Memorie ex 183 cpc

Vincenzo Papagni
15 Marzo 2016

Ispirandosi rigidamente al principio di concentrazione, nel tentativo di ridurre i tempi processuali e limitare le manovre ostruzionistiche, con le riforme del 2005 il legislatore è intervenuto sul sistema previgente, fondato sul duplice meccanismo preclusivo, preclusioni di merito ancorate all'udienza ex art. 183 e preclusioni istruttorie legate all'udienza ex art. 184, unificando comparizione e trattazione nell'udienza prevista ai sensi dell'art. 183, quella fissata nella citazione o differita ex art.168-bis: la volontà è quella di concentrare la fase precedente la decisione della causa in un'unica udienza, salvo l'appendice scritta ai sensi dell'art. 183, sesto comma e salvo le eventuali udienze successive necessarie in conseguenza delle verifiche processuali esperite oltre che l'eventuale tentativo di conciliazione.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Ispirandosi rigidamente al principio di concentrazione, nel tentativo di ridurre i tempi processuali e limitare le manovre ostruzionistiche, con le riforme del 2005 il legislatore è intervenuto sul sistema previgente, fondato sul duplice meccanismo preclusivo, preclusioni di merito ancorate all'udienza ex art. 183 e preclusioni istruttorie legate all'udienza ex art. 184, unificando comparizione e trattazione nell'udienza prevista ai sensi dell'art. 183, quella fissata nella citazione o differita ex art.168-bis: la volontà è quella di concentrare la fase precedente la decisione della causa in un'unica udienza, salvo l'appendice scritta ai sensi dell'art. 183, sesto comma e salvo le eventuali udienze successive necessarie in conseguenza delle verifiche processuali esperite oltre che l'eventuale tentativo di conciliazione.

L'art. 183 c.p.c., difatti, è stato novellato sia dalla l. n. 80/2005 che dalla l. n. 262/2005. La prima udienza è sia di comparizione che di trattazione e sia le memorie ex art. 183 c.p.c. che le richieste istruttorie vengono tutte autorizzate alla prima udienza

.Il sesto comma dell'art. 183 c.p.c. disciplina la già esistente possibilità di precisare la domanda con memorie, però la l. n. 263/2005 ha modificato tale comma, disponendo che, se richiesto, il giudice concede un termine di 30 giorni per le memorie limitate alla precisazione della domanda o delle eccezioni già proposte; un termine di altri 30 giorni per le repliche e per l'indicazione dei mezzi di prova; infine un termine di 20 giorni per le sole indicazioni della prova contraria.

Con riferimento ai termini previsti dal comma 6 dell'art. 183, (30+30+20), trattandosi di termini previsti in successione, deve ritenersi che il decorrere dei termini successivi postuli la consumazione di quello precedente, e che il dies ad quem del termine anteriore valga quale dies a quo di quello successivo, da non computarsi, in applicazione dell'art. 155, comma 1, c.p.c.

Qualora il termine per il deposito della memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. scada nella giornata del sabato, la scadenza è prorogata al lunedì successivo, e da tale giorno inizia a decorrere il termine per il deposito della memoria successiva (

Trib. Torino, sez. II, 11 dicembre 2006, in Giur. merito 2007, 6, 1684).

In evidenza

Se le parti hanno ottenuto dal giudice la concessione dei termini perentori per depositare le memorie previste dall'art. 183, comma 6, avranno la facoltà e non l'obbligo di depositarle. La norma prevede la possibilità di depositare tre memorie:

-memorie ex art. 183, comma 6, n. 1: ciascuna parte può esercitare lo ius poenitendi, precisando o modificando le domande, le eccezioni e le conclusioni già proposte. Debbono essere depositate entro il termine di trenta giorni;

-memorie ex art. 183, comma 6, n. 2: ciascuna parte può replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall'altra parte e può proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime. Con la stessa memoria le parti debbono provvedere ad articolare i mezzi di prova e produrre i documenti. Debbono essere depositate entro il termine di trenta giorni dalla scadenza della memoria precedente. Con tale memoria si verificano le preclusioni istruttorie;

-memorie ex art. 183, comma 6, n. 3: ciascuna parte può replicare alle prove dedotte dalle controparti, indicando le prove contrarie. Debbono essere depositate entro il termine di venti giorni dalla scadenza della memoria precedente.

L'art. 183, comma 7, prevede che il giudice a questo punto deve provvedere sulle richieste istruttorie, fissando direttamente l'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova: ciò significa che all'udienza di prima comparizione, nel concedere i termini, per il deposito delle memorie, il giudice può riservarsi di decidere, senza fissare altra udienza. È invalsa, invece, la prassi giudiziaria che il giudice nel concedere i termini per le memorie, fissa una nuova udienza di trattazione, alla quale le parti non possono compiere nessun'altra attività, se non quella di richiamare le istanze istruttorie già proposte.

Nel caso di concessione dei termini previsti dall'art. 183 comma 6, c.p.c., è possibile fissare un'udienza, all'esito della quale provvedere sulle eventuali richieste istruttorie o invitare le parti a precisare le conclusioni, tenuto conto del disposto di cui all'art. 183 comma 7, seconda parte, c.p.c., dell'opportunità di consentire alle parti di eccepire l'eventuale tardività o irritualità delle memorie previste dalla norma e, in particolare, della terza memoria (destinata alle sole indicazioni di prova contraria) ed infine della necessità di consentire alle parti di disconoscere un documento prodotto con la terza memoria (per l'eventualità che, sia pure eccezionalmente, detto documento rivesta natura di «prova contraria») (Trib. Torino, sez. III, 19 novembre 2008, in Giur. merito 2009, 9, 2159).

Prima memoria

Le parti hanno il potere di modificare o precisare le domande, eccezioni e conclusioni. Tale potere può essere esercitato direttamente all'udienza,

ex

art. 183

, comma 5,

c.p.c.

o nell'appendice scritta di cui al sesto comma, n. 1, del medesimo articolo. In questo caso le parti possono chiedere al giudice la concessione di un termine per la presentazione di una prima memoria, prevista dall'

art. 183,

comma 6, n. 1,

c.p.c.

, per esercitare tali facoltà.

Tuttavia la domanda di cui all'

art. 2041 c.c.

non può essere presentata per la prima volta nella prima memoria

ex

art. 183 comma 6,

c.p.c.

(

Trib. Sulmona, 13 dicembre

2010

, in Giurisprudenza locale – Abruzzo 2010).

Nel primo termine

, pertanto, la parte attorea può solo dettagliare quanto già detto, senza poter esporre una reconventio reconventionis, che a rigore va esposta in forma orale in udienza. Difatti, al comma 6, n. 1 dell'

art. 183,

c.p.c.

si afferma che si può solo precisare o modificare, e non anche presentare domande o eccezioni che siano conseguenza della riconvenzionale.

A seguito dell'introduzione della normativa sul processo telematico, tale memoria così come tutti gli atti di parte che seguono, non vanno più depositati manualmente in cancelleria dal difensore, ma vi debbono pervenire in via telematica direttamente dallo studio dell'avvocato.

In evidenza

Il processo è governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto va assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attività (v.

C

.

cost

.,

ord

.,

29 aprile 2010, n. 163

). Ecco perché il vigente modello processuale configura un processo che si articola in fasi successive e non ammette deroghe (salvo il caso eccezionale previsto dall'

art. 1

53

c.p.c.

: v.

Cass. civ., sez. U

., sent. 23 giugno 2010, n. 15169

). Il mancato rispetto dei termini fissati dal giudice determina, consequenzialmente, la decadenza, rilevabile d'ufficio, delle facoltà assertorie ed istruttorie delle parti. Ai sensi dell'

art. 183, comma

6

,

c.p.c.

, il giudice concede:

1) un termine di trenta giorni (30) per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;

2) un termine di ulteriori trenta giorni (30) per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;

3) un termine di ulteriori venti giorni (20) per le sole indicazioni di prova contraria.

Ciò vuol dire che le attività assertive della parte devono trovare la loro sede naturale e fisiologica nella memoria ex art. 183, VI, c.p.c. «primo termine» e, quanto alla seconda memoria, sono giustificate unicamente se si traducano in una «replica» alle deduzioni della controparte o in una «risposta» processuale alle medesime; restando altrimenti la suddetta appendice riservata alla richiesta di prova. Ciò vuol dire anche che dove la parte non depositi la memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., primo termine, la controparte non ha diritto ad alcuna attività assertiva, non avendo alcun argomento a cui replicare o contraddire: principio di recente rimarcato dalla Suprema Corte, in tema di controprova (v. Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2013, n. 12119).

Seconda memoria

V'è la possibilità per le parti di replicare e dedurre eccezioni avverso le domande ed eccezioni nuove e avverso quelle eventualmente modificate.

Tale facoltà si eserciterà in una seconda memoria concessa anch'essa dal giudice in prima udienza, prevista al n. 2, da depositare in un termine perentorio non superiore a trenta giorni. Il secondo termine dell'

art. 183

c.p.c.

è disposto, nella classica logica simmetrica del processo civile, per assicurare ad entrambe le parti la possibilità di replicare ai nova, nonché di indicare mezzi di prova e produzioni documentali. La norma de qua recita che «un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali», così richiedendo consequenzialità e simmetria.

Il codice, pur disponendo che gli atti con cui le parti prendono all'inizio posizione nel processo, citazione e comparsa di risposta, debbano indicare anche le prove,

artt. 163, n. 5 e 167, comma 1,

c.p.c.

, non prevede alcuna sanzione nel caso in cui ciò non avvenga, per cui è comunemente ritenuto possibile formulare le richieste istruttorie anche nel proseguio del processo, purché nel rispetto delle preclusioni fissate dalla legge.

Tale situazione è perfettamente legalizzata dalla riforma del 2005, giacché l'art. 183, sesto comma, n. 2, non parla più di “nuovi” mezzi di prova come avveniva nella normativa precedente, ma consente genericamente di dedurre “mezzi di prova e produzioni documentali”, per cui, secondo autorevole dottrina, le deduzioni probatorie possono essere effettuate per la prima volta anche solo nell'appendice scritta dell'art. 183 e precisamente nella seconda memoria in detta norma prevista, nella quale si formulano anche le repliche alle deduzioni di merito proposte dall'avversario in prima udienza o nella prima memoria.

Invero, le attività assertive della parte devono trovare la loro sede naturale e fisiologica nella memoria

ex

art. 183, comma 6,

c.p.c.

«primo termine»

e, quanto alla seconda memoria, sono giustificate unicamente se si traducono in una «replica» alle deduzioni della controparte o in una «risposta» processuale alle medesime; restando altrimenti la suddetta appendice riservata alla richiesta di prova. Ciò vuol anche dire che dove la parte non depositi la memoria

ex

art. 183, comma 6,

c.p.c.

, primo termine, la controparte non ha diritto ad alcuna attività assertiva

, non avendo alcun argomento a cui replicare o contraddire (

Trib. Milano, sez. IX,

2

3 maggio

2013

, in www.lanuovaproceduracivile.com).

Peraltro, la giurisprudenza di merito è costante nell'affermare che, in ossequio al principio secondo cui il diritto alla prova può essere esercitato solo relativamente a fatti tempestivamente allegati; e quindi relativamente a fatti dedotti prima dello spirare delle preclusioni assertive, oggi pacificamente individuate nella memoria

ex

art. 183

,

comma 6

,

n. 1,

c.p.c.

, l'eventuale richiesta probatoria deve ritenersi inammissibile, pur se formulata prima del decorso del termine di cui all'

art. 183

,

comma 6

,

n. 2,

c.p.c.

(

Trib. Reggio Emilia

, 14 giugno 2012, n.

1134

, in www.dirittoegiustizia.it).

E ancora, è inammissibile, pur se formulata prima del decorso del termine di cui all'

art. 183

,

comma 6

,

n. 2,

c.p.c.

, la richiesta probatoria relativa a circostanze per la prima volta dedotte dopo lo spirare delle preclusioni assertive di cui all'

art. 183

,

comma 6

,

n. 1

c.p.c.

(

Trib.

Piacenza, 30 novembre

2009

, in www.dirittoegiustizia.it).

Emendatio e mutatio libelli

Esaminando le memorie,

ex

art. 183, comma 6, n. 1,

c.p.c.

, si osserva che le parole “precisazioni o modificazioni” originariamente contenute nel testo dell'

art. 183

c.p.c.

dovevano costituire la traduzione delle corrispondenti parole latine emendatio e mutatio, così da consentire alle parti di adeguare liberamente la propria strategia processuale a quella dell'avversario.

Peraltro, il destinatario di un'azione personale di restituzione può contrastarla con eccezioni o domande riconvenzionali di carattere petitorio, senza tuttavia che ciò dia luogo ad una mutatio o emendatio libelli, non consentite neppure all'attore, se non nei ristretti limiti stabiliti dall'

art. 183

c.p.c.

(

Cass. civ.,

sez.

U

., 28 marzo 2014, n. 7305

).

In linea generale, la giurisprudenza in materia ha affermato il principio secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere), mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo (ex multis,

Cass. civ.,

sez.

II

,

28 gennaio

2015, n. 1585

; Cass. civ., sez. trib., 20 luglio 2012, n. 12621;

Cass. civ., sez. U

.,

27 dicembre 2010,

n.

26128

).

Giova, peraltro, rammentare che, secondo la giurisprudenza, si ha la domanda nuova quando i nuovi elementi dedotti comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella originariamente fatta valere, verificandosi in tale ipotesi una mutatio libelli e non una mera emendatio (

Cass. civ.,

sez.

I

, 30 agosto 2005, n. 13982

).

Un altro orientamento giurisprudenziale, invece, a più riprese nel corso degli anni ha ritenuto ammissibile la proposizione della domanda di accertamento dell'intervenuto effetto traslativo del bene dopo che nell'atto introduttivo era stata proposta domanda di sentenza costitutiva

ex

art. 2932 c.c.

Tale orientamento fondato sulla considerazione che nella specie non sarebbe configurabile una mutatio ma solo una emendatio libelli, perché il thema decidendum rimarrebbe circoscritto all'accertamento dell'esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà, restando così identico nella sostanza il bene effettivamente richiesto e la causa petendi, costituita dal contratto del quale viene prospettata soltanto una diversa qualificazione giuridica. Occorre pertanto considerare che le pronunce che, anche in tempi risalenti, hanno affermato la possibilità di modificare l'iniziale domanda di sentenza costitutiva

ex

art. 2932 c.c.

in domanda di sentenza di accertamento dell'intervenuto effetto traslativo (e viceversa) si sono di fatto poste in contrasto con la apparentemente granitica e tuttora formalmente indiscussa giurisprudenza affermativa del divieto della c.d. mutatio libelli (

Cass. civ.,

sez. II, 28 luglio 2010, n. 17688

;

Cass. civ.,

sez.

II

, 15 ottobre 2008, n. 25185

;

Cass. civ.,

sez.

II

, 31 luglio 2007, n. 16881

).

Di recente, invero, le Sezioni Unite, hanno risolto il prospettato conflitto giurisprudenziale precisando che la modificazione della domanda ammessa

ex

art. 183

c.p.c.

può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria

ex

art. 183

c.p.c.

, dell'originaria domanda formulata

ex

art. 2932 c.c.

con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo

(

Cass. civ., sez. U

., 15 giugno 2015, n. 12310

). Peraltro, le Sezioni Unite, precisano che, i risultati ermeneutici raggiunti nel richiamato grand arrêt, risultano in completa consonanza sia con l'esigenza di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati nel corso degli ultimi anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

MUTATIO LIBELLI

: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice “emendatio libelli”, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere), mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono “mutatio libelli”, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo

Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1585; Cass. civ., sez. trib., 20 luglio 2012, n. 12621; Cass. civ., sez. U., 27 dicembre 2010, n. 26128

Contra È ammissibile la proposizione della domanda di accertamento dell'intervenuto effetto traslativo del bene dopo che nell'atto introduttivo era stata proposta domanda di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.. Tale orientamento fondato sulla considerazione che nella specie non sarebbe configurabile una mutatio ma solo una emendatio libelli, perché il thema decidendum rimarrebbe circoscritto all'accertamento dell'esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà, restando così identico nella sostanza il bene effettivamente richiesto e la causa petendi, costituita dal contratto del quale viene prospettata soltanto una diversa qualificazione giuridica.

Cass. civ., sez. II, 28 luglio 2010, n. 17688; Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2008, n. 25185; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2007, n. 16881

Soluzione del contrasto La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l'ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell'originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell'avvenuto effetto traslativo.

Cass. civ., sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310

Chiamata del terzo

Per quanto riguarda il terzo eventualmente chiamato in giudizio si ritiene che, fermo il petitum, esso terzo possa articolare diversamente la causa petendi in base alle ragioni della sua chiamata (

Cass. civ.,

sez. lav., 25 giugno 2008, n. 17300

).

Inoltre, in caso di chiamata in causa del terzo, questi assume, per effetto della stessa chiamata, la posizione di contraddittore nei confronti della domanda originaria solo se viene chiamato in causa quale soggetto effettivamente e direttamente obbligato (o, in caso di azione risarcitoria, quale unico responsabile del fatto dannoso) e non anche se viene chiamato in causa dal convenuto per esserne garantito; in quest'ultimo caso, se l'attore vuole proporre domanda anche nei confronti del terzo chiamato, deve formulare nei confronti dello stesso una espressa ed autonoma domanda, che può trovare fondamento in fatti anche diversi rispetto a quelli posti a base del rapporto di garanzia, avvalendosi della facoltà disciplinata dall'

art. 183, comma 4,

c.p.c.

(nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dall'

art. 2, comma 3, lett. c

-

ter

)

d.l. 14 marzo 2005 n. 35

, conv., con modificazioni, nella

l. 14 maggio 2005 n. 80

come modificato dall'

art. 1, comma 1, lett.

a

)

, l.

28 dicembre 2005 n. 263

) (

Cass. civ.,

sez. II, 29 dicembre 2009, n. 27525

).

Regolamento di competenza

Nelle cause attribuite alla competenza del tribunale in composizione monocratica, il giudice unico, quando ritenga di emettere una decisione definitiva sulla competenza, è tenuto ad invitare le parti a precisare le conclusioni, in tal modo scandendo la separazione fra la fase istruttoria e quella di decisione. Pertanto, il provvedimento col quale detto giudice ritenendo che la prospettata eccezione di incompetenza sia inidonea a definire il giudizio assegni alle parti i termini di cui all'

art. 183, comma 6,

c.p.c.

, non integra una decisione sulla competenza, avendo soltanto il valore di una giustificazione della scelta del giudice di risolvere la questione di competenza unitamente al merito

; ne consegue che avverso tale provvedimento non è esperibile il regolamento di competenza, né può profilarsi, al riguardo, alcun dubbio di legittimità costituzionale, posto che il sistema delineato dall'

art. 187

c.p.c.

è in armonia con il criterio della celerità del giudizio e con la necessità di evitare inutili stasi nello svolgimento del processo (

Cass. civ.,

sez. VI, 21 dicembre 2010, n. 25883

).

Difatti, è inammissibile il regolamento di competenza avverso l'ordinanza con la quale il giudice monocratico concede i termini

ex

art. 183, comma 6,

c.p.c.

, in quanto non implica una decisione (di rigetto) sulla questione di competenza

(

Cass. civ.,

sez. III, 16 ottobre 2009, n. 22033

).

Col regolamento necessario di competenza può essere fatta valere la violazione delle sole norme sulla competenza, e non quella di norme sul procedimento, a meno che quest'ultima violazione non abbia avuto per effetto di impedire alla parte di apportare al giudice elementi utili al fine di statuire sulla propria competenza. (Nella specie, in cui il giudice di merito aveva trattenuto in decisione la causa alla prima udienza, senza fissare i termini di cui all'

art. 183

c.p.c.

, per poi declinare la propria competenza e una delle parti aveva perciò proposto regolamento necessario di competenza, invocando la violazione del cit.

art. 183

c.p.c.

, ma senza indicare quali prove decisive ai fini della competenza le era stato inibito allegare

, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha ritenuto infondato tale motivo di ricorso) (

Cass. civ.,

sez. III, 6 giugno 2008, n. 15019

).

Riferimenti

BALENA, Elementi di diritto processuale civile, Bari, 2006, 72;

BATTAGLIA, Le preclusioni nel processo ordinario di cognizione in

tribunale

, Torino, 2012, 251

; Capponi, L'

art. 183

c.p.c.

dopo le correzioni della

l. 28 dicembre 2005, n.

263

, in Giust. it., IV, 2005, 881;

CARRATTA, La nuova fase preparatoria del processo di cognizione: corsi e ricorsi della storia «infinita», in Giur. it., 2005, 2233 ss.;

CAVALLINI, Il nuovo

art. 183

c.p.c.

e la riforma della trattazione

, in Riv. dir. proc., 2006, 241 ss.;

CIAVOLA, MACCARONE, Il nuovo processo di cognizione davanti al Tribunale, Macerata, 2006, 53;

CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, III, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2010, 52;

GRAMAGLIA, Manuale breve diritto processuale civile, Milano, 2011, 223;

LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Milano, 2013, 38;

PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 146:

RICCI, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione e le impugnazioni, Torino, 2016, 34;

VIOLA, Le domande nuove inammissibili nel processo civile, Milano, 2012, 139-141.