Roberta Metafora
01 Giugno 2020

La mediazione, come procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie civili e commerciali, è disciplinata dal d.lgs., 4 marzo 2010, n. 28, che prevede quattro diversi modelli di procedimenti: facoltativa o volontaria, obbligatoria, delegata o demandata e infine concordata o consensuale.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La mediazione, come procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie civili e commerciali, è disciplinata dal d.lgs., 4 marzo 2010, n. 28, che prevede quattro diversi modelli di procedimenti (m. facoltativa o volontaria; obbligatoria; delegata o demandata; concordata o consensuale), i quali si distinguono essenzialmente per la sussistenza o meno dell'obbligo di esperire la mediazione, nonché per il momento in cui tale obbligo sorge (sul punto si rinvia alla bussola mediazione).

Dunque, fatte salve disposizioni specifiche, in generale, la disciplina e il funzionamento concreto, comprese le regole generali sul procedimento di mediazione, restano invariate per tutte le forme di mediazione.

L'istanza di mediazione

Sovvertendo l'originaria versione del d. lgs. n. 28/2010, che aveva deliberatamente scelto di non fissare nessun criterio utile ad individuare l'organismo di conciliazione competente in relazione all'oggetto della domanda di mediazione, nel 2013, in occasione della reintroduzione dell'istituto della mediazione obbligatoria (sulla relativa questione, v. bussola “mediazione in generale”), il d.l. n. 69/2013, convertito in l. n. 198/2013 ha modificato il 1° comma dell'art. 4, prevedendo che la domanda di mediazione deve essere depositata presso un organismo avente sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia.

Argomentando dall'art. 28 c.p.c., si ritiene in dottrina che, mancando un'espressa indicazione da parte del legislatore, a questo criterio non si può attribuire natura inderogabile (VACCARI, Il rebus della competenza territoriale dell'organismo di mediazione nell'epoca “del fare”: una proposta di soluzione, in www.judicium.it; in giurisprudenza, Trib. Milano, 29 ottobre 2013).

Il silenzio della legge, inoltre, rende controverso se per determinare la competenza dell'organismo di mediazione si debba guardare esclusivamente alla sede legale o se la domanda possa essere presentata presso una sede secondaria dell'organismo. Con la Circolare del 27 novembre 2013, il Ministero della Giustizia ha chiarito che “la individuazione dell'organismo di mediazione competente a ricevere l'istanza va fatta tenuto conto del luogo ove lo stesso ha la sede principale o le sedi secondarie; condizione necessaria è che le suddette sedi siano state regolarmente comunicate a questa amministrazione ed oggetto di provvedimento d'iscrizione”.

Laddove vengano proposte più domande inerenti la stessa controversia, è espressamente stabilito che la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso cui è stata depositata la prima domanda (art. 4, 1° comma, d.lgs. 28/2010).

L'istanza di mediazione dovrà indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. Al riguardo, non è dubbio che l'istanza, in quanto atto introduttivo di un procedimento, assolva agli stessi scopi della domanda giudiziale, per cui non basta limitarsi ad indicare il nome delle parti, occorrrendo una specifica indicazione delle loro generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e/o domicilio, codice fiscale; e, se si tratta di enti, società o altre persone giuridiche, la denominazione o la ditta con l'indicazione dell'organo o dell'ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio). Discorso analogo va ripetuto per l'oggetto e il titolo della pretesa, i quali dovranno essere indicate con attenzione e precisione, giacché permettono:

a)l'individuazione dell'ambito delle pretese delle parti;

b)la produzione degli effetti della domanda di cui all'art. 5, 6° comma, del d.lgs. n. 28/2010;

c)nel caso in cui la mediazione costituisca condizione di azionabilità del giudizio, la verifica da parte del giudice del futuro processo di merito della procedibilità della domanda, acclarando che il diritto per il quale si procede è lo stesso azionato dinanzi al mediatore.

In evidenza

Dal 3° comma dell'art. 3 d.lgs. 28/2010, secondo cui gli atti compiuti in sede di mediazione non sono soggetti a particolare formalità, si può desumere che all'intero procedimento di mediazione non sono applicabili i principi codicistici in materia di nullità degli atti processuali, “a cominciare dai principi di tassatività e di strumentalità enunciati dall'art. 156, per finire al disposto dell'art 159, 1° comma” (IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it), con l'ulteriore conseguenza di evitare che l'accordo conciliativo possa essere inficiato dalla eventuale nullità degli atti che lo hanno preceduto.

Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data di deposito dell'istanza ovvero alla scadenza del termine fissato dal Giudice per il relativo deposito (peraltro non soggetto a sospensione feriale).

Sebbene la legge discorra solo di deposito, nulla impedisce che i regolamenti di procedura degli organismi prevedano diverse modalità di proposizione dell'istanza: dall'invio a mezzo posta elettronica (semplice e certificata) alla raccomandata, dalla posta ordinaria al fax.

Quanto agli effetti sostanziali che la domanda di mediazione è in grado di produrre, stabilisce il 6° comma dell'art. 5 che «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo».

Nonostante la norma sia collocata all'interno dell'art. 5 del decreto, che prevede i casi di mediazione “obbligatoria”, non pare dubbio che essa operi in tutte le tipologie di mediazione, non essendovi alcuna ragione per differenziare il trattamento della mediazione facoltativa rispetto a quella obbligatoria o demandata.

La norma afferma che il momento nel quale la domanda produce i propri effetti su prescrizione e decadenza è rappresentato dalla «comunicazione alle altre parti».

La stessa norma, come già accennato, equipara espressamente gli effetti dell'istanza di mediazione agli effetti della domanda giudiziale: dunque, si produrrà l'effetto interruttivo della prescrizione (art. 2943, 1° comma, c.c.), nonché quello sospensivo (contra IMPAGNATIELLO, La domanda, cit., secondo cui mancando una disposizione che specifichi fino a quando si produca quest'effetto, appare dubbio che possa operare anche l'effetto sospensivo).

Del pari, si produrrà l'effetto impeditivo della decadenza, precisandosi tuttavia che, nel caso di fallimento della procedura di mediazione, il termine decadenziale prende a decorrere dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione.

A parte quanto già osservato con riferimento alla prescrizione e decadenza, “la domanda di mediazione non produce alcun altro degli effetti sostanziali che la legge collega in via esclusiva alla proposizione della domanda giudiziale: si pensi alla restituzione dei frutti da parte del possessore di buona fede (artt. 1148 c.c.), del donatario (art. 807 c.c.) o del successibile che abbia subito l'azione di riduzione (art. 561, 2° comma, c.c.); alla corresponsione degli interessi sugli interessi (art. 1283 c.c.); all'obbligo del convenuto in rivendica di custodire il bene (art. 948 c.c.); all'effetto preclusivo della domanda di esecuzione del contratto conseguente alla proposizione della domanda di risoluzione (art. 1453, 2° comma, c.c.)”: così IMPAGNATIELLO, La domanda, cit..

Infine, la domanda di mediazione non è soggetta a trascrizione; al fine di assicurare che il ricorso alla mediazione non sia di ostacolo all'«accesso alla giustizia», l'art. 5, 3° comma, d.lgs. 28/2010 ha espressamente previsto che lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la trascrizione della domanda giudiziale, ciò sempre che la domanda giudiziale sia notificata (arg. ex art. 2658, 2° comma, c.c.) e che la causa sia tempestivamente iscritta a ruolo. In tal caso, però, l'effetto “prenotativo” della trascrizione della domanda resta riferibile solo alla sentenza di accoglimento, non avendo alcun rilievo nel caso in cui si trascriva l'accordo di conciliazione (non avendo quest'ultimo alcun collegamento con la domanda giudiziale).

Gli organismi di mediazione

Le parti possono scegliere liberamente l'organismo di mediazione, purché detto ente, pubblico o privato, risulti iscritto nell'apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia di cui all'art. 16, d.lgs. 28/2010.

Tutti gli effetti sostanziali e processuali connessi allo svolgimento della mediazione (procedibilità della domanda giudiziale, rapporti con l'art. 116 c.p.c., efficacia esecutiva ed esecuzione dell'accordo conciliativo, regime delle spese ed agevolazioni fiscali e tributarie, etc.) si producono solo se la mediazione viene svolta presso uno di tali organismi. Ciò vale per tutte le tipologie o categorie di mediazione, sia essa facoltativa, obbligatoria o demandata.

Se la domanda di mediazione venga presentata davanti ad un organismo di mediazione territorialmente incompetente, né l'organismo, né il mediatore sono tenuti a rilevare l'incompetenza territoriale: sarà onere della parte, eventualmente, farlo.

Laddove la parte sollevi detta eccezione (o la controparte non si presenti innanzi all'organismo territorialmente incompetente) e si versi in un'ipotesi di mediazione obbligatoria il giudice, d'ufficio, nella prima udienza o su eccezione della parte chiamata, può eccepire l'improcedibilità della domanda e fissare la successiva udienza dopo la scadenza dei 3 mesi (di cui all'art. 6) assegnando contestualmente alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione presso un organismo territorialmente competente (Trib. Milano, 29 ottobre 2013).

Nel caso, invece, di effettivo svolgimento della mediazione dinnanzi ad un organismo territorialmente incompetente, occorre distinguere:

a) laddove le parti abbiano raggiunto l'accordo, questo potrà acquistare efficacia esecutiva ricorrendo i presupposti dell'art. 12 del d.lgs. 28/2010;

b) se l'accordo non viene raggiunto la presenza della controparte ha garantito la tacita deroga alla competenza e quindi la condizione di procedibilità si considererà rispettata.

Merita sin da ora di essere precisato che, come si desume dall'art. 1, 1° comma, lett. d del d.m. 18 ottobre 2010, non è l'organismo di mediazione a svolgere il procedimento di mediazione, ma questa attività è svolta dai mediatori professionisti, i quali operano all'interno degli organismi di mediazione.

Lo stesso Decreto Ministeriale disciplina la formazione e la revisione del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione, i criteri perl'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti; l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi.

GLI ORGANISMI COSTITUITI PRESSO GLI ORDINI PROFESSIONALI E LE CAMERE DI COMMERCIO

Il d.m. 180/2010 ha precisato che per l'iscrizione degli organismi di mediazione costituiti dalle camere di commercio e dagli ordini professionali non occorre rispettare tutti i requisiti previsti dalla legge, bastando solo il requisito di cui al 2° comma, lett. b dell'art. 4 (possesso della polizza assicurativa) e di quelli di cui al 3° comma dello stesso articolo (relativi al possesso da parte dei mediatori dei requisiti di professionalità e onorabilità). Per gli organismi costituiti da consigli degli ordini professionali diversi dai consigli degli ordini degli avvocati, l'iscrizione è tuttavia sempre subordinata alla verifica del rilascio dell'autorizzazione da parte del responsabile del registro ministeriale.

Art. 4, 4° comma, d.m. 180/2010.

La legge infatti prevede la possibilità di istituire presso i consigli degli ordini professionali organismi speciali di mediazione, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.

Art. 19, d.lgs. 28/2010

Infine, i consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda.

Art. 18, d.lgs. 28/2010

Tra gli obblighi degli organismi che hanno ottenuto l'iscrizione presso il registro ministeriale vi è anche quello di comunicare al Ministero della giustizia, alla fine di ogni trimestre, i dati statistici relativi alla attività di mediazione svolta (art. 8, 5° comma, d.m. 180/2010), in modo da permettere al Ministero di procedere al monitoraggio statistico dei procedimenti di mediazione svolti presso gli organismi medesimi (art. 11, d.m. 180/2010).

Tali obblighi si giustificano in relazione alla nuova mediazione così come modificata nel 2013, e in particolar modo alla mediazione obbligatoria di cui all'art. comma 1 bis: come è noto, questa condizione di procedibilità è stata ripristinata dopo la dichiarazione di incostituzionalità, ma il legislatore della riforma ha previsto un termine finale di durata della mediazione obbligatoria, prevedendosi che essa abbia “efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”; ciò al fine di fornire al futuro legislatore gli strumenti per valutare se conservare o meno l'istituto.

Va in merito ricordato che nella relazione presentata nel gennaio del 2017 dalla Commissione di studio per l'elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato, presieduta dal prof. Guido Alpa, vi è, tra l'altro, la proposta di estendere il periodo di sperimentazione previsto dalla d.lgs. 28/2010, come emendata dal d.l. 69/2013, fino al 21 settembre 2023 (v. anche. G. Di Marco, La riforma della mediazione secondo la commissione Alpa).

Competenza e formazione dei mediatori

È noto come sul punto la disciplina approntata dal d.m. 180/2010 sia stata aspramente criticata: chiunque in possesso di una laurea, anche triennale, non necessariamente nel settore giuridico, nonché gli iscritti ad albi o collegi professionali (art. 4, 3° comma, lett. a) possono ottenere l'accreditamento ministeriale purché abbiano con profitto frequentato un corso, della durata di 50 ore, organizzato da appositi enti di formazione e sostenuto il relativo esame finale di carattere teorico-pratico (art. 18,2° comma, lett. f). Si è così scatenata una vera e propria corsa ad offrire corsi di formazione per giovani laureati, desiderosi di diventare in poco tempo (e senza troppa fatica) mediatori; il tutto a discapito della qualità e della professionalità della categoria.

Questa situazione è stata poi ulteriormente aggravata dal legislatore del 2013, il quale, per far fronte alle pressanti richieste della classe forense, ha espressamente stabilito che tutti gli avvocati iscritti all'albo sono mediatori «di diritto» (art. 16, comma 4 bis, d.lgs. 28/2010), evitando così di imporre ai difensori un obbligo formativo in materia, sul presupposto di ritenerli naturali “depositari di capacità relazionali, comunicative e persuasive che, all'opposto, spesso mal si conciliano con un approccio tipicamente avversariale” (FERRARIS, Ultime novità in materia di mediazione civile e commerciale, in Riv dir. proc., 2015, 790).

Invero, l'art. 62, 1° e 2° comma, del codice deontologico forense stabiliscono che “L'avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell'organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice” e che “L'avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza”; l'avvocato, invero, può essere iscritto come mediatore presso 5 organismi di mediazione senza sottostare all'obbligo di 50 ore di formazione prescritto per le altre categorie.

Ai sensi del d.lgs. 28/2010 i soggetti che possono erogare la formazione sono i Consigli dell'Ordine e il Consiglio Nazionale Forense.

Inoltre, l'art. 4, 3° comma,lett. b) del d.m. 180/2010, inoltre, prescrive per tutti i mediatori la necessità di aggiornamento biennale – da calcolarsi dalla data di iscrizione nel registro – mediante la frequenza di appositi corsi e la partecipazione, «in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti»; la disposizione, in primo momento annullata dal T.A.R. Lazio con sentenza del 23 gennaio 2015, n. 1351, per contrasto con la previsione legislativa che attribuisce ex lege la qualifica di mediatori a tutti gli avvocati, è stata successivamente reintrodotta per effetto della sentenza del Consiglio di Stato del 17 novembre 2015, n. 5230, la quale, accogliendo il gravame proposto avverso la decisione del TAR Lazio, ha affermato che i percorsi di formazione gestiti per l'avvocatura dai relativi ordini professionali, pur se prevedono una preparazione all'attività di mediazione, sono ‘ontologicamente' diversi, considerata la formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, per cui «va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l'apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate» relative ad una formazione specifica per i mediatori (che deve garantire «preparazione e professionalità») che non può in alcun modo assimilarsi a quella che svolgono gli avvocati nei corsi gestiti dagli Ordini forensi.

In questo quadro così problematico si inserisce il Consiglio Nazionale Forense il quale, a mezzo della Commissione interna ADR in data 6 giugno 2016, ha inviato una nota ai presidenti dei Consigli degli Ordini forensi con cui è stato affermato che per effetto della riforma della sentenza del TAR Lazio operata dal Consiglio di Stato n. 5230/2015, risulta essere stato ripristinato il precedente sistema e, per tale via, l'attribuzione al Consiglio Nazionale Forense del compito di formare ed aggiornare gli avvocati mediatori.

Fermo restando che i requisiti formativi indicati dal CNF costituiscono comunque lo standard minimo esigibile ai mediatori avvocati, emerge la scelta di molti organismi di non differenziare la formazione tra i mediatori richiedendo anche agli avvocati – ad esempio – un aggiornamento biennale da svolgersi esclusivamente presso enti di formazione accreditati per la mediazione.

L'incontro tra il mediatore e le parti. L'assistenza dell'avvocato

Una volta depositata la domanda presso l'organismo di mediazione, il relativo responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti.

Come già osservato in precedenza, i mediatori operano all'interno degli organismi di mediazione; il compito dei mediatori è quello di adoperarsi affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia (art. 8, comma 3, d.lgs. 28/2010).

Al primo incontro ed a quelli successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato (art. 8, 1° comma).

Invero, sebbene da tale norma sembri doversi desumere un obbligo di assistenza del difensore per tutti i casi di mediazione, dall'art. 12 (che prevede due tipologie di accordo a seconda che tutte le parti siano o non siano assistite da un difensore) si evince che l'assistenza del difensore è necessaria nei soli casi di mediazione obbligatoria.

Tale è anche l'interpretazione fornita dal Ministero della Giustizia (circolare 2 dicembre 2013 n. prot. 168322), la quale espressamente afferma che l'assistenza dell'avvocato è obbligatoria esclusivamente nelle ipotesi di cosiddetta 'mediazione obbligatoria', ivi compresa quella disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, 2° comma, ma non anche in quelle di mediazione facoltativa; nello stesso senso si pone la giurisprudenza di merito (Trib. Torino, 30 marzo 2016), facendo leva sulla lettera dell'art. 5, comma 1 bis.

Naturalmente, nell'ambito della mediazione facoltativa, le parti potranno in ogni momento esercitare la facoltà di ricorrere all'assistenza di un avvocato, anche nel corso della procedura di mediazione; addirittura si ritiene che le parti possano richiedere la presenza (ed assistenza) dei difensori solo nel momento conclusivo dell'accordo di mediazione, al fine di sottoscriverne il contenuto e certificarne la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 12 del d.lgs. 28/2010.

L'esercizio dell'attività di assistenza da parte di un avvocato non presuppone il conferimento di una procura, non dovendosi conferire alcun potere di rappresentanza. All'avvocato compete infatti compete “una mera funzione di assistenza della parte comparsa e non di sua sostituzione e rappresentanza” (Trib. Pavia, 14 settembre 2015; (Trib. Bologna, 5 giugno 2014, in www.giuraemilia.it).

In evidenza

Nel procedimento di mediazione è escluso che la parte non abbiente possa avvalersi del patrocinio a spese dello Stato, giacché il d.P.R. n. 115/2002 assicura tale possibilità solo per i procedimenti (contenziosi o non contenziosi) di natura giurisdizionale (arg. ex artt. 74 e 75). La legge sulla mediazione prevede soltanto, per il caso di mediazione che sia condizione di procedibilità, che “all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L)” d.P.R. n. 115/2002 (art. 17, comma 5 bis). Il meccanismo predisposto dalla legge, inoltre, non prevede però che sia lo Stato a versare le indennità non riscosse dall'organismo di mediazione dalla parte non abbiente, ma stabilisce che: “Il Ministero della giustizia provvede, nell'ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell'indennità' di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell'attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all'esonero.”

Dunque nel procedimento di mediazione il termine “difesa” assume un significato profondamente diverso rispetto a quello che ha nei giudizi contenziosi. È stato autorevolmente notato come “parlare di difesa in un procedimento che si fonda sul consenso ha poco significato; semmai si dovrebbe parlare di assistenza alla parte, non diversamente da quanto accade in occasione della stipulazione di un qualunque contratto” (Luiso, Il modello italiano di mediazione. Il ''giusto'' procedimento di mediazione (contraddittorio, riservatezza, difesa, proposta), in Giur. it., 2012, 215).

Quanto poi al contraddittorio, per lo stesso motivo, non occorre che esso sia rispettato; ed infatti nel testo del decreto legislativo nessun riferimento è compiuto a tale principio, tanto indefettibile nel processo civile, quanto irrilevante nel procedimento di mediazione; anzi, lo stesso decreto prevede l'espressa previsione della possibilità che il mediatore tenga incontri separati con ciascuna delle parti, e che egli sia tenuto a non riferire all'altra parte le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso degli incontri separati (art. 9, 2° comma).

Ciò perché la mediazione è un mezzo creato per favorire il raggiungimento di un accordo, idoneo a risolvere la controversia. Questo accordo può comunque essere autonomamente raggiunto dalle parti, “sicché l'intervento di un terzo serve proprio a creare un canale di comunicazione fra le parti, quando esse — come di solito accade — non sono disposte a ''scoprire le carte'', rivelandosi a vicenda i bisogni e gli interessi che ciascuna di esse vuole soddisfare mediante la propria pretesa giuridica” (Luiso, op. cit.).

La partecipazione delle parti al primo incontro di mediazione. Conseguenze

Dal diverso modo di declinare il concetto di assistenza tecnica discende anche l'ulteriore conseguenza che la parte ha l'obbligo di partecipare personalmente agli incontri di mediazione; qualora essa sia impossibilitata, non può validamente sostituirla il suo legale, dovendosi all'uopo richiedere comunque la presenza di un soggetto distinto, munito di delega sostanziale ad hoc (così anche Trib. Vasto 9 marzo 2015, in Dir. giust.; Trib. Pavia 9 marzo 2015, in www.altalex.it, secondo cui la partecipazione in mediazione costituisce attività personalissima che la parte non può delegare al difensore, pena pronunzia di improcedibilità della domanda, non ritenendosi in tal caso espletata la procedura compositiva e di conseguenza assolta la condizione di procedibilità).

Svolta questa premessa essenziale, va osservato come il primo incontro di programmazione abbia lo scopo di verificare l'intenzione delle parti di proseguire il tentativo di mediazione (non oltre trenta giorni dal deposito della domanda).

Durante il primo incontro, dunque, il mediatore “chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione”. Come già accennato, a detto incontro devono essere presenti le parti personalmente, non potendo la mancata partecipazione essere surrogata dallo scambio di missive, telegrammi o fax inviati dalle parti direttamente al mediatore o alla sede dell'organismo (Trib. Roma 29 settembre 2014, in Dir. giust., 2014).

Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita le parti ed i loro legali ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, se l'esito è positivo, procede con lo svolgimento di essa.

Può accadere al contrario che le parti riscontrino l'impossibilità di proseguire le trattative per la composizione amichevole della lite: in tal caso, laddove l'esperimento della mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si ha per avverata e nessun compenso è dovuto all'organismo di mediazione.

Vi è a questo punto da chiedersi cosa accada laddove una delle parti non partecipi al procedimento senza giustificato motivo.

LA MANCATA PARTECIPAZIONE AL PRIMO INCONTRO DI MEDIAZIONE

La condotta della parte che non si presenta al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all'organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di una assenza ingiustificata della parte invitata; la ratio dell'art. 8 è infatti quello di obbligare le parti a partecipare al procedimento di mediazione; in altre parole, insomma, non è mai consentito alle parti di anticipare i motivi ostativi alla partecipazione al procedimento di mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione.

Trib. Vasto, 6 dicembre 2016, in www.judicium.it

Solo dopo il primo incontro le parti dunque potranno scegliere di non partecipare, ma dovranno a tal fine addurre motivi seri, aventi i caratteri della assolutezza e della non temporaneità, che siano pertinenti rispetto al merito della controversia e dotati di plausibilità logica, prima ancora che giuridica, tali non essendo, ad esempio, quelle fondate sulla convinzione della insuperabilità dei motivi di contrasto.

Trib. Vasto, 23 aprile 2016

Sicché, tutte le volte nelle quali prima dell'incontro il convenuto comunichi alla segreteria dell'organismo la mancanza di volontà di avviare la mediazione, così giustificando la propria assenza, il giudice successivamente adito potrà valutare tale comportamento ai sensi dell'art. 116, 2° comma c.p.c. nonché, sul piano della responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96, 3° comma c.p.c.

Solo dopo il primo incontro le parti potranno ragionevolmente esprimere la loro posizione negativa rispetto alla ricerca di una soluzione conciliativa, tanto vero che il comma 2 bis dell'art. 5 d.lgs. 28/2010 prevede che quando il tentativo di mediazione è obbligatorio, la condizione di procedibilità si considera avverata se le parti dopo il primo incontro non raggiungono l'accordo. “Essenziale è perciò che il primo incontro si svolga: da un lato, per garantire il rispetto della condizione di procedibilità e, dall'altro, per consentire alle parti di compiere una scelta consapevole e informata di dissenso verso la mediazione” (LICCI, Le conseguenze della ingiustificata mancata partecipazione al primo incontro di mediazione, in www.judicium.it).

Ulteriore conseguenza della ingiustificata mancata partecipazione è la condanna della parte invitata che non abbia aderito, ai sensi dell'art. 8 comma 4 d.lgs. 28/2010, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

L'applicazione di tale sanzione non è discrezionalmente valutabile da parte del giudice, ma è automaticamente comminabile tutte le volte nelle quali la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca idonea giustificazione alla propria condotta. Inoltre l'operatività della misura sanzionatoria non è collegata all'esito del giudizio di merito, potendo il giudicante irrogarla anche alla prima udienza, una volta verificata l'ingiustificata assenza in mediazione.

Nel caso in cui si tratti di mediazione delegata dal giudice, invece, laddove sia mancata la partecipazione di una delle parti, sarà necessario disporre un nuovo incontro di mediazione (Trib., Modena, 2 maggio 2016, che ha pertanto onerato la parte più diligente a depositare una nuova istanza di mediazione nel termine di 15 gg. dalla comunicazione del provvedimento, fissando altresì termine per la discussione dell'udienza).

Il procedimento e gli ausiliari del mediatore

Il procedimento di mediazione si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo.

Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari (art. 8, 1° comma, d.lgs.28/2010).

Il mediatore ausiliario ha la funzione di supportare e/o sostituire il mediatore incaricato nella gestione del procedimento di mediazione al fine di favorire un accordo tra le parti. Dunque, l'ausiliario non è altro che un mediatore, che però ha anche delle competenze particolari nella materia specifica oggetto del procedimento, allo scopo di aiutare le parti a trovare un punto di incontro, o, in caso negativo, di formulare alle stesse una proposta efficace.

Il mediatore ausiliario non va confuso con il consulente tecnico o perito esperto.

L'art. 8, 4° comma, d.lgs. cit. prevede infatti la possibilità per il mediatore di avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali; prevede inoltre la stessa norma che spetta il regolamento di procedura dell'organismo stabilire le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

La genericità del dato normativo ha determinato il sorgere di svariati problemi, dovendosi chiedere: a)- come possano essere individuati gli esperti; b)- chi provveda alla loro nomina, stabilendo i quesiti e la durata della consulenza; c)- come debba svolgersi la consulenza tecnica; d)- quale sia l'utilizzabilità nell'eventuale successivo giudizio.

Per effetto del nuovo art. 4, 1° comma, d.lgs. 28/2010 (su v. supra) non pare più dubbio che l'esperto debba essere scelto nell'elenco del tribunale territorialmente competente, salva la possibilità di derogare tale competenza dietro accordo delle parti.

Le parti sono solidalmente responsabili del pagamento del compenso dell'esperto, così come delle spese ed indennità di mediazione (Art. 16, comma 11, d.m. 180/2010).

A differenza di quanto accade nel processo, in cui il giudice è libero di nominare o meno un consulente, in mediazione il mediatore non può imporre alle parti la nomina di un perito, le quali devono quindi essere concordi nella nomina del tecnico, anche e soprattutto in considerazione del fatto che il compenso al perito è a loro carico.

In evidenza

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, “non vi sono valide ragioni in punto di diritto per escludere la possibilità che anche in assenza (per mancanza di adesione e partecipazione) della parte convocata, possa essere disposta una consulenza da parte del mediatore, richiestone dal solo istante presente”: così Trib. Roma, 9 aprile 2015.

Quanto alle modalità di nomina del consulente e di svolgimento della perizia, essa avviene usualmente dopo che le parti hanno avuto modo di individuare, con l'aiuto del mediatore, quali siano gli interessi in gioco e quindi il quesito da sottoporre al consulente tecnico. L'individuazione del quesito ha anche la funzione di individuare l'esperto più idoneo al caso specifico, nonché di richiedere allo stesso di dare un preventivo del costo della consulenza specialistica. Spetta all'organismo di mediazione l'individuazione del consulente nell'albo dei periti esperti iscritti nell'elenco del tribunale territorialmente competente (salvo diverso accordo tra le parti). Lo stesso organismo provvederà anche alla verifica della terzietà, neutralità ed imparzialità del perito rispetto alle parti, ai loro legali e ad eventuali consulenti di parte.

“Una volta individuato il perito e raccolta la disponibilità dello stesso a svolgere la perizia, il nominativo, con breve curriculum ed il preventivo di spesa, viene inviato alle parti.

Se le stesse ritengono il consulente adatto allo svolgimento della perizia, si procede con la nomina. La stessa viene riportata in un verbale di incarico nel quale, oltre al quesito, vengono indicate le modalità di corresponsione del compenso pattuito, il nominativo ed il compenso dell'eventuale specialista e i nominativi e i riferimenti degli eventuali periti di parte. Il verbale riporterà anche le modalità e i termini per lo svolgimento della perizia, ovvero dove avrà luogo, quando dovrà iniziare, che tipo di attività sarà richiesta, quando dovrà essere conclusa con la consegnata dell'elaborato peritale all'Organismo” (ARIANNA, La consulenza tecnica in mediazione, in I contratti, 2016, 199).

Con l'accettazione del mandato, il consulente tecnico si vincola alla massima riservatezza su quanto apprenderà nel corso dello svolgimento della perizia.

Nell'ambito del procedimento di mediazione, l'elaborato peritale ha lo scopo di fissare degli elementi certi, dai quali partire per trovare una soluzione condivisa del conflitto, lasciando al mediatore il ruolo di paciere e conciliatore; nel caso in cui le parti non dovessero comunque conciliare, la consulenza potrà essere prodotta in giudizio.

Nessuna norma del d.lgs. 28/2010, infatti, fa divieto dell'utilizzo nella causa della relazione dell'esperto, fermo restando il generale obbligo di riservatezza anche del consulente, come di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento.

Precisa però la giurisprudenza che l'elaborato peritale non può essere parificato ad una consulenza tecnica, non essendo disposta, controllata e diretta da un giudice; da essa, il giudicante può tuttavia trarne argomenti ed elementi utili alla formazione del suo giudizio, o ricavarne un fondamento conoscitivo e supporto motivazionale per la formulazione di una proposta conciliativa (Trib. Roma, 17 marzo 2014; Trib. Parma 13 marzo 2015).

Lo svolgimento della mediazione, infine, non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari. Una volta ottenuto il provvedimento cautelare, la procedura di mediazione dovrebbe essere esperita prima dell'instaurazione del giudizio di merito, ma i termini di cui all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c. sono inferiori al termine di durata della procedura di mediazione, e quindi la fase di merito potrebbe instaurarsi prima ovvero durante la procedura di mediazione.

Gli obblighi del mediatore: il dovere di imparzialità

Stando al secondo comma dell'art. 3, d.lgs. 28/2010, il regolamento di ciascun organismo di mediazione deve in ogni caso garantire, tra l'altro, modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità.

Inoltre, l'art. 14, 2° comma impone al mediatore il divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio; inoltre, i mediatori non possono percepire compensi direttamente dalle parti, essendo l'indennità di mediazione versata dalle parti agli organismi (che poi regolano autonomamente il compenso dovuto al singolo mediatore per lo svolgimento della sua prestazione professionale).

Il mediatore, inoltre, deve sottoscrivere, per ogni singolo procedimento, una dichiarazione di imparzialità; inoltre deve immediatamente l'organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione (art. 14, 2° comma, lett. a e b).

L'art. 14 bis d.m. 180/2010, inserito dal d.m. 4 agosto 2014, n. 139, prevedeva una serie di incompatibilità a carico del mediatore: il mediatore non poteva essere parte ovvero rappresentare o assistere parti in procedure di mediazione dinanzi ad organismi presso cui è iscritto o relativamente ai quali è socio o, infine, relativamente ai quali riveste una carica a qualsiasi titolo. Tale divieto si estendeva ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali.

Inoltre, stando al secondo comma dell'art. 14 bis, non poteva assumere la funzione di mediatore chi avesse rapporti professionali con una delle parti in lite; infine, prevedeva come condizione ostativa all'assunzione dell'incarico di mediatore la ricorrenza delle ipotesi previste per la ricusazione degli arbitri di cui all'art. art. 815, primo comma, numeri da 2 a 6 del codice di procedura civile.

Il TAR Lazio, 1 aprile 2016, n. 3989 ha tuttavia stabilito l'espunzione dell'intero art. 14 bis dal testo del d.m.180/2010 per eccesso di delega, giacché “la normativa primaria non ha riservato alla decretazione regolamentare ministeriale alcun margine per intervenire sui temi dell'incompatibilità e del conflitto di interessi del singolo mediatore, al fine poi di estenderli anche a soci, associati e professionisti esercenti attività professionale nei medesimi locali”.

(Segue): l'obbligo di riservatezza

La normativa sulla mediazione civile (artt. 3, 2° comma, 9, 10, 11, 2° comma) prevede, salvo rinunzia o consenso delle parti, un dovere di riservatezza, sia interno che esterno, a carico di chiunque presti «la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione», relativamente alle «dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo», nonché, in caso di fallimento della mediazione, il divieto di una loro utilizzazione nel successivo processo (purché siano coincidenti, anche parzialmente, i rispettivi oggetti), anche a carico del giudice.

La riservatezza esterna implica che nessuna notizia e informazione trapeli al di fuori del procedimento di mediazione; d'altronde, lo stesso procedimento di mediazione non è pubblico, per cui chi non è parte non ne può essere a conoscenza, a differenza di quanto accade per il processo innanzi agli uffici giudiziari, che è pubblico per eccellenza.

Quanto alla riservatezza interna, occorre richiamare l'art. 9, 2° comma, che prevede la possibilità per il mediatore di tenere dei colloqui separati, laddove lo ritenga opportuno.

Conseguenza del rispetto dell'obbligo di riservatezza è il successivo art. 10, il quale impone il divieto di utilizzazione in giudizio delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento di mediazione e delle informazioni acquisite nel corso dello stesso (1° comma), salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. La regola generale di inutilizzabilità è rafforzata dal divieto di utilizzabilità della prova testimoniale e di deferimento di giuramento decisorio (art. 10, 1° e 2° comma). Lo scopo è quello di favorire l'instaurazione di un clima leale e disteso, nonché di favorire l'esperimento del tentativo di conciliazione e così facilitare il raggiungimento di un accordo: in difetto, ne risulterebbe, se non inficiata, quantomeno affievolita l'efficacia dell'istituto della mediazione.

Sul punto parte della dottrina, criticando il silenzio del legislatore circa il divieto di utilizzabilità dell'interrogatorio, libero o formale, ne ha affermato per coerenza l'inammissibilità anche di tale mezzo e, più in generale, di ogni mezzo di prova avente ad oggetto quelle dichiarazioni o informazioni (CUOMO ULLOA, La nuova mediazione. Profili applicativi, Bologna, 2013, 317 ss.).

Infine, il mediatore è tenuto al segreto professionale (art. 10, 2° comma, secondo cui il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano di conseguenza le disposizioni dell'art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'art. 103 c.p.p. in quanto applicabili.

La conciliazione e la proposta del mediatore

Scopo del procedimento è, come più volte osservato, il raggiungimento di un accordo amichevole di definizione della controversia.

Se la conciliazione riesce, il mediatore redige processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo.

L'accordo conciliativo può essere raggiunto dalle parti non solo in maniera spontanea (c.d. mediazione facilitativa), ma anche per effetto della proposta del mediatore (c.d. mediazione aggiudicativa). In caso di mancato raggiungimento dell'accordo, il mediatore, infatti, ha la facoltà di formulare e presentare alle parti una proposta conciliativa; laddove vi sia una istanza congiunta delle parti in tale senso, lo stesso risulta addirittura obbligato a formulare detta proposta (art. 11, 1° comma). Lo stesso comma precisa che prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze sulle spese processuali previste dall'articolo 13 del d.lgs. 28/2010.

Il secondo comma dell'art. 11 precisa che la proposta va comunicata per iscritto alle parti che dovranno trasmettere al mediatore, entro sette giorni, la loro accettazione o il loro rifiuto, intendendosi la proposta rifiutata anche in caso di mancata risposta; lo stesso comma, inoltre, chiarisce che il mediatore nella proposta non possa fare riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel procedimento, salvo diverso accordo delle parti; infine, l'art. 14 impone al mediatore di rispettare all'atto della formulazione della proposta le norme imperative e l'ordine pubblico.

Stando all'art. 16, 4° comma, lett. c), d.m.180/2010 le indennità sono aumentate di un quinto nel caso di formulazione della proposta: aumento che opera solo per le mediazioni facoltative, stante la limitazione prevista dallo stesso art. 16, 5° comma per le mediazioni obbligatorie.

Nel caso in cui le parti rifiutino la proposta del mediatore, stabilisce l'art. 13, 1°comma, d.lgs. 28/2010 che se, nell'eventuale successivo giudizio successivamente instaurato, il giudice ravvisi che il contenuto della sentenza coincida con quella della proposta rifiutata dalla parte, egli debba escludere a favore di quest'ultima la ripetizione delle spese sostenute per il giudizio e per la mediazione, condannandola altresì al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, oltre al versamento allo Stato di un importo pari al contributo unificato dovuto; nell'ipotesi in cui il provvedimento non corrisponda interamente alla proposta il 2° comma permette al giudice, qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, di escludere la ripetizione delle indennità corrisposte al mediatore e del compenso dovuto all'esperto che sia stato eventualmente nominato nel corso della mediazione.

La norma che era venuta meno per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 5, 1° comma avvenuta nel 2012 (Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272) è stata integralmente riprodotta in occasione della reintroduzione della c.d. mediazione obbligatoria. A differenza di quest'ultima, che trova frequente applicazione nei tribunali, “l'art. 13 parrebbe rimasto, anche dopo la riforma del 2013, sostanzialmente disapplicato” (CUOMO ULLOA, Il punto sulla proposta del mediatore, in Giur. it., 2017, 657).

In realtà, l'esame della prassi evidenzia che i mediatori non hanno interesse a sollecitare la formulazione di proposte conciliative, soprattutto per il timore di responsabilità che potrebbero derivare dalla formulazione di proposte, “qualora ad esempio la proposta fosse ‘‘illecita'' e le parti dimostrassero di essere addivenuti alla conciliazione facendo esclusivo affidamento sulla tenuta della stessa” (CUOMO ULLOA, op. cit., 658).

A fronte di questo atteggiamento, vi è però il tentativo da parte dei giudici di incentivare la formulazione di proposte di mediazione. In tal senso si segnala la posizione del Tribunale di Siracusa, 5 luglio 2015, il quale, nel delegare la mediazione, non solo impone alle parti la necessità che al primo incontro l'attività di mediazione sia concretamente espletata, ma anche e soprattutto invita il mediatore ad avanzare proposte conciliative pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, 1° comma, d.lgs. 28/2010.

Nello stesso senso si pone l'ordinanza del Tribunale di Vasto, 15 giugno 2016, in Giur. it., 2017, 655 ss.: il giudice partendo dalla premessa che la formulazione della proposta è un passaggio cruciale ed ineludibile del procedimento di mediazione, la cui omissione preclude al giudice la possibilità di compiere le valutazioni previste dall'art. 13 del decreto 28/2010, afferma che qualora il mediatore, contravvenendo alle prescrizioni del giudice abbia omesso di formulare la proposta, il procedimento di mediazione (obbligatoria) non può considerarsi ritualmente svolto, dovendo le parti, a pena di improcedibilità della domanda, riattivare il procedimento affinché il mediatore, senza oneri aggiuntivi completi la sua attività con la formulazione di una proposta conciliativa, ai sensi dell'art. 11, d.lgs. 28/2010, anche in assenza di una concorde richiesta delle parti.

Il verbale di accordo e la sua efficacia

Stando all'art. 11, 3° comma, se è raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere”.

Dunque, le parti, con l'ausilio del mediatore, concludono un accordo amichevole, cioè nient'altro che un comune contratto di transazione (CARNEVALI, La nuova mediazione civile, in Contratti, 2010, 438); viene però comunemente affermato che l'elemento delle reciproche concessioni di cui all'art. 1965 c.c. è di norma, ma non necessariamente, presente e che l'accordo delle parti potrebbe anche consistere in un negozio di accertamento o in un negozio abdicativo (Boggio, Conclusione della mediazione, La mediazione nelle liti civili e commerciali, a cura di Amerio, Milano, 2011, 287).

In quanto negozio giuridico, esso sarà sottoposto alle normali regole dei contratti, con le limitazioni di volta in volta ricorrenti a seconda del contenuto che le parti hanno inteso dare al loro accordo: laddove abbiano inteso stipulare una transazione, si applicheranno le regole degli artt. 1969 e seguenti del codice civile; allo stesso modo, se il negozio posto in essere dalle parti è di altra natura, si applicheranno le relative regole.

Secondo l'art. 2 del d.lgs. 28/2010, è possibile avvalersi del procedimento di mediazione solo per la conciliazione di una controversia «vertente su diritti disponibili». Se il contratto ha ad oggetto diritti indisponibili, sarà evidentemente nullo. Esso sarà da ritenersi nullo anche se l'oggetto è impossibile o indeterminato e indeterminabile (circostanza che potrebbe verificarsi laddove le parti raggiungano un accordo particolarmente vago e fumoso).

L'accordo raggiunto (con o senza proposta del mediatore) può inoltre «prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento». In sostanza, nell'accordo può essere inserita anche una misura coercitiva, a prescindere dal fatto che l'accordo abbia ad oggetto obblighi di fare infungibili.

Stando all'art. 11, 3° comma, «se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

Con la riforma del 2013 si è poi ammessa la trascrivibilità dei negozi di accertamento dell'usucapione.

In passato, parte della giurisprudenza si era pronunciata per la soluzione negativa, basata sulla tassatività della fattispecie trascrivibili (Trib. Roma, 22 luglio 2011; Trib. Massa, 2 febbraio 2012, sulla base del diverso ruolo svolto dai mediatori rispetto all'autorità giudiziaria). Altre decisioni propendevano invece per la trascrivibilità dell'accordo, sul presupposto di ritenere l'accordo accertativo dell'usucapione reso in sede di conciliazione in termini di transazione in senso lato e, quindi, non quale mero negozio di accertamento, ma quale negozio di disposizione posto in essere dalle parti nell'esplicazione della loro autonomia privata (Trib. Palermo, 30 dicembre 2011; Trib. Como, sez. Cantù, 2 febbraio 2012).

Oggi, per effetto dell'introduzione del n. 12 bis dell'art. 2643 c.c. ad opera dell'art. 84 bis del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 98, si prevede che “si devono rendere pubblici con il mezzo della trascrizione” anche “gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

L'introduzione del nuovo n. 12 bis all'art. 2643 c.c. non è stata accolta dai primi commentatori con favore; in merito, è stato affermato che nonostante l'accertamento negoziale mantenga i caratteri dell'acquisto a titolo originario, costituendo un negozio di secondo grado, che presuppone la preesistenza di un fatto o di una relazione giuridica da accertare con carattere di definitività, è innegabile come l'accertamento negoziale investa esclusivamente i rapporti tra usucapito e usucapiente e non possa avere un'efficacia generalizzata verso i terzi.

Dunque, l'usucapione negoziale, sebbene simile all'usucapione giudiziale riguardo ai presupposti di fatto che legittimano la formazione di un titolo di acquisto del diritto reale in capo all'usucapiente, se ne differenzia per la circostanza che “il limite rinvenibile nell'usucapione negoziale è piuttosto rappresentato dalla persistenza di un legame fra usucapito e usucapiente che connota il relativo negozio di un carattere lato sensu dispositivo (sia pure non dia luogo ad un acquisto derivativo in senso stretto) sul piano degli effetti della relativa pubblicità nei rapporti inter partes e nei confronti dei terzi” (SARACENO, La trascrizione dei negozi di accertamento dell'usucapione nell'ambito del procedimento di mediazione, in Riv. dir. civ., 2016, 219)

In altri termini, mentre l'usucapione giudiziale ha la forza di radicare un diritto nuovo in capo all'usucapiente al quale i terzi aventi causa dall'usucapito non potranno opporre i loro diritti in base alle regole previste agli artt. 2644 e 2650 c.c., interrompendo pertanto la catena delle trascrizioni fino a quel momento intervenute contro l'usucapito, il negozio di accertamento dell'usucapione s'inscrive all'interno di una vicenda pubblicitaria di matrice chiaramente dichiarativa in cui i terzi aventi causa dall'usucapito o i creditori iscritti contro di lui potranno opporre i loro diritti all'usucapiente che abbia trascritto l'accordo in un momento successivo (App. Reggio Calabria, 12 novembre 2015).

Il legislatore, assimilando, quanto agli effetti della pubblicità immobiliare, i negozi di accertamento (aventi - in base al diritto vivente - esclusivamente efficacia preclusiva) alle altre fattispecie (costitutive, modificative e traslative) elencate nell'art. 2643 c.c., ha però creato una disarmonia nel sistema, con il concreto rischio di ingenerare ingannevoli convinzioni circa l'equivalenza dell'accordo conciliativo ad un titolo traslativo della proprietà.

Precisa perciò la più recente giurisprudenza che la trascrizione degli accordi di mediazione accertativi dell'usucapione presuppone l'esistenza di un valido negozio di accertamento, “per cui ben può essere negata la trascrizione tutte le volte che risulti ictu oculi che le parti abbiano accertato una realtà diversa da quella effettiva, procedendo consapevolmente ad un accertamento di comodo di una usucapione del tutto fasulla” (così Tribunale di Lecce, 8 gennaio 2016, in Contratti, 2017, 71 ss.).

Stando all'art. 12, come modificato dal d.l. 69/2013, laddove tutte le parti aderenti all'accordo siano assistite da un avvocato, “l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico”.

Viene così generalizzata l'efficacia esecutiva dell'accordo ottenuto a seguito di mediazione, il quale aprirà la strada a tutte le forme di esecuzione forzata previste nel nostro ordinamento.

Ulteriore vantaggio per le parti aderenti all'accordo è altresì la previsione, sempre contenuta nell'art. 12, che l'accordo deve essere “integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile”, al pari di quanto accade per le scritture private autenticate (che tuttavia, si ricorda, sono titolo esecutivo solo limitatamente alle somme di danaro in esse contenute).

Laddove le parti non siano assistite da un avvocato, affinché l'accordo possa avere efficacia di titolo esecutivo, occorre che esso venga omologato, previa istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, dietro accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico.

Poiché si tratta di un giudizio sommario, l'omologazione non preclude la rilevazione dell'eventuale illiceità del contratto in un giudizio successivo.

L'accordo non omologato avrà comunque efficacia vincolante tra le parti ai sensi dell'art. 1372 c.c..

Come accennato, l'accordo costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Ora, poiché l'ipoteca giudiziale presuppone sempre un provvedimento giudiziale sulla base del quale prendere l'iscrizione (si v. al riguardo l'art. 2818 c.c.), si potrebbe pensare che il semplice accordo conciliativo non basti per iscrivere ipoteca, per cui il conservatore, richiesto di iscrizione di ipoteca giudiziale con la presentazione del semplice accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati, ben potrebbe rifiutarla. La conclusione, tuttavia, appare eccessivamente penalizzante per le parti; potrebbe perciò farsi leva, oltre che sul dato letterale, anche sulla circostanza che l'accordo conciliativo, in quanto rientrante nel novero dei titoli esecutivi c.d. giudiziali di cui al n. 1 del secondo comma dell'art. 474 c.p.c., ben può essere assimilato, quoad effectum, ai provvedimenti giudiziali e come tale essere idoneo alla iscrizione di ipoteca nei pubblici registri.

Le spese della mediazione

Come già osservato, nel caso in cui la mediazione non si concluda favorevolmente e il mediatore abbia formulato una proposta non accettata dalle parti, se nel successivo giudizio il provvedimento che definisce la lite corrisponde interamente alla proposta non accettata da parte vincitrice, il giudicante pone a carico della stessa le indennità di mediazione e il compenso dell'esperto (art. 13, 1° comma, ultimo periodo, d.lgs. 28/2010). Anche nel caso in cui la proposta non corrisponda interamente al provvedimento del giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, lo stesso può escludere la ripetizione delle spese sostenute da parte vincitrice per le indennità di mediazione e il compenso dell'esperto (art. 13, comma 2, d.lgs. 28/2010).

È stato poi già rilevato come la mediazione sia gratuita per i soggetti che avrebbero beneficiato del gratuito patrocinio nel giudizio in tribunale; ciò a condizione che si tratti di mediazione obbligatoria. A tal fine, la parte deve depositare presso l'organismo dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui firma può essere autenticata dal mediatore.

Come accennato, poi, quando il primo incontro di programmazione tra le parti e il mediatore si conclude con un mancato accordo, non è dovuto alcun compenso per l'organismo di mediazione (art. 17, comma 5ter, d.lgs. n. 28/2010). Invero, per effetto del nuovo art. 16, 2° comma, del d.m. n. 180/2010, come modificato dal d.m. n. 139/2014, la disposizione si intende ai soli onorari del procedimento, con esclusione quindi delle spese di avvio (c.d. «spese vive»), quantificate nella misura di 40 € più iva, dovute da ciascuna parte che partecipa al procedimento di mediazione; l'art. 16, infatti, precisa che l'importo (delle c.d. spese vive) “è dovuto anche in caso di mancato accordo”.

Le agevolazioni fiscali

Tutti gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

Il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro sino alla concorrenza del valore di 50.000 euro.
In caso di successo della mediazione, le parti avranno diritto a un credito d'imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità complessivamente dovute all'organismo di mediazione. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà.

Riferimenti
  • CALIFANO, Procedura della mediazione per la conciliazione delle controversie civile e commerciali, Padova, 2011;
  • DALFINO, Mediazione civile e commerciale, Bologna, 2016;
  • IMPAGNATIELLO, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it; Luiso, Il modello italiano di mediazione. Il ''giusto'' procedimento di mediazione (contraddittorio, riservatezza, difesa, proposta), in Giur. it., 2012;
  • RAITI, La media-conciliazione dopo il decreto “del fare”, in Nuove leggi civ. comm., 2014, I, 245 ss.;
  • TISCINI, La mediazione civile e commerciale, Torino, 2011;
  • VERDE, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, in VERDE, Lineamenti di diritto dell'arbitrato, Torino, 2015, 225.
Sommario