Computo degli interessi moratori e determinazione del giudice competente

13 Settembre 2017

La questione affrontata dalla Corte di Cassazione attiene l'individuazione degli interessi moratori per poter determinare la competenza per valore.
Massima

Ai fini della determinazione della competenza per valore in ordine a domanda relativa a somma di danaro, in base all'art. 10, comma 2, c.p.c., con il capitale si sommano gli interessi di mora già maturati ante litem e autonomamente richiesti, mentre non vanno computati nel calcolo del valore ai fini dell'individuazione del giudice competente gli interessi moratori scaduti che non formino oggetto di apposita domanda, né quelli genericamente richiesti, perciò da intendersi come interessi successivi alla data di notifica dell'atto giudiziale introduttivo, il quale, di per sé, vale altrimenti a costituire in mora il debitore.

Il caso

In sede di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale dichiarava la propria incompetenza per valore in favore del giudice di pace, ritenendo non computabili gli interessi legali successivi alla notificazione della domanda giudiziale.

Il creditore impugnava l'ordinanza con istanza di regolamento di competenza, sul rilevo che anteriormente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo aveva costituito in mora il debitore. I giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, accolgono l'istanza, sul rilievo che ai fini della determinazione della competenza per valore in ordine a domanda relativa a somma di danaro, in base all'art. 10, comma 2, c.p.c., con il capitale si sommano gli interessi di mora già maturati ante litem e autonomamente richiesti.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel giudizio relativo a somma di danaro quali sono gli interessi moratori di cui si deve tener conto ai fini della determinazione della competenza per valore?

Le soluzioni giuridiche

L'art. 10 c.p.c. è la norma base per la determinazione della competenza per valore la «regola introduttiva» delle ipotesi successive. Essa, stabilisce, semplicemente, ma con una formula che crea alcuni problemi interpretativi, che il valore della causa ai fini della competenza, si determina dalla domanda. Aggiunge, poi, che a questi fini le domande proposte nello stesso processo contro la stessa persona si sommano tra di loro e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale.

Presupposto per l'applicazione dell'art. 10 c.p.c. è che la causa possa essere oggetto di valutazione economica. La norma, pur se dettata per la competenza per valore, esprime un principio generale e, come tale, applicabile anche con riferimento agli altri tipi di competenza ad esempio quella per materia; esso detta una regola base per determinare il valore della causa, fondato su criteri approssimativi, indicati, poi, dagli artt. 11 e ss. che sarebbero, pertanto, regole specifiche di stima del valore della causa dettate in relazione alle materie ivi richiamate.

Il principio che il valore rileva ai soli fini della competenza fa sì, come è stato esattamente rilevato, che in sede di merito il giudice ben potrà sia decidere superando i limiti di valore della propria competenza, sia pronunciare una sentenza che, nonostante l'originaria determinazione del valore, vada al di sotto dei suoi limiti inferiori di competenza.

Secondo la giurisprudenza, nei giudizi monitori, ai fini della determinazione della competenza per valore, il momento rilevante è quello in cui il ricorso viene depositato nella cancelleria insieme documenti giustificativi (Cass. civ. n. 7292/1992; Cass. civ. n. 4374/1976; Cass. civ. n. 191/1964) e la rivalutazione monetaria, se richiesta, si cumula al capitale e agli interessi (Cass. civ. n. 13006/1997).

Peraltro, ai sensi dell'articolo 10 c.p.c., il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda e, a tale effetto, le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano con il capitale. La giurisprudenza, interpretando questa norma con riferimento alle cause concernenti la liquidazione degli onorari spettanti all'avvocato nei confronti del cliente, ha affermato il valore della causa si determina avendo riguardo dell'oggetto della domanda considerato nel momento iniziale della lite, senza che assumano rilievo, a riguardo, gli interessi e l'eventuale rivalutazione maturati sulla somma capitale, nelle more della controversia (Cass. civ. n. 9082/2006; Cass. civ. n. 19014/2007). In proposito, va osservato che detta esegesi della giurisprudenza riguarda fattispecie relative al giudizio di cognizione ordinaria e non a quello monitorio.

In particolare, deve osservarsi che il valore della domanda, nel caso di ricorso per decreto ingiuntivo, è determinato proprio dall'ammontare della pretesa richiesta con lo stesso ricorso.

Pertanto, il principio risultante dal comma 2 dell'art. 10 c.p.c., secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per valore, si sommano al capitale richiesto gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda, e non anche quelli posteriori, che sono l'effetto dell'accertamento del diritto contenuto nella sentenza, trova applicazione anche in ordine al danno da svalutazione monetaria, sicché, ai fini della determinazione del valore della causa, deve tenersi conto soltanto della frazione di deprezzamento monetario intervenuto tra l'evento dannoso e la domanda, con esclusione della svalutazione monetaria maturatasi nel periodo successivo (Cass. civ. n. 19302/2006; Cass. civ. 2467/1983; Cass. civ. n. 4850/2000, a mente della quale ai fini della determinazione del valore della causa deve farsi riferimento alla data della domanda non essendo, pertanto, computabili gli interessi e le spese maturati successivamente ad essa ma solo il debito principale, gli interessi e le spese maturati prima della notifica dell'atto introduttivo del giudizio; nella giurisprudenza di merito Trib. Roma, 11 gennaio 2013 n. 610; Trib. Sulmona, 9 luglio 2011).

Inoltre, la domanda giudiziale di pagamento degli interessi sulla somma capitale richiesta deve ritenersi riferita, in mancanza di ulteriore specificazione, agli interessi successivi alla data di notifica dell'atto di citazione - che, di per se, vale a costituire in mora il debitore - e non incide, quindi, ai fini della competenza, sul valore della causa, che deve essere determinato con riferimento soltanto alla somma a titolo di capitale richiesta con la domanda, senza alcuna influenza dei dati ad essa esterni, quale la pretesa di maggiori interessi espressa nel precetto notificato (in base a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo), contro la quale è possibile il rimedio della opposizione previsto dall'art. 615 c.p.c. (Cass. n. 13171/1992).

In ogni caso, in tema di determinazione del valore della controversia l'art. 10, comma 2, c.p.c., secondo cui gli interessi scaduti le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale, intende riferirsi, con elencazione esemplificativa e non tassativa, a tutti quegli elementi - siano essi accessori o meno della domanda - che hanno in comune la capacità di accrescersi durante il processo, sicché la richiesta del riconoscimento e della liquidazione del relativo diritto fino al soddisfo non incide sul valore della controversia (Cass. n. 10249/2003).

Osservazioni

La limitazione posta dalla norma de qua alla determinazione del valore delle singole domande per interessi, spese, danni, all'entità in numerario dei singoli diritti quale sussistente al momento della proposizione delle domande stesse, pur ove con l'atto introduttivo ne siano stati contestualmente richiesti l'accertamento e la liquidazione anche in riferimento all'incremento di tale entità nel corso del giudizio, è, infatti, da ritenere di carattere generale, contenendo un'elencazione indicativa ma non tassativa d'alcune soltanto tra le diverse species di diritti appartenenti ad un più ampio genus, ed estensibile, pertanto, a tutte le possibili pretese, siano esse accessorie od anche principali, l'entità delle quali, in numerario ma anche in beni, sia suscettibile di continuativo incremento con il trascorrere del tempo ma il cui valore debba, comunque, essere determinato all'attualità, nel momento della formulazione della relativa domanda, dovendosi all'uopo stabilire un parametro di valutazione certo e non variabile con la non ipotizzabile durata del giudizio.

Si ritiene, in vero, dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia che ciò che assimila, nella disposizione de qua, elementi diversi quali gli interessi, le spese, i danni, sia non tanto la loro accessorietà, tra l'altro non sempre ricorrente, specie per i danni, quanto piuttosto la loro capacità di crearsi od accrescersi durante il processo e che le relative domande rappresentino, quindi, solo le ipotesi più frequenti, per questo oggetto di specifica ma non tassativa previsione normativa, di quelle che sono state denominate “cause di valore variabile”; in ordine a tutte le pretese riconducibili al quale genus, pertanto, si è ritenuto potersi estendere l'applicabilità della norma in esame e, così, alle pretese di corresponsione dei frutti naturali, di ristoro del pregiudizio derivante dalla svalutazione monetaria, di percezione di stipendi, pensioni, fitti, rendite, alimenti, ratei, che scadano nel corso del processo.

Trattisi, dunque, di domanda accessoria o di domanda autonoma: la circostanza che l'attore richieda eventualmente il riconoscimento e la liquidazione del diritto dedotto in giudizio “sino al soddisfo” non consente, comunque, di per se stesso, ai fini della determinazione del valore della controversia secondo quanto disposto dall'art. 10 c.p.c., la quantificazione di quel diritto se non nella misura maturata al momento della proposizione della domanda, ininfluente rimanendo a tal fine la considerazione dell'accrescimento che possa aversi nel corso del giudizio.

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