28 Giugno 2024

La mediazione, come procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie civili e commerciali, è disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010, che prevede un'unica tipologia di procedimento (fatte salve alcune differenze) per i diversi modelli di mediazione (facoltativa, obbligatoria, delegata e su clausola).

Inquadramento

La mediazione, come procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie civili e commerciali, è disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010, che prevede quattro diversi modelli di procedimenti (m. facoltativa o volontaria; obbligatoria; delegata o demandata; concordata o su clausola), i quali si distinguono essenzialmente per la sussistenza o meno dell'obbligo di esperire la mediazione, nonché per il momento in cui tale obbligo sorge (sul punto si rinvia alla bussola mediazione). La normativa è stata rivista dal d.lgs. n. 149/2022 che ha, per quanto attiene al procedimento, ha modificato la disciplina nel suo complesso, imponendo la partecipazione personale delle parti alla procedura (anche con modalità telematiche), aumentando gli incentivi fiscali per chi vi ricorre e per gli organismi di mediazione ed estendendo a tali istituti l'applicabilità del patrocinio a spese dello Stato, altresì potenziando la formazione e l'aggiornamento dei mediatori e la conoscenza di questi strumenti presso i giudici.

Nonostante le modifiche apportate, resta tuttavia invariato l'impianto originario della normativa relativa all'istituto, per cui la disciplina e il funzionamento concreto, comprese le regole generali sul procedimento di mediazione, restano invariate per tutte le forme di mediazione.

L'istanza di mediazione

Sovvertendo l'originaria versione del d.lgs. n. 28/2010, che aveva deliberatamente scelto di non fissare nessun criterio utile ad individuare l'organismo di conciliazione competente in relazione all'oggetto della domanda di mediazione, nel 2013, in occasione della reintroduzione dell'istituto della mediazione obbligatoria (sulla relativa questione, v. bussola “mediazione in generale”), il d.l. n. 69/2013, convertito in legge n. 198/2013 ha modificato il 1° comma dell'art. 4, prevedendo che la domanda di mediazione deve essere depositata presso un organismo avente sede  nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

Pertanto, l'istante deve effettuare un'indagine volta all'individuazione del giudice che sarebbe competente per territorio nel caso in cui la controversia venisse proposta in via giudiziale; una volta individuato l'ambito territoriale, l'attore è comunque libero di scegliere tra i vari organismi che hanno sede nel circondario così individuato.

Argomentando dall'art. 28 c.p.c., si ritiene in dottrina che, mancando un'espressa indicazione da parte del legislatore, a questo criterio non si può attribuire natura inderogabile (Vaccari, Il rebus della competenza territoriale dell'organismo di mediazione nell'epoca “del fare”: una proposta di soluzione, in www.judicium.it; in giurisprudenza, Trib. Milano, 29 ottobre 2013).

Il silenzio della legge, inoltre, rendeva controverso se per determinare la competenza dell'organismo di mediazione si dovesse guardare esclusivamente alla sede legale o se la domanda potesse essere presentata presso una sede secondaria dell'organismo. Con la Circolare del 27 novembre 2013, il Ministero della Giustizia ha chiarito che “la individuazione dell'organismo di mediazione competente a ricevere l'istanza va fatta tenuto conto del luogo ove lo stesso ha la sede principale o le sedi secondarie; condizione necessaria è che le suddette sedi siano state regolarmente comunicate a questa amministrazione ed oggetto di provvedimento d'iscrizione”.

Anche laddove la mediazione si svolga con modalità telematiche ai sensi dell'art. 8-bis d.lgs. n. 28/2010 occorre comunque rispettare il criterio di competenza territoriale di cui all'art. 4 cit., in quanto «si tratta di una mera modalità di svolgimento della mediazione che, effettivamente, annulla qualsiasi difficoltà pratica legata alla sede, ma non legittima un surrettizio spostamento della competenza del rito reale secondo i delineati i criteri normativamente previsti» (Saraceno, L'accesso alla mediazione, in Diritto della mediazione civile e commerciale, a cura di Marinaro, Milano, 2023, 134).

Laddove vengano proposte più domande inerenti alla stessa controversia, è espressamente stabilito che la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso cui è stata depositata la prima domanda (art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010).

Innovando rispetto al passato, il legislatore della riforma modifica l'art. 4 d.lgs. n. 28/2010 stabilendo che «la domanda di mediazione […] è depositata da una delle parti presso un organismo […]». Viene così eliminato nell'articolo citato (e in tutto il d.lgs. n. 28/2010) ogni riferimento al termine «istanza», onde evitare la confusione terminologica tra domanda (relativa al contenuto dell'atto introduttivo del procedimento di mediazione) e istanza (riguardante il documento contenente la domanda. La modifica normativa, tuttavia, nella sostanza non comporta lo stravolgimento dell'assetto precedente, potendosi pertanto confermare la tesi secondo cui, anche dopo la riforma, il legislatore ha voluto che l'atto introduttivo rivesta la forma di atto scritto da presentare secondo modalità idonee al raggiungimento dello scopo.

La domanda di mediazione dovrà indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. Al riguardo, non è dubbio che la domanda, in quanto atto introduttivo di un procedimento, assolva agli stessi scopi della domanda giudiziale, per cui non basta limitarsi ad indicare il nome delle parti, occorrendo una specifica indicazione delle loro generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e/o domicilio, codice fiscale; e, se si tratta di enti, società o altre persone giuridiche, la denominazione o la ditta con l'indicazione dell'organo o dell'ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio). Discorso analogo va ripetuto per l'oggetto e il titolodella pretesa, i quali dovranno essere indicate con attenzione e precisione, giacché permettono:

a)l'individuazione dell'ambito delle pretese delle parti;

b)la produzione degli effetti sospensivi e interruttivi di cui all'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 28/2010

c)nel caso in cui la mediazione costituisca condizione di azionabilità del giudizio, la verifica da parte del giudice del futuro processo di merito della procedibilità della domanda, acclarando che il diritto per il quale si procede è lo stesso azionato dinanzi al mediatore.

All'indicazione delle parti e della pretesa l'istante deve aggiungere anche quella relativa al valore della lite, ai sensi dell'art. 29 d.m. n. 150/2023, onde permettere all'organismo di collocare la lite nell'ambito di un determinato scaglione e, per tale via, individuare l'indennità ad esso spettante.

Al riguardo, l'art. 29, comma 1, espressamente afferma che «la domanda di mediazione contiene l'indicazione del suo valore in conformità ai criteri previsti dagli articoli da 10 a 15 del Codice di procedura civile. Quando tale indicazione non è possibile la domanda indica le ragioni che ne rendono indeterminabile il valore». In tal modo, la disposizione recepisce, migliorandolo, il contenuto dell'abrogato art. 16, comma 7, d.m. n. 180/2010, per il quale il valore della lite era «indicato nella domanda di mediazione a norma del codice di procedura civile», senza alcun riferimento alle norme relative.

In evidenza

Dal terzo comma dell'art. 3 d.lgs. n. 28/2010, secondo cui gli atti compiuti in sede di mediazione non sono soggetti a particolare formalità, si può desumere che all'intero procedimento di mediazione non sono applicabili i principi codicistici in materia di nullità degli atti processuali, «a cominciare dai principi di tassatività e di strumentalità enunciati dall'art. 156, per finire al disposto dell'art 159, 1 comma» (Impagnatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it), con l'ulteriore conseguenza di evitare che l'accordo conciliativo possa essere inficiato dalla eventuale nullità degli atti che lo hanno preceduto.

Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data di deposito dell'atto introduttivo (art. 4, comma 1, ultima parte, d.lgs. n. 28/2010) ovvero alla scadenza del termine fissato dal Giudice per il relativo deposito (peraltro non soggetto a sospensione feriale). Da tale momento deve dunque incominciare a computarsi il termine di tre mesi normativamente stabilito dall'art. 6, comma 1, d.lgs. n. 28/2010: in tal senso si esprime il secondo comma della stessa norma che testualmente afferma che «Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione».

Sebbene la legge discorra solo di deposito, nulla impedisce che i regolamenti di procedura degli organismi prevedano diverse modalità di proposizione dell'istanza: dall'invio a mezzo posta elettronica (semplice e certificata) alla raccomandata, al servizio elettronico qualificato.

L'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010, nella versione antecedente alla riforma Cartabia, disponeva che «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce[va] sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedi[va] altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo falli[va] la domanda giudiziale d[oveva] essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo». A questa norma faceva da contraltare l'art. 8, comma 1, il quale nella sua formulazione previgente stabiliva l'onere a carico dell'organismo di comunicare alla parte convenuta l'avvenuto deposito, nonché il contenuto della domanda di mediazione (oltre che la data del primo incontro), ponendolo anche a cura della parte istante. Dal combinato disposto degli artt. 5, comma 6 e 8, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 si evinceva dunque che la produzione degli effetti della domanda di mediazione sulla prescrizione e sulla decadenza si aveva al momento della comunicazione della domanda stessa alla parte convenuta e non al momento del suo deposito.

Il legislatore della riforma recepisce nell'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 quanto originariamente stabilito dall'art. 5, comma 6 nella sua versione previgente opportunamente ponendo a carico della parte istante l'onere di procedere alla comunicazione della domanda di mediazione alla controparte ai fini della produzione degli effettiinterruttivi e sospensivi della prescrizione, nonché impeditivi della decadenza, fermo restando l'obbligo dell'organismo di procedere in ogni caso alla convocazione di cui al comma 1 dell'art. 8 (comunicazione della domanda di mediazione, della designazione del mediatore, della sede e orario dell'incontro, delle modalità̀ di svolgimento della procedura, della data del primo incontro e di ogni altra informazione utile).

La collocazione della norma all'interno dell'art. 8 del decreto rende poi non più dubbio che essa operi in tutte le tipologie di mediazione e non soltanto per i procedimenti in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità. 

La norma afferma che il momento nel quale la domanda produce i propri effetti sulla prescrizione e sulla decadenza è rappresentato dalla «comunicazione alle altre parti»: da tale momento si produrrà l'effetto interruttivo della prescrizione (art. 2943, comma 1, c.c.), nonché quello sospensivo (che perdurerà sino al deposito del verbale di mancata conciliazione o del verbale che recepisce l'accordo di conciliazione).

Del pari, si produrrà l'effetto impeditivo della decadenza, precisandosi tuttavia che, nel caso di fallimento della procedura di mediazione, il termine decadenziale prende a decorrere dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione.

A parte quanto già osservato con riferimento alla prescrizione e decadenza, “la domanda di mediazione non produce alcun altro degli effetti sostanziali che la legge collega in via esclusiva alla proposizione della domanda giudiziale: si pensi alla restituzione dei frutti da parte del possessore di buona fede (artt. 1148 c.c.), del donatario (art. 807 c.c.) o del successibile che abbia subito l'azione di riduzione (art. 561, 2° comma, c.c.); alla corresponsione degli interessi sugli interessi (art. 1283 c.c.); all'obbligo del convenuto in rivendica di custodire il bene (art. 948 c.c.); all'effetto preclusivo della domanda di esecuzione del contratto conseguente alla proposizione della domanda di risoluzione (art. 1453,2 comma, c.c.)”: così Impagnatiello, La domanda, cit..

Infine, la domanda di mediazione non è soggetta a trascrizione; al fine di assicurare che il ricorso alla mediazione non sia di ostacolo all'«accesso alla giustizia», l'attuale comma 5 dell'art. 5, d.lgs. n. 28/2010 ribadisce quanto già affermato dal previgente comma 3 della norma e afferma che lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la trascrizione della domanda giudiziale, ciò sempre che la domanda giudiziale sia notificata (arg. exart. 2658, comma 2, c.c.) e che la causa sia tempestivamente iscritta a ruolo. In tal caso, però, l'effetto “prenotativo” della trascrizione della domanda resta riferibile solo alla sentenza di accoglimento, non avendo alcun rilievo nel caso in cui si trascriva l'accordo di conciliazione (giacché quest'ultimo non ha alcun collegamento con la domanda giudiziale).

Gli organismi di mediazione

Le parti possono scegliere liberamente l'organismo di mediazione, purché detto ente, pubblico o privato, risulti iscritto nell'apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia di cui all'art. 16 d.lgs. n. 28/2010.

Tutti gli effetti sostanziali e processuali connessi allo svolgimento della mediazione (procedibilità della domanda giudiziale, rapporti con l'art. 116 c.p.c., efficacia esecutiva ed esecuzione dell'accordo conciliativo, regime delle spese ed agevolazioni fiscali e tributarie, etc.) si producono solo se la mediazione viene svolta presso uno di tali organismi. Ciò vale per tutte le tipologie o categorie di mediazione, sia essa facoltativa, obbligatoria o demandata.

Se la domanda di mediazione venga presentata davanti ad un organismo di mediazione territorialmente incompetente, né l'organismo, né il mediatore sono tenuti a rilevare l'incompetenza territoriale: sarà onere della parte, eventualmente, farlo. Laddove la parte sollevi detta eccezione (o la controparte non si presenti innanzi all'organismo territorialmente incompetente) e si versi in un'ipotesi di mediazione obbligatoria il giudice, d'ufficio, può eccepire l'improcedibilità della domanda e fissare la successiva udienza dopo la scadenza dei 3 mesi (di cui all'art. 6) assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione presso un organismo territorialmente competente (Trib. Milano, 29 ottobre 2013; Trib. Foggia 19 luglio 2021).

Nel caso, invece, di effettivo svolgimento della mediazione dinnanzi ad un organismo territorialmente incompetente, occorre distinguere:

a) laddove le parti abbiano raggiunto l'accordo, questo potrà acquistare efficacia esecutiva ricorrendo i presupposti dell'art. 12 del d.lgs. n. 28/2010;

b) se l'accordo non viene raggiunto la presenza della controparte ha garantito la tacita deroga alla competenza e quindi la condizione di procedibilità si considererà rispettata.

Merita sin da ora di essere precisato che, come si desume dall'art. 1, comma 1, lett. e) del d.m. n. 150/2023, non è l'organismo di mediazione a svolgere il procedimento di mediazione, ma questa attività è svolta dai mediatori professionisti, i quali operano all'interno degli organismi di mediazione.

Lo stesso Decreto Ministeriale disciplina la formazione e la revisione del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione, i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti; l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi.

GLI ORGANISMI COSTITUITI PRESSO GLI ORDINI PROFESSIONALI E LE CAMERE DI COMMERCIO

Il d.m. n. 150/2023 ha precisato che per l'iscrizione degli organismi di mediazione costituiti dalle camere di commercio e dagli ordini professionali non occorre rispettare tutti i requisiti previsti dalla legge, in quando sono iscritti su semplice domanda, all'esito della verifica della sussistenza dei requisiti di onorabilità, serietà ed efficienza di cui agli articoli 4, 5 e 6. Per gli organismi costituiti da consigli degli ordini professionali diversi dai consigli degli ordini degli avvocati, l'iscrizione è tuttavia sempre subordinata alla verifica del rilascio dell'autorizzazione da parte del responsabile del registro ministeriale.

Art. 7, comma 1, d.m. n. 150/2023

La legge infatti prevede la possibilità di istituire presso i consigli degli ordini professionali organismi speciali di mediazione, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.

Art. 19, d.lgs. n. 28/2010

Infine, i consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti nel registro a semplice domanda.

Art. 18, d.lgs. n. 28/2010

Tra gli obblighi degli organismi che hanno ottenuto l'iscrizione presso il registro ministeriale vi è anche quello di comunicare al Ministero della giustizia, alla fine di ogni trimestre, i dati statistici relativi alla attività di mediazione svolta (art. 16, comma 6, d.m. 150/2023), nonché i dati relativi ai flussi dei procedimenti (art. 16, comma 7, d.m. cit.) in modo da permettere al Ministero di procedere al monitoraggio statistico dei procedimenti di mediazione svolti presso gli organismi medesimi.

Tali obblighi si giustificano in relazione alla nuova mediazione così come modificata nel 2023, e in particolar modo alla mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, comma 1: ai sensi dell'art. 42 del d.lgs. n. 149/2022, «decorsi cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministero della giustizia, alla luce delle risultanze statistiche, verifica l'opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità nei casi previsti dall'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28».

Competenza e formazione dei mediatori

È noto come sul punto la disciplina approntata dall'ormai abrogato d.m. n. 180/2010 sia stata aspramente criticata:  chiunque in possesso di una laurea, anche triennale, non necessariamente nel settore giuridico, nonchè gli iscritti ad albi o collegi professionali (art. 4, comma 3, lett. a) potevano ottenere l'accreditamento ministeriale purchè avessero con profitto frequentato un corso, della durata di 50 ore, organizzato da appositi enti di formazione e sostenuto il relativo esame finale di carattere teorico-pratico (art. 18, 2° comma, lett. f), d.m. n. 180/2010). Si è così scatenata una vera e propria corsa ad offrire corsi di formazione per giovani laureati, desiderosi di diventare in poco tempo (e senza troppa fatica) mediatori; il tutto a discapito della qualità e della professionalità della categoria. Questa situazione è stata poi ulteriormente aggravata dal legislatore del 2013, il quale, per far fronte alle pressanti richieste della classe forense, ha espressamente stabilito che tutti gli avvocati iscritti all'albo sono mediatori «di diritto» (art. 16, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010), evitando così di imporre ai difensori un obbligo formativo in materia, sul presupposto di ritenerli naturali “depositari di capacità relazionali, comunicative e persuasive che, all'opposto, spesso mal si conciliano con un approccio tipicamente avversariale” (Ferrarris, Ultime novità in materia di mediazione civile e commerciale, in Riv dir. proc., 2015, 790).

Oggi, con l'abrogazione del d.m. n. 180/2010 e la sua sostituzione con il d.m. n. 150/2023, il legislatore regolamenta gli obblighi di formazione (originaria e continua), prevedendo all'art. 8 che, ai fini dell'inserimento negli elenchi dei mediatori, occorre che il mediatore attesti tra l'altro il conseguimento della laurea magistrale o a ciclo unico o, per il mediatore iscritto a un ordine o collegio professionale, il conseguimento della laurea triennale, a cui deve aggiungersi l'attestazione del conseguimento della qualificazione formativa prevista dall'art. 23, consistente per i mediatori che hanno conseguito la magistrale o a ciclo unico in giurisprudenza nella frequenza di un corso di formazione riservato a un numero massimo di quaranta partecipanti di durata non inferiore a ottanta ore, oltre allo svolgimento di un tirocinio mediante partecipazione, con affiancamento al mediatore, in non meno di dieci mediazioni con adesione della parte invitata. A tali requisiti deve aggiungersi per gli aspiranti mediatori che abbiano conseguito la laurea (a ciclo unico o magistrale) in una materia diversa da giurisprudenza (o per gli iscritti agli ordini o collegi professionali che abbiano conseguito la laurea triennale), anche lo svolgimento di un corso di approfondimento giuridico, aventi ad oggetto le nozioni e gli istituti di base di diritto sostanziale e processuale civile necessari per la comprensione della normativa in materia di mediazione e per il corretto svolgimento dell'attività di mediatore.

Quanto ai mediatori avvocati, la legge continua a prevedere un generico obbligo di formazione, rimandando all'art. 62 del codice deontologico forense, il quale ai commi 1° e 2° stabilisce che “L'avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell'organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice” e che “L'avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza”.

Infine, l'art. 24 del d.m. n. 150/2023, inoltre, prescrive per tutti i mediatori la necessità di aggiornamento biennale tramite la frequenza di corsi riservati a un numero massimo di quaranta mediatori, comprendenti attività laboratoriali, per un minimo di diciotto ore nel biennio.

L'incontro tra il mediatore e le parti. L'assistenza dell'avvocato

L'inizio del procedimento coincide con la presentazione della domanda di mediazione che può avvenire o tramite il deposito della stessa presso l'organismo di mediazione prescelto oppure con l'invio della domanda tramite raccomandata a.r., posta elettronica certificata, servizio elettronico qualificato o qualunque altro mezzo idoneo previsto dal regolamento di procedura dell'organismo. Come già osservato, da questo momento inizia a decorrere il termine di tre mesi di cui all'art. 6 del d.lgs. n. 28/2010

Ai sensi dell'art. 8, comma 1, seconda parte «L'istanza di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità̀ di svolgimento della procedura, e la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate, a cura dell'organismo, alle parti, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione». Dunque, una volta che la domanda di mediazione è stata presentata, spetta al responsabile dell'organismo designare un mediatore e fissare il primo incontro tra le parti, dandone comunicazione alle parti.

Stando all'articolo 22, comma 1, lett. g), d.m. n. 150/2023 (ma analoga disposizione era già prevista dall'ormai abrogato art. 7, comma 5, lett. a), d.m. n. 180/2010), il mediatore non può iniziare il procedimento prima di avere sottoscritto la dichiarazione di cui alla lettera i) del medesimo comma, concernente «le formule con cui il mediatore rende la dichiarazione di indipendenza e imparzialità prevista dall'articolo 14, comma 2, lettera a)», d.lgs. n. 28/2010.

Dalla lettura di tale disposizione sembrerebbe allora doversi desumere che l'avvio del procedimento coincida con la sottoscrizione della dichiarazione di indipendenza e di imparzialità del mediatore; in realtà, poiché l'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 àncora la pendenza del procedimento al deposito della domanda di mediazione, deve ritenersi che l'art. 22, comma 1, lett. g), citato non si riferisca all'inizio del procedimento ma semmai, allo «svolgimento in concreto dell'attività di mediazione vera e propria, che non può essere avviata se prima il mediatore designato non abbia dichiarato la propria equidistanza rispetto i contendenti».

Detto primo incontro, per espressa previsione di legge (art. 8, comma 1) deve «tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti».  

Oltre alle parti partecipano al procedimento anche i loro legali. Stando al novellato art. 8, comma 5, d.lgs. n. 28/2010, «Nei casi previsti dall'articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati». In tal modo si chiarisce, superando i dubbi che in precedenza erano sorti a causa della precedente formulazione dell'art. 8, comma 1, che l'assistenza del difensore è necessaria nei soli casi di mediazione obbligatoria e demandata. Naturalmente, nell'ambito della mediazione facoltativa, le parti potranno in ogni momento esercitare la facoltà di ricorrere all'assistenza di un avvocato, anche nel corso della procedura di mediazione; addirittura le parti potranno richiedere la presenza (ed assistenza) dei difensori solo nel momento conclusivo dell'accordo di mediazione, al fine di sottoscriverne il contenuto e certificarne la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all'art.12 del d.lgs. 28/2010.

L'esercizio dell'attività di assistenza da parte di un avvocato non presuppone il conferimento di una procura, non dovendosi conferire alcun potere di rappresentanza. All'avvocato compete infatti compete “una mera funzione di assistenza della parte comparsa e non di sua sostituzione e rappresentanza” (Trib. Pavia, 14 settembre 2015; Trib. Bologna, 5 giugno 2014). Ciò in quanto nel procedimento di mediazione il termine "difesa" assume un significato profondamente diverso rispetto a quello che ha nei giudizi contenziosi.

Quanto poi al contradditorio, per lo stesso motivo, non occorre che esso sia rispettato; ed infatti nel testo del decreto legislativo nessun riferimento è compiuto a tale principio, tanto indefettibile nel processo civile, quanto irrilevante nel procedimento di mediazione; anzi, lo stesso decreto prevede l'espressa previsione della possibilità che il mediatore tenga incontri separati con ciascuna delle parti, e che egli sia tenuto a non riferire all'altra parte le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso degli incontri separati (art. 9, comma 2).

La partecipazione delle parti al primo incontro di mediazione

Sempre allo scopo di rendere effettiva la mediazione, la legge (art. 8, comma 6) prevede che «Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse». Dunque, a differenza di quanto accadeva in precedenza, il legislatore configura il primo incontro quale luogo di svolgimento effettivo dell'attività di mediazione. Ora, nulla vieta che, nonostante gli sforzi del mediatore, le parti possano manifestare la loro intenzione di non voler procedere oltre, dichiarando fallito il tentativo di mediazione. Allo scopo di indurre le parti a riflettere bene su una scelta del genere, il legislatore è intervenuto sul regime delle indennità dovute al mediatore. In particolare, la riforma ha confermato che la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro si conclude senza che le parti manifestino la loro volontà di voler proseguire nelle trattative, ma poiché il mediatore svolge nel primo incontro un'effettiva attività di mediazione e non più soltanto un breve discorso informativo, è stato previsto che le parti devono corrispondere subito all'organismo di mediazione non soltanto le spese documentate, ma anche l'indennità per lo svolgimento del primo incontro. Dunque, la partecipazione al nuovo primo incontro ha un costo: ciascuna parte istante e/o aderente deve versare all'Organismo l'indennità di primo incontro, la quale comprende le spese di avvio del procedimento di mediazione e le spese di mediazione comprendenti il compenso del mediatore previste in tre diversi importi secondo scaglioni di valore, modulati sia tra minimo e massimo sia a seconda che si tratti di mediazione volontaria o sia prevista come obbligatoria o delegata.

Stando al comma dell'art. 28, comma 8, d.m. m. 150/2023, «quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo o quando è demandata dal giudice, l'indennità di mediazione, determinata ai sensi dei commi 4 e 5, è ridotta di un quinto». L'art. 28, inoltre, aggiunge al comma 6 che quando il primo incontro si conclude senza la conciliazione e il procedimento non prosegue con incontri successivi sono dovuti esclusivamente gli importi di cui sopra, mentre se il primo incontro si conclude già con la conciliazione sono aggiunte le ulteriori spese di mediazione secondo la tabella allegata al decreto.

Dal diverso modo di intendere il primo incontro discende anche l'ulteriore conseguenza che la parte ha l'obbligo di partecipare personalmente agli incontri di mediazione; qualora essa sia impossibilitata, non può validamente sostituirla il suo legale, dovendosi all'uopo richiedere comunque la presenza di un soggetto distinto, munito di delega sostanziale ad hoc. Tale principio, affermato dalla giurisprudenza (v. per tutti Trib. Vasto 9 marzo 2015) è stato recepito dal legislatore del 2023, il quale ha modificato l'art. 8 d.lgs. n. 28/2010 stabilendo al 4° comma che «Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale».

Nonostante l'ampio dibattito sorto sul punto, il riformatore non ha purtroppo preso posizione sulla questione concernente la necessità o meno di una procura speciale notarile con cui attribuire la rappresentanza sostanziale della parte. Sennonché, ad avviso di chi scrive, sembra si possa escludere la necessità di una procura notarile, bastando a tal fine il rilascio di apposita procura sostanziale speciale anche allo stesso difensore della parte in aggiunta alla procura ad litem.

Vi è a questo punto da chiedersi cosa accada laddove una delle parti non partecipi al procedimento senza giustificato motivo. 

La mancata partecipazione al procedimento di mediazione

Allo scopo di favorire la partecipazione delle parti al procedimento di mediazione, il legislatore della novella accorpa in un'unica disposizione – il nuovo art. 12-bis d.lgs. n. 28/2010 – la disciplina delle sanzioni cui le parti devono sottostare in caso di violazione dell'obbligo di cooperare a fini conciliativi.

L'art. 12-bis, invero, non si limita ad accorpare previsioni ante vigenti, in taluni casi precisandole, ma introduce anche nuove sanzioni.

Più precisamente, la norma riprende e precisa quanto stabilito dal previgente art. 8, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010; sennonché, a differenza di tale ultima norma, il neointrodotto art. 12-bis sanziona la mancata partecipazione al «primo incontro di mediazione» e non l'ingiustificata mancata partecipazione al «procedimento di mediazione». Tale innovazione si giustifica con la circostanza che oggi il primo incontro di mediazione, dopo un iniziale momento informativo, è destinato allo svolgimento dell'attività di mediazione effettiva; dunque, scopo della nuova disposizione è quella di imporre l'effettiva partecipazione delle parti al primo incontro in modo da permettere l'effettivo confronto sulle questioni controverse sin da subito e, per l'effetto, porre le basi per il concreto svolgimento dell'attività di mediazione. Da questa premessa, la dottrina che per prima ha analizzato l'art. 12-bis ha concluso che, poiché la norma ormai si riferisce alla mancata partecipazione delle parti al solo primo incontro di mediazione, «il ritiro della parte dalla procedura dopo il primo incontro “effettivo” di mediazione è privo di conseguenze» (Pezzella, Riforma c.d. Cartabia e mancata partecipazione al procedimento di mediazione, in IUS Processo civile, § 1).

Ciò posto, il legislatore, ieri come oggi, stabilisce che dalla mancata partecipazione al primo incontro in qualsiasi tipo di mediazione costituente condizione di procedibilità (i.e. obbligatoria, demandata, su clausola o volontaria) il giudice può desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. In tanto ciò può accadere in quanto la mancata partecipazione al primo incontro sia «senza giustificato motivo».  In tal modo, il legislatore utilizza un concetto elastico che lascia al giudice un ampio margine di valutazione.

L'art. 12-bis prevede, poi, ulteriori conseguenze nel caso di mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione.

In primo luogo, il comma 2 della norma, riproducendo, salve alcune modifiche, il secondo periodo del vecchio comma 4-bis dell'art. 8, d.lgs. n. 28/2010, stabilisce che, quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, il giudice pone a carico della parte costituita in giudizio, che non ha partecipato al primo incontro di mediazione senza giustificato motivo, il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. La riforma inasprisce la sanzione, prevedendo il pagamento di una somma parti al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. Tale novità, secondo la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, si spiega in ragione della necessità di scongiurare comportamenti elusivi del tentativo obbligatorio di mediazione, tenuto conto della funzione deflattiva dell'istituto.

Rappresenta una novità rispetto al passato la previsione contenuta nell'art. 12, comma 3, secondo cui il giudice, nei casi previsti dal comma 2, su istanza di parte, può condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, in misura non superiore alle spese di lite maturate dopo l'infruttuosa conclusione del procedimento di mediazione. Dalla lettera della norma si evince la sanzione è irrogabile su istanza della parte vittoriosa, a carico della parte soccombente costituita che, senza giustificato motivo, non ha partecipato alla mediazione nei casi previsti dal comma precedente e, dunque, quando la mediazione è imposta come condizione di procedibilità dell'azione.

La sanzione va versata dalla controparte secondo la misura equitativamente determinata dal giudice con il provvedimento che definisce il giudizio. Il giudice, tuttavia, non può fissare una somma superiore al massimo delle spese di giudizio maturate dopo l'infruttuosa conclusione del procedimento; in altre parole, sono escluse dall'applicazione dell'art. 12-bis, comma 3 le spese di lite maturate prima del fallimento della mediazione, qualora la procedura di mediazione sia stata avviata in pendenza del processo.

La dottrina che per prima si è occupata dell'analisi della norma ha auspicato un uso «oculato» della stessa da parte dei giudici, peraltro escludendo la possibilità per questi ultimi di ricorrere anche alla sanzione pecuniaria civile dell'art. 96, comma 3, c.p.c. cui, prima della riforma, la giurisprudenza aveva talvolta fatto ricorso per punire la mancata partecipazione delle parti in mediazione, in quanto, essendo stata ormai introdotta la «più circostanziata fattispecie delineata dall'art. 12-bis, comma 3, d.lgs. 28/10, non si vede ragione di ricorrere alla sanzione di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c., che d'altronde aveva già suscitato, in certe sue applicazioni giurisprudenziali, più di qualche perplessità» (Dalla Bontà, Il primo incontro di mediazione, in La giustizia complementare, a cura di Dalfino, in Il Foro italiano - Gli speciali, 2/2023, 204.

Gli ausiliari del mediatore

L'art. 8, comma 1, ultimo periodo, d.lgs. n. 28/2010 prevede che «Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari».

Il mediatore ausiliario ha la funzione di supportare e/o sostituire il mediatore incaricato nella gestione del procedimento di mediazione al fine di favorire un accordo tra le parti. Dunque, l'ausiliario non è altro che un mediatore, che però ha anche delle competenze particolari nella materia specifica oggetto del procedimento, allo scopo di aiutare le parti a trovare un punto di incontro, o, in caso negativo, di formulare alle stesse una proposta efficace.

Il mediatore ausiliario non va confuso con il consulente tecnico o perito esperto.

L'art. 8 d.lgs. n. 28/2010 nella sua formulazione previgente stabiliva al comma 4 che, nel caso non si fosse potuto procedere alla nomina di un mediatore ausiliario, il mediatore avrebbe potuto «avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali», altresì prevedendo che il regolamento di procedura dell'organismo avrebbe dovuto definire «le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti».

Tale previsione, completamente riformulata, è stata spostata nel comma 7 dello stesso art. 8, il quale oggi ribadisce la possibilità per il mediatore avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali, addossando al regolamento di procedura dell'organismo il compito di prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti, ma senza subordinare la nomina del consulente tecnico all'impossibilità di ricorrere a mediatori ausiliari. L'art. 8, 4° comma, d.lgs. cit. prevede infatti la possibilità per il mediatore di avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali; prevede inoltre la stessa norma che spetta il regolamento di procedura dell'organismo stabilire le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

Probabilmente, il venir meno del vincolo di previa verifica dell'impossibilità di procedere in via prioritaria alla nomina del mediatore ausiliario si giustifica per la maturata consapevolezza in capo al legislatore della differenza di ruoli e funzioni tra il mediatore ausiliario e il consulente tecnico, come è testimoniato anche dalla diversa collocazione spaziale delle due figure (quella del co-mediatore che resta disciplinata nel comma 1, ultimo periodo dell'art. 8 e quella dell'esperto che ora è regolamentato nel nuovo comma 7 della norma).

A differenza di quanto avviene nel processo, in cui la nomina del CTU è rimessa al giudice, nel procedimento di mediazione le parti sono sovrane sia nell'an che nel quomodo. Spetta esclusivamente a loro, infatti, sia la decisione di ricorrere alla consulenza tecnica, sia la scelta del consulente.

Nonostante la legge nulla stabilisca in proposito, sino ad oggi era stata segnalata l'opportunità di scegliere un consulente tra quelli iscritti negli albi del Tribunale territorialmente competente, anche se era stato osservato come la possibilità per le parti (oggi peraltro riconosciuta espressamente dal nuovo art. 4, comma 1, penultimo periodo, d.lgs. n. 28/2010) di adire un organismo diverso da quelli situati nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia garantiva alle parti la possibilità di optare per un esperto di propria fiducia, in comune accordo tra loro. Oggi, tale conclusione può essere vieppiù sostenuta alla luce dell'introduzione, ad opera del d.m. Giustizia 4 agosto 2023, n. 109, dell'art. 24-bis disp. att. c.p.c. relativo all'istituzione dell'albo nazionale per i consulenti tecnici di ufficio, che prevede la possibilità per i consulenti di essere convocati in tribunali diversi da quello di residenza. 

 

Deve escludersi l'applicabilità alla consulenza tecnica in mediazione degli artt. 191 e ss. c.p.c.; pertanto, è rimessa alla libera scelta delle parti (e, nel caso in cui la mediazione costituisca condizione di procedibilità, dei difensori) stabilire di comune accordo i quesiti, la documentazione da consegnare al consulente, il termine entro il quale il perito dovrà consegnare la relazione, nonché quello entro il quale le parti possono presentare osservazioni (Alfieri, La consulenza tecnica in mediazione, in La giustizia complementare, a cura di Dalfino, in Il Foro italiano - Gli Speciali, 2/2023, 217).

 

“Una volta individuato il perito e raccolta la disponibilità dello stesso a svolgere la perizia, il nominativo, con breve curriculum ed il preventivo di spesa, viene inviato alle parti.

Al riguardo, il nuovo comma 7 dell'art. 8, infatti, affida al regolamento di procedura dell'organismo il compito di prevedere «le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti».  Trattandosi di prestazione d'opera professionale, è possibile invocare l'applicazione dell'art. 9, comma 4, terzo periodo, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, secondo il quale la misura del compenso, oltre ad essere resa nota al cliente previamente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo. Pertanto, le parti dovranno, prima del conferimento dell'incarico, pattuire con il perito il costo della consulenza, con la conseguenza che l'assenza di prova del preventivo di massima di cui all'art. 9, comma 4, terzo periodo del citato decreto, costituirà elemento di valutazione negativa da parte del giudice per la liquidazione del compenso.

Se le stesse ritengono il consulente adatto allo svolgimento della perizia, si procede con la nomina. La stessa viene riportata in un verbale di incarico nel quale, oltre al quesito, vengono indicate le modalità di corresponsione del compenso pattuito, il nominativo ed il compenso dell'eventuale specialista e i nominativi e i riferimenti degli eventuali periti di parte. Il verbale riporterà anche le modalità e i termini per lo svolgimento della perizia, ovvero dove avrà luogo, quando dovrà iniziare, che tipo di attività sarà richiesta, quando dovrà essere conclusa con la consegnata dell'elaborato peritale all'Organismo” (Arianna, La consulenza tecnica in mediazione, in I contratti, 2016, 199).

Con l'accettazione del mandato, il consulente tecnico si vincola alla massima riservatezza su quanto apprenderà nel corso dello svolgimento della perizia.

Nell'ambito del procedimento di mediazione, l'elaborato peritale ha lo scopo di fissare degli elementi certi, dai quali partire per trovare una soluzione condivisa del conflitto, lasciando al mediatore il ruolo di paciere e conciliatore.

Nel caso in cui le parti non dovessero comunque conciliare, la consulenza potrà essere prodotta in giudizio, qualora le parti abbiano convenuto, al momento della nomina dell'esperto, che la sua relazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice (art. 8, 4° comma, d.lgs. n. 28/2010).

Per effetto dell'intervento novellatore, allora, sarà sempre possibile utilizzare, a fini probatori, le relazioni redatte dai periti in mediazione e ciò sia laddove abbiano contenuto tecnico, sia se, diversamente, si basino sulle informazioni rese dalle parti in mediazione, purché su ciò vi sia il consenso delle parti.

Se da un lato, il legislatore attribuisce alla relazione il valore di prova libera valutabile ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.c., così dimostrando di equiparare la consulenza tecnica in mediazione a quella elaborata nel processo, dall'altro, ha lasciato al giudice il potere di scegliere se rifarsi integralmente all'elaborato peritale reso nel procedimento di mediazione o disporre ex novo la consulenza tecnica designando il consulente, senza dover motivare le ragioni di questa diversa scelta. In questo modo sorge il rischio di una duplicazione di costi, che potrebbe indurre le parti ad evitare, soprattutto in presenza di una mediazione obbligatoria, di chiedere la nomina di un consulente.

A ciò si aggiunga che la norma, per come è congegnata, rischia di erodere i fondamentali principi di spontaneità e riservatezza che caratterizzano la mediazione, oltre a sollevare il sospetto che «per gli ideatori di questa riforma, le procedure ADR costituiscano non soltanto degli utili deterrenti riguardo al processo, ma anche una ghiotta occasione per delocalizzarne le fasi più impegnative» (Zumpano, ADR e riforma del processo civile, in Questione giustizia, 2021, 136).

Lo svolgimento della mediazione, infine, non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari. Una volta ottenuto il provvedimento cautelare, la procedura di mediazione dovrebbe essere esperita prima dell'instaurazione del giudizio di merito, ma i termini di cui all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. sono inferiori al termine di durata della procedura di mediazione. La legge sul punto tace e pone il problema del rapporto tra mediazione e la fase di merito da instaurare dopo la pronuncia di un provvedimento cautelare conservativo. 

 

IN EVIDENZA

Di recente Cass. civ. 16 ottobre 2023, n. 28695,  pur ventilando la possibilità che in caso della riassunzione del giudizio di merito a seguito dell'emissione di un provvedimento cautelare conservativo, vada intrapreso il procedimento di mediazione nel termine di cui all'art. 669-octies c.p.c. con il conseguente effetto sospensivo per una sola volta delle decadenze processuali,  ritiene opportuno non prendere posizione sulla questione, limitandosi ad escludere che la «discrasia» tra il termine perentorio previsto dall'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. e la durata del procedimento di mediazione renda la mediazione obbligatoria incompatibile con i procedimenti cautelari, in quanto tale affermazione comporterebbe «un inammissibile esonero dall'esperimento del procedimento di mediazione dell'autonomo giudizio di merito relativo a una controversia in materia contemplata dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, ove conseguente all'accoglimento di domanda cautelare in ordine ad alcuno dei provvedimenti diversi da quelli di cui al sesto comma dell'art. 669-octies c.p.c.».

Gli obblighi del mediatore: il dovere di imparzialità

Stando al secondo comma dell'art. 3, d.lgs. 28/2010, il regolamento di ciascun organismo di mediazione deve in ogni caso garantire, tra l'altro, modalità di nomina del mediatore che ne assicuri l'imparzialità.

Nella mediazione l'assenza di una potestà decisionale in capo al mediatore rende impossibile ragionare di imparzialità negli stessi termini di quanto avviene nel processo, dovendo ritenersi che il legislatore si riferisca al comportamento che il mediatore deve tenere nel corso dell'intero procedimento, considerate le finalità di ripristino del dialogo tra le parti e del confezionamento di un nuovo assetto del rapporto.

In questo senso, si pone il comma 2 dell'art. 14 d.lgs. n. 28/2010 il quale obbliga il mediatore di «sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di indipendenza e di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile» [lett. a)], oltre che di «comunicare immediatamente al responsabile dell'organismo e alle parti tutte le circostanze, emerse durante la procedura, idonee ad incidere sulla sua indipendenza e imparzialità» [lett. b)] . L'imparzialità è dunque strettamente legata alla nozione di indipendenza, giacché al mediatore è fatto divieto «di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio».

Il mediatore, infine, deve essere neutrale, nel senso che non devono sussistere vincoli o possibili condizionamenti oggettivi del tipo economico, non potendo il mediatore avere rapporti di debito/credito con le parti, né percepire compensi direttamente dalle stesse: non devono, inoltre esservi interferenze in società, imprese o altre forme di collaborazione professionale tra il mediatore e le parti.

Ad assicurare l'indipendenza e l'imparzialità del mediatore provvede anche l'art. 21 d.m. n. 150/2023 alla cui lettura si rinvia.

L'obbligo di riservatezza

La normativa sulla mediazione civile (artt. 3, comma 2, 9, 10, 11, comma 2) prevede, salvo rinunzia o consenso delle parti, un dovere di riservatezza, sia interno che esterno, a carico di chiunque presti «la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione», relativamente alle «dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo», nonché, in caso di fallimento della mediazione, il divieto di una loro utilizzazione nel successivo processo (purché siano coincidenti, anche parzialmente, i rispettivi oggetti), anche a carico del giudice.

La riservatezza esterna implica che nessuna notizia e informazione trapeli al di fuori del procedimento di mediazione; d'altronde, lo stesso procedimento di mediazione non è pubblico, per cui chi non è parte non ne può essere a conoscenza, a differenza di quanto accade per il processo innanzi agli uffici giudiziari, che è pubblico per eccellenza.

Quanto alla riservatezza interna, occorre richiamare l'art. 9, comma 2, che prevede la possibilità per il mediatore di tenere dei colloqui separati, laddove lo ritenga opportuno.

Conseguenza del rispetto dell'obbligo di riservatezza è il successivo art. 10, il quale impone il divieto di utilizzazione in giudizio delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento di mediazione e delle informazioni acquisite nel corso dello stesso (comma 1), salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. La regola generale di inutilizzabilità è rafforzata dal divieto di utilizzabilità della prova testimoniale e di deferimento di giuramento decisorio (art. 10, commi 1 e 2). Lo scopo è quello di favorire l'instaurazione di un clima leale e disteso, nonché di favorire l'esperimento del tentativo di conciliazione e così facilitare il raggiungimento di un accordo: in difetto, ne risulterebbe, se non inficiata, quantomeno affievolita l'efficacia dell'istituto della mediazione.

Sul punto parte della dottrina, criticando il silenzio del legislatore circa il divieto di utilizzabilità dell'interrogatorio, libero o formale, ne ha affermato per coerenza l'inammissibilità anche di tale mezzo e, più in generale, di ogni mezzo di prova avente ad oggetto quelle dichiarazioni o informazioni (Cuomo Ulloa, La nuova mediazione. Profili applicativi, Bologna, 2013, 317 ss.).

Infine, il mediatore è tenuto al segreto professionale (art. 10, comma 2, secondo cui il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano di conseguenza le disposizioni dell'art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'art. 103 c.p.p. in quanto applicabili.

La conciliazione e la proposta del mediatore

Scopo del procedimento è, come più volte osservato, il raggiungimento di un accordo amichevole di definizione della controversia.

Se la conciliazione riesce, il mediatore redige processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo.

L'accordo conciliativo può essere raggiunto dalle parti non solo in maniera spontanea (c.d. mediazione facilitativa), ma anche per effetto della proposta del mediatore (c.d. mediazione valutativa). In caso di mancato raggiungimento dell'accordo, il mediatore, infatti, ha la facoltà di formulare e presentare alle parti una proposta conciliativa; laddove vi sia una istanza congiunta delle parti in tale senso, lo stesso risulta addirittura obbligato a formulare detta proposta (art. 11, 1° comma). Lo stesso comma precisa che prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze sulle spese processuali previste dall'articolo 13 del d.lgs. n. 28/2010.

Il secondo comma dell'art. 11 precisa che la proposta va formulata e comunicata per iscritto alle parti che dovranno trasmettere al mediatore, entro sette giorni dalla comunicazione o nel maggior termine indicato dal mediatore, la loro accettazione o il loro rifiuto, intendendosi la proposta rifiutata anche in caso di mancata risposta; lo stesso comma, inoltre, chiarisce che il mediatore nella proposta non possa fare riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel procedimento, salvo diverso accordo delle parti; infine, l'art. 14 impone al mediatore di rispettare all'atto della formulazione della proposta le norme imperative e l'ordine pubblico.

Nel caso in cui le parti rifiutino la proposta del mediatore, stabilisce l'art. 13,1°comma, d.lgs. 28/2010 che se, nell'eventuale giudizio successivamente instaurato, il giudice ravvisi che il contenuto della sentenza coincida con quella della proposta rifiutata dalla parte, egli debba escludere a favore di quest'ultima la ripetizione delle spese sostenute per il giudizio e per la mediazione, condannandola altresì al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, oltre al versamento allo Stato di un importo pari al contributo unificato dovuto; nell'ipotesi in cui il provvedimento non corrisponda interamente alla proposta il comma 2 permette al giudice, qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, di escludere la ripetizione delle indennità corrisposte al mediatore e del compenso dovuto all'esperto che sia stato eventualmente nominato nel corso della mediazione.

L'esame della prassi evidenzia che i mediatori non hanno interesse a sollecitare la formulazione di proposte conciliative, soprattutto per il timore di responsabilità che potrebbero derivare dalla formulazione di proposte, “qualora ad esempio la proposta fosse ‘‘illecita'' e le parti dimostrassero di essere addivenuti alla conciliazione facendo esclusivo affidamento sulla tenuta della stessa” (Cuomo Ulloa, op. cit., 658).

Il verbale di accordo e la sua efficacia

Stando all'art. 11, d.lgs. n. 28/2010, se è raggiunto l'accordo di conciliazione ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo stesso.

Dunque, le parti, con l'ausilio del mediatore, concludono un accordo amichevole, il quale contenuto atipico, giacché non è possibile individuare una volta per tutte il contenuto dell'accordo e, in particolare, la causa del negozio concluso perché questa e quello dipendono dal caso concreto e dalle singole e di volta in volta diverse valutazioni di convenienza che vengono effettuate dalle parti. L'accordo, dunque, costituisce un ordinario negozio giuridico di diritto civile, il quale sarà sottoposto alle normali regole dei contratti, con le limitazioni di volta in volta ricorrenti a seconda del contenuto che le parti hanno inteso dare al loro accordo: laddove abbiano inteso stipulare una transazione, si applicheranno le regole degli artt. 1969 e seguenti del codice civile; allo stesso modo, se il negozio posto in essere dalle parti è di altra natura, si applicheranno le relative regole.

Secondo l'art. 2 del d.lgs. 28/2010, è possibile avvalersi del procedimento di mediazione solo per la conciliazione di una controversia «vertente su diritti disponibili». Se il contratto ha ad oggetto diritti indisponibili, sarà evidentemente nullo. Esso sarà da ritenersi nullo anche se l'oggetto è impossibile o indeterminato e indeterminabile (circostanza che potrebbe verificarsi laddove le parti raggiungano un accordo particolarmente vago e fumoso).

L'accordo raggiunto (con o senza proposta del mediatore) può inoltre «prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento». In sostanza, nell'accordo può essere inserita anche una misura coercitiva, a prescindere dal fatto che l'accordo abbia ad oggetto obblighi di fare infungibili.

Inoltre, stando al nuovo art. 5-ter d.lgs. n. 28/2010, qualora la mediazione si concluda positivamente, spetta all'amministratore sottoporre il verbale contenente l'accordo di conciliazione all'approvazione dell'assemblea condominiale, «la quale delibera entro il termine fissato nell'accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall'articolo 1136 del codice civile». Dunque, a differenza di quanto stabilito dall'ormai abrogato art. 71-quater disp. att. c.c. che faceva tout court riferimento alla maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., oggi invece il quorum richiesto varia a seconda dell'oggetto della controversia.

Il verbale di conciliazione quale titolo per la trascrizione

Ai sensi del nuovo art. 11, comma 7, d.lgs. n. 28/2010, «se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione dell'accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

La norma, invero, non costituisce una novità della riforma, in quanto il previgente comma 3 dell'art. 11 citato prevedeva testualmente che «se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato». 

La dottrina aveva criticato la norma appena riportata, osservando come la necessità dell'intervento notarile per la pubblicità legale, venisse, «impropriamente e in apparenza, riferita al verbale, invece che all'accordo» (Forti, Le tecniche redazionali dell'atto notarile per l'accordo di mediazione, in Riv. not., 2021, 1075 ss.). Naturalmente non poteva essere così, in quanto se con l'accordo le parti concludono un atto destinato alla trascrizione (più in generale alla pubblicità legale), in quanto di rilievo anche per i terzi, l'intervento del notaio non può che riguardare che l'accordo e giammai il verbale. Al più, laddove l'accordo sia posto in calce al verbale, possono essere autenticati ai fini della trascrizione entrambi i documenti, ma, ripetesi, giammai il solo verbale.

La norma, per come oggi formulata, supera i problemi appena rilevati, riferendo all'accordo l'onere di autentica da parte del pubblicato ufficiale.

Con la riforma del 2013 si è poi ammessa la trascrivibilità dei negozi di accertamento dell'usucapione. Per effetto dell'introduzione del n. 12-bis dell'art. 2643 c.c. ad opera dell'art. 84 bis del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 98, si prevede che “si devono rendere pubblici con il mezzo della trascrizione” anche “gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

L'introduzione del nuovo n. 12-bis all'art. 2643 c.c. non è stata accolta dai primi commentatori con favore; in merito, è stato affermato che nonostante l'accertamento negoziale mantenga i caratteri dell'acquisto a titolo originario, costituendo un negozio di secondo grado, che presuppone la preesistenza di un fatto o di una relazione giuridica da accertare con carattere di definitività, è innegabile come l'accertamento negoziale investa esclusivamente i rapporti tra usucapito e usucapiente e non possa avere un'efficacia generalizzata verso i terzi.

Dunque, l'usucapione negoziale, sebbene simile all'usucapione giudiziale riguardo ai presupposti di fatto che legittimano la formazione di un titolo di acquisto del diritto reale in capo all'usucapiente, se ne differenzia per la circostanza che “il limite rinvenibile nell'usucapione negoziale è piuttosto rappresentato dalla persistenza di un legame fra usucapito e usucapiente che connota il relativo negozio di un carattere lato sensu dispositivo (sia pure non dia luogo ad un acquisto derivativo in senso stretto) sul piano degli effetti della relativa pubblicità nei rapporti inter partes e nei confronti dei terzi” (SARACENO, La trascrizione dei negozi di accertamento dell'usucapione nell'ambito del procedimento di mediazione, in Riv. dir. civ., 2016, 219)

In altri termini, mentre l'usucapione giudiziale ha la forza di radicare un diritto nuovo in capo all'usucapiente al quale i terzi aventi causa dall'usucapito non potranno opporre i loro diritti in base alle regole previste agli artt. 2644 e 2650 c.c., interrompendo pertanto la catena delle trascrizioni fino a quel momento intervenute contro l'usucapito, il negozio di accertamento dell'usucapione s'inscrive all'interno di una vicenda pubblicitaria di matrice chiaramente dichiarativa in cui i terzi aventi causa dall'usucapito o i creditori iscritti contro di lui potranno opporre i loro diritti all'usucapiente che abbia trascritto l'accordo in un momento successivo (App. Reggio Calabria, 12 novembre 2015).

E quale titolo esecutivo

Ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 28/2010 «ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite dagli avvocati, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, anche con le modalità di cui all'articolo 8-bis, costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico. L'accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, del Codice di procedura civile».   

Si ritiene in dottrina che la disposizione in discorso sia applicabile a tutti gli accordi di conciliazione conclusi all'esito di un qualsiasi procedimento di mediazione quale che sia il modello applicato (mediazione obbligatoria o facoltativa, delegata dal giudice, svolta in virtù di previsione contenuta in una clausola contrattuale) purché l'accordo sia sottoscritto dagli avvocati che hanno assistito le parti nel procedimento (LICCI, L'esito positivo della mediazione civile e commerciale alla luce del c.d. decreto del fare, in Riv. es. forz., 2014, 115).

Viene così generalizzata l'efficacia esecutiva dell'accordo ottenuto a seguito di mediazione, il quale aprirà la strada a tutte le forme di esecuzione forzata previste nel nostro ordinamento.

L'accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati, oltre a dover essere «trascritto integralmente nel precetto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma del codice di procedura civile», costituisce anche titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Ora, poiché l'ipoteca giudiziale presuppone sempre un provvedimento giudiziale sulla base del quale prendere l'iscrizione (si v. al riguardo l'art. 2818 c.c.), si potrebbe pensare che il semplice accordo conciliativo non basti per iscrivere ipoteca, per cui il conservatore, richiesto di iscrizione di ipoteca giudiziale con la presentazione del semplice accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati, ben potrebbe rifiutarla. La conclusione, tuttavia, appare eccessivamente penalizzante per le parti; potrebbe perciò farsi leva, oltre che sul dato letterale, anche sulla circostanza che l'accordo conciliativo, in quanto rientrante nel novero dei titoli esecutivi c.d. giudiziali di cui al n. 1 del secondo comma dell'art. 474 c.p.c., ben può essere assimilato, quoad effectum, ai provvedimenti giudiziali e come tale essere idoneo alla iscrizione di ipoteca nei pubblici registri.

Ai sensi dell'art. 12, comma 1-bis , laddove non ricorrano i presupposti del comma 1 (e dunque manchi la sottoscrizione degli avvocati), «l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico»; inoltre, nel nuovo comma è previsto che il verbale riguardante le controversie transfrontaliere di cui all'art. 2 della direttiva 2008/52/CE è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione.

A causa dell'inserimento del comma 1-bis, è stato altresì lievemente modificato il comma 2 dell'art. 12, in modo da riferirlo alla fattispecie descritta dal comma 1-bis, tanto che oggi la norma prevede che «con l'omologazione l'accordo costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale».

Dalla lettura delle norme appena riportate si evince in primo luogo che l'oggetto dell'omologazione è l'accordo allegato al verbale; per ottenere il provvedimento di omologazione occorre l'istanza di parte e su di essa il presidente del tribunale provvederà con decreto.

L'accordo non omologato avrà comunque efficacia vincolante tra le parti ai sensi dell'art. 1372 c.c.

La pubblica amministrazione e l'accordo conciliativo

Allo scopo di incentivare la «partecipazione al procedimento di mediazione da parte della P.A.», il legislatore delegante ha previsto che «per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti» [art. 1, comma 4, lett. g), l. n. 206/2021].

Successivamente il legislatore delegato ha inserito nel d.lgs. n. 28/2010 l'art. 11-bis, rubricato «[a]ccordo di conciliazione sottoscritto dalle amministrazioni pubbliche», a mente del quale: «1. Ai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, che sottoscrivono un accordo di conciliazione si applica l'art. 1, comma 01 bis l. 14 gennaio 1994 n. 20».

Va sin da subito segnalato che il rinvio al comma 01-bis della l. n. 20/1994 deve intendersi al comma 1.1 dell'art. 1 della medesima legge: il comma 01-bis infatti non esiste, né si può intendere il rinvio al comma 1-bis dell'art. 1 cit. , giacché esso riguarda un principio più ampio e non limitato ai soli accordi di conciliazione, giacché stabilisce che nell'azione di responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti occorre tener conto dei «vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione» per effetto del comportamento del dipendente soggetto al giudizio di responsabilità.

Il nuovo art. 11-bis, pertanto, rinvia all'art. 1, comma 1.1., l. 14 gennaio 1994 n. 20, secondo il quale «in caso di conclusione di un accordo di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale da parte dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la responsabilità contabile è limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti».

Le spese della mediazione 

Il sistema dell'indennità dovute per la mediazione è disciplinato in via soltanto generale dall'art. 17 d.lgs. n. 28/2010, il quale, oggi come ieri, dispone le linee direttive poi dettagliate dal decreto ministeriale attuativo.

In primo luogo, innovando rispetto al passato, il nuovo comma 3 della norma prevede che «Ciascuna parte, al momento della presentazione della domanda di mediazione o al momento dell'adesione, corrisponde all'organismo, oltre alle spese documentate, un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro. Quando la mediazione si conclude senza l'accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori».

La norma, evidentemente finalizzata a permettere l'effettiva partecipazione delle parti al procedimento, ha ricevuto la sua attuazione con il d.m. n. 150/2023 che, all'art. 28, prevede, per le procedure di mediazione iniziate dopo il 14 novembre 2023, che ciascuna parte è tenuta a corrispondere un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro di mediazione effettivo della durata massima di due ore, oltre alle spese vive. Tali importi sono dovuti da ciascuna delle parti, rispettivamente, alla presentazione della domanda di mediazione e al momento dell'adesione. Le spese di avvio sono dovute da ciascuna parte istante e da ciascun soggetto convocato; le spese di mediazione sono corrisposte per centri di interesse.

Dunque, le parti devono corrispondere le spese vive, cioè gli esborsi documentati effettuati dall'organismo di mediazione per la convocazione delle parti, per la sottoscrizione digitale dei verbali e degli accordi quando la parte è priva di propria firma digitale, nonché i costi di eventuali servizi di videoconferenza e gli esborsi per il rilascio di copie dei documenti previsti dall'art. 16, comma 4 (ossia atti e dati inseriti nei registri informatizzati relativi ai procedimenti trattati, in conformità all'art. 2961, comma 1, c.c., conservati dall'organismo per un periodo non inferiore a tre anni) .

Devono altresì corrispondere sia le c.d. spese d'avvio che quelle di mediazione , le quali hanno un importo variabile a seconda del valore della controversia. Dette spese, che costituiscono l'indennità di mediazione, sono ridotte di un quinto quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1 o quando è demandata dal giudice, escludendosi pertanto da tale riduzione le spese sostenute sia nel corso di un procedimento di mediazione volontaria, sia in quello azionato in virtù di clausola statutaria o contrattuale.

Come è stato osservato supra, si tratta di un'innovazione di grande rilievo perché sino ad oggi il mediatore non aveva diritto ad alcun compenso in caso di mancato avvio della procedura dopo il primo incontro.

Stabilisce l'art. 28, comma 7, cit., che «Quando il primo incontro si conclude con la conciliazione sono altresì dovute le ulteriori spese di mediazione calcolate in conformità all'articolo 30, comma 1».

Dunque, le spese di avvio e di mediazione indicate secondo il valore della controversia (oltre alle spese vive) sono quelle dovute solo se la mediazione si conclude al primo incontro. Se invece la mediazione prosegue sono dovute ulteriori spese.

In particolare, stando all'art. 30 d.m. n. 150/2023, se la conciliazione avviene al primo incontro, le ulteriori spese di mediazione dovute sono calcolate per gli organismi pubblici in conformità alla tabella contenuta nell'allegato A al decreto citato, e per gli organismi privati in conformità alla tabella approvata dal responsabile del registro, detratti gli importi già versati per lo svolgimento del primo incontro, prevedendosi una maggiorazione del dieci per cento del totale.

Se invece la conciliazione è avvenuta solo a seguito di ulteriori sessioni di mediazione, le spese calcolate con le modalità appena riportate sono maggiorate del venticinque per cento.

E dunque evidente che il meccanismo descritto «punisce» con le maggiorazioni indicate le parti che non sono riuscite a condurre la controversia rapidamente verso l'auspicabile esito conciliativo prevedendo una maggiorazione superiore se per conciliarsi sono stati necessari più incontri in forza di una sorta di presunzione di maggiore conflittualità sottesa alla lite.

Quando il procedimento prosegue poi con incontri successivi al primo e si conclude senza conciliazione sono dovute agli organismi pubblici o agli organismi privati le ulteriori spese di mediazione calcolate, rispettivamente, secondo la tabella di cui all'allegato A, o secondo la tabella redatta in conformità all'articolo 32 e approvata dal responsabile del registro, detratti gli importi versati per lo svolgimento del primo incontro.

La tabella di cui all'allegato A si applica per le spese di mediazione degli organismi pubblici e per quelli privati che abbiano dichiarato di adottarla. Gli organismi di mediazione privati potrebbero scegliere in alternativa di predisporre una propria tabella: in tal caso, questa, approvata dal responsabile dell'organismo ed allegata al regolamento di procedura, deve essere redatta secondo i criteri indicati dall'art. 32 d.m. n. 150/2023.

Le agevolazioni fiscali

Tutti gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

A detti vantaggi si aggiungono quelli di cui all'art. 20 del medesimo decreto, volti al riconoscimento di un credito di imposta per chi promuove o partecipa al procedimento di mediazione.

La riforma Cartabia, oltre ad aver confermato la misura dell'esenzione dall'imposta di registro di cui all'art. 17 d.lgs. n. 28/2010, elevandolo fino a un massimo di euro 100.000 e quella relativa al credito di imposta commisurato all'indennità corrisposta all'organismo di mediazione riconosciuto a ciascuna parte in caso di raggiungimento della conciliazione, aumentando il limite massimo a euro 600 (precedentemente fissato a euro 500), ha altresì riconosciuto, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria o demandata dal giudice, anche un credito di imposta fino a euro 600 per il compenso versato al difensore per l'assistenza nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri forensi; inoltre, è stato introdotto un credito d'imposta commisurato al contributo unificato versato dalle parti nel giudizio che risulti estinto a seguito della conclusione dell'accordo di mediazione e, infine, è stato previsto un credito d'imposta in favore degli organismi di mediazione parametrato all'indennità non esigibile dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (sul punto v. amplius R. Giordano, L. Conte, P. D'Alessandro, Mediazione civile: il nuovo regolamento attuativo, Milano, 2023, 69 ss.).

Mediazione e patrocinio a spese dello Stato

Come è noto, la giurisprudenza di legittimità, sulla scorta del fatto che l'art. 74 del d.p.r. n. 115/2002 limita l'operatività del patrocinio a spese dello Stato all'ambito del procedimento sia penale che civile e, pertanto, postula l'intervenuto avvio della lite giudiziale, ha per lungo tempo escluso che nel procedimento di mediazione la parte non abbiente potesse avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, giacché il d.p.r. in questione assicura tale possibilità solo per i procedimenti (contenziosi o non contenziosi) di natura giurisdizionale (Cass. 31 agosto 2020, n.18123). La Cassazione ha aggiunto che detto limite non può essere superato dal Giudice con attività d'interpretazione posto che in tal modo verrebbe ad incidere sulla sfera afferente alla gestione del pubblico denaro, specie con relazione alle disposizioni di spesa, materia riservata al Legislatore e presidiata da precisi dettami costituzionali.

Sennonché, di recente, è stata accolta la questione di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. 115/2002, sollevata dal Tribunale di Palermo (con ord. 17 marzo 2021) in relazione agli artt. 3,24 e 36 Cost., nella parte in cui non prevedono che sia assicurato il patrocinio ai non abbienti nel procedimento di mediazione, e che sia assicurato il pagamento del relativo compenso all'Avvocato con oneri a carico dell'Erario, quando il suo esperimento è condizione di procedibilità della domanda e il processo non viene poi introdotto per essere intervenuta conciliazione delle parti (Corte cost., 20 gennaio 2022, n. 10). 

Il legislatore delegante ha dato seguito a tale importante decisione e, tra i principi e i criteri direttivi previsti in materia di mediazione, previsto «l'estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita» (art. 1, comma 4, lett. a).

Sulla scorta di tale indicazione è stato perciò inserito il Capo II-bis, recante disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nella mediazione civile e commerciale.

La scelta di non inserire la disciplina dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per la mediazione e la negoziazione assistita nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia si spiega per la ragione che tale normativa mal si concilierebbe con procedimenti semplificati quali quelli di composizione stragiudiziale delle liti e con gli scopi di velocizzazione e semplificazione dei procedimenti civili che il legislatore intende conseguire con la legge delega. Il procedimento per l'ammissione del patrocinio gratuito a spese dello Stato descritto nel Testo Unico per le Spese di Giustizia si svolge in più fasi di una certa complessità e prevede, una volta concluso il processo, il necessario coinvolgimento del giudice per la conferma definitiva dell'ammissione al beneficio e la liquidazione del compenso, mentre con gli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle liti si intende proprio evitare di adire l'autorità giudiziaria.

Scendendo nel dettaglio, l'art. 15-bis assicura il patrocinio a spese dello Stato a favore della parte non abbiente nelle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 5, comma 1, poiché in tali casi è necessario avvalersi dell'assistenza dell'avvocato. L'ammissione definitiva è condizionata al raggiungimento dell'accordo di conciliazione.

Restano escluse dal patrocinio le controversie per cessioni di crediti e ragioni altrui, ad eccezione del caso in cui la cessione appare indubbiamente fatta in pagamento di crediti o ragioni preesistenti, così come previsto dall'art. 121 del d.P.R. n. 115/2002.

L'istanza per l'ammissione anticipata può essere presentata da coloro i quali hanno un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.746,68, come stabilito dall'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002 (art. 15-ter). A colui che attesta falsamente di possedere le condizioni di reddito richieste al fine di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato si applicano le sanzioni previste dall'art. 125, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002 (ovvero la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37, con aumento di pena se è stata conseguita l'ammissione al patrocinio). La condanna comporta inoltre la revoca con efficacia retroattiva e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato. Spetta inoltre alla Guardia di finanza il compito di effettuare controlli fiscali sui soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche tramite indagini bancarie e presso gli intermediari finanziari, ai sensi dell'articolo 88 del d.p.r. n. 115 del 2002 (art. 15-decies).

La domanda per l'ammissione al gratuito patrocinio va presentata personalmente o a mezzo pec o altro servizio di recapito certificato qualificato al Consiglio dell'Ordine degli avvocati del luogo dove ha sede l'organismo di mediazione competente (art. 15-quinquies, comma 1) e deve essere sottoscritta dal richiedente in conformità agli artt. 78, comma 2 e 79, comma 1, lett. b), c) e d) del d.P.R. n. 115/2002 (art. 15-quater, comma 2). Se l'istanza è presentata da un cittadino di uno Stato non UE o da un apolide, per i redditi prodotti all'estero, occorre allegare all'istanza, a pena di inammissibilità, una certificazione consolare attestante la veridicità di quanto affermato nell'istanza ovvero, in caso di impossibilità a presentare tale certificazione, un'autocertificazione che ne tiene luogo (art. 15-quater, comma 3).

Entro 20 gg dalla presentazione dell'istanza il Consiglio dell'ordine, verifica l'ammissibilità della stessa: se è accolta la parte può nominare un avvocato scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato istituiti presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati del luogo in cui ha sede l'organismo di mediazione competente (art. 15-quinquies, comma 3); se è rigettata l'interessato può proporre ricorso avanti al Presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell'ordine che ha adottato il provvedimento (art. 15-sexies).

Il provvedimento di ammissione, peraltro, potrebbe essere revocato in caso di accertamento dell'insussistenza dei presupposti per l'ammissione al gratuito patrocinio, sia ab origine sia in caso di sopravvenuta modifica delle condizioni reddituali; competente per la revoca è lo stesso Consiglio dell'ordine degli avvocati che lo ha concesso. Come nel caso di rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche il provvedimento di revoca è ricorribile dall'interessato davanti al Presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell'Ordine che lo ha adottato (art. 15-novies).

L'ammissione anticipata al patrocinio è valida per l'intero procedimento di mediazione e comporta l'esonero dal pagamento di tutte le indennità dovute all'organo di mediazione ai sensi dell'art. 17, commi 3 e 4 (spese di avvio e spese per lo svolgimento del primo incontro, nonché le eventuali ulteriori spese dovute). Al raggiungimento dell'accordo di conciliazione l'avvocato presenta istanza al Consiglio dell'ordine che ha deliberato l'ammissione anticipata che, verificata la congruità del compenso in base al valore dell'accordo, conferma l'ammissione e invia copia della parcella all'ufficio competente del Ministero della Giustizia per le verifiche ritenute necessarie.

La richiesta da parte dell'avvocato di compensi ulteriori da quelli previsti nel Capo in esame costituisce grave illecito disciplinare ed è nullo ogni patto contrario (art. 15-septies).

La determinazione degli importi spettanti all'avvocato che assiste la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato è demandata ad un apposito decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 6 mesi dall'entrata in vigore delle disposizioni contenute nello schema di decreto in esame, attuative della legge delega. Lo stesso decreto determina le modalità di liquidazione degli importi, che può avvenire anche attraverso credito d'imposta ai sensi dell'articolo 20, nonché le modalità della richiesta e i relativi controlli (art. 15-octies). Sul procedimento si v. VACCARI, La nuova speciale disciplina del gratuito patrocinio in materia di mediazione e negoziazione assistita e il possibile disorientamento dei COA, in IUS Processo civile).

Riferimenti

Califano, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civile e commerciali, Padova, 2011;

Dalfino, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2022;

Giordano-Conte-D'Alessandro, Mediazione civile: il nuovo regolamento attuativo, Milano, 2023;

Impagnatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it; Luiso, Il modello italiano di mediazione. Il ''giusto'' procedimento di mediazione (contraddittorio, riservatezza, difesa, proposta), in Giur. it., 2012;

Metafora, La mediazione, in La riforma del processo civile, a cura di R. Giordano - A. Panzarola, Milano, 2024;

Raiti, La media-conciliazione dopo il decreto “del fare”, in Nuove leggi civ. comm., 2014, I, 245 ss.;

Tiscini, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011.

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