattamente riconducibile, pertanto, alla volontà di escludere il potere degli arbitri di decidere secondo equità (Cfr., Cass., sez. I, sent., 25 settembre 2015, n. 19075, in CED n. 636684). Con particolare riferimento alle modalità di deliberazione del lodo, quali requisiti di validità di esso, rileva l'orientamento per il quale l'attestazione che essa sia stata adottata in conferenza personale di tutti gli arbitri e che, in ipotesi di omessa sottoscrizione da parte di arbitro dissenziente, questi non abbia voluto sottoscriverlo, benché costituisca, ex artt. 823 e 829 c.p.c., requisito di validità della pronuncia, non necessiti di formule particolari, essendo sufficiente che dal testo del provvedimento risulti, anche in modo implicito, l'osservanza di dette modalità di deliberazione. In applicazione del principio di cui innanzi la S.C., nel caso di specie, conferma la sentenza di merito che aveva ritenuto la validità di un lodo nel quale, pur in mancanza della espressa dichiarazione della volontà o possibilità di sottoscriverlo, si dava atto dell'avvenuta deliberazione in conferenza personale e della mancata sottoscrizione da parte di uno degli arbitri in ragione del suo dissenso rispetto alla decisione assunta e non già della sua assenza (Cass., sez. I, sent., 30 aprile 2014, n. 9544). Le modalità di deliberazione del lodo rilevano altresì ai fini del termine di impugnazione. Come precisa Cass., sez. 1, sent., 28 settembre 2015, n. 19163, difatti, in mancanza di notificazione del lodo, il termine di un anno per l'impugnazione della deliberazione del collegio arbitrale di cui all'art. 828, comma 2, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 23, d.lgs. n. 40/2006) decorre dalla data dell'ultima sottoscrizione, anche se apposta dall'arbitro dissenziente, e non dalla data di sottoscrizione da parte degli arbitri di maggioranza. Nel caso in cui vi siano solo talune sottoscrizioni complete di data, non contestuali tra loro o con la redazione del lodo, vertendosi in ipotesi di nullità e non di inesistenza, il termine di un anno di cui innanzi decorre però, come chiarisce la S.C., dalla data di apposizione dell'unica o dell'ultima sottoscrizione datata o databile, ancorché, in ipotesi, anteriore ad altra sottoscrizione non datata (in questi termini, sempre con riferimento alla disciplina antecedente alla riforma del 2006, si veda Cass. sez. 1, sent., 7 febbraio 2007, n. 2704. Con particolare riferimento all'obbligo di esposizione sommaria dei motivi della decisione, imposto agli arbitri dall'art. 823 c.p.c., esso non è soddisfatto, rendendo il lodo impugnabile ex art. 829 c.p.c., solo quando la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire di comprendere l'iter logico che ha determinato la decisione arbitrale o contenga contraddizioni inconciliabili, nel corpo della motivazione o del dispositivo, tali da rendere incomprensibile la ratio della decisione, anche qualora trattasi di lodo pronunciato secondo equità, non distinguendo, le norme di cui innanzi, tale tipologia di lodo da quello pronunciato secondo diritto (si vedano Cass., sez. I, sent., 18 dicembre 2013, n. 28218 e Cass. sez. I, 4 luglio 2013, n. 16755). Funzione degli arbitri
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