Ragionevole durata: il termine di sei anni vale solo se il processo conta tre gradi di giudizio

Redazione scientifica
14 Settembre 2016

Il termine di sei anni come tempo limite di ragionevole durata del processo, indicato nell'art. 2, comma 2-ter l. n. 89/2001, si applica ai soli procedimenti che in concreto si siano svolti in tre gradi di giudizio.

Il caso. La Corte d'appello di Firenze deve decidere un ricorso con cui le parti hanno proposto domanda di equa riparazione per l'eccessiva durata di un procedimento avviato sulla base della l. 89/2001, a causa della eccessiva protrazione di altro giudizio. Questo procedimento di ristoro, a sua volta, ha avuto una durata complessiva di oltre tre anni e sette mesi per tutte le parti coinvolte.

Il giudizio di merito rileva da un lato che l'art. 2, comma 2-ter, della legge n. 89 del 2001, introdotto dall'art. 55, comma 1, lett. a, n. 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, l. 7 agosto 2012, n. 134, stabilisce che «[si] considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni», dall'altro che la giurisprudenza CEDU, e quella di legittimità ante 2012, indica come limite di ragionevole durata del procedimento previsto dalla l. 89/2001 il termine di due anni.

La Corte ritiene dunque che, dal momento che il processo ex l. 89/2001 risponde ad esigenze acceleratorie, in virtù del suo carattere semplificato in un unico grado di merito volto all'accertamento di fatti di immediata evidenza, il legislatore, stabilendo il termine di sei anni, abbia violato gli artt. 3,111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU.

Censura inoltre l'art. 2, comma 2-bis l. 89/2001 ove prevede la ragionevole durata del primo grado di giudizio in tre anni, precisando che, nel caso di specie, il giudizio di primo grado aveva avuto durata di due anni e sette mesi.

Con le ordinanze nn. 121-123/2015, sottopone le questioni di legittimità al vaglio della Corte Costituzionale.

Norme impugnate La Corte Costituzionale riunisce anzitutto i giudizi di legittimità proposti che, essendo inerenti alle medesime disposizioni, meritano una decisione congiunta. Le norme impugnate riguardano gli artt. 2, commi 2-bis e 2-ter (aggiunti dall'art. 55, comma 1, lett.a, n. 2 d.l. 83/2012, convertito dall'art. 1, comma 1, l. 134/2012) , della l. 24 marzo 2001 n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 c.p.c.), in riferimento agli artt. 3, 111 comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU.

La Corte Costituzionale chiarisce che, per quanto concerne la disposizione prevista dall'art. 2, comma 2-bis, che determina la durata ragionevole del processo in tre anni, con sentenza n. 36/2016 (C. Cost., 19 febbraio 2016 n. 36) era già stata dichiarata dalla stessa Corte costituzionalmente illegittima ove si applica alla durata del processo di primo grado ex lege 89/2001. Pertanto le relative questioni sono da considerarsi «manifestamente inammissibili, per carenza di oggetto».

Per quanto riguarda poi la questione inerente alla legittimità dell'art. 2, comma 2-ter, la Corte precisa che, con la già citata sentenza C. Cost. n. 36/2016, avevano deciso analoga questione. «Il termine di sei anni indicato nella norma impugnata» afferma la Corte « si applica ai soli procedimenti che in concreto si siano svolti in tre gradi di giudizio, al fine di compensare l'eccessiva protrazione di una fase con la maggiore celerità dell'altra».

Quindi l'art. 2, comma 2-ter impugnato non è mai applicabile ai procedimenti prevista dalla l. 89/2001, articolati dal legislatore in due soli gradi.

La Corte Costituzionale dichiara dunque manifestamente inammissibili le questioni di legittimità poste, per difetto di rilevanza.

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